[Pagina precedente]..., perché secondo il numero che gli è toccato, cosà hanno la divisione e la continuità ; e cosà quella è continua per un verso, questa per due, ma quello, cioè il corpo, per tutti. Di piú nel testo 4°, doppo alcune altre dottrine, non prov'egli l'istesso con un'altra dimostrazione, cioè che non si facendo trapasso se non secondo qualche mancamento (e cosà dalla linea si passa alla superficie, perché la linea è manchevole di larghezza), ed essendo impossibile che il perfetto manchi, essendo egli per tutte le bande, però non si può passare dal corpo ad altra magnitudine? Or da tutti questi luoghi non vi par egli a sufficienza provato, com'oltre alle tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità , non si dà transito ad altra, e che però il corpo, che le ha tutte, è perfetto?
SALV. Io, per dire il vero, in tutti questi discorsi non mi son sentito strignere a concedere altro se non che quello che ha principio, mezo e fine, possa e deva dirsi perfetto: ma che poi, perché principio, mezo e fine son 3, il numero 3 sia numero perfetto, ed abbia ad aver facultà di conferir perfezione a chi l'averà , non sento io cosa che mi muova a concederlo; e non intendo e non credo che, verbigrazia, per le gambe il numero 3 sia piú perfetto che 'l 4 o il 2; né so che 'l numero 4 sia d'imperfezione a gli elementi, e che piú perfetto fusse ch'e' fusser 3. Meglio dunque era lasciar queste vaghezze a i retori e provar il suo intento con dimostrazione necessaria, ché cosà convien fare nelle scienze dimostrative.
SIMP. Par che voi pigliate per ischerzo queste ragioni: e pure è tutta dottrina de i Pittagorici, i quali tanto attribuivano a i numeri; e voi, che sete matematico, e, credo anco, in molte opinioni filosofo Pittagorico, pare che ora disprezziate i lor misteri.
SALV. Che i Pittagorici avessero in somma stima la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l'intelletto umano e lo stimasse partecipe di divinità solo per l'intender egli la natura de' numeri, io benissimo lo so, né sarei lontano dal farne l'istesso giudizio; ma che i misteri per i quali Pittagora e la sua setta avevano in tanta venerazione la scienza de' numeri sieno le sciocchezze che vanno per le bocche e per le carte del volgo, non credo io in veruna maniera; anzi perché so che essi, acciò le cose mirabili non fussero esposte alle contumelie e al dispregio della plebe, dannavano come sacrilegio il publicar le piú recondite proprietà de' numeri e delle quantità incommensurabili ed irrazionali da loro investigate, e predicavano che quello che le avesse manifestate era tormentato nell'altro mondo, penso che tal uno di loro per dar pasto alla plebe e liberarsi dalle sue domande, gli dicesse, i misterii loro numerali esser quelle leggerezze che poi si sparsero tra il vulgo; e questo con astuzia ed accorgimento simile a quello del sagace giovane che, per torsi dattorno l'importunità non so se della madre o della curiosa moglie, che l'assediava acciò le conferisse i segreti del senato, compose quella favola onde essa con molte altre donne rimasero dipoi, con gran risa del medesimo senato, schernite.
SIMP. Io non voglio esser nel numero de' troppo curiosi de' misterii de' Pittagorici; ma stando nel proposito nostro, replico che le ragioni prodotte da Aristotile per provare, le dimensioni non esser, né poter esser, piú di tre, mi paiono concludenti; e credo che quando ci fusse stata dimostrazione piú necessaria, Aristotile non l'avrebbe lasciata in dietro.
SAGR. Aggiugnetevi almanco, se l'avesse saputa, o se la gli fusse sovvenuta. Ma voi, signor Salviati, mi farete ben gran piacere di arrecarmene qualche evidente ragione, se alcuna ne avete cosà chiara, che possa esser compresa da me.
[Vedi figura 01.gif]
Salv. Anzi, e da voi e dal Sig. Simplicio ancora; e non pur compresa, ma di già anche saputa, se ben forse non avvertita. E per più facile intelligenza piglieremo carta e penna, che già veggio qui per simili occorrenze apparecchiate, e ne faremo un poco di figura. E prima noteremo questi due punti A, B, e tirate dall'uno all'altro le linee curve ACB, ADB e la retta AB, vi domando qual di esse nella mente vostra è quella che determina la distanza tra i termini A, B, e perché.
SAGR. Io direi la retta, e non le curve; sà perché la retta è la piú breve; sà perché l'è una, sola e determinata, dove le altre sono infinite, ineguali e piú lunghe, e la determinazione mi pare che si deva prendere da quel che è uno e certo.
[Vedi figura 02.gif]
SALV. Noi dunque aviamo la linea retta per determinatrice della lunghezza tra due termini: aggiunghiamo adesso un'altra linea retta e parallela alla AB, la quale sia CD, sì che tra esse resti frapposta una superficie, della quale io vorrei che voi mi assegnaste la larghezza. Però partendovi dal termine A, ditemi dove e come voi volete andare a terminare nella linea CD per assegnarmi la larghezza tra esse linee compresa; dico se voi la determinerete secondo la quantità della curva AE, o pur della retta AF, o pure...
SIMP. Secondo la retta A F, e non secondo la curva, essendosi già escluse le curve da simil uso.
SAGR. Ma io non mi servirei né dell'una né dell'altra, vedendo la retta A F andare obliquamente; ma vorrei tirare una linea che fusse a squadra sopra la C D, perché questa mi par che sarebbe la brevissima, ed unica delle infinite maggiori, e tra di loro ineguali, che dal termine A si possono produrre ad altri ed altri punti della linea opposta C D.
SALV. Parmi la vostra elezione, e la ragione che n'adducete, perfettissima: talché sin qui noi abbiamo, che la prima dimensione si determina con una linea retta; la seconda, cioè la larghezza, con un'altra linea pur retta, e non solamente retta, ma, di piú, ad angoli retti sopra l'altra che determinò la lunghezza; e cosà abbiamo definite le due dimensioni della superficie, cioè la lunghezza e la larghezza. Ma quando voi aveste a determinare un'altezza, come, per esempio, quanto sia alto questo palco dal pavimento che noi abbiamo sotto i piedi; essendo che da qualsivoglia punto del palco si possono tirare infinite linee, e curve e rette, e tutte di diverse lunghezze, ad infiniti punti del sottoposto pavimento, di quale di cotali linee vi servireste voi?
SAGR. Io attaccherei un filo al palco, e con un piombino, che pendesse da quello, lo lascerei liberamente distendere sino che arrivasse prossimo al pavimento; e la lunghezza di tal filo, essendo la retta e brevissima di quante linee si potessero dal medesimo punto tirare al pavimento, direi che fusse la vera altezza di questa stanza.
SALV. Benissimo. E quando dal punto notato nel pavimento da questo filo pendente (posto il pavimento a livello, e non inclinato) voi faceste partire due altre linee rette, una per la lunghezza e l'altra per la larghezza della superficie di esso pavimento, che angoli conterrebber elleno con esso filo?
SAGR. Conterrebbero sicuramente angoli retti, cadendo esso filo a piombo ed essendo il pavimento ben piano e ben livellato.
[Vedi figura 03.gif]
Salv. Adunque se voi stabilirete alcun punto per capo e termine delle misure, e da esso farete partire una retta linea come determinatrice della prima misura, cioè della lunghezza, bisognerà per necessità che quella che dee definir la larghezza si parta ad angolo retto sopra la prima, e che quella che ha da notar l'altezza, che è la terza dimensione, partendo dal medesimo punto formi, pur con le altre due, angoli non obliqui, ma retti: e così dalle tre perpendicolari avrete, come da tre linee une e certe e brevissime, determinate le tre dimensioni, AB lunghezza, AC larghezza, AD altezza. E perchè chiara cosa è, che al medesimo punto non può concorrere altra linea che con quelle faccia angoli retti, e le dimensioni dalle sole linee rette che tra di loro fanno angoli retti deono esser determinate, adunque le dimensioni non sono più che 3; e chi ha le 3 le ha tutte, e chi le ha tutte è divisibile per tutti i versi, e chi è tale è perfetto, etc.
SIMP. E chi lo dice che non si possan tirare altre linee? e perché non poss'io far venir di sotto un'altra linea sino al punto A, che sia a squadra con l'altre?
SALV. Voi non potete sicuramente ad un istesso punto far concorrere altro che tre linee rette sole, che fra di loro costituiscano angoli retti.
SAGR. SÃ, perché quella che vuol dire il signor Simplicio par a me che sarebbe l'istessa D A prolungata in giú: ed in questo modo si potrebbe tirarne altre due, ma sarebbero le medesime prime tre, non differenti in altro, che dove ora si toccano solamente, all'ora si segherebbero, ma non apporterebbero nuove dimensioni.
SIMP. Io non dirò che questa vostra ragione non possa esser concludente, ma dirò bene con Aristotile che nelle cose naturali non si deve sempre ricercare una necessità di dimostrazion matematica.
SAGR. SÃ, forse, dove la non si può avere; ma se qui ella ci è, perché non la volete voi usare? Ma sarà bene non ispender piú parole in questo particolare, perché io credo che il signor Salviati ad Aristotile ed a voi senza altre dimostrazioni avrebbe conceduto, il mondo esser corpo, ed esser perfetto e perfettissimo, come opera massima di Dio.
SALV. Cosà è veramente. Però lasciata la general contemplazione del tutto, venghiamo alla considerazione delle parti, le quali Aristotile nella prima divisione fa due, e tra di loro diversissime ed in certo modo contrarie; dico, la celeste e la elementare: quella, ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, etc.; e questa, esposta ad una continua alterazione, mutazione, etc. La qual differenza cava egli, come da suo principio originario, dalla diversità de i moti locali: e camina con tal progresso.
Uscendo, per cosà dire, del mondo sensibile e ritirandosi al mondo ideale, comincia architettonicamente a considerare, che essendo la natura principio di moto, conviene che i corpi naturali siano mobili di moto locale. Dichiara poi, i movimenti locali esser di tre generi, cioè circolare, retto, e misto del retto e del circolare; e li duoi primi chiama semplici, perché di tutte le linee la circolare e la retta sole son semplici. E di qui, ristringendosi alquanto, di nuovo definisce, de i movimenti semplici uno esser il circolare, cioè quello che si fa intorno al mezo, ed il retto all'insú ed all'ingiú, cioè all'insú quello che si parte dal mezo, all'ingiú quello che va verso il mezo: e di qui inferisce come necessariamente conviene che tutti i movimenti semplici si ristringano a queste tre spezie, cioè al mezo, dal mezo, ed intorno al mezo; il che risponde, dice egli, con certa bella proporzione a quel che si è detto di sopra del corpo, che esso ancora è perfezionato in tre cose, e cosà il suo moto. Stabiliti questi movimenti, segue dicendo che, essendo, de i corpi naturali, altri semplici ed altri composti di quelli (e chiama corpi semplici quelli che hanno da natura principio di moto, come il fuoco e la terra), conviene che i movimenti semplici sieno de i corpi semplici, ed i misti de' composti, in modo però che i composti seguano il moto della parte predominante nella composizione.
SAGR. Di grazia, signor Salviati, fermatevi alquanto, perché io mi sento in questo progresso pullular da tante bande tanti dubbi, che mi sarà forza o dirgli, s'io vorrò sentir con attenzione le cose che voi soggiugnerete, o rimuover l'attenzione dalle cose da dirsi, se vorrò conservare la memoria de' dubbi.
SALV. Io molto volentieri mi fermerò, perché corro ancor io simil fortuna, e sto di punto in punto per perdermi, mentre mi conviene veleggiar tra scogli ed onde cosà rotte, che mi fanno, come si dice, perder la bussola: però, prima che far maggior cumulo, proponete le vostre difficultà .
SAGR. Voi, insieme con Aristotile, da principio mi separaste alquanto dal mondo sensibile per additarmi l'architettura con la quale egli doveva esser fabbricato, e con mio gusto mi cominciaste a dire che il corpo naturale è per natura mobile, essendo che si è diffinito altrove, la natura esser principio di moto. Qui mi nacque un poco di...
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