LA LOCANDIERA, di Carlo Goldoni - pagina 4
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ORTENSIA: Bene.
FABRIZIO: Ed io le supplico a comandarmi.
Ho servito altre dame: mi darò l'onor di servir con tutta l'attenzione anche le signorie loro illustrissime.
ORTENSIA: Occorrendo, mi varrò di voi.
DEJANIRA: (Ortensia queste parti le fa benissimo).
(Da sé.)
FABRIZIO: Intanto le supplico, illustrissime signore, favorirmi il loro riverito nome per la consegna.
(Tira fuori un calamaio ed un libriccino.)
DEJANIRA: (Ora viene il buono).
ORTENSIA: Perché ho da dar il mio nome?
FABRIZIO: Noialtri locandieri siamo obbligati a dar il nome, il casato, la patria e la condizione di tutti i passeggeri che alloggiano alla nostra locanda.
E se non lo facessimo, meschini noi.
DEJANIRA: (Amica, i titoli sono finiti).
(Piano ad Ortensia.)
ORTENSIA: Molti daranno anche il nome finto.
FABRIZIO: In quanto a questo poi, noialtri scriviamo il nome che ci dettano, e non cerchiamo di più.
ORTENSIA: Scrivete.
La Baronessa Ortensia del Poggio, palermitana.
FABRIZIO: (Siciliana? Sangue caldo).
(Scrivendo.) Ella, illustrissima? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Ed io...
(Non so che mi dire).
ORTENSIA: Via, Contessa Dejanira, dategli il vostro nome.
FABRIZIO: Vi supplico.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: Non l'avete sentito? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: L'illustrissima signora Contessa Dejanira...
(Scrivendo.) Il cognome?
DEJANIRA: Anche il cognome? (A Fabrizio.)
ORTENSIA: Sì, dal Sole, romana.
(A Fabrizio.)
FABRIZIO: Non occorr'altro.
Perdonino l'incomodo.
Ora verrà la padrona.
(L'ho io detto, che erano due dame? Spero che farò de' buoni negozi.
Mancie non ne mancheranno).
(Parte.)
DEJANIRA: Serva umilissima della signora Baronessa.
ORTENSIA: Contessa, a voi m'inchino.
(Si burlano vicendevolmente.)
DEJANIRA: Qual fortuna mi offre la felicissima congiuntura di rassegnarvi il mio profondo rispetto?
ORTENSIA: Dalla fontana del vostro cuore scaturir non possono che torrenti di grazie.
SCENA VENTESIMA
Mirandolina e dette.
DEJANIRA: Madama, voi mi adulate.
(Ad Ortensia, con caricatura.)
ORTENSIA: Contessa, al vostro merito ci converrebbe assai più.
(Fa lo stesso.)
MIRANDOLINA: (Oh che dame cerimoniose).
(Da sé, in disparte.)
DEJANIRA: (Oh quanto mi vien da ridere!).
(Da sé.)
ORTENSIA: Zitto: è qui la padrona.
(Piano a Dejanira.)
MIRANDOLINA: M'inchino a queste dame.
ORTENSIA: Buon giorno, quella giovane.
DEJANIRA: Signora padrona, vi riverisco.
(A Mirandolina.)
ORTENSIA: Ehi! (Fa cenno a Dejanira, che si sostenga,)
MIRANDOLINA: Permetta ch'io le baci la mano.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Siete obbligante.
(Le dà la mano.)
DEJANIRA: (ride da sé.)
MIRANDOLINA: Anche ella, illustrissima.
(Chiede la mano a Dejanira.)
DEJANIRA: Eh, non importa...
ORTENSIA: Via, gradite le finezze di questa giovane.
Datele la mano.
MIRANDOLINA: La supplico.
DEJANIRA: Tenete.
(Le dà la mano, si volta, e ride.)
MIRANDOLINA: Ride, illustrissima? Di che?
ORTENSIA: Che cara Contessa! Ride ancora di me.
Ho detto uno sproposito, che l'ha fatta ridere.
MIRANDOLINA: (Io giuocherei che non sono dame.
Se fossero dame, non sarebbero sole).
(Da sé.)
ORTENSIA: Circa il trattamento, converrà poi discorrere.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Ma! Sono sole? Non hanno cavalieri, non hanno servitori, non hanno nessuno?
ORTENSIA: Il Barone mio marito...
DEJANIRA: (ride forte).
MIRANDOLINA: Perché ride, signora? (A Dejanira.)
ORTENSIA: Via, perché ridete?
DEJANIRA: Rido del Barone di vostro marito.
ORTENSIA: Sì, è un Cavaliere giocoso: dice sempre delle barzellette; verrà quanto prima col Conte Orazio, marito della Contessina.
DEJANIRA (fa forza per trattenersi dal ridere).
MIRANDOLINA: La fa ridere anche il signor Conte? (A Dejanira.)
ORTENSIA: Ma via, Contessina, tenetevi un poco nel vostro decoro.
MIRANDOLINA: Signore mie, favoriscano in grazia.
Siamo sole, nessuno ci sente.
Questa contea, questa baronia, sarebbe mai...
ORTENSIA: Che cosa vorreste voi dire? Mettereste in dubbio la nostra nobiltà?
MIRANDOLINA: Perdoni, illustrissima, non si riscaldi, perché farà ridere la signora Contessa.
DEJANIRA: Eh via, che serve?
ORTENSIA: Contessa, Contessa! (Minacciandola.)
MIRANDOLINA: Io so che cosa voleva dire, illustrissima.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: Se l'indovinate, vi stimo assai.
MIRANDOLINA: Volevate dire: Che serve che fingiamo d'esser due dame, se siamo due pedine? Ah! non è vero?
DEJANIRA: E che sì che ci conoscete? (A Mirandolina.)
ORTENSIA: Che brava commediante! Non è buona da sostenere un carattere.
DEJANIRA: Fuori di scena io non so fingere.
MIRANDOLINA: Brava, signora Baronessa; mi piace il di lei spirito.
Lodo la sua franchezza.
ORTENSIA: Qualche volta mi prendo un poco di spasso.
MIRANDOLINA: Ed io amo infinitamente le persone di spirito.
Servitevi pure nella mia locanda, che siete padrone; ma vi prego bene, se mi capitassero persone di rango, cedermi quest'appartamento, ch'io vi darò dei camerini assai comodi.
DEJANIRA: Sì, volentieri.
ORTENSIA: Ma io, quando spendo il mio denaro, intendo volere esser servita come una dama, e in questo appartamento ci sono, e non me ne anderò.
MIRANDOLINA: Via, signora Baronessa, sia buona...
Oh! Ecco un cavaliere che è alloggiato in questa locanda.
Quando vede donne, sempre si caccia avanti.
ORTENSIA: È ricco?
MIRANDOLINA: Io non so i fatti suoi.
SCENA VENTUNESIMA
Il Marchese e dette.
MARCHESE: È permesso? Si può entrare?
ORTENSIA: Per me è padrone.
MARCHESE: Servo di lor signore.
DEJANIRA: Serva umilissima.
ORTENSIA: La riverisco divotamente.
MARCHESE: Sono forestiere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eccellenza sì.
Sono venute ad onorare la mia locanda.
ORTENSIA: (È un'Eccellenza! Capperi!), (Da sé.)
DEJANIRA: (Già Ortensia lo vorrà per sé).
(Da sé.)
MARCHESE: E chi sono queste signore? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Questa è la Baronessa Ortensia del Poggio, e questa la Contessa Dejanira dal Sole.
MARCHESE: Oh compitissime dame!
ORTENSIA: E ella chi è, signore?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
DEJANIRA: (La locandiera vuol seguitare a far la commedia).
(Da sé.)
ORTENSIA: Godo aver l'onore di conoscere un cavaliere così compito.
MARCHESE: Se vi potessi servire, comandatemi.
Ho piacere che siate venute ad alloggiare in questa locanda.
Troverete una padrona di garbo.
MIRANDOLINA: Questo cavaliere è pieno di bontà.
Mi onora della sua protezione.
MARCHESE: Sì, certamente.
Io la proteggo, e proteggo tutti quelli che vengono nella sua locanda; e se vi occorre nulla, comandate.
ORTENSIA: Occorrendo, mi prevarrò delle sue finezze.
MARCHESE: Anche voi, signora Contessa, fate capitale di me.
DEJANIRA: Potrò ben chiamarmi felice, se avrò l'alto onore di essere annoverata nel ruolo delle sue umilissime serve.
MIRANDOLINA: (Ha detto un concetto da commedia).
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Il titolo di Contessa l'ha posta in soggezione).
(A Mirandolina.)
(Il Marchese tira fuori di tasca un bel fazzoletto di seta, lo spiega, e finge volersi asciugar la fronte.)
MIRANDOLINA: Un gran fazzoletto, signor Marchese!
MARCHESE: Ah! Che ne dite? È bello? Sono di buon gusto io? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Certamente è di ottimo gusto.
MARCHESE: Ne avete più veduti di così belli? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: È superbo.
Non ho veduto il compagno.
(Se me lo donasse, lo prenderei).
(Da sé.)
MARCHESE: Questo viene da Londra.
(A Dejanira.)
DEJANIRA: È bello, mi piace assai.
MARCHESE: Son di buon gusto io?
DEJANIRA: (E non dice a' vostri comandi).
(Da sé.)
MARCHESE: M'impegno che il Conte non sa spendere.
Getta via il denaro, e non compra mai una galanteria di buon gusto.
MIRANDOLINA: Il signor Marchese conosce, distingue, sa, vede, intende.
MARCHESE (piega il fazzoletto con attenzione): Bisogna piegarlo bene, acciò non si guasti.
Questa sorta di roba bisogna custodirla con attenzione.
Tenete.
(Lo presenta a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Vuole ch'io lo faccia mettere nella sua camera?
MARCHESE: No.
Mettetelo nella vostra.
MIRANDOLINA: Perché...
nella mia?
MARCHESE: Perché...
ve lo dono.
MIRANDOLINA: Oh, Eccellenza, perdoni...
MARCHESE: Tant'è.
Ve lo dono.
MIRANDOLINA: Ma io non voglio.
MARCHESE: Non mi fate andar in collera.
MIRANDOLINA: Oh, in quanto a questo poi, il signor Marchese lo sa, io non voglio disgustar nessuno.
Acciò non vada in collera, lo prenderò.
DEJANIRA: (Oh che bel lazzo!).
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (E poi dicono delle commedianti).
(A Dejanira.)
MARCHESE: Ah! Che dite? Un fazzoletto di quella sorta, l'ho donato alla mia padrona di casa.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: È un cavaliere generoso.
MARCHESE: Sempre così.
MIRANDOLINA: (Questo è il primo regalo che mi ha fatto, e non so come abbia avuto quel fazzoletto).
(Da sé.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se ne trovano di quei fazzoletti in Firenze? Avrei volontà d'averne uno compagno.
MARCHESE: Compagno di questo sarà difficile; ma vedremo.
MIRANDOLINA: (Brava la signora Contessina).
(Da sé.)
ORTENSIA: Signor Marchese, voi che siete pratico della città, fatemi il piacere di mandarmi un bravo calzolaro, perché ho bisogno di scarpe.
MARCHESE: Sì, vi manderò il mio.
MIRANDOLINA: (Tutte alla vita; ma non ce n'è uno per la rabbia).
(Da sé.)
ORTENSIA: Caro signor Marchese, favorirà tenerci un poco di compagnia.
DEJANIRA: Favorirà a pranzo con noi.
MARCHESE: Sì, volentieri.
(Ehi Mirandolina, non abbiate gelosia, son vostro, già lo sapete).
MIRANDOLINA: (S'accomodi pure: ho piacere che si diverta).
(Al Marchese.)
ORTENSIA: Voi sarete la nostra conversazione.
DEJANIRA: Non conosciamo nessuno.
Non abbiamo altri che voi.
MARCHESE: Oh care le mie damine! Vi servirò di cuore.
SCENA VENTIDUESIMA
Il Conte e detti.
CONTE: Mirandolina, io cercava voi.
MIRANDOLINA: Son qui con queste dame.
CONTE: Dame? M'inchino umilmente.
ORTENSIA: Serva divota.
(Questo è un guasco più badia! di quell'altro).
(Piano a Dejanira.)
DEJANIRA: (Ma io non sono buona per miccheggiare).
(Piano ad Ortensia.)
MARCHESE: (Ehi! Mostrate al Conte il fazzoletto).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Osservi signor Conte, il bel regalo che mi ha fatto il signor Marchese.
(Mostra il fazzoletto al Conte.)
CONTE: Oh, me ne rallegro! Bravo, signor Marchese.
MARCHESE: Eh niente, niente.
Bagattelle.
Riponetelo via; non voglio che lo diciate.
Quel che fo, non s'ha da sapere.
MIRANDOLINA: (Non s'ha da sapere, e me lo fa mostrare.
La superbia contrasta con la povertà).
(Da sé.)
CONTE: Con licenza di queste dame, vorrei dirvi una parola.
(A Mirandolina.)
ORTENSIA: S'accomodi con libertà.
MARCHESE: Quel fazzoletto in tasca lo manderete a male.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eh, lo riporrò nella bambagia, perché non si ammacchi!
CONTE: Osservate questo piccolo gioiello di diamanti.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Bello assai.
CONTE: È compagno degli orecchini che vi ho donato.
(Ortensia e Dejanira osservano, e parlano piano fra loro.)
MIRANDOLINA: Certo è compagno, ma è ancora più bello.
MARCHESE: (Sia maledetto il Conte, i suoi diamanti, i suoi denari, e il suo diavolo che se lo porti).
(Da sé.)
CONTE: Ora, perché abbiate il fornimento compagno, ecco ch'io vi dono il gioiello.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo prendo assolutamente.
CONTE: Non mi farete questa male creanza.
MIRANDOLINA: Oh! delle male creanze non ne faccio mai.
Per non disgustarla, lo prenderò.
(Ortensia e Dejanira parlano come sopra, osservando la generosità del Conte.)
MIRANDOLINA: Ah! Che ne dice, signor Marchese? Questo gioiello non è galante?
MARCHESE: Nel suo genere il fazzoletto è più di buon gusto.
CONTE: Sì, ma da genere a genere vi è una bella distanza.
MARCHESE: Bella cosa! Vantarsi in pubblico di una grande spesa.
CONTE: Sì, sì, voi fate i vostri regali in segreto.
MIRANDOLINA: (Posso ben dire con verità questa volta, che fra due litiganti il terzo gode).
(Da sé.)
MARCHESE: E così, damine mie, sarò a pranzo con voi.
ORTENSIA: Quest'altro signore chi è? (Al Conte.)
CONTE: Sono il Conte d'Albafiorita, per obbedirvi.
DEJANIRA: Capperi! È una famiglia illustre, io la conosco.
(Anch'ella s'accosta al Conte.)
CONTE: Sono a' vostri comandi.
(A Dejanira.)
ORTENSIA: È qui alloggiato? (Al Conte.)
CONTE: Sì, signora.
DEJANIRA: Si trattiene molto? (Al Conte.)
CONTE: Credo di sì.
MARCHESE: Signore mie, sarete stanche di stare in piedi, volete ch'io vi serva nella vostra camera?
ORTENSIA: Obbligatissima.
(Con disprezzo.) Di che paese è, signor Conte?
CONTE: Napolitano.
ORTENSIA: Oh! Siamo mezzi patrioti.
Io sono palermitana.
DEJANIRA: Io son romana; ma sono stata a Napoli, e appunto per un mio interesse desiderava parlare con un cavaliere napolitano.
CONTE: Vi servirò, signore.
Siete sole? Non avete uomini?
MARCHESE: Ci sono io, signore: e non hanno bisogno di voi.
ORTENSIA: Siamo sole, signor Conte.
Poi vi diremo il perché.
CONTE: Mirandolina.
MIRANDOLINA: Signore.
CONTE: Fate preparare nella mia camera per tre.
Vi degnerete di favorirmi? (Ad Ortensia e Dejanira.)
ORTENSIA: Riceveremo le vostre finezze.
MARCHESE: Ma io sono stato invitato da queste dame.
CONTE: Esse sono padrone di servirsi come comandano, ma alla mia piccola tavola in più di tre non ci si sta.
MARCHESE: Vorrei veder anche questa...
ORTENSIA: Andiamo, andiamo, signor Conte.
Il signor Marchese ci favorirà un'altra volta.
(Parte.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se trova il fazzoletto, mi raccomando.
(Parte.)
MARCHESE: Conte, Conte, voi me la pagherete.
CONTE: Di che vi lagnate?
MARCHESE: Son chi sono, e non si tratta così.
Basta...
Colei vorrebbe un fazzoletto? Un fazzoletto di quella sorta? Non l'avrà.
Mirandolina, tenetelo caro.
Fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
Dei diamanti se ne trovano, ma dei fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
(Parte.)
MIRANDOLINA: (Oh che bel pazzo!).
(Da sé.)
CONTE: Cara Mirandolina, avrete voi dispiacere ch'io serva queste due dame?
MIRANDOLINA: Niente affatto, signore.
CONTE: Lo faccio per voi.
Lo faccio per accrescer utile ed avventori alla vostra locanda; per altro io son vostro, è vostro il mio cuore, e vostre son le mie ricchezze, delle quali disponetene liberamente, che io vi faccio padrona.
(Parte.)
SCENA VENTITREESIMA
MIRANDOLINA (sola): Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione.
Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello che spende più.
Ma non mi preme né dell'uno, né dell'altro.
Sono in impegno d'innamorar il Cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo.
Mi proverò; non so se avrò l'abilità che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò.
Il Conte ed il Marchese, frattanto che con quelle si vanno trattenendo, mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agio trattar col Cavaliere.
Possibile ch'ei non ceda? Chi è quello che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a suo dispetto cadere.
(Parte.)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera del Cavaliere, con tavola apparecchiata per il pranzo e sedie.
Il Cavaliere ed il suo Servitore, poi Fabrizio.
Il Cavaliere passeggia con un libro.
Fabrizio mette la zuppa in tavola.
FABRIZIO: Dite al vostro padrone, se vuol restare servito, che la zuppa è in tavola.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Glielo potete dire anche voi.
(A Fabrizio.)
FABRIZIO: È tanto stravagante, che non gli parlo niente volentieri.
SERVITORE: Eppure non è cattivo.
Non può veder le donne, per altro cogli uomini è dolcissimo.
FABRIZIO: (Non può veder le donne? Povero sciocco! Non conosce il buono).
(Da sé, parte.)
SERVITORE: Illustrissimo, se comoda, è in tavola.
(Il Cavaliere mette giù il libro, e va a sedere a tavola.)
CAVALIERE: Questa mattina parmi che si pranzi prima del solito.
(Al Servitore, mangiando.)
(Il Servitore dietro la sedia del Cavaliere, col tondo sotto il braccio.)
SERVITORE: Questa camera è stata servita prima di tutte.
Il signor Conte d'Albafiorita strepitava che voleva essere servito il primo, ma la padrona ha voluto che si desse in tavola prima a V.S.
illustrissima.
CAVALIERE: Sono obbligato a costei per l'attenzione che mi dimostra.
SERVITORE: È una assai compita donna, illustrissimo.
In tanto mondo che ho veduto, non ho trovato una locandiera più garbata di questa.
CAVALIERE: Ti piace, eh? (Voltandosi un poco indietro.)
SERVITORE: Se non fosse per far torto al mio padrone, vorrei venire a stare con Mirandolina per cameriere.
CAVALIERE: Povero sciocco! Che cosa vorresti ch'ella facesse di te? (Gli dà il tondo, ed egli lo muta.)
SERVITORE: Una donna di questa sorta, la vorrei servir come un cagnolino.
(Va per un piatto.)
CAVALIERE: Per bacco! Costei incanta tutti.
Sarebbe da ridere che incantasse anche me.
Orsù, domani me ne vado a Livorno.
S'ingegni per oggi, se può, ma si assicuri che non sono sì debole.
Avanti ch'io superi l'avversion per le donne, ci vuol altro.
SCENA SECONDA
Il Servitore col lesso ed un altro piatto, e detto.
SERVITORE: Ha detto la padrona, che se non le piacesse il pollastro, le manderà un piccione.
CAVALIERE: Mi piace tutto.
E questo che cos'è?
SERVITORE: Disse la padrona, ch'io le sappia dire se a V.S.
illustrissima piace questa salsa, che l'ha fatta ella colle sue mani.
CAVALIERE: Costei mi obbliga sempre più.
(L'assaggia.) È preziosa.
Dille che mi piace, che la ringrazio.
SERVITORE: Glielo dirò, illustrissimo.
CAVALIERE: Vaglielo a dir subito.
SERVITORE: Subito.
(Oh che prodigio! Manda un complimento a una donna!).
(Da sé, parte.)
CAVALIERE: È una salsa squisita.
Non ho sentita la meglio.
(Va mangiando.) Certamente, se Mirandolina farà così, avrà sempre de' forestieri.
Buona tavola, buona biancheria.
E poi non si può negare che non sia gentile; ma quel che più stimo in lei, è la sincerità.
Oh, quella sincerità è pure la bella cosa! Perché non posso io vedere le donne? Perché sono finte, bugiarde, lusinghiere.
Ma quella bella sincerità...
SCENA TERZA
Il servitore e detto.
SERVITORE: Ringrazia V.S.
illustrissima della bontà che ha d'aggradire le sue debolezze.
CAVALIERE: Bravo, signor cerimoniere, bravo.
SERVITORE: Ora sta facendo colle sue mani un altro piatto; non so dire che cosa sia.
CAVALIERE: Sta facendo?
SERVITORE: Sì signore.
CAVALIERE: Dammi da bere.
SERVITORE: La servo.
(Va a prendere da bere.)
CAVALIERE: Orsù, con costei bisognerà corrispondere con generosità.
È troppo compita; bisogna pagare il doppio.
Trattarla bene, ma andar via presto.
(Il Servitore gli presenta da bere.)
CAVALIERE: Il Conte è andato a pranzo? (Beve.)
SERVITORE: Illustrissimo sì, in questo momento.
Oggi fa trattamento.
Ha due dame a tavola con lui.
CAVALIERE: Due dame? Chi sono?
SERVITORE: Sono arrivate a questa locanda poche ore sono.
Non so chi sieno.
CAVALIERE: Le conosceva il Conte?
SERVITORE: Credo di no; ma appena le ha vedute, le ha invitate a pranzo seco.
CAVALIERE: Che debolezza! Appena vede due donne, subito si attacca.
Ed esse accettano.
E sa il cielo chi sono; ma sieno quali esser vogliono, sono donne, e tanto basta.
Il Conte si rovinerà certamente.
Dimmi: il Marchese è a tavola?
SERVITORE: È uscito di casa, e non si è ancora veduto.
CAVALIERE: In tavola.
(Fa mutare il tondo.)
SERVITORE: La servo.
CAVALIERE: A tavola con due dame! Oh che bella compagnia! Colle loro smorfie mi farebbero passar l'appetito.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
MIRANDOLINA: È permesso?
CAVALIERE: Chi è di là?
SERVITORE: Comandi.
CAVALIERE: Leva là quel tondo di mano.
MIRANDOLINA: Perdoni.
Lasci ch'io abbia l'onore di metterlo in tavola colle mie mani.
(Mette in tavola la vivanda.)
CAVALIERE: Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA: Oh signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE: (Che umiltà!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità, non avrei difficoltà di servire in tavola tutti, ma non lo faccio per certi riguardi: non so s'ella mi capisca.
Da lei vengo senza scrupoli, con franchezza.
CAVALIERE: Vi ringrazio.
Che vivanda è questa?
MIRANDOLINA: Egli è un intingoletto fatto colle mie mani.
CAVALIERE: Sarà buono.
Quando lo avete fatto voi, sarà buono.
MIRANDOLINA: Oh! troppa bontà, signore.
Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
CAVALIERE: (Domani a Livorno).
(Da sé.) Se avete che fare, non istate a disagio per me.
MIRANDOLINA: Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori.
Avrei piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
CAVALIERE: Volentieri, subito.
(Lo assaggia.) Buono, prezioso.
Oh che sapore! Non conosco che cosa sia.
MIRANDOLINA: Eh, io, signore, ho de' secreti particolari.
Queste mani sanno far delle belle cose!
CAVALIERE: Dammi da bere.
(Al Servitore, con qualche passione.)
MIRANDOLINA: Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
CAVALIERE: Dammi del vino di Borgogna.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Bravissimo.
Il vino di Borgogna è prezioso.
Secondo me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un bicchiere.)
CAVALIERE: Voi siete di buon gusto in tutto.
MIRANDOLINA: In verità, che poche volte m'inganno.
CAVALIERE: Eppure questa volta voi v'ingannate.
MIRANDOLINA: In che, signore?
CAVALIERE: In credere ch'io meriti d'essere da voi distinto.
MIRANDOLINA: Eh, signor Cavaliere...
(Sospirando.)
CAVALIERE: Che cosa c'è? Che cosa sono questi sospiri? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non vi sono che ingrati.
CAVALIERE: Io non vi sarò ingrato.
(Con placidezza.)
MIRANDOLINA: Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio dovere.
CAVALIERE: No, no, conosco benissimo...
Non sono cotanto rozzo quanto voi mi credete.
Di me non avrete a dolervi.
(Versa il vino nel bicchiere.)
MIRANDOLINA: Ma...
signore...
io non l'intendo.
CAVALIERE: Alla vostra salute.
(Beve.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima; mi onora troppo.
CAVALIERE: Questo vino è prezioso.
MIRANDOLINA: Il Borgogna è la mia passione.
CAVALIERE: Se volete, siete padrona.
(Le offerisce il vino.)
MIRANDOLINA: Oh! Grazie, signore.
CAVALIERE: Avete pranzato?
MIRANDOLINA: Illustrissimo sì.
CAVALIERE: Ne volete un bicchierino?
MIRANDOLINA: Io non merito queste grazie.
CAVALIERE: Davvero, ve lo do volentieri.
MIRANDOLINA: Non so che dire.
Riceverò le sue finezze.
CAVALIERE: Porta un bicchiere.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: No, no, se mi permette: prenderò questo.
(Prende il bicchiere del Cavaliere.)
CAVALIERE: Oibò.
Me ne sono servito io.
MIRANDOLINA: Beverò le sue bellezze.
(Ridendo.)
(Il Servitore mette l'altro bicchiere nella sottocoppa.)
CAVALIERE: Eh galeotta! (Versa il vino.)
MIRANDOLINA: Ma è qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia male.
CAVALIERE: Non vi è pericolo.
MIRANDOLINA: Se mi favorisse un bocconcino di pane...
CAVALIERE: Volentieri.
Tenete.
(Le dà un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere in una mano, e nell'altra il pane, mostra di stare a disagio, e non saper come fare la zuppa.)
CAVALIERE: Voi state in disagio.
Volete sedere?
MIRANDOLINA: Oh! Non son degna di tanto, signore.
CAVALIERE: Via, via, siamo soli.
Portale una sedia.
(Al Servitore.)
SERVITORE: (Il mio padrone vuol morire: non ha mai fatto altrettanto.) (Da sé; va a prendere la sedia.)
MIRANDOLINA: Se lo sapessero il signor Conte ed il signor Marchese, povera me!
CAVALIERE: Perché?
MIRANDOLINA: Cento volte mi hanno voluto obbligare a bere qualche cosa, o a mangiare, e non ho mai voluto farlo.
CAVALIERE: Via, accomodatevi.
MIRANDOLINA: Per obbedirla.
(Siede, e fa la zuppa nel vino.)
CAVALIERE: Senti.
(Al Servitore, piano.) (Non lo dire a nessuno, che la padrona sia stata a sedere alla mia tavola).
SERVITORE: (Non dubiti).
(Piano.) (Questa novità mi sorprende).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: Alla salute di tutto quello che dà piacere al signor Cavaliere.
CAVALIERE: Vi ringrazio, padroncina garbata.
MIRANDOLINA: Di questo brindisi alle donne non ne tocca.
CAVALIERE: No? Perché?
MIRANDOLINA: Perché so che le donne non le può vedere.
CAVALIERE: È vero, non le ho mai potute vedere.
MIRANDOLINA: Si conservi sempre così.
CAVALIERE: Non vorrei...
(Si guarda dal Servitore.)
MIRANDOLINA: Che cosa, signore?
CAVALIERE: Sentite.
(Le parla nell'orecchio.) (Non vorrei che voi mi faceste mutar natura).
MIRANDOLINA: Io, signore? Come?
CAVALIERE: Va via.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Comanda in tavola?
CAVALIERE: Fammi cucinare due uova, e quando son cotte, portale.
SERVITORE: Coma le comanda le uova?
CAVALIERE: Come vuoi, spicciati.
SERVITORE: Ho inteso.
(Il padrone si va riscaldando).
(Da sé, parte.)
CAVALIERE: Mirandolina, voi siete una garbata giovine.
MIRANDOLINA: Oh signore, mi burla
CAVALIERE: Sentite.
Voglio dirvi una cosa vera, verissima, che ritornerà in vostra gloria.
MIRANDOLINA: La sentirò volentieri.
CAVALIERE: Voi siete la prima donna di questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza di trattar con piacere.
MIRANDOLINA: Le dirò, signor Cavaliere: non già ch'io meriti niente, ma alle volte si danno questi sangui che s'incontrano.
Questa simpatia, questo genio, si dà anche fra persone che non si conoscono.
Anch'io provo per lei quello che non ho sentito per alcun altro.
CAVALIERE: Ho paura che voi mi vogliate far perdere la mia quiete.
MIRANDOLINA: Oh via, signor Cavaliere, se è un uomo savio, operi da suo pari.
Non dia nelle debolezze degli altri.
In verità, se me n'accorgo, qui non ci vengo più.
Anch'io mi sento un non so che di dentro, che non ho più sentito; ma non voglio impazzire per uomini, e molto meno per uno che ha in odio le donne; e che forse forse per provarmi, e poi burlarsi di me, viene ora con un discorso nuovo a tentarmi.
Signor Cavaliere, mi favorisca un altro poco di Borgogna.
CAVALIERE: Eh! Basta...
(Versa il vino in un bicchiere.)
MIRANDOLINA: (Sta lì lì per cadere).
(Da sé.)
CAVALIERE: Tenete.
(Le dà il bicchiere col vino.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima.
Ma ella non beve?
CAVALIERE: Sì, beverò.
(Sarebbe meglio che io mi ubbriacassi.
Un diavolo scaccerebbe l'altro).
(Da sé, versa il vino nel suo bicchiere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere.
(Con vezzo.)
CAVALIERE: Che c'è?
MIRANDOLINA: Tocchi.
(Gli fa toccare il bicchiere col suo.) Che vivano i buoni amici.
CAVALIERE: Che vivano.
(Un poco languente.)
MIRANDOLINA: Viva...
chi si vuol bene...
senza malizia tocchi!
CAVALIERE: Evviva...
SCENA QUINTA
Il Marchese e detti.
MARCHESE: Son qui ancor io.
E che viva?
CAVALIERE: Come, signor Marchese? (Alterato.)
MARCHESE: Compatite, amico.
Ho chiamato.
Non c'è nessuno.
MIRANDOLINA: Con sua licenza...
(Vuol andar via.)
CAVALIERE: Fermatevi.
(A Mirandolina.) Io non mi prendo con voi cotanta libertà.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Vi domando scusa.
Siamo amici.
Credeva che foste solo.
Mi rallegro vedervi accanto alla nostra adorabile padroncina.
Ah! Che dite? Non è un capo d'opera?
MIRANDOLINA: Signore, io ero qui per servire il signor Cavaliere.
Mi è venuto un poco di male, ed egli mi ha soccorso con un bicchierin di Borgogna.
MARCHESE: È Borgogna quello? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Sì, è Borgogna.
MARCHESE: Ma di quel vero?
CAVALIERE: Almeno l'ho pagato per tale.
MARCHESE: Io me n'intendo.
Lasciate che lo senta, e vi saprò dire se è, o se non è.
CAVALIERE: Ehi! (Chiama.)
SCENA SESTA
Il Servitore colle ova, e detti.
CAVALIERE: Un bicchierino al Marchese.
(Al Servitore.)
MARCHESE: Non tanto piccolo il bicchierino.
Il Borgogna non è liquore.
Per giudicarne bisogna beverne a sufficienza.
SERVITORE: Ecco le ova.
(Vuol metterle in tavola.)
CAVALIERE: Non voglio altro.
MARCHESE: Che vivanda è quella?
CAVALIERE: Ova.
MARCHESE: Non mi piacciono.
(Il Servitore le porta via.)
MIRANDOLINA: Signor Marchese, con licenza del signor Cavaliere, senta quell'intingoletto fatto colle mie mani.
MARCHESE: Oh sì.
Ehi.
Una sedia.
(Il Servitore gli reca una sedia e mette il bicchiere sulla sottocoppa.) Una forchetta.
CAVALIERE: Via, recagli una posata.
(Il Servitore la va a prendere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, ora sto meglio.
Me n'anderò.
(S'alza.)
MARCHESE: Fatemi il piacere, restate ancora un poco.
MIRANDOLINA: Ma signore, ho da attendere a' fatti miei; e poi il signor Cavaliere...
MARCHESE: Vi contentate ch'ella resti ancora un poco? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Che volete da lei?
MARCHESE: Voglio farvi sentire un bicchierino di vin di Cipro che, da che siete al mondo, non avrete sentito il compagno.
E ho piacere che Mirandolina lo senta, e dica il suo parere.
CAVALIERE: Via, per compiacere il signor Marchese, restate.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Il signor Marchese mi dispenserà.
MARCHESE: Non volete sentirlo?
MIRANDOLINA: Un'altra volta, Eccellenza.
CAVALIERE: Via, restate.
MIRANDOLINA: Me lo comanda? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Vi dico che restiate.
MIRANDOLINA: Obbedisco.
(Siede.)
CAVALIERE: (Mi obbliga sempre più).
(Da sé.)
MARCHESE: Oh che roba! Oh che intingolo! Oh che odore! Oh che sapore! (Mangiando.)
CAVALIERE: (Il Marchese avrà gelosia, che siate vicina a me).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Non m'importa di lui né poco, né molto).
(Piano al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Siete anche voi nemica degli uomini?).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Come ella lo è delle donne).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (Queste mie nemiche si vanno vendicando di me).
(Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Come, signore?).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (Eh! furba! Voi vedrete benissimo...).
(Come sopra.)
MARCHESE: Amico, alla vostra salute.
(Beve il vino di Borgogna.)
CAVALIERE: Ebbene? Come vi pare?
MARCHESE: Con vostra buona grazia, non val niente.
Sentite il mio vin di Cipro.
CAVALIERE: Ma dov'è questo vino di Cipro?
MARCHESE: L'ho qui, l'ho portato con me, voglio che ce lo godiamo: ma! è di quello.
Eccolo.
(Tira fuori una bottiglia assai piccola.)
MIRANDOLINA: Per quel che vedo, signor Marchese, non vuole che il suo vino ci vada alla testa.
MARCHESE: Questo? Si beve a gocce, come lo spirito di melissa.
Ehi? Li bicchierini.
(Apre la bottiglia.)
SERVITORE (porta de' bicchierini da vino di Cipro.)
MARCHESE: Eh, son troppo grandi.
Non ne avete di più piccoli? (Copre la bottiglia colla mano.)
CAVALIERE: Porta quei da rosolio.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Io credo che basterebbe odorarlo.
MARCHESE: Uh caro! Ha un odor che consola.
(Lo annusa.)
SERVITORE (porta tre bicchierini sulla sottocoppa.)
MARCHESE (versa pian piano, e non empie li bicchierini, poi lo dispensa al Cavaliere, a Mirandolina, e l'altro per sé, turando bene la bottiglia): Che nettare! Che ambrosia! Che manna distillata! (Bevendo.)
CAVALIERE: (Che vi pare di questa porcheria?).
(A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Lavature di fiaschi).
(Al Cavaliere, piano.)
MARCHESE: Ah! Che dite? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Buono, prezioso.
MARCHESE: Ah! Mirandolina, vi piace?
MIRANDOLINA: Per me, signore, non posso dissimulare; non mi piace, lo trovo cattivo, e non posso dir che sia buono.
Lodo chi sa fingere.
Ma chi sa fingere in una cosa, saprà fingere nell'altre ancora.
CAVALIERE: (Costei mi dà un rimprovero; non capisco il perché).
(Da sé.)
MARCHESE: Mirandolina, voi di questa sorta di vini non ve ne intendete.
Vi compatisco.
Veramente il fazzoletto che vi ho donato, l'avete conosciuto e vi è piaciuto, ma il vin di Cipro non lo conoscete.
(Finisce di bere.)
MIRANDOLINA: (Sente come si vanta?).
(Al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Io non farei così).
(A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Il di lei vanto sta nel disprezzare le donne).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (E il vostro nel vincere tutti gli uomini).
(Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Tutti no).
(Con vezzo, al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Tutti sì.) (Con qualche passione, piano a Mirandolina.)
MARCHESE: Ehi? Tre bicchierini politi.
(Al Servitore, il quale glieli porta sopra una sottocoppa.)
MIRANDOLINA: Per me non ne voglio più.
MARCHESE: No, no, non dubitate: non faccio per voi.
(Mette del vino di Cipro nei tre bicchieri.) Galantuomo, con licenza del vostro padrone, andate dal Conte d'Albafiorita, e ditegli per parte mia, forte, che tutti sentano, che lo prego di assaggiare un poco del mio vino di Cipro.
SERVITORE: Sarà servito.
(Questo non li ubbriaca certo.
(Da sé; parte.)
CAVALIERE: Marchese, voi siete assai generoso.
MARCHESE: Io? Domandatelo a Mirandolina.
MIRANDOLINA: Oh certamente!
MARCHESE: L'ha veduto il fazzoletto il Cavaliere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo ha ancora veduto.
MARCHESE: Lo vedrete.
(Al Cavaliere.) Questo poco di balsamo me lo salvo per questa sera.
(Ripone la bottiglia con un dito di vino avanzato.)
MIRANDOLINA: Badi che non gli faccia male, signor Marchese.
MARCHESE: Eh! Sapete che cosa mi fa male? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Che cosa?
MARCHESE: I vostri begli ochhi.
MIRANDOLINA: Davvero?
MARCHESE: Cavaliere mio, io sono innamorato di costei perdutamente.
CAVALIERE: Me ne dispiace.
MARCHESE: Voi non avete mai provato amore per le donne.
Oh, se lo provaste, compatireste ancora me.
CAVALIERE: Sì, vi compatisco.
MARCHESE: E son geloso come una bestia.
La lascio stare vicino a voi, perché so chi siete; per altro non lo soffrirei per centomila doppie.
CAVALIERE: (Costui principia a seccarmi).
(Da sé.)
SCENA SETTIMA
Il Servitore con una bottiglia sulla sottocoppa, e detti.
SERVITORE: Il signor Conte ringrazia V.E., e manda una bottiglia di vino di Canarie.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Oh, oh, vorrà mettere il suo vin di Canarie col mio vino di Cipro? Lascia vedere.
Povero pazzo! È una porcheria, lo conosco all'odore.
(S'alza e tiene la bottiglia in mano.)
CAVALIERE: Assaggiatelo prima.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Non voglio assaggiar niente.
Questa è una impertinenza che mi fa il Conte, compagna di tante altre.
Vuol sempre starmi al di sopra.
Vuol soverchiarmi, vuol provocarmi, per farmi far delle bestialità.
Ma giuro al cielo, ne farò una che varrà per cento.
Mirandolina, se non lo cacciate via, nasceranno delle cose grandi, sì, nasceranno delle cose grandi.
Colui è un temerario.
Io son chi sono, e non voglio soffrire simile affronti.
(Parte, e porta via la bottiglia.)
SCENA OTTAVA
Il Cavaliere, Mirandolina ed il Servitore.
CAVALIERE: Il povero Marchese è pazzo.
MIRANDOLINA: Se a caso mai la bile gli facesse male, ha portato via la bottiglia per ristorarsi.
CAVALIERE: È pazzo, vi dico.
E voi lo avete fatto impazzire.
MIRANDOLINA: Sono di quelle che fanno impazzare gli uomini?
CAVALIERE: Sì, voi siete...
(Con affanno.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, con sua licenza.
(S'alza.)
CAVALIERE: Fermatevi.
MIRANDOLINA: Perdoni; io non faccio impazzare nessuno.
(Andando.)
CAVALIERE: Ascoltatemi.
(S'alza, ma resta alla tavola.)
MIRANDOLINA: Scusi.
(Andando.)
CAVALIERE: Fermatevi, vi dico.
(Con imperio.)
MIRANDOLINA: Che pretende da me? (Con alterezza voltandosi.)
CAVALIERE: Nulla.
(Si confonde.) Beviamo un altro bicchiere di Borgogna.
MIRANDOLINA: Via signore, presto, presto, che me ne vada.
CAVALIERE: Sedete.
MIRANDOLINA: In piedi, in piedi.
CAVALIERE: Tenete.
(Con dolcezza le dà il bicchiere.)
MIRANDOLINA: Faccio un brindisi, e me ne vado subito.
Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna.
Viva Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi...
Faccio quel che fate voi.
(Parte.)
SCENA NONA
Il Cavaliere, ed il Servitore.
CAVALIERE: Bravissima, venite qui: sentite.
Ah malandrina! Se nè fuggita.
Se n'è fuggita, e mi ha lasciato cento diavoli che mi tormentano.
SERVITORE: Comanda le frutta in tavola? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va al diavolo ancor tu.
(Il Servitore parte.) Bevo il vin, cogli occhi poi, faccio quel che fate voi? Che brindisi misterioso è questo? Ah maladetta, ti conosco.
Mi vuoi abbattere, mi vuoi assassinare.
Ma lo fa con tanta grazia! Ma sa così bene insinuarsi...
Diavolo, diavolo, me la farai tu vedere? No, anderò a Livorno.
Costei non la voglio più rivedere.
Che non mi venga più tra i piedi.
Maledettissime donne! Dove vi sono donne, lo giuro non vi anderò mai più.
(Parte.)
SCENA DECIMA
Camera del Conte.
Il Conte d'Albafiorita, Ortensia e Dejanira.
CONTE: Il Marchese di Forlipopoli è un carattere curiosissimo.
È nato nobile, non si può negare; ma fra suo padre e lui hanno dissipato, ed ora non ha appena da vivere.
Tuttavolta gli piace fare il grazioso.
ORTENSIA: Si vede che vorrebbe essere generoso, ma non ne ha.
DEJANIRA: Dona quel poco che può, e vuole che tutto il mondo lo sappia.
CONTE: Questo sarebbe un bel carattere per una delle vostre commedie.
ORTENSIA: Aspetti che arrivi la compagnia, e che si vada in teatro, e può darsi che ce lo godiamo.
DEJANIRA: Abbiamo noi dei personaggi, che per imitare i caratteri sono fatti a posta.
CONTE: Ma se volete che ce lo godiamo, bisogna che con lui seguitiate a fingervi dame.
ORTENSIA: Io lo farò certo.
Ma Dejanira subito dà di bianco.
DEJANIRA: Mi vien da ridere, quando i gonzi mi credono una signora.
CONTE: Con me avete fatto bene a scoprirvi.
In questa maniera mi date campo di far qualche cosa in vostro vantaggio.
ORTENSIA: Il signor Conte sarà il nostro protettore.
DEJANIRA: Siamo amiche, goderemo unitamente le di lei grazie.
CONTE: Vi dirò, vi parlerò con sincerità.
Vi servirò, dove potrò farlo, ma ho un certo impegno, che non mi permetterà frequentare la vostra casa.
ORTENSIA: Ha qualche amoretto, signor Conte?
CONTE: Sì, ve lo dirò in confidenza.
La padrona della locanda.
ORTENSIA: Capperi! Veramente una gran signora! Mi meraviglio di lei, signor Conte, che si perda con una locandiera!
DEJANIRA: Sarebbe minor male, che si compiacesse d'impiegare le sue finezze per una comica.
CONTE: Il far all'amore con voi altre, per dirvela, mi piace poco.
Ora ci siete, ora non ci siete.
ORTENSIA: Non è meglio così, signore? In questa maniera non si eternano le amicizie, e gli uomini non si rovinano.
CONTE: Ma io, tant'è, sono impegnato; le voglio bene, e non la vo' disgustare.
DEJANIRA: Ma che cosa ha di buono costei?
CONTE: Oh! Ha del buono assai.
ORTENSIA: Ehi, Dejanira.
È bella, rossa.
(Fa cenno che si belletta.)
CONTE: Ha un grande spirito.
DEJANIRA: Oh, in materia di spirito, la vorreste mettere con noi?
CONTE: Ora basta.
Sia come esser si voglia; Mirandolina mi piace, e se volete la mia amicizia, avete a dirne bene, altrimenti fate conto di non avermi mai conosciuto.
ORTENSIA: Oh signor Conte, per me dico che Mirandolina è una dea Venere.
DEJANIRA: Sì, sì, vero.
Ha dello spirito, parla bene.
CONTE: Ora mi date gusto.
ORTENSIA: Quando non vuol altro, sarà servito.
CONTE: Oh! Avete veduto quello ch'è passato per sala? (Osservando dentro la scena.)
ORTENSIA: L'ho veduto.
CONTE: Quello è un altro bel carattere da commedia.
ORTENSIA: È uno che non può vedere le donne.
DEJANIRA: Oh che pazzo!
ORTENSIA: Avrà qualche brutta memoria di qualche donna.
CONTE: Oibò; non è mai stato innamorato.
Non ha mai voluto trattar con donne.
Le sprezza tutte, e basta dire che egli disprezza ancora Mirandolina.
ORTENSIA: Poverino! Se mi ci mettessi attorno io, scommetto lo farei cambiare opinione.
DEJANIRA: Veramente una gran cosa! Questa è un'impresa che la vorrei pigliare sopra di me.
CONTE: Sentite, amiche.
Così per puro divertimento.
Se vi dà l'anima d'innamorarlo, da cavaliere vi faccio un bel regalo.
ORTENSIA: Io non intendo essere ricompensata per questo: lo farò per mio spasso.
DEJANIRA: Se il signor Conte vuol usarci qualche finezza, non l'ha da fare per questo.
Sinché arrivano i nostri compagni, ci divertiremo un poco.
CONTE: Dubito che non farete niente.
ORTENSIA: Signor Conte, ha ben poca stima di noi.
DEJANIRA: Non siamo vezzose come Mirandolina; ma finalmente sappiamo qualche poco il viver del mondo.
CONTE: Volete che lo mandiamo a chiamare?
ORTENSIA: Faccia come vuole.
CONTE: Ehi? Chi è di là?
SCENA UNDICESIMA
Il Servitore del Conte, e detti.
CONTE: Di' al Cavaliere di Ripafratta, che favorisca venir da me, che mi preme di parlargli.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Nella sua camera so che non c'è.
CONTE: L'ho veduto andar verso la cucina.
Lo troverai.
SERVITORE: Subito.
(Parte.)
CONTE: (Che mai è andato a far verso la cucina? Scommetto che è andato a strapazzare Mirandolina, perché gli ha dato mal da mangiare).
(Da sé.)
ORTENSIA: Signor Conte, io aveva pregato il signor Marchese che mi mandasse il suo calzolaro, ma ho paura di non vederlo.
CONTE: Non pensate altro.
Vi servirò io.
DEJANIRA: A me aveva il signor Marchese promesso un fazzoletto.
Ma! ora me lo porta!
CONTE: De' fazzoletti ne troveremo.
DEJANIRA: Egli è che ne avevo proprio di bisogno.
CONTE: Se questo vi gradisce, siete padrona.
È pulito.
(Le offre il suo di seta.)
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue finezze.
CONTE: Oh! Ecco il Cavaliere.
Sarà meglio che sostenghiate il carattere di dame, per poterlo meglio obbligare ad ascoltarvi per civiltà.
Ritiratevi un poco indietro; che, se vi vede, fugge.
ORTENSIA: Come si chiama?
CONTE: Il Cavaliere di Ripafratta, toscano.
DEJANIRA: Ha moglie?
CONTE: Non può vedere le donne.
ORTENSIA: È ricco? (Ritirandosi.)
CONTE: Sì, Molto.
DEJANIRA: È generoso? (Ritirandosi.)
CONTE: Piuttosto.
DEJANIRA: Venga, venga.
(Si ritira.)
ORTENSIA: Tempo, e non dubiti.
(Si ritira.)
SCENA DODICESIMA
Il Cavaliere e detti.
CAVALIERE: Conte, siete voi che mi volete?
CONTE: Sì; io v'ho dato il presente incomodo.
CAVALIERE: Che cosa posso fare per servirvi?
CONTE: Queste due dame hanno bisogno di voi.
(Gli addita le due donne, le quali subito s'avanzano.)
CAVALIERE: Disimpegnatemi.
Io non ho tempo di trattenermi.
ORTENSIA: Signor Cavaliere, non intendo di recargli incomodo.
DEJANIRA: Una parola in grazia, signor Cavaliere.
CAVALIERE: Signore mie, vi supplico perdonarmi.
Ho un affar di premura.
ORTENSIA: In due parole vi sbrighiamo.
DEJANIRA: Due paroline, e non più, signore.
CAVALIERE: (Maledettissimo Conte!).
(Da sé.)
CONTE: Caro amico, due dame che pregano, vuole la civiltà che si ascoltino.
CAVALIERE: Perdonate.
In che vi posso servire? (Alle donne, con serietà.)
ORTENSIA: Non siete voi toscano, signore?
CAVALIERE: Sì, signora.
DEJANIRA: Avrete degli amici in Firenze?
CAVALIERE: Ho degli amici, e ho de' parenti.
DEJANIRA: Sappiate, signore...
Amica, principiate a dir voi.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Dirò, signor Cavaliere...
Sappia che un certo caso...
CAVALIERE: Via, signore, vi supplico.
Ho un affar di premura.
CONTE: Orsù, capisco che la mia presenza vi dà soggezione.
Confidatevi con libertà al Cavaliere, ch'io vi levo l'incomodo.
(Partendo.)
CAVALIERE: No, amico, restate...
Sentite.
CONTE: So il mio dovere.
Servo di lor signore.
(Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.
ORTENSIA: Favorisca, sediamo.
CAVALIERE: Scusi, non ho volontà di sedere.
DEJANIRA: Così rustico colle donne?
CAVALIERE: Favoriscano dirmi che cosa vogliono.
ORTENSIA: Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra bontà.
CAVALIERE: Che cosa vi è accaduto?
DEJANIRA: I nostri mariti ci hanno abbandonate.
CAVALIERE: Abbandonate? Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (Con alterezza.)
DEJANIRA: Amica, non vado avanti sicuro.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (È tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io).
(Da sé.)
CAVALIERE: Signore, vi riverisco.
(In atto di partire.)
ORTENSIA: Come! Così ci trattate?
DEJANIRA: Un cavaliere tratta così?
CAVALIERE: Perdonatemi.
Io son uno che ama assai la mia pace.
Sento due dame abbandonate dai loro mariti.
Qui ci saranno degl'impegni non pochi; io non sono atto a' maneggi.
Vivo a me stesso.
Dame riveritissime, da me non potete sperare né consiglio, né aiuto.
ORTENSIA: Oh via, dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro amabilissimo Cavaliere.
DEJANIRA: Sì, parliamogli con sincerità.
CAVALIERE: Che nuovo linguaggio è questo?
ORTENSIA: Noi non siamo dame.
CAVALIERE: No?
DEJANIRA: Il signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.
CAVALIERE: Lo scherzo è fatto.
Vi riverisco.
(Vuol partire.)
ORTENSIA: Fermatevi un momento.
CAVALIERE: Che cosa volete?
DEJANIRA: Degnateci per un momento della vostra amabile conversazione.
CAVALIERE: Ho che fare.
Non posso trattenermi.
ORTENSIA: Non vi vogliamo già mangiar niente.
DEJANIRA: Non vi leveremo la vostra reputazione.
ORTENSIA: Sappiamo che non potete vedere le donne.
CAVALIERE: Se lo sapete, l'ho caro.
Vi riverisco.
(Vuol partire.)
ORTENSIA: Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi ombra.
CAVALIERE: Chi siete?
ORTENSIA: Diteglielo voi, Dejanira.
DEJANIRA: Glielo potete dire anche voi.
CAVALIERE: Via, chi siete?
ORTENSIA: Siamo due commedianti.
CAVALIERE: Due commedianti! Parlate, parlate, che non ho più paura di voi.
Son ben prevenuto in favore dell'arte vostra.
ORTENSIA: Che vuol dire? Spiegatevi.
CAVALIERE: So che fingete in iscena e fuor di scena; e con tal prevenzione non ho paura di voi.
DEJANIRA: Signore, fuori di scena io non so fingere.
CAVALIERE: Come si chiama ella? La signora Sincera? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Io mi chiamo...
CAVALIERE: È ella la signora Buonalana? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Caro signor Cavaliere...
CAVALIERE: Come si diletta di miccheggiare? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Io non sono...
CAVALIERE: I gonzi come li tratta, padrona mia? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Non son di quelle...
CAVALIERE: Anch'io so parlar in gergo.
ORTENSIA: Oh che caro signor Cavaliere! (Vuol prenderlo per un braccio.)
CAVALIERE: Basse le cere.
(Dandole nelle mani.)
ORTENSIA: Diamine! Ha più del contrasto, che del Cavaliere.
CAVALIERE: Contrasto vuol dire contadino.
Vi ho capito.
E vi dirò che siete due impertinenti.
DEJANIRA: A me questo?
ORTENSIA: A una donna della mia sorte?
CAVALIERE: Bello quel viso trionfato! (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Asino!).
(Parte.)
CAVALIERE: Bello quel tuppè finto! (A Dejanira.)
DEJANIRA: (Maledetto).
(Parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
Il Cavaliere, poi il di lui Servitore.
CAVALIERE: Ho trovata ben io la maniera di farle andare.
Che si pensavano? Di tirarmi nella rete? Povere sciocche! Vadano ora dal Conte e gli narrino la bella scena.
Se erano dame, per rispetto mi conveniva fuggire; ma quando posso, le donne le strapazzo col maggior piacere del mondo.
Non ho però potuto strapazzar Mirandolina.
Ella mi ha vinto con tanta civiltà, che mi trovo obbligato quasi ad amarla.
Ma è donna; non me ne voglio fidare.
Voglio andar via.
Domani anderò via.
Ma se aspetto a domani? Se vengo questa sera a dormir a casa, chi mi assicura che Mirandolina non finisca a rovinarmi? (Pensa.) Sì; facciamo una risoluzione da uomo.
SERVITORE: Signore.
CAVALIERE: Che cosa vuoi?
SERVITORE: Il signor Marchese è nella di lei
...
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