LA LOCANDIERA, di Carlo Goldoni - pagina 2
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A me non ne mangiano sicuramente.
CONTE: Ecco la nostra padrona.
Guardatela, se non è adorabile.
CAVALIERE: Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia.
MARCHESE: Se non la stimate voi, la stimo io.
CAVALIERE: Ve la lascio, se fosse più bella di Venere.
SCENA QUINTA
Mirandolina e detti.
MIRANDOLINA: M'inchino a questi cavalieri.
Chi mi domanda di lor signori?
MARCHESE: Io vi domando, ma non qui.
MIRANDOLINA: Dove mi vuole, Eccellenza?
MARCHESE: Nella mia camera.
MIRANDOLINA: Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verra il cameriere a servirla.
MARCHESE: (Che dite di quel contegno?).
(Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità, impertinenza).
(Al Marchese.)
CONTE: Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l'incomodo di venire nella mia camera.
Osservate questi orecchini.
Vi piacciono?
MIRANDOLINA: Belli.
CONTE: Sono diamanti, sapete?
MIRANDOLINA: Oh, li Conosco.
Me ne intendo anch'io dei diamanti.
CONTE: E sono al vostro comando.
CAVALIERE: (Caro amico, voi li buttate via).
(Piano al Conte.)
MIRANDOLINA: Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?
MARCHESE: Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de' più belli al doppio.
CONTE: Questi sono legati alla moda.
Vi prego riceverli per amor mio.
CAVALIERE: (Oh che pazzo!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: No, davvero, signore...
CONTE: Se non li prendete, mi disgustate.
MIRANDOLINA: Non so che dire...
mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda.
Per non disgustare il signor Conte, li prenderò.
CAVALIERE: (Oh che forca!).
(Da sé.)
CONTE: (Che dite di quella prontezza di spirito?).
(Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno).
(Al Conte.)
MARCHESE: Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito.
Regalare una donna in pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr'occhi, fra voi e me: son Cavaliere.
MIRANDOLINA: (Che arsura! Non gliene cascano).
(Da sé.) Se altro non mi comandano, io me n'anderò.
CAVALIERE: Ehi! padrona.
La biancheria che mi avete dato, non mi gusta.
Se non ne avete di meglio, mi provvederò.(Con disprezzo.)
MIRANDOLINA: Signore, ve ne sarà di meglio.
Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere con un poco di gentilezza.
CAVALIERE: Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
CONTE: Compatitelo.
Egli è nemico capitale delle donne.
(A Mirandolina.)
CAVALIERE: Eh, che non ho bisogno d'essere da lei compatito.
MIRANDOLINA: Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi, signor Cavaliere?
CAVALIERE: Basta così.
Con me non vi prendete maggior confidenza.
Cambiatemi la biancheria.
La manderò a prender pel servitore.
Amici, vi sono schiavo.
(Parte.)
SCENA SESTA
Il Marchese, il Conte e Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che uomo salvatico! Non ho veduto il compagno.
CONTE: Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito.
MIRANDOLINA: In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio a dirittura.
MARCHESE: Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente.
Fate pur uso della mia protezione.
CONTE: E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto.
(Sentite, mandate via anche il Marchese, che pagherò io).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Grazie, signori miei, grazie.
Ho tanto spirito che basta, per dire ad un forestiere ch'io non lo voglio, e circa all'utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio.
SCENA SETTIMA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Illustrissimo, c'è uno che la domanda.
(Al Conte.)
CONTE: Sai chi sia?
FABRIZIO: Credo ch'egli sia un legatore di gioje.
(Mirandolina, giudizio; qui non istate bene).
(Piano a Mirandolina, e parte.)
CONTE: Oh sì, mi ha da mostrare un gioiello.
Mirandolina, quegli orecchini, voglio che li accompagniamo.
MIRANDOLINA: Eh no, signor Conte...
CONTE: Voi meritate molto, ed io i denari non li stimo niente.
Vado a vedere questo gioiello.
Addio, Mirandolina; signor Marchese, la riverisco! (Parte.)
SCENA OTTAVA
Il Marchese e Mirandolina.
MARCHESE: (Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità il signor Conte s'incomoda troppo.
MARCHESE: Costoro hanno quattro soldi, e li spendono per vanità, per albagia.
Io li conosco, so il viver del mondo.
MIRANDOLINA: Eh, il viver del mondo lo so ancor io.
MARCHESE: Pensano che le donne della vostra sorta si vincano con i regali.
MIRANDOLINA: I regali non fanno male allo stomaco.
MARCHESE: Io crederei di farvi un'ingiuria, cercando di obbligarvi con i donativi.
MIRANDOLINA: Oh, certamente il signor Marchese non mi ha ingiuriato mai.
MARCHESE: E tali ingiurie non ve le farò.
MIRANDOLINA: Lo credo sicurissimamente.
MARCHESE: Ma dove posso, comandatemi.
MIRANDOLINA: Bisognerebbe ch'io sapessi, in che cosa può Vostra Eccellenza.
MARCHESE: In tutto.
Provatemi.
MIRANDOLINA: Ma verbigrazia, in che?
MARCHESE: Per bacco! Avete un merito che sorprende.
MIRANDOLINA: Troppe grazie, Eccellenza.
MARCHESE: Ah! direi quasi uno sproposito.
Maledirei quasi la mia Eccellenza.
MIRANDOLINA: Perché, signore?
MARCHESE: Qualche volta mi auguro di essere nello stato del Conte.
MIRANDOLINA: Per ragione forse de' suoi denari?
MARCHESE: Eh! Che denari! Non li stimo un fico.
Se fossi un Conte ridicolo come lui...
MIRANDOLINA: Che cosa farebbe?
MARCHESE: Cospetto del diavolo...
vi sposerei.
(Parte.)
SCENA NONA
MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà.
Io non lo vorrei.
Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne.
Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura.
E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me.
Non dico che tutti in un salto s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente.
É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare.
Ma la troverà.
La troverà.
E chi sa che non l'abbia trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca.
Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano.
La nobiltà non fa per me.
La ricchezza la stimo e non la stimo.
Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata.
Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne.
A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà.
Tratto con tutti, ma non m'innamoro mai di nessuno.
Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
SCENA DECIMA
Fabrizio e detta.
FABRIZIO: Ehi, padrona.
MIRANDOLINA: Che cosa c'è?
FABRIZIO: Quel forestiere che è alloggiato nella camera di mezzo, grida della biancheria; dice che è ordinaria, e che non la vuole.
MIRANDOLINA: Lo so, lo so.
Lo ha detto anche a me, e lo voglio servire.
FABRIZIO: Benissimo.
Venitemi dunque a metter fuori la roba, che gliela possa portare.
MIRANDOLINA: Andate, andate, gliela porterò io.
FABRIZIO: Voi gliela volete portare?
MIRANDOLINA: Sì, io.
FABRIZIO: Bisogna che vi prema molto questo forestiere.
MIRANDOLINA: Tutti mi premono.
Badate a voi.
FABRIZIO: (Già me n'avvedo.
Non faremo niente.
Ella mi lusinga; ma non faremo niente).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: (Povero sciocco! Ha delle pretensioni.
Voglio tenerlo in isperanza, perché mi serva con fedelta).
(Da sé.)
FABRIZIO: Si è sempre costumato, che i forestieri li serva io.
MIRANDOLINA: Voi con i forestieri siete un poco troppo ruvido.
FABRIZIO: E voi siete un poco troppo gentile.
MIRANDOLINA: So quel quel che fo, non ho bisogno di correttori.
FABRIZIO: Bene, bene.
Provvedetevi di cameriere.
MIRANDOLINA: Perché, signor Fabrizio? è disgustato di me?
FABRIZIO: Vi ricordate voi che cosa ha detto a noi due vostro padre, prima ch'egli morisse?
MIRANDOLINA: Sì; quando mi vorrò maritare, mi ricorderò di quel che ha detto mio padre.
FABRIZIO: Ma io son delicato di pelle, certe cose non le posso soffrire.
MIRANDOLINA: Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una pazza? Mi maraviglio di te.
Che voglio fare io dei forestieri che vanno e vengono? Se il tratto bene, lo fo per mio interesse, per tener in credito la mia locanda.
De' regali non ne ho bisogno.
Per far all'amore? Uno mi basta: e questo non mi manca; e so chi merita, e so quello che mi conviene.
E quando vorrò maritarmi...
mi ricorderò di mio padre.
E chi mi averà servito bene, non potrà lagnarsi di me.
Son grata.
Conosco il merito...
Ma io non son conosciuta.
Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete.
(Parte.)
FABRIZIO: Chi può intenderla, è bravo davvero.
Ora pare che la mi voglia, ora che la non mi voglia.
Dice che non è una frasca, ma vuol far a suo modo.
Non so che dire.
Staremo a vedere.
Ella mi piace, le voglio bene, accomoderei con essa i miei interessi per tutto il tempo di vita mia.
Ah! bisognerà chiuder un occhio, e lasciar correre qualche cosa.
Finalmente i forestieri vanno e vengono.
Io resto sempre.
Il meglio sarà sempre per me.
(Parte.)
SCENA UNDICESIMA
Camera del Cavaliere.
Il Cavaliere ed un Servitore.
SERVITORE: Illustrissimo, hanno portato questa lettera.
CAVALIERE: Portami la cioccolata.
(Il Servitore parte.)
(Il Cavaliere apre la lettera.)
Siena, primo Gennaio 1753.
(Chi scrive?) Orazio Taccagni.
Amico carissimo.
La tenera amicizia che a voi mi lega, mi rende sollecito ad avvisarvi essere necessario il vostro ritorno in patria.
È morto il Conte Manna...
(Povero Cavaliere! Me ne dispiace).
Ha lasciato la sua unica figlia nubile erede di centocinquanta mila scudi.
Tutti gli amici vostri vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno maneggiando...
Non s'affatichino per me, che non voglio saper nulla.
Lo sanno pure ch'io non voglio donne per i piedi.
E questo mio caro amico, che lo sa più d'ogni altro, mi secca peggio di tutti.
(Straccia la lettera.) Che importa a me di centocinquanta mila scudi? Finché son solo, mi basta meno.
Se fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più.
Moglie a me! Piuttosto una febbre quartana.
SCENA DODICESIMA
II Marchese e detto.
MARCHESE: Amico, vi contentate ch'io venga a stare un poco con voi?
CAVALIERE: Mi fate onore.
MARCHESE: Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte non è degno di stare in conversazione con noi.
CAVALIERE: Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
MARCHESE: Sapete il mio naturale.
Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.
CAVALIERE: Non lo potete soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un cavaliere della vostra sorta innamorarsi d'una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a una donna!
MARCHESE: Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
CAVALIERE: Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.
MARCHESE: Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m'inquieta, è il mio fattor di campagna.
CAVALIERE: Vi ha fatto qualche porcheria?
MARCHESE: Mi ha mancato di parola.
SCENA TREDICESIMA
Il Servitore con una cioccolata e detti.
CAVALIERE: Oh mi dispiace...
Fanne subito un'altra.
(Al Servitore.)
SERVITORE: In casa per oggi non ce n'è altra, illustrissimo.
CAVALIERE: Bisogna che ne provveda.
Se vi degnate di questa...(Al Marchese.)
MARCHESE (prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti, seguitando poi a discorrere e bere, come segue): Questo mio fattore, come io vi diceva...
(Beve.)
CAVALIERE: (Ed io resterò senza).
(Da sé.)
MARCHESE: Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinario...
(Beve.) venti zecchini...
(Beve.)
CAVALIERE: (Ora viene con una seconda stoccata).
(Da sé.)
MARCHESE: E non me li ha mandati...
(Beve.)
CAVALIERE: Li manderà un'altra volta.
MARCHESE: Il punto sta...
il punto sta...
(Finisce di bere.) Tenete.
(Dà la chicchera al Servitore.) Il punto sta che sono in un grande impegno, e non so come fare.
CAVALIERE: Otto giorni più, otto giorni meno...
MARCHESE: Ma voi che siete Cavaliere, sapete quel che vuol dire il mantener la parola.
Sono in impegno; e...
corpo di bacco! Darei della pugna in cielo.
CAVALIERE: Mi dispiace di vedervi scontento.
(Se sapessi come uscirne con riputazione!) (Da sé.)
MARCHESE: Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il piacere?
CAVALIERE: Caro Marchese, se potessi, vi servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a dirittura.
Ne aspetto, e non ne ho.
MARCHESE: Non mi darete ad intendere d'esser senza denari.
CAVALIERE: Osservate.
Ecco tutta la mia ricchezza.
Non arrivano a due zecchini.
(Mostra uno zecchino e varie monete.)
MARCHESE: Quello è uno zecchino d'oro.
CAVALIERE: Sì; l'ultimo, non ne ho più.
MARCHESE: Prestatemi quello, che vedrò intanto...
CAVALIERE: Ma io poi...
MARCHESE: Di che avete paura? Ve lo renderò.
CAVALIERE: Non so che dire; servitevi.
(Gli dà lo zecchino.)
MARCHESE: Ho un affare di premura...
amico: obbligato per ora: ci rivedremo a pranzo.
(Prende lo zecchino, e parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
CAVALIERE (solo): Bravo! Il signor Marchese mi voleva frecciare venti zecchini, e poi si è contentato di uno.
Finalmente uno zecchino non mi preme di perderlo, e se non me lo rende, non mi verrà più a seccare.
Mi dispiace più, che mi ha bevuto la mia cioccolata.
Che indiscretezza! E poi: Son chi sono.
Son Cavaliere.
Oh garbatissimo Cavaliere!
SCENA QUINDICESIMA
Mirandolina colla biancheria, e detto.
MIRANDOLINA: Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche soggezione.)
CAVALIERE: Che cosa volete? (Con asprezza.)
MIRANDOLINA: Ecco qui della biancheria migliore.
(S'avanza un poco.)
CAVALIERE: Bene.
Mettetela lì.
(Accenna il tavolino.)
MIRANDOLINA: La supplico almeno degnarsi vedere se è di suo genio.
CAVALIERE: Che roba è?
MIRANDOLINA: Le lenzuola son di rensa.
(S'avanza ancor più.)
CAVALIERE: Rensa?
MIRANDOLINA: Sì signore, di dieci paoli al braccio.
Osservi.
CAVALIERE: Non pretendevo tanto.
Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete dato.
MIRANDOLINA: Questa biancheria l'ho fatta per personaggi di merito: per quelli che la sanno conoscere; e in verità, illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la darei.
CAVALIERE: Per esser lei! Solito complimento.
MIRANDOLINA: Osservi il servizio di tavola.
CAVALIERE: Oh! Queste tele di Fiandra, quando si lavano, perdono assai.
Non vi è bisogno che le insudiciate per me.
MIRANDOLINA: Per un Cavaliere della sua qualità, non guardo a queste piccole cose.
Di queste salviette ne ho parecchie, e le serberò per V.S.
illustrissima.
CAVALIERE: (Non si può però negare, che costei non sia una donna obbligante).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: (Veramente ha una faccia burbera da non piacergli le donne).
(Da sé.)
CAVALIERE: Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì, in qualche luogo.
Non vi è bisogno che v'incomodiate per questo.
MIRANDOLINA: Oh, io non m'incomodo mai, quando servo Cavaliere di sì alto merito.
CAVALIERE: Bene, bene, non occorr'altro.
(Costei vorrebbe adularmi.
Donne! Tutte così).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: La metterò nell'arcova.
CAVALIERE: Sì, dove volete.
(Con serietà.)
MIRANDOLINA: (Oh! vi è del duro.
Ho paura di non far niente).
(Da sé, va a riporre la biancheria.)
CAVALIERE: (I gonzi sentono queste belle parole, credono a chi le dice, e cascano).
(Da sè.)
MIRANDOLINA: A pranzo, che cosa comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
CAVALIERE: Mangerò quello che vi sarà.
MIRANDOLINA: Vorrei pur sapere il suo genio.
Se le piace una cosa più dell'altra, lo dica con libertà.
CAVALIERE: Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
MIRANDOLINA: Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzione e la pazienza che abbiamo noi donne.
Se le piacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
CAVALIERE: Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di far con me quello che avete fatto col Conte e col Marchese.
MIRANDOLINA: Che dice della debolezza di quei due cavalieri? Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di voler fare all'amore colla locandiera.
Abbiamo altro in testa noi, che dar retta alle loro ciarle.
Cerchiamo di fare il nostro interesse; se diamo loro delle buone parole, lo facciamo per tenerli a bottega; e poi, io principalmente, quando vedo che si lusingano, rido come una pazza.
CAVALIERE: Brava! Mi piace la vostra sincerità.
MIRANDOLINA: Oh! non ho altro di buono, che la sincerità.
CAVALIERE: Ma però, con chi vi fa la corte, sapete fingere.
MIRANDOLINA: Io fingere? Guardimi il cielo.
Domandi un poco a quei due signori che fanno gli spasimati per me, se ho mai dato loro un segno d'affetto.
Se ho mai scherzato con loro in maniera che si potessero lusingare con fondamento.
Non li strapazzo, perché il mio interesse non lo vuole, ma poco meno.
Questi uomini effeminati non li posso vedere.
Sì come abborrisco anche le donne che corrono dietro agli uomini.
Vede? Io non sono una ragazza.
Ho qualche annetto; non sono bella, ma ho avute delle buone occasioni; eppure non ho mai voluto maritarmi, perché stimo infinitamente la mia libertà.
CAVALIERE: Oh sì, la libertà è un gran tesoro.
MIRANDOLINA: E tanti la perdono scioccamente.
CAVALIERE: So io ben quel che faccio.
Alla larga.
MIRANDOLINA: Ha moglie V.S.
illustrissima?
CAVALIERE: Il cielo me ne liberi.
Non voglio donne.
MIRANDOLINA: Bravissimo.
Si conservi sempre così.
Le donne, signore...
Basta, a me non tocca a dirne male.
CAVALIERE: Voi siete per altro la prima donna, ch'io senta parlar così.
MIRANDOLINA: Le dirò: noi altre locandiere vediamo e sentiamo delle cose assai; e in verità compatisco quegli uomini, che hanno paura del nostro sesso.
CAVALIERE: (È curiosa costei).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: Con permissione di V.S.
illustrissima.
(Finge voler partire.)
CAVALIERE: Avete premura di partire?
MIRANDOLINA: Non vorrei esserle importuna.
CAVALIERE: No, mi fate piacere; mi divertite
MIRANDOLINA: Vede, signore? Così fo con gli altri.
Mi trattengo qualche momento; sono piuttosto allegra, dico delle barzellette per divertirli, ed essi subito credono...
Se la m'intende, e' mi fanno i cascamorti.
CAVALIERE: Questo accade, perché avete buona maniera.
MIRANDOLINA: Troppa bontà, illustrissimo.
(Con una riverenza.)
CAVALIERE: Ed essi s'innamorano.
MIRANDOLINA: Guardi che debolezza! Innamorarsi subito di una donna!
CAVALIERE: Questa io non l'ho mai potuta capire.
MIRANDOLINA: Bella fortezza! Bella virilità!
CAVALIERE: Debolezze! Miserie umane!
MIRANDOLINA: Questo è il vero pensare degli uomini.
Signor Cavaliere, mi porga la mano.
CAVALIERE: Perché volete ch'io vi porga la mano?
MIRANDOLINA: Favorisca; si degni; osservi, sono pulita.
CAVALIERE: Ecco la mano.
MIRANDOLINA: Questa è la prima volta, che ho l'onore d'aver per la mano un uomo, che pensa veramente da uomo.
CAVALIERE: Via, basta così.
(Ritira la mano.)
MIRANDOLINA: Ecco.
Se io avessi preso per la mano uno di que' due signori sguaiati, avrebbe tosto creduto ch'io spasimassi per lui.
Sarebbe andato in deliquio.
Non darei loro una semplice libertà, per tutto l'oro del mondo.
Non sanno vivere.
Oh benedetto in conversare alla libera! senza attacchi, senza malizia, senza tante ridicole scioccherie.
Illustrissimo, perdoni la mia impertinenza.
Dove posso servirla, mi comandi con autorità, e avrò per lei quell'attenzione, che non ho mai avuto per alcuna persona di questo mondo.
CAVALIERE: Per quale motivo avete tanta parzialità per me?
MIRANDOLINA: Perché, oltre il suo merito, oltre la sua condizione, sono almeno sicura che con lei posso trattare con libertà, senza sospetto che voglia fare cattivo uso delle mie attenzioni, e che mi tenga in qualità di serva, senza tormentarmi con pretensioni ridicole, con caricature affettate.
CAVALIERE: (Che diavolo ha costei di stravagante, ch'io non capisco!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: (Il satiro si anderà a poco a poco addomesticando).
(Da sé.)
CAVALIERE: Orsù, se avete da badare alle cose vostre, non restate per me.
MIRANDOLINA: Sì signore, vado ad attendere alle faccende di casa.
Queste sono i miei amori, i miei passatempi.
Se comanderà qualche cosa, manderò il cameriere.
CAVALIERE: Bene...
Se qualche volta verrete anche voi, vi vedrò volentieri.
MIRANDOLINA: Io veramente non vado mai nelle camere dei forestieri, ma da lei ci verrò qualche volta.
CAVALIERE: Da me...
Perché?
MIRANDOLINA: Perché, illustrissimo signore, ella mi piace assaissimo.
CAVALIERE: Vi piaccio io?
MIRANDOLINA: Mi piace, perché non è effeminato, perché non è di quelli che s'innamorano.
(Mi caschi il naso, se avanti domani non l'innamoro).
(Da sé.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Eh! So io quel che fo.
Colle donne? Alla larga.
Costei sarebbe una di quelle che potrebbero farmi cascare più delle altre.
Quella verità, quella scioltezza di dire, è cosa poco comune.
Ha un non so che di estraordinario; ma non per questo mi lascerei innamorare.
Per un poco di divertimento, mi fermerei più tosto con questa che con un'altra.
Ma per fare all'amore? Per perdere la libertà? Non vi è pericolo.
Pazzi, pazzi quelli che s'innamorano delle donne.
(Parte.)
SCENA DICIASSETTESIMA
Altra camera di locanda.
Ortensia, Dejanira, Fabrizio.
FABRIZIO: Che restino servite qui, illustrissime.
Osservino quest'altra camera.
Quella per dormire, e questa per mangiare, per ricevere, per servirsene come comandano.
ORTENSIA: Va bene, va bene.
Siete voi padrone, o cameriere?
FABRIZIO: Cameriere, ai comandi di V.S.
illustrissima
DEJANIRA: (Ci dà delle illustrissime).
(Piano a Ortensia, ridendo.)
ORTENSIA: (Bisogna secondare il lazzo).
Cameriere?
FABRIZIO: Illustrissima.
ORTENSIA: Dite al padrone che venga qui, voglio parlar con lui per il trattamento.
FABRIZIO: Verrà la padrona; la servo subito.
(Chi diamine saranno queste due signore così sole? All'aria, all'abito, paiono dame).
(Da sé, parte.)
SCENA DICIOTTESIMA
Dejanira e Ortensia.
DEJANIRA: Ci dà dell'illustrissime.
Ci ha creduto due dame.
ORTENSIA: Bene.
Così ci tratterà meglio.
DEJANIRA: Ma ci farà pagare di più.
ORTENSIA: Eh, circa i conti, avrà da fare con me.
Sono degli anni assai, che cammino il mondo.
DEJANIRA: Non vorrei che con questi titoli entrassimo in qualche impegno.
ORTENSIA: Cara amica, siete di poco spirito.
Due commedianti avvezze a far sulla scena da contesse, da marchese e da principesse, avranno difficoltà a sostenere un carattere sopra di una locanda?
DEJANIRA: Verranno i nostri compagni, e subito ci sbianchiranno.
ORTENSIA: Per oggi non possono arrivare a Firenze.
Da Pisa a qui in navicello vi vogliono almeno tre giorni.
DEJANIRA: Guardate che bestialità! Venire in navicello!
ORTENSIA: Per mancanza di lugagni.
È assai che siamo venute noi in calesse.
DEJANIRA: È stata buona quella recita di più che abbiamo fatto.
ORTENSIA: Sì, ma se non istavo io alla porta, non si faceva niente.
SCENA DICIANNOVESIMA
Fabrizio e dette.
FABRIZIO: La padrona or ora sarà a servirle.
ORTENSIA: Bene.
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