LA LOCANDIERA, di Carlo Goldoni - pagina 5
...
.
(Da sé.)
MARCHESE: E così, damine mie, sarò a pranzo con voi.
ORTENSIA: Quest'altro signore chi è? (Al Conte.)
CONTE: Sono il Conte d'Albafiorita, per obbedirvi.
DEJANIRA: Capperi! È una famiglia illustre, io la conosco.
(Anch'ella s'accosta al Conte.)
CONTE: Sono a' vostri comandi.
(A Dejanira.)
ORTENSIA: È qui alloggiato? (Al Conte.)
CONTE: Sì, signora.
DEJANIRA: Si trattiene molto? (Al Conte.)
CONTE: Credo di sì.
MARCHESE: Signore mie, sarete stanche di stare in piedi, volete ch'io vi serva nella vostra camera?
ORTENSIA: Obbligatissima.
(Con disprezzo.) Di che paese è, signor Conte?
CONTE: Napolitano.
ORTENSIA: Oh! Siamo mezzi patrioti.
Io sono palermitana.
DEJANIRA: Io son romana; ma sono stata a Napoli, e appunto per un mio interesse desiderava parlare con un cavaliere napolitano.
CONTE: Vi servirò, signore.
Siete sole? Non avete uomini?
MARCHESE: Ci sono io, signore: e non hanno bisogno di voi.
ORTENSIA: Siamo sole, signor Conte.
Poi vi diremo il perché.
CONTE: Mirandolina.
MIRANDOLINA: Signore.
CONTE: Fate preparare nella mia camera per tre.
Vi degnerete di favorirmi? (Ad Ortensia e Dejanira.)
ORTENSIA: Riceveremo le vostre finezze.
MARCHESE: Ma io sono stato invitato da queste dame.
CONTE: Esse sono padrone di servirsi come comandano, ma alla mia piccola tavola in più di tre non ci si sta.
MARCHESE: Vorrei veder anche questa...
ORTENSIA: Andiamo, andiamo, signor Conte.
Il signor Marchese ci favorirà un'altra volta.
(Parte.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se trova il fazzoletto, mi raccomando.
(Parte.)
MARCHESE: Conte, Conte, voi me la pagherete.
CONTE: Di che vi lagnate?
MARCHESE: Son chi sono, e non si tratta così.
Basta...
Colei vorrebbe un fazzoletto? Un fazzoletto di quella sorta? Non l'avrà.
Mirandolina, tenetelo caro.
Fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
Dei diamanti se ne trovano, ma dei fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
(Parte.)
MIRANDOLINA: (Oh che bel pazzo!).
(Da sé.)
CONTE: Cara Mirandolina, avrete voi dispiacere ch'io serva queste due dame?
MIRANDOLINA: Niente affatto, signore.
CONTE: Lo faccio per voi.
Lo faccio per accrescer utile ed avventori alla vostra locanda; per altro io son vostro, è vostro il mio cuore, e vostre son le mie ricchezze, delle quali disponetene liberamente, che io vi faccio padrona.
(Parte.)
SCENA VENTITREESIMA
MIRANDOLINA (sola): Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione.
Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello che spende più.
Ma non mi preme né dell'uno, né dell'altro.
Sono in impegno d'innamorar il Cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo.
Mi proverò; non so se avrò l'abilità che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò.
Il Conte ed il Marchese, frattanto che con quelle si vanno trattenendo, mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agio trattar col Cavaliere.
Possibile ch'ei non ceda? Chi è quello che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a suo dispetto cadere.
(Parte.)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera del Cavaliere, con tavola apparecchiata per il pranzo e sedie.
Il Cavaliere ed il suo Servitore, poi Fabrizio.
Il Cavaliere passeggia con un libro.
Fabrizio mette la zuppa in tavola.
FABRIZIO: Dite al vostro padrone, se vuol restare servito, che la zuppa è in tavola.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Glielo potete dire anche voi.
(A Fabrizio.)
FABRIZIO: È tanto stravagante, che non gli parlo niente volentieri.
SERVITORE: Eppure non è cattivo.
Non può veder le donne, per altro cogli uomini è dolcissimo.
FABRIZIO: (Non può veder le donne? Povero sciocco! Non conosce il buono).
(Da sé, parte.)
SERVITORE: Illustrissimo, se comoda, è in tavola.
(Il Cavaliere mette giù il libro, e va a sedere a tavola.)
CAVALIERE: Questa mattina parmi che si pranzi prima del solito.
(Al Servitore, mangiando.)
(Il Servitore dietro la sedia del Cavaliere, col tondo sotto il braccio.)
SERVITORE: Questa camera è stata servita prima di tutte.
Il signor Conte d'Albafiorita strepitava che voleva essere servito il primo, ma la padrona ha voluto che si desse in tavola prima a V.S.
illustrissima.
CAVALIERE: Sono obbligato a costei per l'attenzione che mi dimostra.
SERVITORE: È una assai compita donna, illustrissimo.
In tanto mondo che ho veduto, non ho trovato una locandiera più garbata di questa.
CAVALIERE: Ti piace, eh? (Voltandosi un poco indietro.)
SERVITORE: Se non fosse per far torto al mio padrone, vorrei venire a stare con Mirandolina per cameriere.
CAVALIERE: Povero sciocco! Che cosa vorresti ch'ella facesse di te? (Gli dà il tondo, ed egli lo muta.)
SERVITORE: Una donna di questa sorta, la vorrei servir come un cagnolino.
(Va per un piatto.)
CAVALIERE: Per bacco! Costei incanta tutti.
Sarebbe da ridere che incantasse anche me.
Orsù, domani me ne vado a Livorno.
S'ingegni per oggi, se può, ma si assicuri che non sono sì debole.
Avanti ch'io superi l'avversion per le donne, ci vuol altro.
SCENA SECONDA
Il Servitore col lesso ed un altro piatto, e detto.
SERVITORE: Ha detto la padrona, che se non le piacesse il pollastro, le manderà un piccione.
CAVALIERE: Mi piace tutto.
E questo che cos'è?
SERVITORE: Disse la padrona, ch'io le sappia dire se a V.S.
illustrissima piace questa salsa, che l'ha fatta ella colle sue mani.
CAVALIERE: Costei mi obbliga sempre più.
(L'assaggia.) È preziosa.
Dille che mi piace, che la ringrazio.
SERVITORE: Glielo dirò, illustrissimo.
CAVALIERE: Vaglielo a dir subito.
SERVITORE: Subito.
(Oh che prodigio! Manda un complimento a una donna!).
(Da sé, parte.)
CAVALIERE: È una salsa squisita.
Non ho sentita la meglio.
(Va mangiando.) Certamente, se Mirandolina farà così, avrà sempre de' forestieri.
Buona tavola, buona biancheria.
E poi non si può negare che non sia gentile; ma quel che più stimo in lei, è la sincerità.
Oh, quella sincerità è pure la bella cosa! Perché non posso io vedere le donne? Perché sono finte, bugiarde, lusinghiere.
Ma quella bella sincerità...
SCENA TERZA
Il servitore e detto.
SERVITORE: Ringrazia V.S.
illustrissima della bontà che ha d'aggradire le sue debolezze.
CAVALIERE: Bravo, signor cerimoniere, bravo.
SERVITORE: Ora sta facendo colle sue mani un altro piatto; non so dire che cosa sia.
CAVALIERE: Sta facendo?
SERVITORE: Sì signore.
CAVALIERE: Dammi da bere.
SERVITORE: La servo.
(Va a prendere da bere.)
CAVALIERE: Orsù, con costei bisognerà corrispondere con generosità.
È troppo compita; bisogna pagare il doppio.
Trattarla bene, ma andar via presto.
(Il Servitore gli presenta da bere.)
CAVALIERE: Il Conte è andato a pranzo? (Beve.)
SERVITORE: Illustrissimo sì, in questo momento.
Oggi fa trattamento.
Ha due dame a tavola con lui.
CAVALIERE: Due dame? Chi sono?
SERVITORE: Sono arrivate a questa locanda poche ore sono.
Non so chi sieno.
CAVALIERE: Le conosceva il Conte?
SERVITORE: Credo di no; ma appena le ha vedute, le ha invitate a pranzo seco.
CAVALIERE: Che debolezza! Appena vede due donne, subito si attacca.
Ed esse accettano.
E sa il cielo chi sono; ma sieno quali esser vogliono, sono donne, e tanto basta.
Il Conte si rovinerà certamente.
Dimmi: il Marchese è a tavola?
SERVITORE: È uscito di casa, e non si è ancora veduto.
CAVALIERE: In tavola.
(Fa mutare il tondo.)
SERVITORE: La servo.
CAVALIERE: A tavola con due dame! Oh che bella compagnia! Colle loro smorfie mi farebbero passar l'appetito.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
MIRANDOLINA: È permesso?
CAVALIERE: Chi è di là?
SERVITORE: Comandi.
CAVALIERE: Leva là quel tondo di mano.
MIRANDOLINA: Perdoni.
Lasci ch'io abbia l'onore di metterlo in tavola colle mie mani.
(Mette in tavola la vivanda.)
CAVALIERE: Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA: Oh signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE: (Che umiltà!).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità, non avrei difficoltà di servire in tavola tutti, ma non lo faccio per certi riguardi: non so s'ella mi capisca.
Da lei vengo senza scrupoli, con franchezza.
CAVALIERE: Vi ringrazio.
Che vivanda è questa?
MIRANDOLINA: Egli è un intingoletto fatto colle mie mani.
CAVALIERE: Sarà buono.
Quando lo avete fatto voi, sarà buono.
MIRANDOLINA: Oh! troppa bontà, signore.
Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
CAVALIERE: (Domani a Livorno).
(Da sé.) Se avete che fare, non istate a disagio per me.
MIRANDOLINA: Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori.
Avrei piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
CAVALIERE: Volentieri, subito.
(Lo assaggia.) Buono, prezioso.
Oh che sapore! Non conosco che cosa sia.
MIRANDOLINA: Eh, io, signore, ho de' secreti particolari.
Queste mani sanno far delle belle cose!
CAVALIERE: Dammi da bere.
(Al Servitore, con qualche passione.)
MIRANDOLINA: Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
CAVALIERE: Dammi del vino di Borgogna.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Bravissimo.
Il vino di Borgogna è prezioso.
Secondo me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un bicchiere.)
CAVALIERE: Voi siete di buon gusto in tutto.
MIRANDOLINA: In verità, che poche volte m'inganno.
CAVALIERE: Eppure questa volta voi v'ingannate.
MIRANDOLINA: In che, signore?
CAVALIERE: In credere ch'io meriti d'essere da voi distinto.
MIRANDOLINA: Eh, signor Cavaliere...
(Sospirando.)
CAVALIERE: Che cosa c'è? Che cosa sono questi sospiri? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non vi sono che ingrati.
CAVALIERE: Io non vi sarò ingrato.
(Con placidezza.)
MIRANDOLINA: Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio dovere.
CAVALIERE: No, no, conosco benissimo...
Non sono cotanto rozzo quanto voi mi credete.
Di me non avrete a dolervi.
(Versa il vino nel bicchiere.)
MIRANDOLINA: Ma...
signore...
io non l'intendo.
CAVALIERE: Alla vostra salute.
(Beve.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima; mi onora troppo.
CAVALIERE: Questo vino è prezioso.
MIRANDOLINA: Il Borgogna è la mia passione.
CAVALIERE: Se volete, siete padrona.
(Le offerisce il vino.)
MIRANDOLINA: Oh! Grazie, signore.
CAVALIERE: Avete pranzato?
MIRANDOLINA: Illustrissimo sì.
CAVALIERE: Ne volete un bicchierino?
MIRANDOLINA: Io non merito queste grazie.
CAVALIERE: Davvero, ve lo do volentieri.
MIRANDOLINA: Non so che dire.
Riceverò le sue finezze.
CAVALIERE: Porta un bicchiere.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: No, no, se mi permette: prenderò questo.
(Prende il bicchiere del Cavaliere.)
CAVALIERE: Oibò.
Me ne sono servito io.
MIRANDOLINA: Beverò le sue bellezze.
(Ridendo.)
(Il Servitore mette l'altro bicchiere nella sottocoppa.)
CAVALIERE: Eh galeotta! (Versa il vino.)
MIRANDOLINA: Ma è qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia male.
CAVALIERE: Non vi è pericolo.
MIRANDOLINA: Se mi favorisse un bocconcino di pane...
CAVALIERE: Volentieri.
Tenete.
(Le dà un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere in una mano, e nell'altra il pane, mostra di stare a disagio, e non saper come fare la zuppa.)
CAVALIERE: Voi state in disagio.
Volete sedere?
MIRANDOLINA: Oh! Non son degna di tanto, signore.
CAVALIERE: Via, via, siamo soli.
Portale una sedia.
(Al Servitore.)
SERVITORE: (Il mio padrone vuol morire: non ha mai fatto altrettanto.) (Da sé; va a prendere la sedia.)
MIRANDOLINA: Se lo sapessero il signor Conte ed il signor Marchese, povera me!
CAVALIERE: Perché?
MIRANDOLINA: Cento volte mi hanno voluto obbligare a bere qualche cosa, o a mangiare, e non ho mai voluto farlo.
CAVALIERE: Via, accomodatevi.
MIRANDOLINA: Per obbedirla.
(Siede, e fa la zuppa nel vino.)
CAVALIERE: Senti.
(Al Servitore, piano.) (Non lo dire a nessuno, che la padrona sia stata a sedere alla mia tavola).
SERVITORE: (Non dubiti).
(Piano.) (Questa novità mi sorprende).
(Da sé.)
MIRANDOLINA: Alla salute di tutto quello che dà piacere al signor Cavaliere.
CAVALIERE: Vi ringrazio, padroncina garbata.
MIRANDOLINA: Di questo brindisi alle donne non ne tocca.
CAVALIERE: No? Perché?
MIRANDOLINA: Perché so che le donne non le può vedere.
CAVALIERE: È vero, non le ho mai potute vedere.
MIRANDOLINA: Si conservi sempre così.
CAVALIERE: Non vorrei...
(Si guarda dal Servitore.)
MIRANDOLINA: Che cosa, signore?
CAVALIERE: Sentite.
(Le parla nell'orecchio.) (Non vorrei che voi mi faceste mutar natura).
MIRANDOLINA: Io, signore? Come?
CAVALIERE: Va via.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Comanda in tavola?
CAVALIERE: Fammi cucinare due uova, e quando son cotte, portale.
SERVITORE: Coma le comanda le uova?
CAVALIERE: Come vuoi, spicciati.
SERVITORE: Ho inteso.
(Il padrone si va riscaldando).
(Da sé, parte.)
CAVALIERE: Mirandolina, voi siete una garbata giovine.
MIRANDOLINA: Oh signore, mi burla
CAVALIERE: Sentite.
Voglio dirvi una cosa vera, verissima, che ritornerà in vostra gloria.
MIRANDOLINA: La sentirò volentieri.
CAVALIERE: Voi siete la prima donna di questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza di trattar con piacere.
MIRANDOLINA: Le dirò, signor Cavaliere: non già ch'io meriti niente, ma alle volte si danno questi sangui che s'incontrano.
Questa simpatia, questo genio, si dà anche fra persone che non si conoscono.
Anch'io provo per lei quello che non ho sentito per alcun altro.
CAVALIERE: Ho paura che voi mi vogliate far perdere la mia quiete.
MIRANDOLINA: Oh via, signor Cavaliere, se è un uomo savio, operi da suo pari.
Non dia nelle debolezze degli altri.
In verità, se me n'accorgo, qui non ci vengo più.
Anch'io mi sento un non so che di dentro, che non ho più sentito; ma non voglio impazzire per uomini, e molto meno per uno che ha in odio le donne; e che forse forse per provarmi, e poi burlarsi di me, viene ora con un discorso nuovo a tentarmi.
Signor Cavaliere, mi favorisca un altro poco di Borgogna.
CAVALIERE: Eh! Basta...
(Versa il vino in un bicchiere.)
MIRANDOLINA: (Sta lì lì per cadere).
(Da sé.)
CAVALIERE: Tenete.
(Le dà il bicchiere col vino.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima.
Ma ella non beve?
CAVALIERE: Sì, beverò.
(Sarebbe meglio che io mi ubbriacassi.
Un diavolo scaccerebbe l'altro).
(Da sé, versa il vino nel suo bicchiere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere.
(Con vezzo.)
CAVALIERE: Che c'è?
MIRANDOLINA: Tocchi.
(Gli fa toccare il bicchiere col suo.) Che vivano i buoni amici.
CAVALIERE: Che vivano.
(Un poco languente.)
MIRANDOLINA: Viva...
chi si vuol bene...
senza malizia tocchi!
CAVALIERE: Evviva...
SCENA QUINTA
Il Marchese e detti.
MARCHESE: Son qui ancor io.
E che viva?
CAVALIERE: Come, signor Marchese? (Alterato.)
MARCHESE: Compatite, amico.
Ho chiamato.
Non c'è nessuno.
MIRANDOLINA: Con sua licenza...
(Vuol andar via.)
CAVALIERE: Fermatevi.
(A Mirandolina.) Io non mi prendo con voi cotanta libertà.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Vi domando scusa.
Siamo amici.
Credeva che foste solo.
Mi rallegro vedervi accanto alla nostra adorabile padroncina.
Ah! Che dite? Non è un capo d'opera?
MIRANDOLINA: Signore, io ero qui per servire il signor Cavaliere.
Mi è venuto un poco di male, ed egli mi ha soccorso con un bicchierin di Borgogna.
MARCHESE: È Borgogna quello? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Sì, è Borgogna.
MARCHESE: Ma di quel vero?
CAVALIERE: Almeno l'ho pagato per tale.
MARCHESE: Io me n'intendo.
Lasciate che lo senta, e vi saprò dire se è, o se non è.
CAVALIERE: Ehi! (Chiama.)
SCENA SESTA
Il Servitore colle ova, e detti.
CAVALIERE: Un bicchierino al Marchese.
(Al Servitore.)
MARCHESE: Non tanto piccolo il bicchierino.
Il Borgogna non è liquore.
Per giudicarne bisogna beverne a sufficienza.
SERVITORE: Ecco le ova.
(Vuol metterle in tavola.)
CAVALIERE: Non voglio altro.
MARCHESE: Che vivanda è quella?
CAVALIERE: Ova.
MARCHESE: Non mi piacciono.
(Il Servitore le porta via.)
MIRANDOLINA: Signor Marchese, con licenza del signor Cavaliere, senta quell'intingoletto fatto colle mie mani.
MARCHESE: Oh sì.
Ehi.
Una sedia.
(Il Servitore gli reca una sedia e mette il bicchiere sulla sottocoppa.) Una forchetta.
CAVALIERE: Via, recagli una posata.
(Il Servitore la va a prendere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, ora sto meglio.
Me n'anderò.
(S'alza.)
MARCHESE: Fatemi il piacere, restate ancora un poco.
MIRANDOLINA: Ma signore, ho da attendere a' fatti miei; e poi il signor Cavaliere...
MARCHESE: Vi contentate ch'ella resti ancora un poco? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Che volete da lei?
MARCHESE: Voglio farvi sentire un bicchierino di vin di Cipro che, da che siete al mondo, non avrete sentito il compagno.
E ho piacere che Mirandolina lo senta, e dica il suo parere.
CAVALIERE: Via, per compiacere il signor Marchese, restate.
(A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Il signor Marchese mi dispenserà.
MARCHESE: Non volete sentirlo?
MIRANDOLINA: Un'altra volta, Eccellenza.
CAVALIERE: Via, restate.
MIRANDOLINA: Me lo comanda? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Vi dico che restiate.
MIRANDOLINA: Obbedisco.
(Siede.)
CAVALIERE: (Mi obbliga sempre più).
(Da sé.)
MARCHESE: Oh che roba! Oh che intingolo! Oh che odore! Oh che sapore! (Mangiando.)
CAVALIERE: (Il Marchese avrà gelosia, che siate vicina a me).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Non m'importa di lui né poco, né molto).
(Piano al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Siete anche voi nemica degli uomini?).
(Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Come ella lo è delle donne).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (Queste mie nemiche si vanno vendicando di me).
(Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Come, signore?).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (Eh! furba! Voi vedrete benissimo...).
(Come sopra.)
MARCHESE: Amico, alla vostra salute.
(Beve il vino di Borgogna.)
CAVALIERE: Ebbene? Come vi pare?
MARCHESE: Con vostra buona grazia, non val niente.
Sentite il mio vin di Cipro.
CAVALIERE: Ma dov'è questo vino di Cipro?
MARCHESE: L'ho qui, l'ho portato con me, voglio che ce lo godiamo: ma! è di quello.
Eccolo.
(Tira fuori una bottiglia assai piccola.)
MIRANDOLINA: Per quel che vedo, signor Marchese, non vuole che il suo vino ci vada alla testa.
MARCHESE: Questo? Si beve a gocce, come lo spirito di melissa.
Ehi? Li bicchierini.
(Apre la bottiglia.)
SERVITORE (porta de' bicchierini da vino di Cipro.)
MARCHESE: Eh, son troppo grandi.
Non ne avete di più piccoli? (Copre la bottiglia colla mano.)
CAVALIERE: Porta quei da rosolio.
(Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Io credo che basterebbe odorarlo.
MARCHESE: Uh caro! Ha un odor che consola.
(Lo annusa.)
SERVITORE (porta tre bicchierini sulla sottocoppa.)
MARCHESE (versa pian piano, e non empie li bicchierini, poi lo dispensa al Cavaliere, a Mirandolina, e l'altro per sé, turando bene la bottiglia): Che nettare! Che ambrosia! Che manna distillata! (Bevendo.)
CAVALIERE: (Che vi pare di questa porcheria?).
(A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Lavature di fiaschi).
(Al Cavaliere, piano.)
MARCHESE: Ah! Che dite? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Buono, prezioso.
MARCHESE: Ah! Mirandolina, vi piace?
MIRANDOLINA: Per me, signore, non posso dissimulare; non mi piace, lo trovo cattivo, e non posso dir che sia buono.
Lodo chi sa fingere.
Ma chi sa fingere in una cosa, saprà fingere nell'altre ancora.
CAVALIERE: (Costei mi dà un rimprovero; non capisco il perché).
(Da sé.)
MARCHESE: Mirandolina, voi di questa sorta di vini non ve ne intendete.
Vi compatisco.
Veramente il fazzoletto che vi ho donato, l'avete conosciuto e vi è piaciuto, ma il vin di Cipro non lo conoscete.
(Finisce di bere.)
MIRANDOLINA: (Sente come si vanta?).
(Al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Io non farei così).
(A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Il di lei vanto sta nel disprezzare le donne).
(Come sopra.)
CAVALIERE: (E il vostro nel vincere tutti gli uomini).
(Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Tutti no).
(Con vezzo, al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Tutti sì.) (Con qualche passione, piano a Mirandolina.)
MARCHESE: Ehi? Tre bicchierini politi.
(Al Servitore, il quale glieli porta sopra una sottocoppa.)
MIRANDOLINA: Per me non ne voglio più.
MARCHESE: No, no, non dubitate: non faccio per voi.
(Mette del vino di Cipro nei tre bicchieri.) Galantuomo, con licenza del vostro padrone, andate dal Conte d'Albafiorita, e ditegli per parte mia, forte, che tutti sentano, che lo prego di assaggiare un poco del mio vino di Cipro.
SERVITORE: Sarà servito.
(Questo non li ubbriaca certo.
(Da sé; parte.)
CAVALIERE: Marchese, voi siete assai generoso.
MARCHESE: Io? Domandatelo a Mirandolina.
MIRANDOLINA: Oh certamente!
MARCHESE: L'ha veduto il fazzoletto il Cavaliere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo ha ancora veduto.
MARCHESE: Lo vedrete.
(Al Cavaliere.) Questo poco di balsamo me lo salvo per questa sera.
(Ripone la bottiglia con un dito di vino avanzato.)
MIRANDOLINA: Badi che non gli faccia male, signor Marchese.
MARCHESE: Eh! Sapete che cosa mi fa male? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Che cosa?
MARCHESE: I vostri begli ochhi.
MIRANDOLINA: Davvero?
MARCHESE: Cavaliere mio, io sono innamorato di costei perdutamente.
CAVALIERE: Me ne dispiace.
MARCHESE: Voi non avete mai provato amore per le donne.
Oh, se lo provaste, compatireste ancora me.
CAVALIERE: Sì, vi compatisco.
MARCHESE: E son geloso come una bestia.
La lascio stare vicino a voi, perché so chi siete; per altro non lo soffrirei per centomila doppie.
CAVALIERE: (Costui principia a seccarmi).
(Da sé.)
SCENA SETTIMA
Il Servitore con una bottiglia sulla sottocoppa, e detti.
SERVITORE: Il signor Conte ringrazia V.E., e manda una bottiglia di vino di Canarie.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Oh, oh, vorrà mettere il suo vin di Canarie col mio vino di Cipro? Lascia vedere.
Povero pazzo! È una porcheria, lo conosco all'odore.
(S'alza e tiene la bottiglia in mano.)
CAVALIERE: Assaggiatelo prima.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Non voglio assaggiar niente.
Questa è una impertinenza che mi fa il Conte, compagna di tante altre.
Vuol sempre starmi al di sopra.
Vuol soverchiarmi, vuol provocarmi, per farmi far delle bestialità.
Ma giuro al cielo, ne farò una che varrà per cento.
Mirandolina, se non lo cacciate via, nasceranno delle cose grandi, sì, nasceranno delle cose grandi.
Colui è un temerario.
Io son chi sono, e non voglio soffrire simile affronti.
(Parte, e porta via la bottiglia.)
SCENA OTTAVA
Il Cavaliere, Mirandolina ed il Servitore.
CAVALIERE: Il povero Marchese è pazzo.
MIRANDOLINA: Se a caso mai la bile gli facesse male, ha portato via la bottiglia per ristorarsi.
CAVALIERE: È pazzo, vi dico.
E voi lo avete fatto impazzire.
MIRANDOLINA: Sono di quelle che fanno impazzare gli uomini?
CAVALIERE: Sì, voi siete...
(Con affanno.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, con sua licenza.
(S'alza.)
CAVALIERE: Fermatevi.
MIRANDOLINA: Perdoni; io non faccio impazzare nessuno.
(Andando.)
CAVALIERE: Ascoltatemi.
(S'alza, ma resta alla tavola.)
MIRANDOLINA: Scusi.
(Andando.)
CAVALIERE: Fermatevi, vi dico.
(Con imperio.)
MIRANDOLINA: Che pretende da me? (Con alterezza voltandosi.)
CAVALIERE: Nulla.
(Si confonde.) Beviamo un altro bicchiere di Borgogna.
MIRANDOLINA: Via signore, presto, presto, che me ne vada.
CAVALIERE: Sedete.
MIRANDOLINA: In piedi, in piedi.
CAVALIERE: Tenete.
(Con dolcezza le dà il bicchiere.)
MIRANDOLINA: Faccio un brindisi, e me ne vado subito.
Un brindisi che mi ha insegnato mia nonna.
Viva Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi...
Faccio quel che fate voi.
(Parte.)
SCENA NONA
Il Cavaliere, ed il Servitore.
CAVALIERE: Bravissima, venite qui: sentite.
Ah malandrina! Se nè fuggita.
Se n'è fuggita, e mi ha lasciato cento diavoli che mi tormentano.
SERVITORE: Comanda le frutta in tavola? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va al diavolo ancor tu.
(Il Servitore parte.) Bevo il vin, cogli occhi poi, faccio quel che fate voi? Che brindisi misterioso è questo? Ah maladetta, ti conosco.
Mi vuoi abbattere, mi vuoi assassinare.
Ma lo fa con tanta grazia! Ma sa così bene insinuarsi...
Diavolo, diavolo, me la farai tu vedere? No, anderò a Livorno.
Costei non la voglio più rivedere.
Che non mi venga più tra i piedi.
Maledettissime donne! Dove vi sono donne, lo giuro non vi anderò mai più.
(Parte.)
SCENA DECIMA
Camera del Conte.
Il Conte d'Albafiorita, Ortensia e Dejanira.
CONTE: Il Marchese di Forlipopoli è un carattere curiosissimo.
È nato nobile, non si può negare; ma fra suo padre e lui hanno dissipato, ed ora non ha appena da vivere.
Tuttavolta gli piace fare il grazioso.
ORTENSIA: Si vede che vorrebbe essere generoso, ma non ne ha.
DEJANIRA: Dona quel poco che può, e vuole che tutto il mondo lo sappia.
CONTE: Questo sarebbe un bel carattere per una delle vostre commedie.
ORTENSIA: Aspetti che arrivi la compagnia, e che si vada in teatro, e può darsi che ce lo godiamo.
DEJANIRA: Abbiamo noi dei personaggi, che per imitare i caratteri sono fatti a posta.
CONTE: Ma se volete che ce lo godiamo, bisogna che con lui seguitiate a fingervi dame.
ORTENSIA: Io lo farò certo.
Ma Dejanira subito dà di bianco.
DEJANIRA: Mi vien da ridere, quando i gonzi mi credono una signora.
CONTE: Con me avete fatto bene a scoprirvi.
In questa maniera mi date campo di far qualche cosa in vostro vantaggio.
ORTENSIA: Il signor Conte sarà il nostro protettore.
DEJANIRA: Siamo amiche, goderemo unitamente le di lei grazie.
CONTE: Vi dirò, vi parlerò con sincerità.
Vi servirò, dove potrò farlo, ma ho un certo impegno, che non mi permetterà frequentare la vostra casa.
ORTENSIA: Ha qualche amoretto, signor Conte?
CONTE: Sì, ve lo dirò in confidenza.
La padrona della locanda.
ORTENSIA: Capperi! Veramente una gran signora! Mi meraviglio di lei, signor Conte, che si perda con una locandiera!
DEJANIRA: Sarebbe minor male, che si compiacesse d'impiegare le sue finezze per una comica.
CONTE: Il far all'amore con voi altre, per dirvela, mi piace poco.
Ora ci siete, ora non ci siete.
ORTENSIA: Non è meglio così, signore? In questa maniera non si eternano le amicizie, e gli uomini non si rovinano.
CONTE: Ma io, tant'è, sono impegnato; le voglio bene, e non la vo' disgustare.
DEJANIRA: Ma che cosa ha di buono costei?
CONTE: Oh! Ha del buono assai.
ORTENSIA: Ehi, Dejanira.
È bella, rossa.
(Fa cenno che si belletta.)
CONTE: Ha un grande spirito.
DEJANIRA: Oh, in materia di spirito, la vorreste mettere con noi?
CONTE: Ora basta.
Sia come esser si voglia; Mirandolina mi piace, e se volete la mia amicizia, avete a dirne bene, altrimenti fate conto di non avermi mai conosciuto.
ORTENSIA: Oh signor Conte, per me dico che Mirandolina è una dea Venere.
DEJANIRA: Sì, sì, vero.
Ha dello spirito, parla bene.
CONTE: Ora mi date gusto.
ORTENSIA: Quando non vuol altro, sarà servito.
CONTE: Oh! Avete veduto quello ch'è passato per sala? (Osservando dentro la scena.)
ORTENSIA: L'ho veduto.
CONTE: Quello è un altro bel carattere da commedia.
ORTENSIA: È uno che non può vedere le donne.
DEJANIRA: Oh che pazzo!
ORTENSIA: Avrà qualche brutta memoria di qualche donna.
CONTE: Oibò; non è mai stato innamorato.
Non ha mai voluto trattar con donne.
Le sprezza tutte, e basta dire che egli disprezza ancora Mirandolina.
ORTENSIA: Poverino! Se mi ci mettessi attorno io, scommetto lo farei cambiare opinione.
DEJANIRA: Veramente una gran cosa! Questa è un'impresa che la vorrei pigliare sopra di me.
CONTE: Sentite, amiche.
Così per puro divertimento.
Se vi dà l'anima d'innamorarlo, da cavaliere vi faccio un bel regalo.
ORTENSIA: Io non intendo essere ricompensata per questo: lo farò per mio spasso.
DEJANIRA: Se il signor Conte vuol usarci qualche finezza, non l'ha da fare per questo.
Sinché arrivano i nostri compagni, ci divertiremo un poco.
CONTE: Dubito che non farete niente.
ORTENSIA: Signor Conte, ha ben poca stima di noi.
DEJANIRA: Non siamo vezzose come Mirandolina; ma finalmente sappiamo qualche poco il viver del mondo.
CONTE: Volete che lo mandiamo a chiamare?
ORTENSIA: Faccia come vuole.
CONTE: Ehi? Chi è di là?
SCENA UNDICESIMA
Il Servitore del Conte, e detti.
CONTE: Di' al Cavaliere di Ripafratta, che favorisca venir da me, che mi preme di parlargli.
(Al Servitore.)
SERVITORE: Nella sua camera so che non c'è.
CONTE: L'ho veduto andar verso la cucina.
Lo troverai.
SERVITORE: Subito.
(Parte.)
CONTE: (Che mai è andato a far verso la cucina? Scommetto che è andato a strapazzare Mirandolina, perché gli ha dato mal da mangiare).
(Da sé.)
ORTENSIA: Signor Conte, io aveva pregato il signor Marchese che mi mandasse il suo calzolaro, ma ho paura di non vederlo.
CONTE: Non pensate altro.
Vi servirò io.
DEJANIRA: A me aveva il signor Marchese promesso un fazzoletto.
Ma! ora me lo porta!
CONTE: De' fazzoletti ne troveremo.
DEJANIRA: Egli è che ne avevo proprio di bisogno.
CONTE: Se questo vi gradisce, siete padrona.
È pulito.
(Le offre il suo di seta.)
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue finezze.
CONTE: Oh! Ecco il Cavaliere.
Sarà meglio che sostenghiate il carattere di dame, per poterlo meglio obbligare ad ascoltarvi per civiltà.
Ritiratevi un poco indietro; che, se vi vede, fugge.
ORTENSIA: Come si chiama?
CONTE: Il Cavaliere di Ripafratta, toscano.
DEJANIRA: Ha moglie?
CONTE: Non può vedere le donne.
ORTENSIA: È ricco? (Ritirandosi.)
CONTE: Sì, Molto.
DEJANIRA: È generoso? (Ritirandosi.)
CONTE: Piuttosto.
DEJANIRA: Venga, venga.
(Si ritira.)
ORTENSIA: Tempo, e non dubiti.
(Si ritira.)
SCENA DODICESIMA
Il Cavaliere e detti.
CAVALIERE: Conte, siete voi che mi volete?
CONTE: Sì; io v'ho dato il presente incomodo.
CAVALIERE: Che cosa posso fare per servirvi?
CONTE: Queste due dame hanno bisogno di voi.
(Gli addita le due donne, le quali subito s'avanzano.)
CAVALIERE: Disimpegnatemi.
Io non ho tempo di trattenermi.
ORTENSIA: Signor Cavaliere, non intendo di recargli incomodo.
DEJANIRA: Una parola in grazia, signor Cavaliere.
CAVALIERE: Signore mie, vi supplico perdonarmi.
Ho un affar di premura.
ORTENSIA: In due parole vi sbrighiamo.
DEJANIRA: Due paroline, e non più, signore.
CAVALIERE: (Maledettissimo Conte!).
(Da sé.)
CONTE: Caro amico, due dame che pregano, vuole la civiltà che si ascoltino.
CAVALIERE: Perdonate.
In che vi posso servire? (Alle donne, con serietà.)
ORTENSIA: Non siete voi toscano, signore?
CAVALIERE: Sì, signora.
DEJANIRA: Avrete degli amici in Firenze?
CAVALIERE: Ho degli amici, e ho de' parenti.
DEJANIRA: Sappiate, signore...
Amica, principiate a dir voi.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Dirò, signor Cavaliere...
Sappia che un certo caso...
CAVALIERE: Via, signore, vi supplico.
Ho un affar di premura.
CONTE: Orsù, capisco che la mia presenza vi dà soggezione.
Confidatevi con libertà al Cavaliere, ch'io vi levo l'incomodo.
(Partendo.)
CAVALIERE: No, amico, restate...
Sentite.
CONTE: So il mio dovere.
Servo di lor signore.
(Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.
ORTENSIA: Favorisca, sediamo.
CAVALIERE: Scusi, non ho volontà di sedere.
DEJANIRA: Così rustico colle donne?
CAVALIERE: Favoriscano dirmi che cosa vogliono.
ORTENSIA: Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra bontà.
CAVALIERE: Che cosa vi è accaduto?
DEJANIRA: I nostri mariti ci hanno abbandonate.
CAVALIERE: Abbandonate? Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (Con alterezza.)
DEJANIRA: Amica, non vado avanti sicuro.
(Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (È tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io).
(Da sé.)
CAVALIERE: Signore, vi riverisco.
(In atto di partire.)
ORTENSIA: Come! Così ci trattate?
DEJANIRA: Un cavaliere tratta così?
CAVALIERE: Perdonatemi.
Io son uno che ama assai la mia pace.
Sento due dame abbandonate dai loro mariti.
Qui ci saranno degl'impegni non pochi; io non sono atto a' maneggi.
Vivo a me stesso.
Dame riveritissime, da me non potete sperare né consiglio, né aiuto.
ORTENSIA: Oh via, dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro amabilissimo Cavaliere.
DEJANIRA: Sì, parliamogli con sincerità.
CAVALIERE: Che nuovo linguaggio è questo?
ORTENSIA: Noi non siamo dame.
CAVALIERE: No?
DEJANIRA: Il signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.
CAVALIERE: Lo scherzo è fatto.
Vi riverisco.
(Vuol partire.)
ORTENSIA: Fermatevi un momento.
CAVALIERE: Che cosa volete?
DEJANIRA: Degnateci per un momento della vostra amabile conversazione.
CAVALIERE: Ho che fare.
Non posso trattenermi.
ORTENSIA: Non vi vogliamo già mangiar niente.
DEJANIRA: Non vi leveremo la vostra reputazione.
ORTENSIA: Sappiamo che non potete vedere le donne.
CAVALIERE: Se lo sapete, l'ho caro.
Vi riverisco.
(Vuol partire.)
ORTENSIA: Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi ombra.
CAVALIERE: Chi siete?
ORTENSIA: Diteglielo voi, Dejanira.
DEJANIRA: Glielo potete dire anche voi.
CAVALIERE: Via, chi siete?
ORTENSIA: Siamo due commedianti.
CAVALIERE: Due commedianti! Parlate, parlate, che non ho più paura di voi.
Son ben prevenuto in favore dell'arte vostra.
ORTENSIA: Che vuol dire? Spiegatevi.
CAVALIERE: So che fingete in iscena e fuor di scena; e con tal prevenzione non ho paura di voi.
DEJANIRA: Signore, fuori di scena io non so fingere.
CAVALIERE: Come si chiama ella? La signora Sincera? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Io mi chiamo...
CAVALIERE: È ella la signora Buonalana? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Caro signor Cavaliere...
CAVALIERE: Come si diletta di miccheggiare? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Io non sono...
CAVALIERE: I gonzi come li tratta, padrona mia? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Non son di quelle...
CAVALIERE: Anch'io so parlar in gergo.
ORTENSIA: Oh che caro signor Cavaliere! (Vuol prenderlo per un braccio.)
CAVALIERE: Basse le cere.
(Dandole nelle mani.)
ORTENSIA: Diamine! Ha più del contrasto, che del Cavaliere.
CAVALIERE: Contrasto vuol dire contadino.
Vi ho capito.
E vi dirò che siete due impertinenti.
DEJANIRA: A me questo?
ORTENSIA: A una donna della mia sorte?
CAVALIERE: Bello quel viso trionfato! (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Asino!).
(Parte.)
CAVALIERE: Bello quel tuppè finto! (A Dejanira.)
DEJANIRA: (Maledetto).
(Parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
Il Cavaliere, poi il di lui Servitore.
CAVALIERE: Ho trovata ben io la maniera di farle andare.
Che si pensavano? Di tirarmi nella rete? Povere sciocche! Vadano ora dal Conte e gli narrino la bella scena.
Se erano dame, per rispetto mi conveniva fuggire; ma quando posso, le donne le strapazzo col maggior piacere del mondo.
Non ho però potuto strapazzar Mirandolina.
Ella mi ha vinto con tanta civiltà, che mi trovo obbligato quasi ad amarla.
Ma è donna; non me ne voglio fidare.
Voglio andar via.
Domani anderò via.
Ma se aspetto a domani? Se vengo questa sera a dormir a casa, chi mi assicura che Mirandolina non finisca a rovinarmi? (Pensa.) Sì; facciamo una risoluzione da uomo.
SERVITORE: Signore.
CAVALIERE: Che cosa vuoi?
SERVITORE: Il signor Marchese è nella di lei camera che l'aspetta, perché desidera di parlargli.
CAVALIERE: Che vuole codesto pazzo? Denari non me ne cava più di sotto.
Che aspetti, e quando sarà stracco di aspettare, se n'anderà.
Va dal cameriere della locanda e digli che subito porti il mio conto.
SERVITORE: Sarà obbedita.
(In atto di partire.)
CAVALIERE: Senti.
Fa che da qui a due ore siano pronti i bauli.
SERVITORE: Vuol partire forse?
CAVALIERE: Sì, portami qui la spada ed il cappello, senza che se n'accorga il Marchese.
SERVITORE: Ma se mi vede fare i bauli?
CAVALIERE: Dica ciò che vuole.
M'hai inteso.
SERVITORE: (Oh, quanto mi dispiace andar via, per causa di Mirandolina!), (Da sé, parte.)
CAVALIERE: Eppure è vero.
Io sento nel partir di qui una dispiacenza nuova, che non ho mai provata.
Tanto peggio per me, se vi restassi.
Tanto più presto mi conviene partire.
Sì, donne, sempre più dirò male di voi; sì, voi ci fate del male, ancora quando ci volete fare del bene.
SCENA QUINDICESIMA
Fabrizio e detto.
FABRIZIO: È vero, signore, che vuole il conto?
CAVALIERE: Sì, l'avete portato?
FABRIZIO: Adesso la padrona lo fa.
CAVALIERE: Ella fa i conti?
FABRIZIO: Oh, sempre ella.
Anche quando viveva suo padre.
Scrive e sa far di conto meglio di qualche giovane di negozio.
CAVALIERE: (Che donna singolare è costei!).
(Da sé.)
FABRIZIO: Ma vuol ella andar via così presto?
CAVALIERE: Sì, così vogliono i miei affari.
FABRIZIO: La prego di ricordarsi del cameriere.
CAVALIERE: Portate il conto, e so quel che devo fare.
FABRIZIO: Lo vuol qui il conto?
CAVALIERE: Lo voglio qui; in camera per ora non ci vado.
FABRIZIO: Fa bene; in camera sua vi è quel seccatore del signor Marchese.
Carino! Fa l'innamorato della padrona; ma può leccarsi le dita.
Mirandolina deve esser mia moglie.
CAVALIERE: Il conto.
(Alterato.)
FABRIZIO: La servo subito.
(Parte.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Tutti sono invaghiti di Mirandolina.
Non è maraviglia, se ancor io principiava a sentirmi accendere.
Ma anderò via; supererò questa incognita forza...
Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano.
Mi porterà il conto.
Che cosa ho da fare? Convien soffrire quest'ultimo assalto.
Già da qui a due ore io parto.
SCENA DICIASSETTESIMA
Mirandolina con un foglio in mano, e detto.
MIRANDOLINA: Signore.
(Mestamente.)
CAVALIERE: Che c'è, Mirandolina?
MIRANDOLINA: Perdoni.
(Stando indietro.)
CAVALIERE: Venite avanti.
MIRANDOLINA: Ha domandato il suo conto; l'ho servita.
(Mestamente.)
CAVALIERE: Date qui.
MIRANDOLINA: Eccolo.
(Si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto.)
CAVALIERE: Che avete? Piangete?
MIRANDOLINA: Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi.
CAVALIERE: Del fumo negli occhi? Eh! basta...
quanto importa il conto? (legge.) Venti paoli? In quattro giorni un trattamento si generoso: venti paoli?
MIRANDOLINA: Quello è il suo conto.
CAVALIERE: E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono nel conto?
MIRANDOLINA: Perdoni.
Quel ch'io dono, non lo metto in conto.
CAVALIERE: Me li avete voi regalati?
MIRANDOLINA: Perdoni la libertà.
Gradisca per un atto di...
(Si copre, mostrando di piangere.)
CAVALIERE: Ma che avete?
MIRANDOLINA: Non so se sia il fumo, o qualche flussione di occhi.
CAVALIERE: Non vorrei che aveste patito, cucinando per me quelle due preziose vivande.
MIRANDOLINA: Se fosse per questo, lo soffrirei...
volentieri...
(Mostra trattenersi di piangere.)
CAVALIERE: (Eh, se non vado via!).
(Da sé.) Orsù, tenete.
Queste sono due doppie.
Godetele per amor mio...
e compatitemi...
(S'imbroglia.)
MIRANDOLINA (senza parlare, cade come svenuta sopra una sedia.)
CAVALIERE: Mirandolina.
Ahimè! Mirandolina.
È svenuta.
Che fosse innamorata di me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina...
Cara? Io cara ad una donna? Ma se è svenuta per me.
Oh, come tu sei bella! Avessi qualche cosa per farla rinvenire.
Io che non pratico donne, non ho spiriti, non ho ampolle.
Chi è di là? Vi è nessuno? Presto?...
Anderò io.
Poverina! Che tu sia benedetta! (Parte, e poi ritorna.)
MIRANDOLINA: Ora poi è caduto affatto.
Molte sono le nostre armi, colle quali si vincono gli uomini.
Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è uno svenimento.
Torna, torna.
(Si mette come sopra.)
CAVALIERE (torna con un vaso d'acqua.): Eccomi, eccomi.
E non è ancor rinvenuta.
Ah, certamente costei mi ama.
(La spruzza, ed ella si va movendo.) Animo, animo.
Son qui cara.
Non partirò più per ora.
SCENA DICIOTTESIMA
Il Servitore colla spada e cappello, e detti.
SERVITORE: Ecco la spada ed il cappello.
(Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va via.
(Al Servitore, con ira.)
SERVITORE: I bauli...
CAVALIERE: Va via, che tu sia maledetto.
SERVITORE: Mirandolina...
CAVALIERE: Va, che ti spacco la testa.
(Lo minaccia col vaso; il Servitore parte.) E non rinviene ancora? La fronte le suda.
Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite gli occhi.
Parlatemi con libertà.
SCENA DICIANNOVESIMA
Il Marchese ed il Conte, e detti.
MARCHESE: Cavaliere?
CONTE: Amico?
CAVALIERE: (Oh maldetti!).
(Va smaniando.)
MARCHESE: Mirandolina.
MIRANDOLINA: Oimè! (S'alza.)
MARCHESE: Io l'ho fatta rinvenire.
CONTE: Mi rallegro, signor Cavaliere.
MARCHESE: Bravo quel signore, che non può vedere le donne.
CAVALIERE: Che impertinenza?
CONTE: Siete caduto?
CAVALIERE: Andate al diavolo quanti siete.
(Getta il vaso in terra, e lo rompe verso il Conte ed il Marchese, e parte furiosamente.)
CONTE: Il Cavaliere è diventato pazzo.
(Parte.)
MARCHESE: Di questo affronto voglio soddisfazione.
(Parte.)
MIRANDOLINA: L'impresa è fatta.
Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere.
Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso.
(Parte.)
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera di Mirandolina con tavolino e biancheria da stirare.
Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Orsù, l'ora del divertimento è passata.
Voglio ora badare a' fatti miei.
Prima che questa biancheria si prosciughi del tutto, voglio stirarla.
Ehi, Fabrizio.
FABRIZIO: Signora.
MIRANDOLINA: Fatemi un piacere.
Portatemi il ferro caldo.
FABRIZIO: Signora sì.
(Con serietà, in atto di partire.)
MIRANDOLINA: Scusate, se do a voi questo disturbo.
FABRIZIO: Niente, signora.
Finché io mangio il vostro pane, sono obbligato a servirvi.
(Vuol partire.)
MIRANDOLINA: Fermatevi; sentite: non siete obbligato a servirmi in queste cose; ma so che per me lo fate volentieri ed io...
basta, non dico altro.
FABRIZIO: Per me vi porterei l'acqua colle orecchie.
Ma vedo che tutto è gettato via.
MIRANDOLINA: Perché gettato via? Sono forse un'ingrata?
FABRIZIO: Voi non degnate i poveri uomini.
Vi piace troppo la nobiltà.
MIRANDOLINA: Uh povero pazzo! Se vi potessi dir tutto! Via, via andatemi a pigliar il ferro.
FABRIZIO: Ma se ho veduto io con questi miei occhi...
MIRANDOLINA: Andiamo, meno ciarle.
Portatemi il ferro.
FABRIZIO: Vado, vado, vi servirò, ma per poco.
(Andando.)
MIRANDOLINA: Con questi uomini, più che loro si vuol bene, si fa peggio.
(Mostrando parlar da sé, ma per esser sentita.)
FABRIZIO: Che cosa avete detto? (Con tenerezza, tornando indietro.)
MIRANDOLINA: Via, mi portate questo ferro?
FABRIZIO: Sì, ve lo porto.
(Non so niente.
Ora la mi tira su, ora la mi butta giù.
Non so niente).
(Da sé, parte.)
SCENA SECONDA
Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.
MIRANDOLINA: Povero sciocco! Mi ha da servire a suo marcio dispetto.
Mi par di ridere a far che gli uomini facciano a modo mio.
E quel caro signor Cavaliere, ch'era tanto nemico delle donne? Ora, se volessi, sarei padrona di fargli fare qualunque bestialità.
SERVITORE: Signora Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che c'è, amico?
SERVITORE: Il mio padrone la riverisce, e manda a vedere come sta!
MIRANDOLINA: Ditegli che sto benissimo.
SERVITORE: Dice così, che beva un poco di questo spirito di melissa, che le farà assai bene.
(Le dà una boccetta d'oro.)
MIRANDOLINA: È d'oro questa boccetta?
SERVITORE: Sì signora, d'oro, lo so di sicuro.
MIRANDOLINA: Perché non mi ha dato lo spirito di melissa, quando mi è venuto quell'orribile svenimento?
SERVITORE: Allora questa boccetta egli non l'aveva.
MIRANDOLINA: Ed ora come l'ha avuta?
SERVITORE: Sentite.
In confidenza.
Mi ha mandato ora a chiamar un orefice, l'ha comprata, e l'ha pagata dodici zecchini; e poi mi ha mandato dallo speziale e comprar lo spirito.
MIRANDOLINA: Ah, ah,ah.
(Ride.)
SERVITORE: Ridete?
MIRANDOLINA: Rido, perché mi manda il medicamento, dopo che son guarita del male.
SERVITORE: Sarà buono per un'altra volta.
MIRANDOLINA: Via, ne beverò un poco per preservativo.
(Beve.) Tenete, ringraziatelo.
(Gli vuol dar la boccetta.)
SERVITORE: Oh! la boccetta è vostra.
MIRANDOLINA: Come mia?
SERVITORE: Sì.
Il padrone l'ha comprata a posta.
MIRANDOLINA: A posta per me?
SERVITORE: Per voi; ma zitto.
MIRANDOLINA: Portategli la sua boccetta, e ditegli che lo ringrazio.
SERVITORE: Eh via.
MIRANDOLINA: Vi dico che gliela portiate, che non la voglio.
SERVITORE: Gli volete fare quest'affronto?
MIRANDOLINA: Meno ciarle.
Fate il vostro dovere.
Tenete.
SERVITORE: Non occorr'altro.
Gliela porterò.
(Oh che donna! Ricusa dodici zecchini! Una simile non l'ho più ritrovata, e durerò fatica a trovarla).
(Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Uh, è cotto, stracotto e biscottato! Ma siccome quel che ho fatto con lui, non l'ho fatto per interesse, voglio ch'ei confessi la forza delle donne, senza poter dire che sono interessate e venali.
FABRIZIO: Ecco qui il ferro.
(Sostenuto, col ferro da stirare in mano.)
MIRANDOLINA: È ben caldo?
FABRIZIO: Signora sì, è caldo; così foss'io abbruciato.
MIRANDOLINA: Che cosa vi è di nuovo?
FABRIZIO: Questo signor Cavaliere manda le ambasciate, manda i regali.
Il Servitore me l'ha detto.
MIRANDOLINA: Signor sì, mi ha mandato una boccettina d'oro, ed io gliel'ho rimandata indietro.
FABRIZIO: Gliel'avete rimandata indietro?
MIRANDOLINA: Sì, domandatelo al Servitore medesimo.
FABRIZIO: Perché gliel'avete rimandata indietro?
MIRANDOLINA: Perché...
Fabrizio...
non dica...
Orsù, non parliamo altro.
FABRIZIO: Cara Mirandolina, compatitemi.
MIRANDOLINA: Via, andate, lasciatemi stirare.
FABRIZIO: Io non v'impedisco di fare...
MIRANDOLINA: Andatemi a preparare un altro ferro, e quando è caldo, portatelo.
FABRIZIO: Sì, vado.
Credetemi, che se parlo...
MIRANDOLINA: Non dite altro.
Mi fate venire la rabbia.
FABRIZIO: Sto cheto.
(Ell'è una testolina bizzarra, ma le voglio bene).
(Da sé, parte.)
MIRANDOLINA: Anche questa è buona.
Mi faccio merito con Fabrizio d'aver ricusata la boccetta d'oro del Cavaliere.
Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di disinvoltura.
In materia d'accortezza, non voglio che si dica ch'io faccia torto al sesso.
(Va stirando.)
SCENA QUARTA
Il Cavaliere e detta.
CAVALIERE: (Eccola.
Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha strascinato!.
(Da sé, indietro.)
MIRANDOLINA: (Eccolo, eccolo).
(Lo vede colla coda dell'occhio, e stira.)
CAVALIERE: Mirandolina?
MIRANDOLINA: Oh signor Cavaliere! Serva umilissima.
(Stirando.)
CAVALIERE: Come state?
MIRANDOLINA: Benissimo, per servirla.
(Stirando senza guardarlo.)
CAVALIERE: Ho motivo di dolermi di voi.
MIRANDOLINA: Perché, signore? (Guardandolo un poco.)
CAVALIERE: Perché avete ricusato una piccola boccettina, che vi ho mandato.
MIRANDOLINA: Che voleva ch'io ne facessi? (Stirando.)
CAVALIERE: Servirvene nelle occorrenze.
MIRANDOLINA: Per grazia del cielo, non sono soggetta agli svenimenti.
Mi è accaduto oggi quello che mi è accaduto mai più.
(Stirando.)
CAVALIERE: Cara mirandolina...
non vorrei esser io stato cagione di quel funesto accidente.
MIRANDOLINA: Eh sì, ho timore che ella appunto ne sia stata la causa.
(Stirando.)
CAVALIERE: Io? Davvero? (Con passione.)
MIRANDOLINA: Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male.
(Stirando con rabbia.)
CAVALIERE: Come? Possibile? (Rimane mortificato.)
MIRANDOLINA: È così senz'altro.
In camera sua non ci vengo mai più.
(Stirando.)
CAVALIERE: V'intendo.
In camera mia non ci verrete più? Capisco il mistero.
Sì, lo capisco.
Ma veniteci, cara, che vi chiamerete contenta.
(Amoroso.)
MIRANDOLINA: Questo ferro è poco caldo.
Ehi; Fabrizio? se l'altro ferro è caldo, portatelo.
(Forte verso la scena.)
CAVALIERE: Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.
MIRANDOLINA: In verità, signor Cavaliere, dei regali io non ne prendo.
(Con disprezzo, stirando.)
CAVALIERE: Li avete pur presi dal Conte d'Albafiorita.
MIRANDOLINA: Per forza.
Per non disgustarlo.
(Stirando.)
CAVALIERE: E vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?
MIRANDOLINA: Che importa a lei, che una donna la disgusti? Già le donne non le può vedere.
CAVALIERE: Ah, Mirandolina! ora non posso dire così.
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, a che ora fa la luna nuova?
CAVALIERE: Il mio cambiamento non è lunatico.
Questo è un prodigio della vostra bellezza, della vostra grazia.
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah.
(Ride forte, e stira.)
CAVALIERE: Ridete?
MIRANDOLINA: Non vuol che rida? Mi burla, e non vuol ch'io rida?
CAVALIERE: Eh furbetta! Vi burlo eh? Via, prendete questa boccetta.
MIRANDOLINA: Grazie, grazie.
(Stirando.)
CAVALIERE: Prendetela, o mi farete andare in collera.
MIRANDOLINA: Fabrizio, il ferro.
(Chiamando forte, con caricatura.)
CAVALIERE: La prendete, o non la prendete? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Furia, furia.
(Prende la boccetta, e con disprezzo la getta nel paniere della biancheria.)
CAVALIERE: La gettate così?
MIRANDOLINA: Fabrizio! (Chiama forte, come sopra.)
SCENA QUINTA
Fabrizio col ferro, e detti.
FABRIZIO: Son qua.
(Vedendo il Cavaliere, s'ingelosisce.)
MIRANDOLINA: È caldo bene? (Prende il ferro.)
FABRIZIO: Signora sì.
(Sostenuto.)
MIRANDOLINA: Che avete, che mi parete turbato? (A Fabrizio, con tenerezza.)
FABRIZIO: Niente, padrona, niente.
MIRANDOLINA: Avete male? (Come sopra.)
FABRIZIO: Datemi l'altro ferro, se volete che lo metta nel fuoco.
MIRANDOLINA: In verità, ho paura che abbiate male.
(Come sopra.)
CAVALIERE: Via, dategli il ferro, e che se ne vada.
MIRANDOLINA: Gli voglio bene, sa ella? È il mio cameriere fidato.
(Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Non posso più).
(Da sé, smaniando.)
MIRANDOLINA: Tenete, caro, scaldatelo.
(Dà il ferro a Fabrizio.)
FABRIZIO: Signora padrona...
(Con tenerezza.)
MIRANDOLINA: Via, via, presto.
(Lo scaccia.)
FABRIZIO: (Che vivere è questo? Sento che non posso più).
(Da sé, parte.)
SCENA SESTA
Il Cavaliere e Mirandolina.
CAVALIERE: Gran finezze, signora, al suo cameriere!
MIRANDOLINA: E per questo, che cosa vorrebbe dire?
CAVALIERE: Si vede che ne siete invaghita.
MIRANDOLINA: Io innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento, signore; non sono di sì cattivo gusto io.
Quando volessi amare, non getterei il mio tempo sì malamente.
(Stirando.)
CAVALIERE: Voi meritereste l'amore di un re.
MIRANDOLINA: Del re di spade, o del re di coppe? (Stirando.)
CAVALIERE: Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli scherzi.
MIRANDOLINA: Parli pure, che io l'ascolto.
(Stirando.)
CAVALIERE: Non potreste per un poco lasciar di stirare?
MIRANDOLINA: Oh perdoni! Mi preme allestire questa biancheria per domani.
CAVALIERE: Vi preme dunque quella biancheria più di me?
MIRANDOLINA: Sicuro.
(Stirando.)
CAVALIERE: E ancora lo confermate?
MIRANDOLINA: Certo.
Perché di questa biancheria me ne ho da servire, e di lei non posso far capitale di niente.
(Stirando.)
CAVALIERE: Anzi potete dispor di me con autorità.
MIRANDOLINA: Eh, che ella non può vedere le donne.
CAVALIERE: Non mi tormentate più.
Vi siete vendicata abbastanza.
Stimo voi, stimo le donne che sono della vostra sorte, se pur ve ne sono.
Vi stimo, vi amo, e vi domando pietà.
MIRANDOLINA: Sì signore, glielo diremo.
(Stirando in fretta, si fa cadere un manicotto.)
CAVALIERE (leva di terra il manicotto, e glielo dà): Credetemi...
MIRANDOLINA: Non s'incomodi.
CAVALIERE: Voi meritate di esser servita.
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah.
(Ride forte.)
CAVALIERE: Ridete?
MIRANDOLINA: Rido, perché mi burla.
CAVALIERE: Mirandolina, non posso più.
MIRANDOLINA: Le vien male?
CAVALIERE: Sì, mi sento mancare.
MIRANDOLINA: Tenga il suo spirito di melissa.
(Gli getta con disprezzo la boccetta.)
CAVALIERE: Non mi trattate con tanta asprezza.
Credetemi, vi amo, ve lo giuro.
(Vuol prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta.) Aimè!
MIRANDOLINA: Perdoni: non l'ho fatto apposta.
CAVALIERE: Pazienza! Questo è niente.
Mi avete fatto una scottatura più grande.
MIRANDOLINA: Dove, signore?
CAVALIERE: Nel cuore.
MIRANDOLINA: Fabrizio.
(Chiama ridendo.)
CAVALIERE: Per carità, non chiamate colui.
MIRANDOLINA: Ma se ho bisogno dell'altro ferro.
CAVALIERE: Aspettate...
(ma no...) chiamerò il mio servitore.
MIRANDOLINA: Eh! Fabrizio...
(Vuol chiamare Fabrizio.)
CAVALIERE: Giuro al cielo, se viene colui, gli spacco la testa.
MIRANDOLINA: Oh, questa è bella! Non mi potrò servire della mia gente?
CAVALIERE: Chiamate un altro; colui non lo posso vedere.
MIRANDOLINA: Mi pare ch'ella si avanzi un poco troppo, signor Cavaliere.
(Si scosta dal tavolino col ferro in mano.)
CAVALIERE: Compatitemi...
son fuori di me.
MIRANDOLINA: Anderò io in cucina, e sarà contento.
CAVALIERE: No, cara, fermatevi.
MIRANDOLINA: È una cosa curiosa questa.
(Passeggiando.)
CAVALIERE: Compatitemi.
(Le va dietro.)
MIRANDOLINA: Non posso chiamar chi voglio? (Passeggia.)
CAVALIERE: Lo confesso.
Ho gelosia di colui.
(Le va dietro.)
MIRANDOLINA: (Mi vien dietro come un cagnolino).
(Da sé, passeggiando.)
CAVALIERE: Questa è la prima volta ch'io provo che cosa sia amore.
MIRANDOLINA: Nessuno mi ha mai comandato.
(Camminando.)
CAVALIERE: Non intendo di comandarvi: vi prego.
(La segue.)
MIRANDOLINA: Ma che cosa vuole da me? (Voltandosi con alterezza.)
CAVALIERE: Amore, compassione, pietà.
MIRANDOLINA: Un uomo che stamattina non poteva vedere le donne, oggi chiede amore e pietà? Non gli abbado, non può essere, non gli credo.
(Crepa, schiatta, impara a disprezzar le donne).
(Da sé, parte.)
SCENA SETTIMA
CAVALIERE (solo): Oh maledetto il punto, in cui ho principiato a mirar costei! Son caduto nel laccio, e non vi è più rimedio.
SCENA OTTAVA
Il Marchese e detto.
MARCHESE: Cavaliere, voi mi avete insultato.
CAVALIERE: Compatitemi, fu un accidente.
MARCHESE: Mi meraviglio di voi.
CAVALIERE: Finalmente il vaso non vi ha colpito.
MARCHESE: Una gocciola d'acqua mi ha macchiato il vestito.
CAVALIERE: Torno a dir, compatitemi.
MARCHESE: Questa è una impertinenza.
CAVALIERE: Non l'ho fatto apposta.
Compatitemi per la terza volta.
MARCHESE: Voglio soddisfazione.
CAVALIERE: Se non volete compatirmi, se volete soddisfazione, son qui, non ho soggezione di voi.
MARCHESE: Ho paura che questa macchia non voglia andar via; questo è quello che mi fa andare in collera.
(Cangiandosi.)
CAVALIERE: Quando un cavalier vi chiede scusa, che pretendete di più? (Con isdegno.)
MARCHESE: Se non l'avete fatto a malizia, lasciamo stare.
CAVALIERE: Vi dico, che son capace di darvi qualunque soddisfazione.
MARCHESE: Via, non parliamo altro.
CAVALIERE: Cavaliere malnato.
MARCHESE: Oh questa è bella! A me è passata la collera, e voi ve la fate venire.
CAVALIERE: Ora per l'appunto mi avete trovato in buona luna.
MARCHESE: Vi compatisco, so che male avete.
CAVALIERE: I fatti vostri io non li ricerco.
MARCHESE: Signor inimico delle donne, ci siete caduto eh?
CAVALIERE: Io? Come?
MARCHESE: Sì, siete innamorato...
CAVALIERE: Sono il diavolo che vi porti.
MARCHESE: Che serve nascondersi?...
CAVALIERE: Lasciatemi stare, che giuro al cielo ve ne farò pentire.
(Parte.)
SCENA NONA
MARCHESE (solo): È innamorato, si vergogna, e non vorrebbe che si sapesse.
Ma forse non vorrà che si sappia, perché ha paura di me; avrà soggezione a dichiararsi per mio rivale.
Mi dispiace assaissimo di questa macchia; se sapessi come fare a levarla! Queste donne sogliono avere della terra da levar le macchie.
(Osserva nel tavolino e nel paniere.) Bella questa boccetta! Che sia d'oro o di princisbech? Eh, sarà di princisbech: se fosse d'oro, non la lascerebbero qui; se vi fosse dell'acqua della regina, sarebbe buona per levar questa macchia.
(Apre, odora e gusta.) È spirito di melissa.
Tant'è tanto sarà buono.
Voglio provare.
SCENA DECIMA
Dejanira e detto.
DEJANIRA: Signor Marchese, che fa qui solo? Non favorisce mai?
MARCHESE: Oh signora Contessa.
Veniva or ora per riverirla.
DEJANIRA: Che cosa stava facendo?
MARCHESE: Vi dirò.
Io sono amantissimo della pulizia.
Voleva levare questa piccola macchia.
DEJANIRA: Con che, signore?
MARCHESE: Con questo spirito di melissa.
DEJANIRA: Oh perdoni, lo spirito di melissa non serve, anzi farebbe venire la macchia più grande.
MARCHESE: Dunque, come ho da fare?
DEJANIRA: Ho io un segreto per cavar le macchie.
MARCHESE: Mi farete piacere a insegnarmelo.
DEJANIRA: Volentieri.
M'impegno con uno scudo far andar via quella macchia, che non si vedrà nemmeno dove sia stata.
MARCHESE: Vi vuole uno scudo?
DEJANIRA: Sì, signore, vi pare una grande spesa?
MARCHESE: È meglio provare lo spirito di Melissa.
DEJANIRA: Favorisca: è buono quello spirito?
MARCHESE: Prezioso, sentite.
(Le dà la boccetta.)
DEJANIRA: Oh, io ne so fare del meglio.
(Assaggiandolo.)
MARCHESE: Sapete fare degli spiriti?
DEJANIRA: Sì, signore mi diletto di tutto.
MARCHESE: Brava, damina, brava.
Così mi piace.
DEJANIRA: Sarà d'oro questa boccetta?
MARCHESE: Non volete? È oro sicuro.
(Non conosce l'oro del princisbech).
(Da sé.)
DEJANIRA: È sua, signor Marchese?
MARCHESE: È mia, e vostra se comandate.
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue grazie.
(La mette via.)
MARCHESE: Eh! so che scherzate.
DEJANIRA: Come? Non me l'ha esibita?
MARCHESE: Non è cosa da vostra pari.
È una bagattella.
Vi servirò di cosa migliore, se ne avete voglia.
DEJANIRA: Oh, mi meraviglio.
È anche troppo.
La ringrazio, signor Marchese.
MARCHESE: Sentite.
In confidenza.
Non è oro.
È princisbech.
DEJANIRA: Tanto meglio.
La stimo più che se fosse oro.
E poi, quel che viene dalle sue mani, è tutto prezioso.
MARCHESE: Basta.
Non so che dire.
servitevi, se vi degnate.
(Pazienza! Bisognerà pagarla a Mirandolina.
Che cosa può valere? Un filippo?).
(Da sé.)
DEJANIRA: Il signor Marchese è un cavalier generoso.
MARCHESE: Mi vergogno a regalar queste bagattelle.
Vorrei che quella boccetta fosse d'oro.
DEJANIRA: In verità, pare propriamente oro.
(La tira fuori, e la osserva.) Ognuno s'ingannerebbe.
MARCHESE: È vero, chi non ha pratica dell'oro, s'inganna: ma io lo conosco subito.
DEJANIRA: Anche al peso par che sia oro.
MARCHESE: E pur non è vero.
DEJANIRA: Voglio farla vedere alla mia compagna.
MARCHESE: Sentite, signora Contessa, non la fate vedere a Mirandolina.
È una ciarliera.
Non so se mi capite.
DEJANIRA: Intendo benissimo.
La fo vedere solamente ad Ortensia.
MARCHESE: Alla Baronessa?
DEJANIRA: Sì, sì, alla Baronessa.
(Ridendo parte.)
SCENA UNDICESIMA
Il Marchese, poi il Servitore del Cavaliere.
MARCHESE: Credo che se ne rida, perché mi ha levato con quel bel garbo la boccettina.
Tant'era se fosse stata d'oro.
Manco male, che con poco l'aggiusterò.
Se Mirandolina vorrà la sua boccetta, gliela pagherò, quando ne avrò.
SERVITORE (
...
[Pagina successiva]