LA LOCANDIERA, di Carlo Goldoni - pagina 3
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CAVALIERE: Oh mi dispiace...
Fanne subito un'altra.
(Al Servitore.)
SERVITORE: In casa per oggi non ce n'è altra, illustrissimo.
CAVALIERE: Bisogna che ne provveda.
Se vi degnate di questa...(Al Marchese.)
MARCHESE (prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti, seguitando poi a discorrere e bere, come segue): Questo mio fattore, come io vi diceva...
(Beve.)
CAVALIERE: (Ed io resterò senza).
(Da sé.)
MARCHESE: Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinario...
(Beve.) venti zecchini...
(Beve.)
CAVALIERE: (Ora viene con una seconda stoccata).
(Da sé.)
MARCHESE: E non me li ha mandati...
(Beve.)
CAVALIERE: Li manderà un'altra volta.
MARCHESE: Il punto sta...
il punto sta...
(Finisce di bere.) Tenete.
(Dà la chicchera al Servitore.) Il punto sta che sono in un grande impegno, e non so come fare.
CAVALIERE: Otto giorni più, otto giorni meno...
MARCHESE: Ma voi che siete Cavaliere, sapete quel che vuol dire il mantener la parola.
Sono in impegno; e...
corpo di bacco! Darei della pugna in cielo.
CAVALIERE: Mi dispiace di vedervi scontento.
(Se sapessi come uscirne con riputazione!) (Da sé.)
MARCHESE: Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il piacere?
CAVALIERE: Caro Marchese, se potessi, vi servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a dirittura.
Ne aspetto, e non ne ho.
MARCHESE: Non mi darete ad intendere d'esser senza denari.
CAVALIERE: Osservate.
Ecco tutta la mia ricchezza.
Non arrivano a due zecchini.
(Mostra uno zecchino e varie monete.)
MARCHESE: Quello è uno zecchino d'oro.
CAVALIERE: Sì; l'ultimo, non ne ho più.
MARCHESE: Prestatemi quello, che vedrò intanto...
CAVALIERE: Ma io poi...
MARCHESE: Di che avete paura? Ve lo renderò.
CAVALIERE: Non so che dire; servitevi.
(Gli dà lo zecchino.)
MARCHESE: Ho un affare di premura...
amico: obbligato per ora: ci rivedremo a pranzo.
(Prende lo zecchino, e parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
CAVALIERE (solo): Bravo! Il signor Marchese mi voleva frecciare venti zecchini, e poi si è contentato di uno.
Finalmente uno zecchino non mi preme di perderlo, e se non me lo rende, non mi verrà più a seccare.
Mi dispiace più, che mi ha bevuto la mia cioccolata.
Che indiscretezza! E poi: Son chi sono.
Son Cavaliere.
Oh garbatissimo Cavaliere!
SCENA QUINDICESIMA
Mirandolina colla biancheria, e detto.
MIRANDOLINA: Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche soggezione.)
CAVALIERE: Che cosa volete? (Con asprezza.)
MIRANDOLINA: Ecco qui della biancheria migliore.
(S'avanza un poco.)
CAVALIERE: Bene.
Mettetela lì.
(Accenna il tavolino.)
MIRANDOLINA: La supplico almeno degnarsi vedere se è di suo genio.
CAVALIERE: Che roba è?
MIRANDOLINA: Le lenzuola son di rensa.
(S'avanza ancor più.)
CAVALIERE: Rensa?
MIRANDOLINA: Sì signore, di dieci paoli al braccio.
Osservi.
CAVALIERE: Non pretendevo tanto.
Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete dato.
MIRANDOLINA: Questa biancheria l'ho fatta per personaggi di merito: per quelli che la sanno conoscere; e in verità, illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la darei.
CAVALIERE: Per esser lei! Solito complimento.
MIRANDOLINA: Osservi il servizio di tavola.
CAVALIERE: Oh! Queste tele di Fiandra, quando si lavano, perdono assai.
Non vi è bisogno che le insudiciate per me.
MIRANDOLINA: Per un Cavaliere della sua qualità, non guardo a queste piccole cose.
Di queste salviette ne ho parecchie, e le serberò per V.S.
illustrissima.
CAVALIERE: (Non si può però negare, che costei non sia una donna obbligante).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: (Veramente ha una faccia burbera da non piacergli le donne).
(Da sé.)
CAVALIERE: Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì, in qualche luogo.
Non vi è bisogno che v'incomodiate per questo.
MIRANDOLINA: Oh, io non m'incomodo mai, quando servo Cavaliere di sì alto merito.
CAVALIERE: Bene, bene, non occorr'altro.
(Costei vorrebbe adularmi.
Donne! Tutte così).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: La metterò nell'arcova.
CAVALIERE: Sì, dove volete.
(Con serietà.)
MIRANDOLINA: (Oh! vi è del duro.
Ho paura di non far niente).
(Da sé, va a riporre la biancheria.)
CAVALIERE: (I gonzi sentono queste belle parole, credono a chi le dice, e cascano).
(Da sè.)
MIRANDOLINA: A pranzo, che cosa comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
CAVALIERE: Mangerò quello che vi sarà.
MIRANDOLINA: Vorrei pur sapere il suo genio.
Se le piace una cosa più dell'altra, lo dica con libertà.
CAVALIERE: Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
MIRANDOLINA: Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzione e la pazienza che abbiamo noi donne.
Se le piacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
CAVALIERE: Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di far con me quello che avete fatto col Conte e col Marchese.
MIRANDOLINA: Che dice della debolezza di quei due cavalieri? Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di voler fare all'amore colla locandiera.
Abbiamo altro in testa noi, che dar retta alle loro ciarle.
Cerchiamo di fare il nostro interesse; se diamo loro delle buone parole, lo facciamo per tenerli a bottega; e poi, io principalmente, quando vedo che si lusingano, rido come una pazza.
CAVALIERE: Brava! Mi piace la vostra sincerità.
MIRANDOLINA: Oh! non ho altro di buono, che la sincerità.
CAVALIERE: Ma però, con chi vi fa la corte, sapete fingere.
MIRANDOLINA: Io fingere? Guardimi il cielo.
Domandi un poco a quei due signori che fanno gli spasimati per me, se ho mai dato loro un segno d'affetto.
Se ho mai scherzato con loro in maniera che si potessero lusingare con fondamento.
Non li strapazzo, perché il mio interesse non lo vuole, ma poco meno.
Questi uomini effeminati non li posso vedere.
Sì come abborrisco anche le donne che corrono dietro agli uomini.
Vede? Io non sono una ragazza.
Ho qualche annetto; non sono bella, ma ho avute delle buone occasioni; eppure non ho mai voluto maritarmi, perché stimo infinitamente la mia libertà.
CAVALIERE: Oh sì, la libertà è un gran tesoro.
MIRANDOLINA: E tanti la perdono scioccamente.
CAVALIERE: So io ben quel che faccio.
Alla larga.
MIRANDOLINA: Ha moglie V.S.
illustrissima?
CAVALIERE: Il cielo me ne liberi.
Non voglio donne.
MIRANDOLINA: Bravissimo.
Si conservi sempre così.
Le donne, signore...
Basta, a me non tocca a dirne male.
CAVALIERE: Voi siete per altro la prima donna, ch'io senta parlar così.
MIRANDOLINA: Le dirò: noi altre locandiere vediamo e sentiamo delle cose assai; e in verità compatisco quegli uomini, che hanno paura del nostro sesso.
CAVALIERE: (È curiosa costei).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: Con permissione di V.S.
illustrissima.
(Finge voler partire.)
CAVALIERE: Avete premura di partire?
MIRANDOLINA: Non vorrei esserle importuna.
CAVALIERE: No, mi fate piacere; mi divertite
MIRANDOLINA: Vede, signore? Così fo con gli altri.
Mi trattengo qualche momento; sono piuttosto allegra, dico delle barzellette per divertirli, ed essi subito credono...
Se la m'intende, e' mi fanno i cascamorti.
CAVALIERE: Questo accade, perché avete buona maniera.
MIRANDOLINA: Troppa bontà, illustrissimo.
(Con una riverenza.)
CAVALIERE: Ed essi s'innamorano.
MIRANDOLINA: Guardi che debolezza! Innamorarsi subito di una donna!
CAVALIERE: Questa io non l'ho mai potuta capire.
MIRANDOLINA: Bella fortezza! Bella virilità!
CAVALIERE: Debolezze! Miserie umane!
MIRANDOLINA: Questo è il vero pensare degli uomini.
Signor Cavaliere, mi porga la mano.
CAVALIERE: Perché volete ch'io vi porga la mano?
MIRANDOLINA: Favorisca; si degni; osservi, sono pulita.
CAVALIERE: Ecco la mano.
MIRANDOLINA: Questa è la prima volta, che ho l'onore d'aver per la mano un uomo, che pensa veramente da uomo.
CAVALIERE: Via, basta così.
(Ritira la mano.)
MIRANDOLINA: Ecco.
Se io avessi preso per la mano uno di que' due signori sguaiati, avrebbe tosto creduto ch'io spasimassi per lui.
Sarebbe andato in deliquio.
Non darei loro una semplice libertà, per tutto l'oro del mondo.
Non sanno vivere.
Oh benedetto in conversare alla libera! senza attacchi, senza malizia, senza tante ridicole scioccherie.
Illustrissimo, perdoni la mia impertinenza.
Dove posso servirla, mi comandi con autorità, e avrò per lei quell'attenzione, che non ho mai avuto per alcuna persona di questo mondo.
CAVALIERE: Per quale motivo avete tanta parzialità per me?
MIRANDOLINA: Perché, oltre il suo merito, oltre la sua condizione, sono almeno sicura che con lei posso trattare con libertà, senza sospetto che voglia fare cattivo uso delle mie attenzioni, e che mi tenga in qualità di serva, senza tormentarmi con pretensioni ridicole, con caricature affettate.
CAVALIERE: (Che diavolo ha costei di stravagante, ch'io non capisco!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: (Il satiro si anderà a poco a poco addomesticando).
(Da sé.)
CAVALIERE: Orsù, se avete da badare alle cose vostre, non restate per me.
MIRANDOLINA: Sì signore, vado ad attendere alle faccende di casa.
Queste sono i miei amori, i miei passatempi.
Se comanderà qualche cosa, manderò il cameriere.
CAVALIERE: Bene...
Se qualche volta verrete anche voi, vi vedrò volentieri.
MIRANDOLINA: Io veramente non vado mai nelle camere dei forestieri, ma da lei ci verrò qualche volta.
CAVALIERE: Da me...
Perché?
MIRANDOLINA: Perché, illustrissimo signore, ella mi piace assaissimo.
CAVALIERE: Vi piaccio io?
MIRANDOLINA: Mi piace, perché non è effeminato, perché non è di quelli che s'innamorano.
(Mi caschi il naso, se avanti domani non l'innamoro).
(Da sé.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Eh! So io quel che fo.
Colle donne? Alla larga.
Costei sarebbe una di quelle che potrebbero farmi cascare più delle altre.
Quella verità, quella scioltezza di dire, è cosa poco comune.
Ha un non so che di estraordinario; ma non per questo mi lascerei innamorare.
Per un poco di divertimento, mi fermerei più tosto con questa che con un'altra.
Ma per fare all'amore? Per perdere la libertà? Non vi è pericolo.
Pazzi, pazzi quelli che s'innamorano delle donne.
(Parte.)
SCENA DICIASSETTESIMA
Altra camera di locanda.
Ortensia, Dejanira, Fabrizio.
FABRIZIO: Che restino servite qui, illustrissime.
Osservino quest'altra camera.
Quella per dormire, e questa per mangiare, per ricevere, per servirsene come comandano.
ORTENSIA: Va bene, va bene.
Siete voi padrone, o cameriere?
FABRIZIO: Cameriere, ai comandi di V.S.
illustrissima
DEJANIRA: (Ci dà delle illustrissime).
(Piano a Ortensia, ridendo.)
ORTENSIA: (Bisogna secondare il lazzo).
Cameriere?
FABRIZIO: Illustrissima.
ORTENSIA: Dite al padrone che venga qui, voglio parlar con lui per il trattamento.
FABRIZIO: Verrà la padrona; la servo subito.
(Chi diamine saranno queste due signore così sole? All'aria, all'abito, paiono dame).
(Da sé, parte.)
SCENA DICIOTTESIMA
Dejanira e Ortensia.
DEJANIRA: Ci dà dell'illustrissime.
Ci ha creduto due dame.
ORTENSIA: Bene.
Così ci tratterà meglio.
DEJANIRA: Ma ci farà pagare di più.
ORTENSIA: Eh, circa i conti, avrà da fare con me.
Sono degli anni assai, che cammino il mondo.
DEJANIRA: Non vorrei che con questi titoli entrassimo in qualche impegno.
ORTENSIA: Cara amica, siete di poco spirito.
Due commedianti avvezze a far sulla scena da contesse, da marchese e da principesse, avranno difficoltà a sostenere un carattere sopra di una locanda?
DEJANIRA: Verranno i nostri compagni, e subito ci sbianchiranno.
ORTENSIA: Per oggi non possono arrivare a Firenze.
Da Pisa a qui in navicello vi vogliono almeno tre giorni.
DEJANIRA: Guardate che bestialità! Venire in navicello!
ORTENSIA: Per mancanza di lugagni.
È assai che siamo venute noi in calesse.
DEJANIRA: È stata buona quella recita di più che abbiamo fatto.
ORTENSIA: Sì, ma se non istavo io alla porta, non si faceva niente.
SCENA DICIANNOVESIMA
Fabrizio e dette.
FABRIZIO: La padrona or ora sarà a servirle.
ORTENSIA: Bene.
FABRIZIO: Ed io le supplico a comandarmi.
Ho servito altre dame: mi darò l'onor di servir con tutta l'attenzione anche le signorie loro illustrissime.
ORTENSIA: Occorrendo, mi varrò di voi.
DEJANIRA: (Ortensia queste parti le fa benissimo).
(Da sé.)
FABRIZIO: Intanto le supplico, illustrissime signore, favorirmi il loro riverito nome per la consegna.
(Tira fuori un calamaio ed un libriccino.)
DEJANIRA: (Ora viene il buono).
ORTENSIA: Perché ho da dar il mio nome?
FABRIZIO: Noialtri locandieri siamo obbligati a dar il nome, il casato, la patria e la condizione di tutti i passeggeri che alloggiano alla nostra locanda.
E se non lo facessimo, meschini noi.
DEJANIRA: (Amica, i titoli sono finiti).
(Piano ad Ortensia.)
ORTENSIA: Molti daranno anche il nome finto.
FABRIZIO: In quanto a questo poi, noialtri scriviamo il nome che ci dettano, e non cerchiamo di più.
ORTENSIA: Scrivete.
La Baronessa Ortensia del Poggio, palermitana.
FABRIZIO: (Siciliana? Sangue caldo).
(Scrivendo.) Ella, illustrissima? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Ed io...
(Non so che mi dire).
ORTENSIA: Via, Contessa Dejanira, dategli il vostro nome.
FABRIZIO: Vi supplico.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: Non l'avete sentito? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: L'illustrissima signora Contessa Dejanira...
(Scrivendo.) Il cognome?
DEJANIRA: Anche il cognome? (A Fabrizio.)
ORTENSIA: Sì, dal Sole, romana.
(A Fabrizio.)
FABRIZIO: Non occorr'altro.
Perdonino l'incomodo.
Ora verrà la padrona.
(L'ho io detto, che erano due dame? Spero che farò de' buoni negozi.
Mancie non ne mancheranno).
(Parte.)
DEJANIRA: Serva umilissima della signora Baronessa.
ORTENSIA: Contessa, a voi m'inchino.
(Si burlano vicendevolmente.)
DEJANIRA: Qual fortuna mi offre la felicissima congiuntura di rassegnarvi il mio profondo rispetto?
ORTENSIA: Dalla fontana del vostro cuore scaturir non possono che torrenti di grazie.
SCENA VENTESIMA
Mirandolina e dette.
DEJANIRA: Madama, voi mi adulate.
(Ad Ortensia, con caricatura.)
ORTENSIA: Contessa, al vostro merito ci converrebbe assai più.
(Fa lo stesso.)
MIRANDOLINA: (Oh che dame cerimoniose).
(Da sé, in disparte.)
DEJANIRA: (Oh quanto mi vien da ridere!).
(Da sé.)
ORTENSIA: Zitto: è qui la padrona.
(Piano a Dejanira.)
MIRANDOLINA: M'inchino a queste dame.
ORTENSIA: Buon giorno, quella giovane.
DEJANIRA: Signora padrona, vi riverisco.
(A Mirandolina.)
ORTENSIA: Ehi! (Fa cenno a Dejanira, che si sostenga,)
MIRANDOLINA: Permetta ch'io le baci la mano.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Siete obbligante.
(Le dà la mano.)
DEJANIRA: (ride da sé.)
MIRANDOLINA: Anche ella, illustrissima.
(Chiede la mano a Dejanira.)
DEJANIRA: Eh, non importa...
ORTENSIA: Via, gradite le finezze di questa giovane.
Datele la mano.
MIRANDOLINA: La supplico.
DEJANIRA: Tenete.
(Le dà la mano, si volta, e ride.)
MIRANDOLINA: Ride, illustrissima? Di che?
ORTENSIA: Che cara Contessa! Ride ancora di me.
Ho detto uno sproposito, che l'ha fatta ridere.
MIRANDOLINA: (Io giuocherei che non sono dame.
Se fossero dame, non sarebbero sole).
(Da sé.)
ORTENSIA: Circa il trattamento, converrà poi discorrere.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Ma! Sono sole? Non hanno cavalieri, non hanno servitori, non hanno nessuno?
ORTENSIA: Il Barone mio marito...
DEJANIRA: (ride forte).
MIRANDOLINA: Perché ride, signora? (A Dejanira.)
ORTENSIA: Via, perché ridete?
DEJANIRA: Rido del Barone di vostro marito.
ORTENSIA: Sì, è un Cavaliere giocoso: dice sempre delle barzellette; verrà quanto prima col Conte Orazio, marito della Contessina.
DEJANIRA (fa forza per trattenersi dal ridere).
MIRANDOLINA: La fa ridere anche il signor Conte? (A Dejanira.)
ORTENSIA: Ma via, Contessina, tenetevi un poco nel vostro decoro.
MIRANDOLINA: Signore mie, favoriscano in grazia.
Siamo sole, nessuno ci sente.
Questa contea, questa baronia, sarebbe mai...
ORTENSIA: Che cosa vorreste voi dire? Mettereste in dubbio la nostra nobiltà?
MIRANDOLINA: Perdoni, illustrissima, non si riscaldi, perché farà ridere la signora Contessa.
DEJANIRA: Eh via, che serve?
ORTENSIA: Contessa, Contessa! (Minacciandola.)
MIRANDOLINA: Io so che cosa voleva dire, illustrissima.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: Se l'indovinate, vi stimo assai.
MIRANDOLINA: Volevate dire: Che serve che fingiamo d'esser due dame, se siamo due pedine? Ah! non è vero?
DEJANIRA: E che sì che ci conoscete? (A Mirandolina.)
ORTENSIA: Che brava commediante! Non è buona da sostenere un carattere.
DEJANIRA: Fuori di scena io non so fingere.
MIRANDOLINA: Brava, signora Baronessa; mi piace il di lei spirito.
Lodo la sua franchezza.
ORTENSIA: Qualche volta mi prendo un poco di spasso.
MIRANDOLINA: Ed io amo infinitamente le persone di spirito.
Servitevi pure nella mia locanda, che siete padrone; ma vi prego bene, se mi capitassero persone di rango, cedermi quest'appartamento, ch'io vi darò dei camerini assai comodi.
DEJANIRA: Sì, volentieri.
ORTENSIA: Ma io, quando spendo il mio denaro, intendo volere esser servita come una dama, e in questo appartamento ci sono, e non me ne anderò.
MIRANDOLINA: Via, signora Baronessa, sia buona...
Oh! Ecco un cavaliere che è alloggiato in questa locanda.
Quando vede donne, sempre si caccia avanti.
ORTENSIA: È ricco?
MIRANDOLINA: Io non so i fatti suoi.
SCENA VENTUNESIMA
Il Marchese e dette.
MARCHESE: È permesso? Si può entrare?
ORTENSIA: Per me è padrone.
MARCHESE: Servo di lor signore.
DEJANIRA: Serva umilissima.
ORTENSIA: La riverisco divotamente.
MARCHESE: Sono forestiere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eccellenza sì.
Sono venute ad onorare la mia locanda.
ORTENSIA: (È un'Eccellenza! Capperi!), (Da sé.)
DEJANIRA: (Già Ortensia lo vorrà per sé).
(Da sé.)
MARCHESE: E chi sono queste signore? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Questa è la Baronessa Ortensia del Poggio, e questa la Contessa Dejanira dal Sole.
MARCHESE: Oh compitissime dame!
ORTENSIA: E ella chi è, signore?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
DEJANIRA: (La locandiera vuol seguitare a far la commedia).
(Da sé.)
ORTENSIA: Godo aver l'onore di conoscere un cavaliere così compito.
MARCHESE: Se vi potessi servire, comandatemi.
Ho piacere che siate venute ad alloggiare in questa locanda.
Troverete una padrona di garbo.
MIRANDOLINA: Questo cavaliere è pieno di bontà.
Mi onora della sua protezione.
MARCHESE: Sì, certamente.
Io la proteggo, e proteggo tutti quelli che vengono nella sua locanda; e se vi occorre nulla, comandate.
ORTENSIA: Occorrendo, mi prevarrò delle sue finezze.
MARCHESE: Anche voi, signora Contessa, fate capitale di me.
DEJANIRA: Potrò ben chiamarmi felice, se avrò l'alto onore di essere annoverata nel ruolo delle sue umilissime serve.
MIRANDOLINA: (Ha detto un concetto da commedia).
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Il titolo di Contessa l'ha posta in soggezione).
(A Mirandolina.)
(Il Marchese tira fuori di tasca un bel fazzoletto di seta, lo spiega, e finge volersi asciugar la fronte.)
MIRANDOLINA: Un gran fazzoletto, signor Marchese!
MARCHESE: Ah! Che ne dite? È bello? Sono di buon gusto io? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Certamente è di ottimo gusto.
MARCHESE: Ne avete più veduti di così belli? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: È superbo.
Non ho veduto il compagno.
(Se me lo donasse, lo prenderei).
(Da sé.)
MARCHESE: Questo viene da Londra.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: È bello, mi piace assai.
MARCHESE: Son di buon gusto io?
DEJANIRA: (E non dice a' vostri comandi).
(Da sé.)
MARCHESE: M'impegno che il Conte non sa spendere.
Getta via il denaro, e non compra mai una galanteria di buon gusto.
MIRANDOLINA: Il signor Marchese conosce, distingue, sa, vede, intende.
MARCHESE (piega il fazzoletto con attenzione): Bisogna piegarlo bene, acciò non si guasti.
Questa sorta di roba bisogna custodirla con attenzione.
Tenete.
(Lo presenta a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Vuole ch'io lo faccia mettere nella sua camera?
MARCHESE: No.
Mettetelo nella vostra.
MIRANDOLINA: Perché...
nella mia?
MARCHESE: Perché...
ve lo dono.
MIRANDOLINA: Oh, Eccellenza, perdoni...
MARCHESE: Tant'è.
Ve lo dono.
MIRANDOLINA: Ma io non voglio.
MARCHESE: Non mi fate andar in collera.
MIRANDOLINA: Oh, in quanto a questo poi, il signor Marchese lo sa, io non voglio disgustar nessuno.
Acciò non vada in collera, lo prenderò.
DEJANIRA: (Oh che bel lazzo!).
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (E poi dicono delle commedianti).
(A Dejanira.)
MARCHESE: Ah! Che dite? Un fazzoletto di quella sorta, l'ho donato alla mia padrona di casa.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: È un cavaliere generoso.
MARCHESE: Sempre così.
MIRANDOLINA: (Questo è il primo regalo che mi ha fatto, e non so come abbia avuto quel fazzoletto).
(Da sé.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se ne trovano di quei fazzoletti in Firenze? Avrei volontà d'averne uno compagno.
MARCHESE: Compagno di questo sarà difficile; ma vedremo.
MIRANDOLINA: (Brava la signora Contessina).
(Da sé.)
ORTENSIA: Signor Marchese, voi che siete pratico della città, fatemi il piacere di mandarmi un bravo calzolaro, perché ho bisogno di scarpe.
MARCHESE: Sì, vi manderò il mio.
MIRANDOLINA: (Tutte alla vita; ma non ce n'è uno per la rabbia).
(Da sé.)
ORTENSIA: Caro signor Marchese, favorirà tenerci un poco di compagnia.
DEJANIRA: Favorirà a pranzo con noi.
MARCHESE: Sì, volentieri.
(Ehi Mirandolina, non abbiate gelosia, son vostro, già lo sapete).
MIRANDOLINA: (S'accomodi pure: ho piacere che si diverta).
(Al Marchese.)
ORTENSIA: Voi sarete la nostra conversazione.
DEJANIRA: Non conosciamo nessuno.
Non abbiamo altri che voi.
MARCHESE: Oh care le mie damine! Vi servirò di cuore.
SCENA VENTIDUESIMA
Il Conte e detti.
CONTE: Mirandolina, io cercava voi.
MIRANDOLINA: Son qui con queste dame.
CONTE: Dame? M'inchino umilmente.
ORTENSIA: Serva divota.
(Questo è un guasco più badia! di quell'altro).
(Piano a Dejanira.)
DEJANIRA: (Ma io non sono buona per miccheggiare).
(Piano ad Ortensia.)
MARCHESE: (Ehi! Mostrate al Conte il fazzoletto).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Osservi signor Conte, il bel regalo che mi ha fatto il signor Marchese.
(Mostra il fazzoletto al Conte.)
CONTE: Oh, me ne rallegro! Bravo, signor Marchese.
MARCHESE: Eh niente, niente.
Bagattelle.
Riponetelo via; non voglio che lo diciate.
Quel che fo, non s'ha da sapere.
MIRANDOLINA: (Non s'ha da sapere, e me lo fa mostrare.
La superbia contrasta con la povertà).
(Da sé.)
CONTE: Con licenza di queste dame, vorrei dirvi una parola.
(A Mirandolina.)
ORTENSIA: S'accomodi con libertà.
MARCHESE: Quel fazzoletto in tasca lo manderete a male.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eh, lo riporrò nella bambagia, perché non si ammacchi!
CONTE: Osservate questo piccolo gioiello di diamanti.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Bello assai.
CONTE: È compagno degli orecchini che vi ho donato.
(Ortensia e Dejanira osservano, e parlano piano fra loro.)
MIRANDOLINA: Certo è compagno, ma è ancora più bello.
MARCHESE: (Sia maledetto il Conte, i suoi diamanti, i suoi denari, e il suo diavolo che se lo porti).
(Da sé.)
CONTE: Ora, perché abbiate il fornimento compagno, ecco ch'io vi dono il gioiello.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo prendo assolutamente.
CONTE: Non mi farete questa male creanza.
MIRANDOLINA: Oh! delle male creanze non ne faccio mai.
Per non disgustarla, lo prenderò.
(Ortensia e Dejanira parlano come sopra, osservando la generosità del Conte.)
MIRANDOLINA: Ah! Che ne dice, signor Marchese? Questo gioiello non è galante?
MARCHESE: Nel suo genere il fazzoletto è più di buon gusto.
CONTE: Sì, ma da genere a genere vi è una bella distanza.
MARCHESE: Bella cosa! Vantarsi in pubblico di una grande spesa.
CONTE: Sì, sì, voi fate i vostri regali in segreto.
MIRANDOLINA: (Posso ben dire con verità questa volta, che fra due litiganti il terzo gode).
(Da sé.)
MARCHESE: E così, damine mie, sarò a pranzo con voi.
ORTENSIA: Quest'altro signore chi è? (Al Conte.)
CONTE: Sono il Conte d'Albafiorita, per obbedirvi.
DEJANIRA: Capperi! È una famiglia illustre, io la conosco.
(Anch'ella s'accosta al Conte.)
CONTE: Sono a' vostri comandi.
(A Dejanira.)
ORTENSIA: È qui alloggiato? (Al Conte.)
CONTE: Sì, signora.
DEJANIRA: Si trattiene molto? (Al Conte.)
CONTE: Credo di sì.
MARCHESE: Signore mie, sarete stanche di stare in piedi, volete ch'io vi serva nella vostra camera?
ORTENSIA: Obbligatissima.
(Con disprezzo.) Di che paese è, signor Conte?
CONTE: Napolitano.
ORTENSIA: Oh! Siamo mezzi patrioti.
Io sono palermitana.
DEJANIRA: Io son romana; ma sono stata a Napoli, e appunto per un mio interesse desiderava parlare con un cavaliere napolitano.
CONTE: Vi servirò, signore.
Siete sole? Non avete uomini?
MARCHESE: Ci sono io, signore: e non hanno bisogno di voi.
ORTENSIA: Siamo sole, signor Conte.
Poi vi diremo il perché.
CONTE: Mirandolina.
MIRANDOLINA: Signore.
CONTE: Fate preparare nella mia camera per tre.
Vi degnerete di favorirmi? (Ad Ortensia e Dejanira.)
ORTENSIA: Riceveremo le vostre finezze.
MARCHESE: Ma io sono stato invitato da queste dame.
CONTE: Esse sono padrone di servirsi come comandano, ma alla mia piccola tavola in più di tre non ci si sta.
MARCHESE: Vorrei veder anche questa...
ORTENSIA: Andiamo, andiamo, signor Conte.
Il signor Marchese ci favorirà un'altra volta.
(Parte.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se trova il fazzoletto, mi raccomando.
(Parte.)
MARCHESE: Conte, Conte, voi me la pagherete.
CONTE: Di che vi lagnate?
MARCHESE: Son chi sono, e non si tratta così.
Basta...
Colei vorrebbe un fazzoletto? Un fazzoletto di quella sorta? Non l'avrà.
Mirandolina, tenetelo caro.
Fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
Dei diamanti se ne trovano, ma dei fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
(Parte.)
MIRANDOLINA: (Oh che bel pazzo!).
(Da sé.)
CONTE: Cara Mirandolina, avrete voi dispiacere ch'io serva queste due dame?
MIRANDOLINA: Niente affatto, signore.
CONTE: Lo faccio per voi.
Lo faccio per accrescer utile ed avventori alla vostra locanda; per altro io son vostro, è vostro il mio cuore, e vostre son le mie ricchezze, delle quali disponetene liberamente, che io vi faccio padrona.
(Parte.)
SCENA VENTITREESIMA
MIRANDOLINA (sola): Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione.
Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello che spende più.
Ma non mi preme né dell'uno, né dell'altro.
Sono in impegno d'innamorar il Cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo.
Mi proverò; non so se avrò l'abilità che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò.
Il Conte ed il Marchese, frattanto che con quelle si vanno trattenendo, mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agio trattar col Cavaliere.
Possibile ch'ei non ceda? Chi è quello che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a suo dispetto cadere.
(Parte.)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera del Cavaliere, con tavola apparecchiata per il pranzo e sedie.
Il Cavaliere ed il suo Servitore, poi Fabrizio.
Il Cavaliere passeggia con un libro.
Fabrizio mette la zuppa in tavola.
FABRIZIO: Dite al vostro padrone, se vuol restare servito, che la zuppa è in tavola.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Glielo potete dire anche voi.
(A Fabrizio.)
FABRIZIO: È tanto stravagante, che non gli parlo niente volentieri.
SERVITORE: Eppure non è cattivo.
Non può veder le donne, per altro cogli uomini è dolcissimo.
FABRIZIO: (Non può veder le donne? Povero sciocco! Non conosce il buono).
(Da sé, parte.)
SERVITORE: Illustrissimo, se comoda, è in tavola.
(Il Cavaliere mette giù il libro, e va a sedere a tavola.)
CAVALIERE: Questa mattina parmi che si pranzi prima del solito.
(Al Servitore, mangiando.)
(Il Servitore dietro la sedia del Cavaliere, col tondo sotto il braccio.)
SERVITORE: Questa camera è stata servita prima di tutte.
Il signor Conte d'Albafiorita strepitava che voleva essere servito il primo, ma la padrona ha voluto che si desse in tavola prima a V.S.
illustrissima.
CAVALIERE: Sono obbligato a costei per l'attenzione che mi dimostra.
SERVITORE: È una assai compita donna, illustrissimo.
In tanto mondo che ho veduto, non ho trovato una locandiera più garbata di questa.
CAVALIERE: Ti piace, eh? (Voltandosi un poco indietro.)
SERVITORE: Se non fosse per far torto al mio padrone, vorrei venire a stare con Mirandolina per cameriere.
CAVALIERE: Povero sciocco! Che cosa vorresti ch'ella facesse di te? (Gli dà il tondo, ed egli lo muta.)
SERVITORE: Una donna di questa sorta, la vorrei servir come un cagnolino.
(Va per un piatto.)
CAVALIERE: Per bacco! Costei incanta tutti.
Sarebbe da ridere che incantasse anche me.
Orsù, domani me ne vado a Livorno.
S'ingegni per oggi, se può, ma si assicuri che non sono sì debole.
Avanti ch'io superi l'avversion per le donne, ci vuol altro.
SCENA SECONDA
Il Servitore col lesso ed un altro piatto, e detto.
SERVITORE: Ha detto la padrona, che se non le piacesse il pollastro, le manderà un piccione.
CAVALIERE: Mi piace tutto.
E questo che cos'è?
SERVITORE: Disse la padrona, ch'io le sappia dire se a V.S.
illustrissima piace questa salsa, che l'ha fatta ella colle sue mani.
CAVALIERE: Costei mi obbliga sempre più.
(L'assaggia.) È preziosa.
Dille che mi piace, che la ringrazio.
SERVITORE: Glielo dirò, illustrissimo.
CAVALIERE: Vaglielo a dir subito.
SERVITORE: Subito.
(Oh che prodigio! Manda un complimento a una donna!).
(Da sé, parte.)
CAVALIERE: È una salsa squisita.
Non ho sentita la meglio.
(Va mangiando.) Certamente, se Mirandolina farà così, avrà sempre de' forestieri.
Buona tavola, buona biancheria.
E poi non si può negare che non sia gentile; ma quel che più stimo in lei, è la sincerità.
Oh, quella sincerità è pure la bella cosa! Perché non posso io vedere le donne? Perché sono finte, bugiarde, lusinghiere.
Ma quella bella sincerità...
SCENA TERZA
Il servitore e detto.
SERVITORE: Ringrazia V.S.
illustrissima della bontà che ha d'aggradire le sue debolezze.
CAVALIERE: Bravo, signor cerimoniere, bravo.
SERVITORE: Ora sta facendo colle sue mani un altro piatto; non so dire che cosa sia.
CAVALIERE: Sta facendo?
SERVITORE: Sì signore.
CAVALIERE: Dammi da bere.
SERVITORE: La servo.
(Va a prendere da bere.)
CAVALIERE: Orsù, con costei bisognerà corrispondere con generosità.
È troppo compita; bisogna pagare il doppio.
Trattarla bene, ma andar via presto.
(Il Servitore gli presenta da bere.)
CAVALIERE: Il Conte è andato a pranzo? (Beve.)
SERVITORE: Illustrissimo sì, in questo momento.
Oggi fa trattamento.
Ha due dame a tavola con lui.
CAVALIERE: Due dame? Chi sono?
SERVITORE: Sono arrivate a questa locanda poche ore sono.
Non so chi sieno.
CAVALIERE: Le conosceva il Conte?
SERVITORE: Credo di no; ma appena le ha vedute, le ha invitate a pranzo seco.
CAVALIERE: Che debolezza! Appena vede due donne, subito si attacca.
Ed esse accettano.
E sa il cielo chi sono; ma sieno quali esser vogliono, sono donne, e tanto basta.
Il Conte si rovinerà certamente.
Dimmi: il Marchese è a tavola?
SERVITORE: È uscito di casa, e non si è ancora veduto.
CAVALIERE: In tavola.
(Fa mutare il tondo.)
SERVITORE: La servo.
CAVALIERE: A tavola con due dame! Oh che bella compagnia! Colle loro smorfie mi farebbero passar l'appetito.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
MIRANDOLINA: È permesso?
CAVALIERE: Chi è di là?
SERVITORE: Comandi.
CAVALIERE: Leva là quel tondo di mano.
MIRANDOLINA: Perdoni.
Lasci ch'io abbia l'onore di metterlo in tavola colle mie mani.
(Mette in tavola la vivanda.)
CAVALIERE: Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA: Oh signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE: (Che umiltà!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità, non avrei difficoltà di servire in tavola tutti, ma non lo faccio per certi riguardi: non so s'ella mi capisca.
Da lei vengo senza scrupoli, con franchezza.
CAVALIERE: Vi ringrazio.
Che vivanda è questa?
MIRANDOLINA: Egli è un intingoletto fatto colle mie mani.
CAVALIERE: Sarà buono.
Quando lo avete fatto voi, sarà buono.
MIRANDOLINA: Oh! troppa bontà, signore.
Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
CAVALIERE: (Domani a Livorno).
(Da sé.) Se avete che fare, non istate a disagio per me.
MIRANDOLINA: Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori.
Avrei piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
CAVALIERE: Volentieri, subito.
(Lo assaggia.) Buono, prezioso.
Oh che sapore! Non conosco che cosa sia.
MIRANDOLINA: Eh, io, signore, ho de' secreti particolari.
Queste mani sanno far delle belle cose!
CAVALIERE: Dammi da bere.
(Al Servitore, con qualche passione.)
MIRANDOLINA: Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
CAVALIERE: Dammi del vino di Borgogna.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Bravissimo.
Il vino di Borgogna è prezioso.
Secondo me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un bicchiere.)
CAVALIERE: Voi siete di buon gusto in tutto.
MIRANDOLINA: In verità, che poche volte m'inganno.
CAVALIERE: Eppure questa volta voi v'ingannate.
MIRANDOLINA: In che, signore?
CAVALIERE: In credere ch'io meriti d'essere da voi distinto.
MIRANDOLINA: Eh, signor Cavaliere...
(Sospirando.)
CAVALIERE: Che cosa c'è? Che cosa sono questi sospiri? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non vi sono che ingrati.
CAVALIERE: Io non vi sarò ingrato.
(Con placidezza.)
MIRANDOLINA: Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio dovere.
CAVALIERE: No, no, conosco benissimo...
Non sono cotanto rozzo quanto voi mi credete.
Di me non avrete a dolervi.
(Versa il vino nel bicchiere.)
MIRANDOLINA: Ma...
signore...
io non l'intendo.
CAVALIERE: Alla vostra salute.
(Beve.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima; mi onora troppo.
CAVALIERE: Questo vino è prezioso.
MIRANDOLINA: Il Borgogna è la mia passione.
CAVALIERE: Se volete, siete padrona.
(Le offerisce il vino.)
MIRANDOLINA: Oh! Grazie, signore.
CAVALIERE: Avete pranzato?
MIRANDOLINA: Illustrissimo sì.
CAVALIERE: Ne volete un bicchierino?
MIRANDOLINA: Io non merito queste grazie.
CAVALIERE: Davvero, ve lo do volentieri.
MIRANDOLINA: Non so che dire.
Riceverò le sue finezze.
CAVALIERE: Porta un bicchiere.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: No, no, se mi permette: prenderò questo.
(Prende il bicchiere del Cavaliere.)
CAVALIERE: Oibò.
Me ne sono servito io.
MIRANDOLINA: Beverò le sue bellezze.
(Ridendo.)
(Il Servitore mette l'altro bicchiere nella sottocoppa.)
CAVALIERE: Eh galeotta! (Versa il vino.)
MIRANDOLINA: Ma è qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia male.
CAVALIERE: Non vi è pericolo.
MIRANDOLINA: Se mi favorisse un bocconcino di pane...
CAVALIERE: Volentieri.
Tenete.
(Le dà un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere in una mano, e nell'altra il pane, mostra di stare a disagio, e non saper come fare la zuppa.)
CAVALIERE: Voi state in disagio.
Volete sedere?
MIRANDOLINA: Oh! Non son degna di tanto, signore.
CAVALIERE: Via, via, siamo soli.
Portale una sedia.
(Al Servitore.)
SERVITORE: (Il mio padrone vuol morire:
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