IL CAVALLO VIVO, di Leon Battista Alberti - pagina 1
ARNOLDO ARLENIO
PARASSILO E NICOLA STOPIO,
uomini dottissimi e solertissimi, amici
suoi carissimi: Michele Martino
Stella, saluta.
Il fatto che LEON BATTISTA ALBERTI si fece anche troppo banditore di se stesso, come negli altri libri, anche in questo opuscolo "De equo animante", evita che a qualche lettore petulante possa sembrare che io pretenda di aggiungere qualcosa a quest'opera, se con la mia diligenza (quale che sia) desidero conferire qualche nitidezza e decoro di veste ad uno scritto così forbito e limpido.
Chi inopportunamente si azzardasse a fare ciò, o perderebbe del tutto il suo tempo, o porterebbe come suol dirsi legna alla selva, o quanto meno sembrerebbe voler affondare la falce nella messe altrui.
Io che, in verità, fin da ragazzo non ho mai dato peso a siffatte lagne degli stolti (buona parte dei quali, come non fa mai nulla di buono - ma moltissimo male -, così non consente agli altri di sollevarsi a dar buona prova di sé), non ritenni compatibile con la mia professione permettere che un uomo insigne, sia pure in un'opera minore, perisse per la muffa o disgraziatamente corroso dalle tignole e dagli scarafaggi, ma bensì di dare questa alla luce quanto prima, non appena avessi trovato una tipografia e un po' di tranquillità.
Perciò quando, sùbito dopo la nostra separazione dovetti lasciare l'Italia, nulla ho chiesto più ardentemente a tutti gli Dei che poter mostrare ai nostri persecutori un qualche buon documento di un amore degno, di un'opera non disprezzabile.
Ora, poiché siete stati voi i promotori del ritrovamento di questo libretto, a voi proprio ho voluto dedicare il primo frutto di tale impegno e della nuova tipografia.
Ora tocca a voi, poiché vi è stato offerto con animo amico, con pari animo accoglierlo, a braccia
aperte.
Se farete ciò, e voglio sperare che lo farete, mi incoraggerete nel migliore dei
modi a pubblicare altre cose con la medesima cura.
Auguratevi
anche che riesca a salvarsi colui che altri, con
stupefacente accanimento,
vogliono morto.
Statevi bene.
LEON BATTISTA ALBERTI
A LEONELLO PRINCIPE DI FERRARA E
DELIZIA DELL'UMANO GENERE(1)
IL CAVALLO VIVO(2)
Essendo giunto qui a Ferrara per vederti e salutarti, o principe illustrissimo, non si può dire facilmente quanta gioia io abbia provato vedendo la tua città così bella, i tuoi sudditi così miti e te, loro principe, così raffinato e colto.
Ho compreso allora quanto sia importante vivere in uno stato nel quale, godendo della serenità e tranquillità dell'animo(3), si obbedisca ad un principe ottimo e rispettosissimo delle leggi e dei buoni costumi.
Ma di ciò altrove(4).
Si è aggiunto a questo piacere il fatto che mi si è presentata qui una occasione assai gradita, data la mia consuetudine di esercitare l'ingegno: occasione che, invero, e per te e per me, io ho accolto assai volentieri.
Avendo infatti i tuoi sudditi stabilito di innalzare nel foro(5) in onore di tuo padre(6), con grande magnificenza di mezzi, statue equestri(7) ed essendosi cimentati in tale impresa ottimi artisti, per tuo ordine(8) scelsero(9) quale giudice ed esperto me che mi diletto alquanto di pittura e di scultura(10).
Perciò, guardando e riguardando codeste opere eseguite con mirabile arte, mi venne l'idea di prendere in considerazione con un certo impegno non solo la bellezza formale, ma anche le naturali inclinazioni dei cavalli.
Pensavo quanto essi siano adatti ad ogni uso pubblico e privato dell'uomo, alla violenza della guerra come agli agi della pace(11).
Ed infatti, sia che si portino dalla campagna quelle cose che servono per metter su casa o quelle necessarie per il nutrimento della famiglia, sia che si procaccino sul campo di battaglia l'eccellenza della gloria e il decoro della libertà, certamente nel compiere tali cose l'uomo si serve ampiamente dell'aiuto e dell'opera di questi animali: cosicché ritengo che non si possa conseguire la salvezza e la gloria senza l'ausilio dei cavalli.
E che dire del fatto che di questo solo animale si servono e si adornano perfino gli dei stessi(12)?
Non Febo dal carro fiammeggiante,
non il padre Nettuno che gode
nell'oceano dello scettro tridente,
non certo tutti gli altri dei sembrerebbero sufficientemente adorni in relazione alla loro maestà o equipaggiati per le loro imprese se, principalmente, non chiamassero i cavalli al loro carro.
Il cavallo è un animale dal gradevole aspetto, nel quale stupisce che tanta forza e tanta fierezza si trovino congiunte con una mansuetudine quasi incredibile e che un animo così tranquillo e docile alberghi in un petto così ardente.
Questo animale col quale si potrebbe calpestare il petto coperto di ferro di un nemico furente(13) si lascia guidare con tenui tocchi di briglia.
Ché anzi il cavallo sa avanzare in ordine di combattimento con tutta la falange avendo cadenzato il passo al ritmo di suoni ed inni; a non tollerare nessun altro cavaliere che il suo unico padrone(14) ed a questo porgere i dardi raccolti da terra(15) affinché esultante ritorni vincitore fra i suoi.
Sarebbe lungo ricordare quanti benefici i cavalli hanno arrecato ai loro padroni, così che furono attribuiti ad essi come onori certamente non immeritati un monumento sepolcrale dal divino Augusto, piramidi dagli Agrigentini, una statua presso il tempio di Venere da Cesare dittatore e da Alessandro il Macedone esequie fastose e come tumulo ed epitaffio una città fondata in suo onore e ad esso intitolata(16).
Pertanto queste cose e più ancora di tal genere essendomi tutte venute in mente, poiché tale argomento mi sembrò non indegno di applicarvi l'ingegno e poiché peraltro ho visto che tu ti diletti molto di ciò che scrivo(17) e si dà anche il caso che sono libero da impegni, ho stabilito di esercitarmi secondo la mia consuetudine, e di scrivere di tali cose in questi giorni durante i quali mi trattengo presso di te(18).
Ho consultato perciò con molta diligenza tutti gli autori che ho potuto(19), più o meno noti, che tràttino in qualche modo del cavallo; e da ciascuno ho riportato(20) nel mio libretto tutto quanto vi fosse di elegante e di degno(21).
Gli autori che ho potuto consultare sono stati i greci Senofonte, Absirto, Chirone, Ippocrate e Pelagonio; i latini Catone, Varrone, Virgilio, Plinio, Columella, Vegezio, Palladio, il Calabro, Crescenzio, Alberto, Abate(22), ed inoltre moltissimi galli ed etruschi, in verità non illustri ma tuttavia utili e competenti.
E perfino dai migliori studiosi di medicina ho desunto ciò che mi è sembrato attinente alla materia(23).
Quanto agli altri(24), vorrei che nel leggermi tengano presente che io non ho scritto per i maniscalchi o per gli stallieri(25) ma per un principe, e per giunta eruditissimo; e che nello scrivere di questo argomento sono stato sintetico, forse più di quanto potrebbero desiderare gli inesperti(26).
Per la quale cosa, o principe, vorrei che ti persuadessi, nel leggermi, che con tutta(27) questa mia fatica a nulla maggiormente io ho mirato che ad esserti sempre più gradito in tutto ciò che potessi.
Ma entro in argomento.
LEON BATTISTA ALBERTI
PICCOLO TRATTATO SUL CAVALLO
Si procuri che siano di bell'aspetto, di età accertata e adatta allo scopo, quei cavalli che si vuole siano progenitori di una razza.
Coloro che hanno trattato di queste cose consigliano soprattutto che si scelga come riproduttore un cavallo che sia di grande corpo e, per quanto possibile, di membra tutte salde e robuste ed insieme di bellezza quasi perfetta.
Stabiliscono che per essere bellissimo il cavallo debba avere(28) un capo piccolo e di mirabile magrezza, orecchie molto accostate e sottili, fronte spaziosa fra i sopraccigli, occhi sporgenti, nereggianti e limpidi; elogiano le froge molto turgide e dilatate, la bocca non serrata ma dischiusa ad arco.
La criniera piace molto se ha il ciuffo corto, se è quasi crespa ed anche piuttosto abbondante, rivolta dalla parte destra(29).
Il collo poi piace allungato ed esile presso la nuca e che si incurvi poi quanto più vicino alle spalle.
Alcuni apprezzano anche un cavallo dalle scapole scarne, di spina dorsale non sporgente, non incavata, ma uniforme e - come vogliono - molto grossa(30); di coda ricca, fluente e ondeggiante ma nel contempo ben salda e nervosa; dal petto superbo, atto a sostenere le armature complete, e quindi dai bracci tra loro ampiamente distanziati.
Gli antichi apprezzarono il ventre non pronunziato; gli autori però che più tardi s'occuparono di queste cose, apprezzarono il ventre oblungo e che abbia piene e sporgenti le parti che sono fra le cosce; i testicoli né troppo gonfi, né prolassati, ma librati e di pari misura.
La linea delle cosce sia tale che esse, mentre per la consistenza e la grossezza dei muscoli siano atte agli sforzi, conferiscano anche grazia al resto del corpo.
Le ginocchia siano non curve, non gonfie, ma ben articolate in una solida massa; gli stinchi sottili e lisci e per niente bitorzoluti.
Gli internodi(31) che si impiantano nei piedi siano non cadenti a perpendicolo (come quelli delle capre), non gracili, né maggiormente sviluppati in questa o in quella parte, ma agili e politi.
Il cavallo sia di unghia tornita, incurvata in modo uguale, ben dura, cava, risonante, opaca, solida ed alquanto elastica(32).
Alcuni amano il cavallo di colore cinerino nell'insieme, con la spina nerastra dalla cervice alla coda; altri lo preferiscono di color fuliggine che abbia commisto al nero un tono fulvo; altri ancora, bianco pezzato(33).
Di tali fattezze gli autori ritengono opportuno che sia il padre; e questo stesso vogliono anche che sia insigne per gloria di corone e celebre per le vittorie riportate nelle gare.
La fattrice è ritenuta tanto più adatta quanto più si avvicini ai maschi per aspetto e costumi.
In particolare, la vogliono di petto e di scapole ben disegnati, formosa e muscolosa in tutte le membra, purché però non sia di corpo eccessivamente grande e grasso, ma ben formato e soprattutto ampia di anche e di ventre.
Per le altre cose, la vogliono pari al maschio per età e per costituzione di tutte le membra(34).
Entrambi i genitori siano di buona salute e maturi per procreare una prole sana.
Per l'uno e per l'altro riproduttore è particolarmente adatta alla procreazione quella età che sia fra il terzo e il decimo anno dalla nascita.
Vi è anche chi afferma che fino al trentatreesimo anno i cavalli maschi possono essere non inadatti al coito(35).
Affermano che nei cavalli l'età si riconosce mediante l'osservazione dei denti.
Dicono infatti che verso il trentunesimo mese cadono entrambi i denti medi superiori; e poco dopo anche i due corrispondenti inferiori.
Quando poi abbiano compiuto i quattro anni, cadono parimente a coppie, di qua e di là, i denti più vicini a quelli che hanno già perduto, e spuntano poi quelli che gli antichi chiamarono "columellares"(36).
Intorno al quinto anno si dice che li perdano ugualmente a due a due.
Nel sesto anno poi, come il cavallo perviene al termine della crescenza, così anche la dentizione è completa: tuttavia dicono che i denti divengano più saldi nel settimo anno.
Dopo questo tempo, dicono che essi non offrano più nessun sicuro indizio dell'età, se non forse perché cominciano a diventare cariati e giallastri, e contemporaneamente le sopracciglia cominciano ad incanutirsi, le tempie ad incavarsi, il collo a inflaccidirsi e le unghie ad apparire corrose.
Quando appaiono questi segni il cavallo mostra chiaramente di aver vissuto ben oltre il decimo anno.
Nel dodicesimo anno dicono che in ciascun dente medio si sviluppi una midolla completamente nera(37).
Il metodo seguito da altri per riconoscere i cavalli vecchi è il seguente.
Prendono cioè con le dita la pelle che si stende sopra la mascella, la tirano a sé e subito la rilasciano.
Se essa ritorna subito alla precedente levigatezza, indica che il cavallo è giovane; se invece rimane rugosa, dimostra allora, secondo il numero e la profondità delle rughe, che il cavallo è vecchio.
Ancora diverso è il metodo seguito da altri.
Ritengono infatti che l'età sia segnata sulle labbra, cosicché càlcolano che il cavallo sia vissuto tanti anni quante siano le rughe presso l'estremità del taglio della bocca.
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