LA LOCANDIERA, di Carlo Goldoni - pagina 1
La locandiera
di Carlo Goldoni
Il Conte d'Albafiorita
Dejanira comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte
L'autore a chi legge
Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse.
Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire.
Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene.
La Scena dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera.
Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!...
Ma non è il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze.
Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco.
Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia ho fatto.
Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio straniero.
Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato.
Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche questa comodità.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Sala di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d'Albafiorita
CONTE: Sulla locanda tanto vale il vostro denaro, quanto vale il mio.
MARCHESE: Ma se la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi.
CONTE: Per qual ragione?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
CONTE: Ed io sono il Conte d'Albafiorita.
MARCHESE: Sì, Conte! Contea comprata.
CONTE: Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato.
MARCHESE: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando...
MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera.
Tutti lo sanno, e tutti devono rispettare una giovane che piace a me.
CONTE: Oh, questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'io amassi Mirandolina? Perché credete ch'io sia in Firenze? Perché credete ch'io sia in questa locanda?
MARCHESE: Oh bene.
Voi non farete niente.
CONTE: Io no, e voi sì?
MARCHESE: Io sì, e voi no.
Io son chi sono.
Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
CONTE: Mirandolina ha bisogno di denari, e non di protezione.
MARCHESE: Denari?...
non ne mancano.
CONTE: Io spendo uno zecchino il giorno, signor Marchese, e la regalo continuamente.
MARCHESE: Ed io quel che fo non lo dico.
CONTE: Voi non lo dite, ma già si sa.
MARCHESE: Non si sa tutto.
CONTE: Sì! caro signor Marchese, si sa.
I camerieri lo dicono.
Tre paoletti il giorno.
MARCHESE: A proposito di camerieri; vi è quel cameriere che ha nome Fabrizio, mi piace poco.
Parmi che la locandiera lo guardi assai di buon occhio.
CONTE: Può essere che lo voglia sposare.
Non sarebbe cosa mal fatta.
Sono sei mesi che è morto il di lei padre.
Sola una giovane alla testa di una locanda si troverà imbrogliata.
Per me, se si marita, le ho promesso trecento scudi.
MARCHESE: Se si mariterà, io sono il suo protettore, e farò io...
E so io quello che farò.
CONTE: Venite qui: facciamola da buoni amici.
Diamole trecento scudi per uno.
MARCHESE: Quel ch'io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto.
Son chi sono.
Chi è di là? (Chiama.)
CONTE: (Spiantato! Povero e superbo!).
(Da sé.)
SCENA SECONDA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Mi comandi, signore.
(Al Marchese.)
MARCHESE: Signore? Chi ti ha insegnato la creanza?
FABRIZIO: La perdoni.
CONTE: Ditemi: come sta la padroncina? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Sta bene, illustrissimo.
MARCHESE: È alzata dal letto?
FABRIZIO: Illustrissimo sì.
MARCHESE: Asino.
FABRIZIO: Perché, illustrissimo signore?
MARCHESE: Che cos'è questo illustrissimo?
FABRIZIO: È il titolo che ho dato anche a quell'altro Cavaliere.
MARCHESE: Tra lui e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sentite? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: (Dice la verita.
Ci è differenza: me ne accorgo nei conti).
(Piano al Conte.)
MARCHESE: Di' alla padrona che venga da me, che le ho da parlare.
FABRIZIO: Eccellenza sì.
Ho fallato questa volta?
MARCHESE: Va bene.
Sono tre mesi che lo sai; ma sei un impertinente.
FABRIZIO: Come comanda, Eccellenza.
CONTE: Vuoi vedere la differenza che passa fra il Marchese e me?
MARCHESE: Che vorreste dire?
CONTE: Tieni.
Ti dono uno zecchino.
FABRIZIO: Grazie, illustrissimo.
(Al Conte.) Eccellenza...
(Al Marchese.)
MARCHESE: Non getto il mio, come i pazzi.
Vattene.
FABRIZIO: Illustrissimo signore, il cielo la benedica.
(Al Conte.) Eccellenza.
(Rifinito.
Fuor del suo paese non vogliono esser titoli per farsi stimare, vogliono esser quattrini).
(Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Il Marchese ed il Conte.
MARCHESE: Voi credete di soverchiarmi con i regali, ma non farete niente.
Il mio grado val più di tutte le vostre monete.
CONTE: Io non apprezzo quel che vale, ma quello che si può spendere.
MARCHESE: Spendete pure a rotta di collo.
Mirandolina non fa stima di voi.
CONTE: Con tutta la vostra gran nobiltà, credete voi di essere da lei stimato? Vogliono esser denari.
MARCHESE: Che denari? Vuol esser protezione.
Esser buono in un incontro di far un piacere.
CONTE: Sì, esser buono in un incontro di prestar cento doppie.
MARCHESE: Farsi portar rispetto bisogna.
CONTE: Quando non mancano denari, tutti rispettano
MARCHESE: Voi non sapete quel che vi dite.
CONTE: L'intendo meglio di voi.
SCENA QUARTA
II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.
CAVALIERE: Amici, che cos'è questo romore? Vi è qualche dissensione fra di voi altri?
CONTE: Si disputava sopra un bellissimo punto.
MARCHESE: II Conte disputa meco sul merito della nobiltà.
(Ironico.)
CONTE: Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser denari.
CAVALIERE: Veramente, Marchese mio...
MARCHESE: Orsù, parliamo d'altro.
CAVALIERE: Perché siete venuti a simil contesa?
CONTE: Per un motivo il più ridicolo della terra.
MARCHESE: Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.
CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera.
Io l'amo ancor più di lui.
Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà.
Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni.
Pare a voi che la questione non sia ridicola?
MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE: Egli la protegge, ed io spendo.
(Al Cavaliere.)
CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno.
Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno.
Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomo una infermità insopportabile.
MARCHESE: In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.
CONTE: Sin qua il signor Marchese ha ragione.
La nostra padroncina della locanda è veramente amabile.
MARCHESE: Quando l'amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.
CAVALIERE: In verità mi fate ridere.
Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune all'altre donne?
MARCHESE: Ha un tratto nobile, che incatena.
CONTE: È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.
CAVALIERE: Tutte cose che non vagliono un fico.
Sono tre giorni ch'io sono in questa locanda, e non mi ha fatto specie veruna.
CONTE: Guardatela, e forse ci troverete del buono.
CAVALIERE: Eh, pazzia! L'ho veduta benissimo.
È una donna come l'altre.
MARCHESE: Non è come l'altre, ha qualche cosa di più.
Io che ho praticate le prime dame, non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro.
CONTE: Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro debole.
Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito.
CAVALIERE: Arte, arte sopraffina.
Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe.
Donne? Alla larga tutte quante elle sono.
CONTE: Non siete mai stato innamorato?
CAVALIERE: Mai, né mai lo sarò.
Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'ho voluta.
MARCHESE: Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?
CAVALIERE: Ci ho pensato più volte ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe soffrire una donna, mi passa subito la volontà.
CONTE: Che volete voi fare delle vostre ricchezze?
CAVALIERE: Godermi quel poco che ho con i miei amici.
MARCHESE: Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.
CONTE: E alle donne non volete dar nulla?
CAVALIERE: Niente affatto.
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