IL CAVALLO VIVO, di Leon Battista Alberti - pagina 2
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Dicono poi che i cavalli vivano fino a cinquant'anni e che si siano trovati anche cavalli di settantacinque anni(38).
Fin qui dell'aspetto e dell'età dei riproduttori.
Vi sono ancora alcune altre cose non trascurabili a riguardo.
Bisogna scegliere anche soggetti fecondi, pieni di vigore amoroso e per nulla stanchi ed esauriti, affinché non ne derivi una prole gracile e fiacca.
Alcuni dicono anche che i cavalli maschi per quindici anni consecutivi non si accontentino di una monta unica per ciascun anno(39).
Bisogna inoltre scegliere il tempo nel quale farli accoppiare.
È necessario infatti badare che la prole non venga alla luce allorquando ciò accadrebbe su prati nudi ed aridi oppure d'estate o d'inverno; cosicché alla madre non manchi il nutrimento né al figlio il latte.
Per il resto, portano la gravidanza undici mesi per volta ed ogni dodicesimo mese partoriscono.
Si consiglia di farli accoppiare nell'equinozio di primavera.
Devono essere preparati al connubio in modo che spontaneamente, volentieri, scambiandosi nitriti di gioia, si desiderino sùbito fortemente.
Perciò, quasi come in legittime nozze, bisogna somministrare cibo fin tanto che le forze siano largamente sufficienti alla fecondazione.
Ché, se risultino alquanto frigidi, bisogna stimolarli con mezzi che eccitino l'appetito sessuale.
Il luogo del corpo dove esplode il piacere deve essere toccato con squilla, ortica, pepe tritato e stimolanti di tal genere; bisogna anche massaggiare con la mano spalmata di siffatti afrodisiaci, alternativamente, le froge dei soggetti che si apprestano all'accoppiamento.
Deriva infatti da ciò che lo spirito(40) sia acceso quasi da un fuoco e che per tale ragione i soggetti siano più ansiosi di soddisfare il desiderio e di estinguere l'ardore della libidine.
Bisogna poi badare a che l'animale non si precipiti nel piacere smodatamente, affinché non annulli, volente o nolente, la fecondità del congiungimento e il vantaggio dell'operazione(41) o col rinunziarvi per disaccordo o con l'incorrere nella stanchezza(42).
Dicono che allora si ottiene una regolarità in queste cose, quando siano accoppiati soltanto a giorni alterni(43) e soltanto nel vespero, in un luogo né caldo né sporco, ma ameno ed ombroso.
Le puledre invero sogliono essere alquanto riluttanti ai primi accoppiamenti; e perciò, affinché il maschio bramoso non si sobbarchi anche alla fatica di inseguirle(44), dicono che sia necessario trattenerle durante l'accoppiamento, senza violenza, con la mano e con la briglia.
Se poi, compiuti i preparativi della monta, la femmina comincerà violentemente a rifiutare del tutto l'amore e a respingere il maschio, dicono che bisogna far cessare l'insistenza in quel momento molesta dello stallone troppo sfrenato.
Se invece le puledre diventeranno troppo focose nell'amore, tagliata la criniera(45) gli ardori si calmeranno.
Quando la cavalla sarà incinta, e quando, dopo il parto, alleverà il puledrino(46), gli autori prescrivono di isolarla dalla mandria.
E ciò affinché la prole non corra pericoli per la violenza di qualche cavallo lascivo o rissoso(47).
Bisogna anche evitare che il puledro, stando in ozio, si indebolisca per la fame e per il freddo; che si infetti per il sudiciume o inflaccidisca di pitùita per l'eccessiva abbondanza del latte materno.
Se il puledro resterà orfano o se la madre si rivelerà inadatta all'allattamento, bisogna provvedere a che qualche altra femmina allevi il puledro.
Parimente bisogna somministrargli di tanto in tanto anche del foraggio, tale però che risulti facile alla digestione.
Di tal fatta sono la crusca di frumento, la farina d'orzo e le erbe più tenere.
Inoltre alla gestante bisogna far mangiare le cose migliori e quelle che si sia constatato esserle più gradite fino a che diventi completamente sazia, ma senza fastidio, e possa essere sollecitamente provvista di latte.
Gli autori prescrivono poi che i puledri, finché son piccoli, siano lasciati ai giuochi, non siano trattati duramente, non siano incitati ad ardue prove, non costretti a percorrere vie difficili, sassose o coperte di nero fango, affinché una pietra particolarmente dura da essi urtata non abbia a rompere le tenere unghie o a danneggiare penosamente il tessuto corneo(48); oppure affinché, se cadano sui ginocchi o striscino con le tibie e coi tendini, questa circostanza non procuri loro qualche danno.
Cautamente, dunque, devono essere incitati agli esercizi di agilità ed al moto in un rorido praticello - di mattina in più ampi spazi -, sotto la guida della madre(49).
Quanto più forti cominciano a diventare con l'età, tanto più devono essere abituati, col procedere degli anni, a quell'attività per la quale ciascuno sembri specialmente nato.
Non tutti infatti sono stati dotati dalla natura così che possano fare le medesime cose(50).
Alcuni sono particolarmente feroci nelle azioni di guerra, altri sono meglio disposti a meritare le corone olimpiche, altri sono più acconci per gli usi domestici, per le esigenze della vita civile, per le opere agresti.
Si ritiene però che allora i cavalli si riveleranno di ottima indole quando siano pronti ad ogni genere di movimenti; di corpo particolarmente scattante; di piedi scalpitanti; di orecchie sensibilissime, attente e mobili; di sopracciglia corrugate e di occhi penetranti; di coda eretta quando si accingano a mostrare le forze; e qualora anche tutte le altre membra siano protese, scattanti e quasi rilucenti quando si slancino nel salto o nella corsa(51).
Pertanto solo questi cavalli di indole generosissima, che sono così dotati, possono ritenersi nati per difendere la patria dal nemico, per estendere il dominio dei prìncipi e per diversivo di questi(52): e tanto più saranno pronti a conseguire la gloria, quanto più con la sua perizia e diligenza l'allevatore sia riuscito ad abituarli all'esercizio del coraggio.
Ma certo i cavalli, sebbene sembrino dati dalla natura stessa agli uomini per gli usi della guerra, devono essere educati innanzi tutto mediante gli esercizi propri del tempo di pace.
Per essi infatti è esattamente come per i cittadini; fra i quali, o per l'esempio dei commilitoni o per lo spirito di emulazione o per l'incitamento dei capi o per la forza stessa degli eventi e delle necessità contingenti, ciascuno può d'un tratto esser chiamato e sospinto alle armi, intraprendendo come recluta anche(53) un tirocinio militare; laddove quelle cose che concernono i buoni costumi, il dovere, la dignità civile, non s'imparano senza i precetti dei sapienti, né si conseguono senza applicazione e diligenza.
Perciò, affinché il cavallo sia mite, mansueto, docile e obbediente ai giusti comandi, e si sottometta di buon grado al padrone, ritengo che soprattutto si debba allenare con ogni cura e con la massima assiduità.
Il tempo adatto per infondere nel cavallo le buone qualità giungerà verso il compimento del terzo anno di vita: in questa età i cavalli debbono essere tenuti lontani da ogni lascivia e dissolutezza e da ogni danno dell'amore e della libidine.
Dicono infatti che si esauriscono troppo e che invecchiano anzitempo quei cavalli giovani non ancora maturi e saldi per l'amore che, spinti dall'età, indulgano alla libidine(54).
Ma non d'un tratto deve essere esercitato in pieno il comando e deve essere imposta al principiante tutta la molestia della soggezione: bisogna invece dapprima imporre le redini, poi il freno, ed in seguito i cuscinetti(55); una volta sistemati questi, i cavalli sono avviati alle loro mansioni(56).
Il cavallo non abituato a sopportare queste cose e lascivo per l'età, deve essere attirato senza alcuna durezza ma quasi con blandimenti e condotto al suo lavoro.
Da principio devono essere accumulate nella mangiatoia della scuderia le tenere erbe alle quali era abituato nei prati; in seguito deve essergli offerto il fieno e insieme, quasi come companatico, deve essergli somministrato l'orzo a piene mani(57), di mattina e di sera; mentre mangia, poi, quasi furtivamente, deve essere legato con garbo mediante corregge.
Queste non siano dure; e non siano né corte tanto che non gli sia lasciata alcuna possibilità di muoversi, né tanto lunghe da essere quasi come un fastidioso laccio gettato a tener fermi i piedi penosamente legati e ad immobilizzare le ginocchia.
Perché si provveda con maggiore cautela a ciò, gli esperti raccomandano di assicurare le corregge parte a destra, parte a sinistra.
Raccomandano anzi a questo scopo che i lacci dei piedi siano lasciati lenti per meglio adeguarli all'irrequietezza dei cavalli legati.
Nella scuderia dunque bisognerà disporre cose di tal fatta che siano gradite ed evitare quelle sgradite.
E poi, quasi per fare amicizia e familiarizzare col cavallo, bisogna accarezzarne frequentemente il petto e poi tutto il corpo(58), e bisogna specialmente aver cura dei piedi sollevandoli assai spesso per pulirli e strofinarli.
Quando si siano abituati ad esser condotti al pascolo quietamente per la briglia, si adoperi un fascio d'erbe alquanto dure o un bastoncino di legno a mo' di morso, oggi per un poco, domani per un poco di più e, quando siano trascorsi tre giorni, ancora per un poco di più(59).
Da questo momento si aggiunga alle briglie un freno di ferro cosparso di miele e di sale, e si conduca il cavallo per mano attraverso la corte ed i luoghi vicini.
Si invitino alcuni osservatori che lo accarezzino ed altri che quasi lo esortino con gli applausi, e finalmente sia presentato in pubblico: nel foro, nelle arene e nei luoghi molto affollati(60).
La forma e la disposizione del morso siano poi non tali che il cavallo stia impacciato con le fauci tumescenti(61) e, sopra, le narici quasi spaccate, ma tali che, come esso si presenti insigne con la testa libera nei movimenti e lietamente eretta - adeguandosi garbatamente alla disciplina -, così il suo sguardo regoli costantemente i passi.
Con pari delicatezza bisogna mostrargli i cuscinetti(62) coi quali deve esser bardato; dopo di ciò, con garbo, questi devono essergli posti sul dorso e più volte tolti e rimessi, infine devono essere ben distesi(63) e legati con bende; il cavallo poi va istruito in modo tale che sopporti senza fastidio un mozzo di stalla che stia su di esso per un po' proteso verso il collo e per un po' dritto in arcione, e mentre monti e mentre salti giù(64).
Certo bisogna badare che qualcosa non prema troppo duramente sul dorso né lo stringa troppo: questo inconveniente infatti non solo provoca un grave danno alle scapole e al dorso, ma fa sì che il cavallo cammini coi piedi anteriori storti e gettati senza garbo.
In che modo si debba addestrare il cavallo
agli usi della guerra
Dicono inoltre(65) che il cavallo ammaestrato in tal modo deve essere poi addestrato ad ogni altro utile esercizio, cioè a sopportare le fatiche per la dignità e la gloria della patria, a salvare i cittadini, a sconfiggere i nemici e ad ogni altro lodevole compito di tal genere(66).
In tale impresa bisogna curare le seguenti cose: che sia mite e obbediente; che sappia avanzare per schierarsi in battaglia e sostare quietamente negli agguati; che sia pronto nell'accorrere, rapido nel mutar direzione, deciso e costante nella carica; che sia in grado di saltare agilmente e di nuotare a lungo; che sia ardimentoso, feroce e insieme disciplinato nella zuffa; lieto e festoso nella parata del trionfo(67).
Forse bisogna fare attenzione fra le prime cose anche a ciò di cui sogliono curarsi i Sarmati(68), i quali abituano i cavalli in modo che possano sopportare la fame ed essere soddisfatti soltanto del bere.
Per condurre a termine in gran parte queste cose vi sono due ottimi mezzi: la redine, con la quale si può ottenere che, se per caso assalga il nemico in modo avventato e inopportuno o senza che ne sia stato dato il segnale od in luogo sfavorevole, oppure se per caso fugga per viltà o per paura abbandonando il posto, sia costretto all'obbedienza; e gli speroni, i quali - al contrario - sono stati inventati proprio perché sia incitato a fare il suo dovere se per caso si mostri pigro e neghittoso.
Pertanto deve essere ammaestrato con la mano e col piede(69) del cavaliere badando, ove si tratti di un soggetto recalcitrante, di stimolarlo col calcagno nudo e con una leggera sferza prima di usare gli sproni.
Ché, se indipendentemente dalla volontà del padrone abbia assunto un'andatura disordinata, bisogna che, scuotendo alquanto le redini con la mano, si faccia urtare il freno contro la bocca ad ogni passo.
Appena abbia obbedito, sùbito conviene astenersi da tale provocazione affinché il ribelle creda in séguito che per il suo andamento errato gli capiti di urtare in quel modo contro il morso(70).
Se poi cominci a mordere il freno, forse per caparbietà, bisogna strappare dalla mascella inferiore i primi quattro denti decidui che volgarmente sono detti "cascaliones"(71).
Giova poi, perché apprenda la disciplina, che gli si pongano accanto alcuni cavalli anziani, con l'esempio dei quali, contribuendovi l'esercizio, di giorno in giorno avverta meno il fastidio e si abitui ad imitare le capacità di quelli già "scafati".
Impari da questi a seguire, a precedere, a penetrare quasi nel mezzo della schiera, a fermarsi, a dirigersi verso luoghi elevati e scoscesi, a fuggire per lungo tratto in breve tempo.
Vi è chi prescrive che debbano esser mostrati al cavallo alcuni tronchi di forma orribile e spaventosa e che questo debba esser garbatamente condotto vicino e attorno ad essi facendolo poi fermare dappresso affinché impari a riconoscerli esattamente qualunque ne sia l'aspetto(72).
Talvolta bisogna anche legarlo sul posto.
Bisogna poi che vi siano cumuli di paglia gettati lungo il cammino affinché senza molto pericolo si abitui a saltare.
Infine, senza arrecargli danno, bisogna cercare di abituarlo a non avere alcun timore infondato, a non temere i rumori o il movimento delle schiere(73).
Ma bisogna usare moderatamente di questi mezzi; e bisogna innanzitutto badare a che, mentre non ne derivi danno alla sua salute, nel contempo non acquisisca qualche abitudine cattiva e quasi sfrontata.
Inoltre bisogna badare a che non perseveri nell'avere continuamente paura, nel fuggire, nel disdegnare le redini e nel voler abusare della sua libertà: affermano infatti che ciò accade se per caso dall'istruttore sia mantenuto lo stesso identico sistema, e sempre nel medesimo luogo, nell'addestrarlo alla corsa, al salto ed alle evoluzioni; o se lo si comandi suo malgrado con eccessiva e inconsueta ostinazione.
A tal riguardo, dicono che bisogna farlo correre ora moderatamente, ora un po' più intensamente, in salita e in discesa; che bisogna farlo andare ora più frequentemente in una direzione, ora in un'altra; e che soprattutto bisogna badare a che per caparbietà non abbia la meglio insolentemente.
Nel far ciò è necessario che l'istruttore moderi la propria impazienza cosicché gradatamente il cavallo non avvezzo e intimorito possa acquistare dimestichezza con le cose che per il momento gli fanno paura.
E bisogna badare a che per causa del rigido governo dell'istruttore una certa sofferenza non venga ad accrescere il terrore già contratto(74).
Così pure bisogna badare accuratamente a che il giovane cavallo non solo riesca addestrato egregiamente in quelle cose per le quali sarà impiegato in futuro, ma innanzi tutto a che quelle medesime, laboriose e difficili, egli possa compiere con la purezza di stile e l'ardimento che son propri della sua età.
Si tenga presente che ciò invero potrà accadere se ne conserveremo integra la salute.
Quali cose per lo più determinano
nei cavalli le malattie
Come contrarie alla buona salute sono citate le seguenti cose: l'ozio, la sazietà, la sporcizia; e così le cose opposte: la stanchezza, la fame e, forse, un eccesso di cure.
È facile in effetti che da tali cose derivino moltissime gravi malattie.
Dalla fame infatti deriva inquietudine interna o mancanza di forze; di qui debolezza fisica, perdita della fierezza, ipocondria, onde poi perfino la cecità: poiché le sue membra, aride e magre, avranno assorbito sostanze non abbastanza digerite, avviene che un bruciore opprime lo stomaco, il sangue ardente affatica le vene e affiora all'epidermide un sudore che lo consuma(75).
Di qui derivano la scabbia, il fuoco persiano e ripugnanti malanni di tal genere.
Dalla stanchezza deriva l'alterazione degli umori, e di qui insensibilità, danni ai nervi, e indurimento delle giunture.
Dall'ozio, e quindi dalla cattiva digestione e dalla pienezza, derivano molti più mali.
L'ostruzione infatti, e quasi ogni genere di ascessi, derivano da un eccesso di sangue racchiuso nelle vene e da un esorbitante riempimento dei vasi, per l'impeto del chimo che bolle e fermenta nei visceri.
Dalla sporcizia, come da un certo contagio, sono guastate l'integrità e la purezza degli umori: in particolare il vapore maleodorante del fimo dentro la scuderia, provocando secrezioni per il suo calore, penetrando per la sua acutezza, macerando per la sua umidità, è fortemente nocivo alla tibie e ai piedi del cavallo.
E ciò massimamente quando, essendo stato il cavallo condotto fuori dal luogo caldo, il vapore maleodorante assorbito diventa più denso e si rapprende per il freddo: ché anzi finanche la pioggia guasta - come dicono - la pelle delle bestie.
Tali dunque(76) sono le cause dalle quali derivano moltissime malattie.
Né, a tal proposito, bisogna trascurare che ogni animale, se sia stato troppo a lungo ozioso in una stalla particolarmente oscura, diventa - com'è ovvio - del tutto indolente, ombroso e timoroso di ogni piccolo rumore e di ogni forma(77) che gli si presenti, diversa da quelle della sua specie.
Infine i naturalisti(78) affermano che, siccome con un moderato e disciplinato esercizio delle membra il vigore si accresce si rafforza e fiorisce in ogni età e si conserva la buona salute, interessa massimamente in quale tempo e luogo, in quale misura e in quale modo i cavalli siano sottoposti all'esercizio stesso.
Dicono che il tempo per iniziare l'esercitazione è adatto e particolarmente salutare allorché essa venga eseguita non nelle ore più calde, non durante il freddo intenso, né nel cuore della notte, ma quando l'aria è mite: di mattina all'alba, e di sera fino al tramonto del sole prima del crepuscolo.
Bisogna che il luogo sia adatto al tipo di esercizio e che l'esercizio sia adatto all'età del soggetto.
Non infatti le stesse cose devono essere apprese da tutti, ma alcune dai puledri e dagli individui più delicati, altre dagli adolescenti e dai puledri più robusti(79).
Dicono poi che conviene indurre all'esercitazione i puledrini fin dalla più tenera età adescandoli con qualche allettamento.
Affinché ciò avvenga nel migliore dei modi consigliano quanto segue.
Deve essere mostrata loro la madre, da un luogo che non sia molto lontano dal puledro, quasi come una meta da raggiungere, in un prato fresco e verdeggiante, e deve essere allontanata un poco con passo moderato, quasi come se sfuggisse al figlio che l'insegue.
E ancora, in un festoso giuoco, devono essere indotti - se necessario con una leggera sferza - a slanciarsi in gara con i coetanei alla conquista di gradevoli fonti.
Dopo di ciò, attraverso gli anni, devono esser gradatamente temprati con l'esercizio affinché sopportino fatiche sempre maggiori, ma non fino alla stanchezza, non fino all'esaurimento completo.
Ma quando emerga un cavallo di indole ambiziosa ed altera, questo bisogna saperlo infiammare, per così dire, in tutte le vene di passione agonistica per il piacere di conseguire la gloria(80); purché sia sempre conservata in tutte le fasi dell'addestramento questa norma: che con piccoli progressi il cavallo sia reso di giorno in giorno più esperto mediante l'esercizio.
Bisogna anche scegliere quei luoghi e quei tempi che siano non pericolosi per gli allievi mentre si esercitano e che, terminata l'esercitazione, non arrechino danno al cavallo stanco e sudato.
Sono di certo nocivi per i cavalli accaldati a causa dell'esercizio il vento, l'ombra della fredda notte e soprattutto i raggi della luna(81).
Perciò dev'esser condotto all'allenamento non lontano dalla casa e dalla scuderia.
Compiuto l'addestramento, il cavallo stanco non rimanga esposto né alla fredda notte, né al pernicioso vento di tramontana, affinché non corra rischi e non si aggiunga alla fatica una nuova causa di disagio(82).
A queste cose bisogna aggiungere che - come dicono - è opportuno castrare quei cavalli i quali si vuole soprattutto che eccellano per lungo tempo nella corsa, affinché - divenuti per questo meno eccitabili - non si esauriscano a causa della sfibrante attività.
Ai cavalli poi che tu voglia che siano più impetuosi e più combattivi nel fiaccare la resistenza di quelli che l'inseguono(83) e di quelli che ad essi si oppongono(84), deve essere concesso nel corso dell'anno l'amore durante e non oltre una sola stagione: l'autunno, quando sono particolarmente saturi di sostanza seminale.
Per gli uni e per gli altri però bisogna tener conto dell'età, delle forze, ed infine della loro attitudine - nell'insieme - a far ciò che tu ti proponi.
A tal proposito bisogna stare attenti anche, come dicono, a non condurli nell'arena o nella pista per l'esercitazione se prima non si siano liberati dell'increscioso peso dell'alvo e a non nutrirli o abbeverarli quando ritornano dall'esercitazione se prima non abbiano urinato.
Dicono anche che quando sono grassi e troppo pieni, specialmente se non sono abituati, un'intempestiva esercitazione risulta nociva.
Per tal motivo, affinché all'inizio della primavera, grazie alle novelle erbe germoglianti, nei cavalli si generi un sangue più puro, prescrivono che, dopo averli nutriti di farragine per dieci giorni, si debba aprire presso il ventre la vena basilica sovraccarica di sangue eccessivamente acquoso.
Così anche d'estate - affinché il sangue bollente per il caldo non si accumuli in brutti ascessi -, e parimente durante l'autunno - affinché, essendosi rimpinzato troppo per il piacere e la gustosità del pascolo e dei semi recenti, il cavallo non corra rischi per il turgore dei vasi sanguigni - bisogna aprire sempre quella medesima vena.
In generale prescrivono di non salassare quelli affaticati o macilenti.
Anche ai castrati, dicono, non bisogna togliere sangue imprudentemente(85).
Inoltre gli esperti dicono che i cavalli per molte ore dopo il salasso non debbono essere né nutriti né abbeverati.
Prescrivono parimenti che non debbono esser tenuti in luoghi o freddi, o ventilati, o umidi.
Fin qui dell'esercitazione.
Avvertono che bisogna provvedere con cura ancora maggiore affinché la sporcizia non li danneggi.
Dunque, prescrivono di accoglierli, quando ritornano dall'arena o dall'ippodromo, nel modo seguente: per prima cosa bisogna coprirli, poi condurli per l'angiporto a lentissimi passi fino a che il sangue non sbollisca; dopo di ciò il cavallo va lasciato libero di sdraiarsi sullo strame e di voltolarvisi un poco, se vuole; quindi bisogna anche togliere con brusca e striglia tutto il sudiciume dal dorso, dal ventre e dai fianchi.
V'è chi dice, attenendosi alla tradizione, che dopo una sudata vada unto con olio.
Dopo di ciò bisogna massaggiare tutto il capo e, prima ancora, gli stinchi con un batuffolo di stoppa.
Bisogna che la frizione non sia né rapida, né pesante, né insistente e molesta dove la pelle è più delicata, e neppure fiacca e inefficace per la sua lentezza, ma tale che sia sufficiente a scuotere e ad eliminare il sudiciume dalla pelle.
A questo infatti giova veramente la frizione: perché, mentre richiama l'umidità dai muscoli alla superficie della cute, nel medesimo tempo - avendo anche rimosso il sudiciume che per la sua aridità avrebbe dannosamente assorbito l'umore fluido traspirante - serve a tirar fuori e ad arrestare il sudore.
Compiute queste operazioni, i piedi vanno lavati con molta acqua, e questa sia quanto meno possibile sabbiosa, altrimenti arrecherebbe danno alle unghie.
Da ultimo, in una scuderia ben pulita, liberata completamente dal fimo e da ogni afrore, debbono esser legati presso la mangiatoia.
Prescrivono anzi di tenere i cavalli separati per mezzo di lunghi pali interposti fra l'uno e l'altro ad evitare contese e baruffe.
L
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