[Pagina precedente]... quella spiaggia, movendosi sempre con egual corso?
SIMP. Non altramente.
SALV. E perché no?
SIMP. Perché quella navigazione è ristretta e terminata tra le Colonne e 'l lito di Palestina, ed essendo la distanza terminata, si passa in tempo finito: se già altri non volesse, col ritornare in dietro con movimento contrario, tornar poi a replicar il medesimo viaggio; ma questo sarebbe un moto interrotto, e non continuato.
SALV. Verissima risposta. Ma la navigazione dallo stretto di Magaglianes per il mar Pacifico, per le Molucche, per il capo di Buona Speranza, e di là per il medesimo stretto e di nuovo per il mar Pacifico etc., credete voi ch'ella si potesse perpetuare?
SIMP. Potrebbesi, perché essendo questa una circolazione, che ritorna in se stessa, col replicarla infinite volte si potrebbe perpetuare senza veruno interrompimento.
SALV. Adunque una nave in questo viaggio potrebbe durare a navigare in eterno.
SIMP. Potrebbe, quando la nave fusse incorruttibile, ma dissolvendosi la nave, si terminerebbe di necessità la navigazione.
SALV. Ma nel Mediterraneo, quando anco la nave fusse incorruttibile, non però potrebbe muoversi perpetuamente verso Palestina, per esser tal viaggio terminato. Due cose adunque si ricercano, acciò che un mobile senza intermissione possa muoversi eternamente: l'una è che il moto possa di sua natura essere interminato e infinito; e l'altra, che il mobile sia parimente incorruttibile ed eterno.
SIMP. Tutto questo è necessario.
SALV. Adunque già per voi stesso venite ad aver confessato, esser impossibile che mobile alcuno si muova eternamente di moto retto, essendo che il moto retto, o vogliatelo in su o vogliatelo in giú, voi stesso lo fate terminato dalla circonferenza e dal centro: sà che quando bene il mobile, cioè la Terra, sia eterna, tuttavia, per non essere il moto retto di sua natura eterno, ma terminatissimo, non può naturalmente competere alla Terra, anzi, come pure ieri si disse, Aristotile medesimo è costretto a far il globo della Terra eternamente stabile. Quando poi voi dite che le parti della Terra sempre si moveranno all'ingiú rimossi gli impedimenti, equivocate gagliardamente, perché all'incontro bisogna impedirle, contrariarle e violentarle, se voi volete ch'elle si muovano; perché, cadute ch'elle sono una volta, bisogna con violenza rigettarle in alto, acciò tornino a cader la seconda: e quanto a gli impedimenti, questi gli tolgono solamente l'arrivare al centro; ché quando ci fosse un pozzo che passasse oltre al centro, non però una zolla di terra si moverebbe oltre a quello, se non in quanto traportata dall'impeto lo trapassasse, per ritornarvi poi e finalmente fermarvisi. Quanto dunque al poter sostenere che il movimento per linea retta convenga o possa convenir naturalmente né alla Terra né ad altro mobile, mentre l'universo resti nel suo ordine perfetto, toglietevene pur giú del tutto, e fate pur forza (se voi non le volete concedere il moto circolare) di mantenerle e difenderle l'immobilità .
SIMP. Quanto all'immobilità , gli argomenti di Aristotile, e piú gli altri prodotti da voi, mi par che la concludano necessariamente sin ora, e gran cose ci vorranno, per mio giudizio, a confutargli.
SALV. Venghiamo dunque al secondo argomento: che era che quei corpi de i quali noi siam sicuri che circolarmente si muovono, hanno piú d'un moto, trattone il primo mobile; e però quando la Terra si movesse circolarmente, dovrebbe muoversi di due moti, dal che ne seguirebbe mutazione circa gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede seguire; adunque etc. La risposta semplicissima e propriissima a questa instanza è nell'argomento stesso, ed Aristotile medesimo ce la mette in bocca, e non può essere che voi, signor Simplicio, non l'abbiate veduta.
SIMP. Né l'ho veduta, né ancor la veggo.
SALV. Non può essere, perché ella vi è troppo chiara.
SIMP. Io voglio, con vostra licenza, dare un'occhiata al testo.
SAGR. Faremo portare il testo adesso adesso.
SIMP. Io lo porto sempre in tasca. Eccolo qui; e so per appunto il luogo, che è nel secondo del Cielo, al cap. 14. Eccolo: testo 97: Præterea, omnia quæ feruntur latione circulari, subdeficere videntur, ac moveri pluribus una latione, præter primam sphæram; quare et Terram necessarium est, sive circa medium sive in medio posita feratur, duabus moveri lationibus: si autem hoc acciderit, necessarium est fieri mutationes ac conversiones fixorum astrorum: hoc autem non videtur fieri; sed semper eadem apud eadem loca ipsius et oriuntur et occidunt. Or qui non veggo io fallacia nissuna, e parmi l'argomento concludentissimo.
SALV. Ed a me questa nuova lettura ha confermata la fallacia nell'argumentare, e di piú scoperto un'altra falsità . Però notate. Due posizioni, o vogliam dire due conclusioni, son quelle che Aristotile vuole impugnare: l'una è di quelli che, collocando la Terra nel mezo, la facesser muovere in se stessa circa 'l proprio centro: l'altra è di quelli che, costituendola lontana dal mezo, la facessero andar con moto circolare intorno ad esso mezo: ed amendue queste posizioni impugna congiuntamente con l'istesso argomento. Ora io dico che egli erra nell'una e nell'altra impugnazione, e che l'errore contro la prima posizione è di uno equivoco o paralogismo, e contro alla seconda è una conseguenza falsa. Venghiamo alla prima posizione, che costituisce la Terra nel mezo e la fa mobile in se stessa circa il proprio centro, ed affrontiamola con l'istanza d'Aristotile, dicendo: Tutti i mobili che si muovono circolarmente, par che restino indietro, e si muovono di piú d'una lazione, eccettuata la prima sfera (cioè il primo mobile); adunque la Terra, movendosi circa il proprio centro, essendo posta nel mezo, bisogna che si muova di due lazioni, e resti in dietro: ma quando questo fusse, bisognerebbe che si variassero gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede fare: adunque la Terra non si muove etc. Qui è il paralogismo; per iscoprirlo, discorro con Aristotile in tal modo. Tu di', o Aristotile, che la Terra posta nel mezo non può muoversi in se stessa, perché sarebbe necessario attribuirle due lazioni: adunque, quando non fusse necessario attribuirle altro che una lazion sola, tu non avresti per impossibile che di una tal sola ella si movesse, perché fuor di proposito ti saresti ristretto a ripor l'impossibilità nella pluralità delle lazioni, quando anco di una sola ella muover non si potesse. E perché di tutti i mobili del mondo tu fai che un solo si muova d'una lazion sola, e tutti gli altri di piú d'una; e questo tal mobile affermi che è la prima sfera, cioè quello per il quale tutte le stelle fisse ed erranti ci appariscono muoversi concordemente da levante a ponente; quando la Terra potesse esser quella prima sfera, che col muoversi d'una lazion sola facesse apparir le stelle muoversi da levante in ponente, tu non gliela negheresti: ma chi dice che la Terra posta nel mezo si volge in se stessa, non gli attribuisce altro moto che quello per il quale tutte le stelle appariscono muoversi da levante a ponente, e cosà ella viene a esser quella prima sfera che tu stesso concedi muoversi d'una lazione sola: bisogna dunque, o Aristotile, se tu vuoi concluder qualcosa, che tu dimostri che la Terra posta nel mezo non possa muoversi né anco di una sola lazione, o vero che né meno la prima sfera possa aver un sol movimento; altrimenti tu nel tuo medesimo silogismo commetti la fallacia e ve la manifesti, negando ed insieme concedendo l'istessa cosa. Vengo ora alla seconda posizione, che è di quelli che ponendo la Terra lontana dal mezo, la fanno mobile intorno ad esso, cioè la fanno un pianeta ed una stella errante; contro alla qual posizione procede l'argomento, e quanto alla forma è concludente, ma pecca in materia: imperocché, conceduto che la Terra si muova in cotal guisa, e che si muova di due lazioni, non però ne segue di necessità che, quando ciò sia, s'abbiano a far mutazioni ne gli orti e ne gli occasi delle stelle fisse, come a suo luogo dichiarerò. E qui voglio scusar bene l'error d'Aristotile, anzi lo voglio lodar d'aver egli arrecato il piú sottile argomento contro alla posizion del Copernico, che arrecar si possa; e se l'instanza è acuta, ed in apparenza concludentissima, vedrete tanto piú esser sottile ed ingegnosa la soluzione, e da non esser ritrovata da ingegno men acuto di quello del Copernico; e dalla difficultà nell'intenderla potrete argomentare la difficultà , tanto maggiore, del ritrovarla. Lasciamo in tanto per ora la risposta in pendente, la quale a suo luogo e tempo intenderete, dopo l'aver replicata l'instanza medesima d'Aristotele, e di piú fortificata grandemente a favor suo. Or passiamo all'argomento terzo, pur d'Aristotile, intorno al quale non fa bisogno replicar altro, essendosegli a bastanza risposto tra ieri e oggi: imperocché e' replica che 'l moto de' gravi è naturalmente per linea retta al centro, e cerca poi se al centro della Terra o pur dell'universo, e conclude che naturalmente al centro dell'universo, ma per accidente a quel della Terra. Però possiamo passare al quarto, nel quale converrà che ci trattenghiamo assai, per esser fondato sopra quella esperienza dalla quale prende poi forza la maggior parte degli argomenti che restano. Dice dunque Aristotile, argomento certissimo dell'immobilità della Terra essere il veder noi i proietti in alto a perpendicolo ritornar per l'istessa linea nel medesimo luogo di dove furon tirati, e questo, quando bene il movimento fusse altissimo; il che non potrebbe accadere quando la Terra si movesse, perché nel tempo che 'l proietto si muove in su e 'n giú, separato dalla Terra, il luogo dove ebbe principio il moto del proietto scorrerebbe, mercè del rivolgimento della Terra, per lungo tratto verso levante, e per tanto spazio, nel cadere, il proietto percuoterebbe in Terra lontano dal detto luogo: sà che qui s'accomoda l'argomento della palla tirata in su coll'artiglieria, sà ancora l'altro usato da Aristotile e da Tolomeo, del vedere i gravi cadenti da grandi altezze venir per linea retta e perpendicolare alla superficie terrestre. Ora, per cominciar a sviluppar questi nodi, domando al signor Simplicio, quando altri negasse a Tolomeo e ad Aristotile che i gravi nel cader liberamente da alto venissero per linea retta e perpendicolare, cioè diretta al centro, con qual mezo lo proverebbero.
SIMP. Col mezo del senso, il quale ci assicura che quella torre è diritta e perpendicolare, e ci mostra quella pietra nel cadere venirla radendo, senza piegar pur un capello da questa o da quella parte, e percuotere al piede giusto sotto 'l luogo donde fu lasciata.
SALV. Ma quando per fortuna il globo terrestre si movesse in giro, ed in conseguenza portasse seco la torre ancora, e che ad ogni modo si vedesse la pietra nel cadere venir radendo il filo della torre, qual bisognerebbe che fusse il suo movimento?
SIMP. Bisognerebbe in questo caso dir piú tosto "i suoi movimenti", perché uno sarebbe quello col quale verrebbe da alto a basso, e un altro converrebbe ch'ella n'avesse per seguire il corso della torre.
SALV. Sarebbe dunque il moto suo un composto di due, cioè di quello col quale ella misura la torre, e dell'altro col quale ella la segue: dal qual composto ne risulterebbe che 'l sasso descriverebbe non piú quella semplice linea retta e perpendicolare, ma una trasversale, e forse non retta.
SIMP. Del non retta non lo so; ma intendo bene che di necessità sarebbe trasversale, e differente dall'altra retta perpendicolare, che ella descrisse stando la Terra immobile.
SALV. Adunque dal solamente vedere la pietra cadente rader la torre, voi non potete sicuramente affermare che ella descriva una linea retta e perpendicolare, se non supposto prima che la Terra stia ferma.
SIMP. Cosà è; perché quando la Terra si movesse, il moto della pietra sarebbe trasversale, e non a perpendicolo.
SALV. Ecco dunque il paralogismo d'Aristotile e di Tolomeo evidente e chiaro, e scoperto da voi medesimo, nel quale...
[Pagina successiva]