[Pagina precedente]...Costei, di tanto in tanto veniva anche lei a dare una mano, a consigliare su quel che doveva farsi, a sgridare la serva, la quale allungava il muso a tutte quelle novità , e strascinava le ciabatte per la casa, brontolando, guardando cogli occhi torvi ogni pannolino che le davano da stirare, sbattendo la granata contro gli usci nello spazzare, sfogandosi a picchiare i mobili collo spolveraccio; e si calmava soltanto se rompeva qualche cosa, restava lì a guardarla e a girarvi attorno, alle sgridate di Elena rispondeva che non l'aveva fatto apposta, non sapeva far meglio, se non erano contenti se ne andava - posava lo spolveraccio sulla prima suppellettile che capitava, grattandosi i gomiti aguzzi: - Tanto per quel che si buscava adesso!...
Solo donn'Anna bastava a rintuzzare la petulanza di quella donnaccia, la quale appena la vedeva arrivare andava a rintanarsi quatta quatta in cucina, colla granata sotto il braccio.
La mamma rimbrottava alla figliuola: - Come puoi tollerare gli sgarbi di colei? Non vedi che ti ruba sulla spesa? -Rivedeva il conto in presenza della serva, la quale rispondeva ad ogni osservazione: - Io non so altro che ho speso tanto, sono i prezzi soliti. C'è anche qui la padrona che può dirlo. - E guardava l'Elena, la quale chinava il capo.
Donn'Anna pretendeva che il genero ci pensasse lui alla spesa, la mattina, prima di andare all'ufficio, così faceva don Liborio. E Cesare allora per mettere la pace in famiglia, prometteva che sarebbe andato. La serva tornava in cucina sogghignando, rivolgendogli delle parolacce dietro le spalle.
- Vorrei vedere cosa farai con una disutilaccia di quella fatta ora che giungerà il marmocchio! Tu non ci reggerai, così delicata come sei. Ti sei vista allo specchio? Dovete pensare a procurarvi una buona balia, di quelle del contado, che son sane e lavorano per quattro. Roberto che è nei trovatelli te la cercherà .
Elena non sapeva risolversi a congedare la serva; ma dall'altro canto, l'idea di essere costretta ad allattare lei il bambino, la spaventava. Malgrado il suo orgoglio, si ridusse a parlarne bonariamente colla donna, quasi a domandarle consiglio, a metterla a parte del suo imbarazzo.
- Non è nulla! Vuol dire che faccio i quindici giorni e poi me ne vado. Tanto in questa casa passo per ladra. Adesso che il padrone va fuori per la spesa, appena arriva la balia non avrete più bisogno di me. Già mi toccherebbe fare la serva alla balia, se il padrone non può tenere altre persone di servizio. E la serva alla balia non la farei, no! Questo mettetevelo in testa.
Invano Elena cercava di essere indulgente verso di lei, di trattarla meglio che poteva, regalandole dei vestiti smessi, uno scialle quasi nuovo. La serva compiva i suoi quindici giorni come se nulla fosse stato, era sempre colla granata e collo spolveraccio in mano, affettava di andare a prendere gli ordini dal padrone ad ogni minima cosa, giacché il padrone scendeva perfino ad andare al mercato. Quando arrivava il ragazzo colla spesa cacciava le mani nel paniere, brandiva i pesci o il fascio degli spaghetti, si informava cosa li avessero pagati, ficcava il naso dentro le branchie dei merluzzi, o sul grasso della carne, e fingeva di essere stomacata, borbottava: - È roba di otto giorni, capisco adesso perché costa meno. Valeva la pena di andare un galantuomo col cilindro e la canna d'india per risparmiare cinque soldi su della roba che non vuol nessuno! - Se le vivande erano bruciate, o malcotte, rispondeva: - La spesa non la faccio io. Questa è la roba che ha comprato il padrone. - E alle volte poi rifiutava la parte che le toccava, mettendo il piatto sotto la tavola perché se ne accorgessero; fingeva che lo stomaco le si rivoltasse, e si metteva a parlare col gatto. - Non credere che sia incinta anch'io... Se facessi come tante altre sarei rimasta a balia nella casa! - E quando non c'era Elena soggiungeva: -Ragazze o maritate, so io quello che fanno. E le padrone anche! Se dicessi tutto quello che ho visto in questo mondo! Molte di quelle signore che portano la veste di seta non son degne di leccarmi queste ciabatte qui! - E si toccava le ciabatte e le baciava, sotto il naso del padrone, per far intendere che quelle almeno erano onorate.
L'aveva specialmente col padrone, buono soltanto per andare a fare le provviste, che non poteva mantenere alla moglie la balia senza toglierle la cameriera. Quando uno è disperato come lui non si marita, o deve lasciar mantenere la moglie dagli altri, e non fare il superbo. Ella andava a domandargli se bisognava lasciare il fuoco acceso per l'acqua calda o se dovesse mondare l'insalata pel giorno appresso, giusto allorché lo vedeva più occupato. Si metteva a scopare nel corridoio, si accaniva contro l'uscio dello studiolo, non la finiva di strofinare ogni spigolo col grembiule sudicio, cercava ogni mezzo di tormentare il pover'uomo, gli metteva sottosopra le carte e i libri col pretesto di spolverare, gli rovesciava il calamaio sulla scrivania, tutto coll'aria calma di fare il suo dovere, gongolando dentro di sé al vedere che lui stava per perdere la pazienza, e si agitava nervosamente sulla seggiola, lo stuzzicava col suo cicaleccio da zanzara: - Ella non ne aveva colpa se sceglieva giusto quel momento. Non poteva farsi in quattro per badare al tempo stesso in cucina e nella casa. A lei toccava di fare da cuoco e da stalliere. La padrona faceva il diavolo per un granello di polvere, come se tenesse quattro persone di servizio. Adesso che non esciva più, e non aveva più da fare fuori di casa, andava a cercare i granelli di polvere.
Il padrone aveva un bel supplicare che lo lasciasse tranquillo, che andasse dalla padrona, per sentire se bisognava mondare la lattuga o lasciare acceso il fuoco. L'indomani lei tornava da capo, diceva che non poteva andare da Erode a Pilato, si ostinava a fargli contare le fette di carne prima di andarle a friggere, lo strutto che era avanzato dalla padella, il prezzemolo che era andata a comprare, perché non la tenessero in conto di ladra, all'onor suo ella ci teneva più di qualchedun'altra; rovesciava le saccocce e contava gli spiccioli sullo scrittoio del padrone - Povera. ma onorata!
XI
- Ah! in questa casa!... Non si finisce più dal salire e scendere le scale! È durato cent'anni questo mese! Andare per i pomidoro sino al mercato, e per due soldi di lattuga fin laggiù, a casa del diavolo! Ora anche le lettere che non son giuste di peso, e bisogna riportarle indietro. Ecco qua! Fortuna che ci ho pensato prima di lasciarla andare nella buca! Un'altra volta, quando scrivete lettere così grosse, pesatele bene prima di metterci il francobollo, o mettetecene due addirittura. Se la lettera arrivava colla multa si giurava che mi ero messi in tasca i soldi, e passavo per ladra. Questo no! Povera, ma onorata! Ecco qua.
Cesare impallidì. La lettera messa in fascio coi pomidoro e le lattughe, era di Elena, diretta a Cataldi, in America.
- Va bene, disse. Lasciatela qui. La metterò io alla posta.
La donna indugiava a strascicar le ciabatte per la stanza, lentamente, col grugno composto ad una certa maligna compiacenza nel porre in ordine le seggiole, e gli oggetti minuti sopra i mobili. Cesare, colla voce tremante di collera, tornò a dire:
- Andatevene, vi ho detto! Andatevene!
Non c'era dubbio. Era il carattere d'Elena che scriveva a Cataldi, a Montevideo, Cesare si slanciò per correre dalla moglie, poi si arrestò prima di aprire l'uscio dello stanzino, pensando alla serva, che ronzava pel corridoio. Tornò allo scrittoio colla testa fra le mani, senza poter trovare in quel tumulto d'affetti il più semplice pretesto per mandar fuori la serva, sforzandosi di pensare ad altro per calmarsi.
Ma lì, seduto davanti alla scrivania, gli pareva d'impazzire. L'idea prima, sola, implacabile, era che la serva indugiasse apposta. Fece due o tre giri per la stanza in punta di piedi, perché ella non udisse, stringendosi forte il petto colle due braccia. Poi andò a chiudere le tende, si asciugò colla manica il sudore della fronte, stette alquanto in ascolto, col cuore che gli batteva, e chiamò.
La donna comparve subito, fissandogli in viso gli occhi rotondi, collo spolveraccio sotto l'ascella, e rimase attonita, come il padrone le ordinava di andare a fare una piccola commissione fuori casa. - Subito? Non era meglio aspettare che avesse finito di spolverare? Ella aveva anche la pentola sul fuoco, pel brodo della signora. Non poteva far tutto nello stesso tempo.
- Va bene, spicciatevi, rispose lui.
Andò a chiudere l'uscio che la donna avea lasciato aperto, aspettando febbrilmente che ella avesse finito. La udiva, coll'orecchio alla serratura, andare e venire lentamente, battendo colpi fiacchi collo spolveraccio. Di tanto in tanto l'uscio della cucina cigolava.
Il suo pensiero correva da Elena alla serva, con una dolorosa rapidità , con un va e vieni di pendolo che gli martellava il cervello e lo faceva trasalire d'impazienza. Ad un tratto cotesto pensiero si arrestò sull'Elena, all'istante in cui sarebbe comparso dinanzi a lei colla lettera in mano. Allora si rassegnò immediatamente ad aspettare; voleva avere il tempo di calmarsi, e di sapere quel che andava a dirle.
Quel che andava a dirle? Che cosa? Che ella amava un altro, Cataldi? che ella glielo scriveva, in quella lettera lì, sotto i suoi occhi? E se non glielo scriveva? Se gli imponeva invece di lasciarla tranquilla e onorata, di non disturbare la sua pace?... Ma come, se egli era lontano? Egli le aveva scritto dunque? In qual modo? La serva doveva saperlo. Essa che assaporava ipocritamente le sue angoscie, che gli dissimulava male il suo disprezzo... E quando? Dove erano queste lettere? Egli pensò ad Elena, tentando di indovinare il motivo del cambiamento, passando in rassegna giorno per giorno tutti i suoi atti e tutte le sue parole di cui poteva rammentarsi. Tutto a un tratto gli si rizzò dinanzi agli occhi il ricordo di un giorno in cui l'aveva incontrata sull'uscio, pallida, colla colpa ancora negli occhi. E rimase fulminato.
Una sera ella si era sentita male, sul balcone, all'imbrunire, mentre un piroscafo partiva per l'America. Vedeva ancora il fanale rosso che guardava fisso dal mare, e lei che sbatteva i denti dal dolore.
Anch'essa aveva sofferto, quella volta, come lui adesso; chissà ? forse dippiù. Ella aveva visto partire per sempre l'uomo che amava sopra ogni altro, e aveva dovuto soffocare la sua disperazione sotto gli occhi del marito. - Un momento stette pensando a quel marito, lì presente a quella scena, quasi si trattasse di un altro. - Poi Elena a poco a poco si era calmata, era giunta a parlargli amorevolmente, a lasciarsi baciare da lui. Egli stesso, quando si sarebbe calmato quell'atroce spasimo, avrebbe ceduto anche lui? le avrebbe rivolto ancora delle parole affettuose? avrebbe cercato le carezze di lei?... - E quelle carezze gli si inchiodavano ferocemente nel pensiero! Non per lui, per un altro che vedeva ronzare attorno alla sua casa, quando egli correva scoraggiato a caccia di risorse. E l'Elena che evitava i suoi sguardi, che diveniva sempre più indifferente, che tornava a casa pallida, colle labbra secche, cogli occhi ancora pieni di visioni!... Dov'era stata? Sì, dove andava ogni volta che usciva di casa in fretta, col velo sul viso? Ella non glielo avrebbe confessato giammai! Quella lettera forse l'avrebbe detto. Perché non l'apriva? Perché non cercava di sapere? E se Elena era innocente tuttavia? E se quella lettera non fosse là ? Se egli l'avesse ignorata?... Se egli avesse potuto immaginarsi che Elena non aveva scritta quella lettera? Quando egli fosse stato certo del contrario, cosa le avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto? Cosa sarebbe accaduto in quella casa, in quella camera dal letto bianco, in quello stanzino dove aveva pensato tanto a lei? E quella creatura che stava per nascere?... Quella creatura... quando sarebbe nata? Da quanto tempo Elena non era più sua? Sino a qual punto s'era data ad altri? Avea dato soltanto il cuore? la te...
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