[Pagina precedente].... Voi dareste l'anima ed il corpo per conoscere l'amore anche di vista. Io son l'uomo fatto apposta per voi.
Elena gli dava del ventaglio sulle mani, si turava le orecchie, chinava graziosamente il capo per sfuggirgli, ridendo insieme agli altri che protestavano per lei, e accennavano al marito. Cataldi alzava le spalle. - Né lui, né nessuno, - diceva. - Ella non amerà mai altri che se stessa. - Il marito alle volte, in mezzo al cicaleccio grave degli uomini serii, nel vano degli usci, e colla destra dentro lo sparato del panciotto, coll'occhio turbato e fisso sul gruppo intorno all'Elena, impallidiva leggermente, e smarriva la risposta.
Senza pensarci un momento, al leggere la lettera anonima, egli andò in cerca dell'Elena che suonava al piano, e gliela porse.
- Questa è della Silvia, disse subito Elena. - È una cosa secca e brutta come lei.
E siccome il marito rimaneva zitto. - Ebbene, gli disse, che vuoi fare?
- Io non lo so. Tu saprai meglio di me.
- Non bisogna badarci. È una calunnia di gelosa. - Tu ci credi? brutto!
Ma ella non aveva giammai visto suo marito così pallido. Improvvisamente si fece rossa come il fuoco.
- Tu ci credi?
Egli esclamò con una voce che Elena non aveva mai udito, guardando stranamente qua e là :
- Ah, no! Elena... Non ci credo!
- Ebbene? Cosa vuoi che faccia?
- Non lo so. Non lo so! - ed evitava di guardarla, e la voce gli tremava.
Elena in fondo non si sentiva cattiva. Si avvicinò a lui pentita, e gli disse:
- Perdonami... Cosa vuoi che io faccia?... Vuoi che non esca più la sera? Tutto quello che vuoi lo farò.
- No... no... mormorò egli scuotendo tristamente il capo... Tu non m'intendi...
E con uno sforzo, afferrandole la mano, a viso basso:
- Voglio... voglio che tu mi ami sempre!
- Ah! cattivo!... come sei cattivo oggi!...
D'allora in poi andò di rado in società , onde evitare d'incontrarsi col Cataldi. Questi ogni volta che poteva vederla le diceva:
- Come? mi fuggite! Comincereste ad amarmi diggià ?
Elena non era donna da restare imbarazzata per così poco. Rispondeva:
- Sì, comincio ad amarvi, da lontano. Più lontano starete e meglio sarà per voi...
E Cataldi imperturbato:
- Tosto o tardi finirete per cedere all'attrazione. Sapete l'affinità dei simili? Io la subisco diggià !
In prova di che la seguiva da per tutto dove poteva. Faceva stupire il mondo colla costanza della sua inclinazione.
- Cotesta piccina, dicevano, ha stregato quel farfallone di Cataldi. Non s'è visto mai così accecato! - Elena stessa diventava schiva a restia a poco a poco. Non poteva dissimulare un lampo degli occhi, o una fiamma fugace alle gote, o un leggiero palpito delle narici appena lo vedeva comparire dove ella si trovava. In cuor suo, al vederlo così sottomesso, pensava: - Com'è carino! - E s'irritava che non le permettessero quel trastullo innocente. Alle volte faceva anche il broncio. Cataldi le ripeteva:
- Non credo ai vostri sguardi. Non credo al vostro rossore. Non credo che mi fuggiate, e nondimeno eccomi accanto a voi, a rendermi perfettamente ridicolo per voi.
Un giorno s'incontrarono a caso ad una serata di musica dove Elena aveva risoluto di non andare perché suo marito faceva il muso lungo. - Ma all'ultimo momento... Cataldi la colse sulla gran terrazza che sporgeva sul mare per dichiararle:
- Quando mi direte che mi amate - me lo direte, siatene certa - sarà forse la prima volta in cui amerò davvero, perché non vi crederò affatto.
- Tanto meglio. Siete avvisato. Non perdete il tempo dunque.
- Io non ho nulla da fare. Intanto mi piace misurarmi con voi che siete di una bella forza.
In questo momento un'ombra tagliò il vano luminoso del balcone, e apparve il marito.
Il suo viso sembrava più bianco nell'oscurità . Egli disse ad Elena con voce calma che l'aspettavano per suonare un pezzo a quattro mani nel salone, e fece un cenno impercettibile onde pregare Cataldi di fermarsi un istante.
Elena stavolta allibì. Però era una di quelle fragili donnine che hanno una gran forza di dissimulazione. Faceva scorrere nervosamente intorno ai polsi i suoi numerosi braccialetti mentre spiegavano la musica sul leggio, cogli occhi sul balcone. Ma quasi subito rientrò suo marito, tranquillo in apparenza come l'aveva visto pochi minuti prima, e Cataldi rimase ad ascoltare sotto le tende, impenetrabile anche lui.
Stavolta fu Elena che cercò di scambiare due parole da solo a solo con lui, dopo che ebbe suonato assai male, mentre duravano gli applausi. Ella lo fermò in un canto, un po' pallida, facendosi vento col ventaglio, e gli chiese con voce breve e secca:
- Cos'è stato?
- Una cosa assai strana. Mi ha pregato di lasciarvi in pace. Così come ve lo dico adesso, tranquillamente e con queste medesime parole. È una cosa semplicissima, che a nessuno è venuta in mente di dire, e che vi fa rimanere senza risposta.
Il marito invece non le diceva nulla, né lungo la strada, né per tutto il tempo che ella aveva messo a fare la sua toletta da notte con studiata lentezza, sino all'ora in cui egli andava, come di solito a lavorare per un par d'ore. Allora ella lo fermò sull'uscio, prendendogli le mani, e guardandolo fiso.
- Son sempre la tua Elena! lo sai?
Egli esitò, arrossendo, impallidendo a vicenda, col viso basso. Ad un tratto le buttò le braccia al collo, e si mise a piangere come un ragazzo.
Piangeva d'amore, di vergogna, di collera e di gelosia. Piangeva di doverla accompagnare lui stesso nelle feste, in mezzo alla folla, colle braccia nude, colle spalle nude, lui che avrebbe schiaffeggiato chi le avesse detto, vedendola passare: - Com'è bella! - che avrebbe ucciso chi avesse osato sollevare con due dita il velo che copriva le spalle di lei. Piangeva per quella contraddizione vergognosa, per quella tirannia della corruzione mondana che costringeva lui, il marito, a lasciare la moglie adorata senza difesa, in mezzo alle insidie velate, e alle brame incessanti dei seduttori, sola, perché gli altri fossero più liberi di confessarle col frasario ipocrita tutte le brame oscene che accendeva la sua casta bellezza nella loro fantasia viziosa, coi complimenti sfacciati, cogli sguardi impudichi che la ricercavano sotto le stoffe trasparenti. E andarsene lontano per non sembrare di voler ascoltare quel che le dicevano, e guardarla alla sfuggita, e se ella arrossiva dover fingere di non accorgersene, e se sorrideva volentieri con un altro trattarlo da amico! Ecco cos'era ridotto a fare lui, il marito, il tutore, l'amante, lui che avrebbe dato tutto il sangue delle vene per lasciarle ignorare l'esistenza del male: ad aiutarla colle sue mani a spogliarsi del pudore, dell'innocenza, ad essere spettatore di tutte le lusinghe che le offrivano a suo discapito, a sentir discutere e dileggiare la fedeltà delle mogli, a sapere che l'uomo il quale le parlava all'orecchio sottovoce le diceva che l'amava più del marito, il bugiardo! mentre doveva lasciarla fra due ore, e andarsene col sigaro in bocca, e avere l'indomani degli interessi e dei pensieri che non erano per lei! E lei l'ascoltava! e gli sorrideva, pur non credendogli una parola, ma per mostrarsi disinvolta, per paura che l'accusassero di non aver spirito, per abitudine di donna avvezza ad esser corteggiata, sicché era di cattivo umore tutta la sera quando l'erano mancate di queste piccole soddisfazioni di amor proprio, ed egli doveva scorgere i suoi trionfi cogli altri nel buon umore che gli dimostrava allorché rimanevano soli. Ah! - e questo lo spaventava e l'irritava! - ch'egli l'amasse in tal modo, che egli la sentisse così dentro e palpitante nella sua carne, nel suo cuore, in tutto il suo essere, che non potesse più vivere senza di lei! che ormai dovesse amarla ad ogni costo, com'ella avrebbe voluto essere amata.
No, egli non era geloso di Cataldi, né di questo né di quell'altro. Era geloso di tutto, di tutti quelli che le dicevano quant'era bella; del bisogno che ella provava di sentirselo dire e di veder prostrate ai suoi piedi tutte quelle adulazioni. Indovinava che egli non le bastava più, che c'era qualcosa di lei che gli si involava ogni giorno, ora per un invito a un ballo, domani per una serata di gala al San Carlo, quando era attesa nei ritrovi, il momento in cui si faceva bella per gli altri, i capelli che adornava, le braccia che scopriva, la veste che non gli era dato sgualcire. E l'amava sempre, come prima, più di prima, in un modo diverso! E si rassegnava a ciò, e si contentava di quello che ella poteva lasciargli nel suo cuore, nella sua mente, quando aveva pensato: - Piacerò in tal modo a questo o a quell'altro? - e quando il cuore di lei aveva battuto più forte al sentire altre parole che egli non le aveva dette! Non era una cosa abbietta? Non era orribile? Ma l'amava così! Oggi diceva:
- Ella si lascia dire che è amata, ma non ama che me! -domani avrebbe detto: - Ella sorride, ella arrossisce di piacere, ella china il capo lentamente... Ma poi, quando ritornerà ad esser mia!...
Più tardi... Chissà ?... chissà ?...
Elena aveva chinato il capo, colle sopracciglia aggrottate, indovinando vagamente. Poi gli fissò gli occhi in faccia, in silenzio, a lungo. Egli teneva fra le mani il viso pallido.
Poi lentamente Elena gli prese il capo fra le mani, e lo baciò, a lungo, senza dire una parola.
VIII
- E tuo marito?
- Sta bene. Un po' musone, come al solito, ma di salute sta bene.
Elena col cappellino in testa, e il libricciuolo da messa in mano, andava ogni domenica a far visita alla mamma, seduta sul canapè, senza levare la veletta, elegante persino se metteva un vestito di percallo, diceva donn'Anna; e il vestito di Elena era di seta nera, tutto ricami e fronzoli di conterie che le pesavano sul corpicino delicato, e glielo modellavano artisticamente. Donn'Anna, cogli occhiali sul naso, palpava il tessuto fitto, il ricco ricamo, con un accennare soddisfatto del capo, e soggiungeva:
- E le cose tue? vanno benone, lo vedo. Tuo marito ha degli affari?
- Così. Non molti... Sai bene... In principio...
- Non fa nulla. Tuo padre dice che in quel ragazzo c'è della stoffa buona... Intanto non ti lascia mancar niente. Vorrei vedere tua sorella accasata come te. Quel benedetto ospizio è sempre ad un punto. E' li trattano come cani quei trovatelli! Roberto dice sempre che a gennaio gli impiegati avranno l'avanzamento non so di quanto, ma è sei anni che lo dice.
Camilla, col libro da messa in mano anche lei, aggiunse:
- Duemila e cinquecento lire.
- Duemila e cinquecento lire! ripeté donn'Anna. Tuo marito li guadagna in un mese, scommetto. Tu stai come una regina. Teatri, conversazioni, ricevimenti. Non ti manca nulla, figlia mia, che Dio ti benedica.
- Non vado quasi più, mamma. Esco di rado. Mio marito preferisce stare in casa.
- Ah! che idee gli vengono in capo a quel benedetto uomo. Cosa ci state a fare in casa? la muffa? A cosa ti servirà in casa l'educazione che ti ho fatto dare? e mi è costata un occhio! Dimmi la verità . Tuo marito comincia a diventare geloso?
- No, mamma. Non ho detto questo.
- Non ci badare. Tutti i mariti sono così. Tanti turchi addirittura. Anche tuo padre, se ci avessi badato... Loro a divertirsi di qua e di là ; ma la povera moglie tappata in casa. Vedi, lo stesso Roberto, che non può stare un momento lontano da tua sorella, quando sarà suo marito...
Si udì una scampanellata, e arrivò Roberto in persona, con un mazzolino da un soldo, che si tolse dall'occhiello del vestito per aumentarne il valore. Ma vedendo le due sorelle lì presenti non sapeva come dividerlo.
- Tocca a lei, disse Elena con una smorfietta. Io son maritata.
- Parlavamo appunto di ciò, aggiunse donn'Anna. Che voi altri uomini siete tutti premurosi prima del matrimonio, e dopo correte di qua e di là , Dio sa dove. Anche don Liborio, vedete, il quale non ha nulla da fare, non si vede più in casa.
- Viene tutti i giorni a trovar Cesare, rispose Elena.
Don Liborio andava dal genero ogni mattina, pettoruto, facendo risuonare la mazza sugli scalini di marmo. S'istallava nello studio, colla fronte tra le mani, scartabellando libracci, piglia...
[Pagina successiva]