[Pagina precedente]...iesi dalla medesima mutazion di figura che nissuna di esse è stella o altro corpo di figura sferica; imperocché tra tutte le figure sola la sfera non si vede mai in iscorcio, né può rappresentarsi mai se non perfettamente rotonda; e cosà quando alcuna delle macchie particolari fusse un corpo rotondo, quali si stimano esser tutte le stelle, della medesima rotondità si mostrerebbe tanto nel mezo del disco solare quanto verso l'estremità ; dove che lo scorciare tanto e mostrarsi cosà sottili verso tale estremità , ed all'incontro spaziose e larghe verso il mezo, ci rende sicuri quelle esser falde di poca profondità o grossezza rispetto alla lunghezza e larghezza loro. Che poi si sia osservato ultimamente che le macchie doppo suoi determinati periodi ritornino le medesime per l'appunto, non lo crediate, signor Simplicio, e chi ve l'ha detto vi vuole ingannare; e che ciò sia, guardate che ei vi ha taciuto quelle che si generano e quelle che si dissolvono nella faccia del Sole, lontano dalla circonferenza; né vi ha anco detto parola di quello scorciare, che è argomento necessario dell'esser contigue al Sole. Quello che ci è del ritorno delle medesime macchie, non è altro che quel che pur si legge nelle sopraddette Lettere, cioè che alcune di esse può esser talvolta che siano di cosà lunga durata, che non si disfacciano per una sola conversione intorno al Sole, la quale si spedisce in meno di un mese.
SIMP. Io, per dire il vero, non ho fatto né sà lunghe né sà diligenti osservazioni, che mi possano bastare a esser ben padrone del quod est di questa materia; ma voglio in ogni modo farle, e poi provarmi io ancora se mi sucedesse concordare quel che ci porge l'esperienza con quel che ci dimostra Aristotile, perché chiara cosa è che due veri non si posson contrariare.
SALV. Tuttavolta che voi vogliate accordar quel che vi mostrerà il senso con le piú salde dottrine d'Aristotile, non ci averete una fatica al mondo. E che ciò sia vero, Aristotile non dic'egli che delle cose del cielo, mediante la gran lontananza, non se ne può molto resolutamente trattare?
SIMP. Dicelo apertamente.
SALV. Il medesimo non afferm'egli che quello che l'esperienza e il senso ci dimostra, si deve anteporre ad ogni discorso, ancorché ne paresse assai ben fondato? e questo non lo dic'egli resolutamente e senza punto titubare?
SIMP. Dicelo.
SALV. Adunque di queste due proposizioni, che sono ambedue dottrina d'Aristotile, questa seconda, che dice che bisogna anteporre il senso al discorso, è dottrina molto piú ferma e risoluta che l'altra, che stima il cielo inalterabile; e però piú aristotelicamente filosoferete dicendo: "Il cielo è alterabile, perché cosà mi mostra il senso", che se direte: "Il cielo è inalterabile, perché cosà persuade il discorso ad Aristotile". Aggiugnete che noi possiamo molto meglio di Aristotile discorrer delle cose del cielo, perché, confessando egli cotal cognizione esser a lui difficile per la lontananza da i sensi, viene a concedere che quello a chi i sensi meglio lo potessero rappresentare, con sicureza maggiore potrebbe intorno ad esso filosofare: ora noi, mercé del telescopio, ce lo siam fatto vicino trenta e quaranta volte piú che vicino non era ad Aristotile, sà che possiamo scorgere in esso cento cose che egli non potette vedere, e tra le altre queste macchie nel Sole, che assolutamente ad esso furono invisibili: adunque del cielo e del Sole piú sicuramente possiamo noi trattare che Aristotile.
SAGR. Io sono nel cuore al signor Simplicio, e veggo che e' si sente muovere assai dalla forza di queste pur troppo concludenti ragioni; ma, dall'altra banda, il vedere la grande autorità che si è acquistata Aristotile appresso l'universale, il considerare il numero de gli interpreti famosi che si sono affaticati per esplicare i suoi sensi, il vedere altre scienze, tanto utili e necessarie al publico, fondar gran parte della stima e reputazion loro sopra il credito d'Aristotile, lo confonde e spaventa assai; e me lo par sentir dire: "E a chi si ha da ricorrere per definire le nostre controversie, levato che fusse di seggio Aristotile? qual altro autore si ha da seguitare nelle scuole, nelle accademie, nelli studi? qual filosofo ha scritto tutte le parti della natural filosofia, e tanto ordinatamente, senza lasciar indietro pur una particolar conclusione? adunque si deve desolar quella fabbrica, sotto la quale si ricuoprono tanti viatori? si deve destrugger quell'asilo, quel Pritaneo, dove tanto agiatamente si ricoverano tanti studiosi, dove, senza esporsi all'ingiurie dell'aria, col solo rivoltar poche carte, si acquistano tutte le cognizioni della natura? si ha da spiantar quel propugnacolo, dove contro ad ogni nimico assalto in sicurezza si dimora?" Io gli compatisco, non meno che a quel signore che, con gran tempo, con spesa immensa, con l'opera di cento e cento artefici, fabbricò nobilissimo palazzo, e poi lo vegga, per esser stato mal fondato, minacciar rovina, e che, per non vedere con tanto cordoglio disfatte le mura di tante vaghe pitture adornate, cadute le colonne sostegni delle superbe logge, caduti i palchi dorati, rovinati gli stipiti, i frontespizi e le cornici marmoree con tanta spesa condotte, cerchi con catene, puntelli, contrafforti, barbacani e sorgozzoni di riparare alla rovina.
SALV. Eh non tema già il signor Simplicio di simil cadute; io con sua assai minore spesa torrei ad assicurarlo del danno. Non ci è pericolo che una moltitudine sà grande di filosofi accorti e sagaci si lasci sopraffare da uno o dua, che faccino un poco di strepito; anzi non pure col voltargli contro le punte delle lor penne, ma col solo silenzio, gli metteranno in disprezzo e derisione appresso l'universale. Vanissimo è il pensiero di chi credesse introdur nuova filosofia col reprovar questo o quello autore: bisogna prima imparare a rifar i cervelli degli uomini, e rendergli atti a distinguere il vero dal falso, cosa che solo Dio la può fare. Ma d'un ragionamento in un altro dove siamo noi trascorsi? io non saprei ritornare in su la traccia, senza la scorta della vostra memoria.
SIMP. Me ne ricordo io benissimo. Eramo intorno alle risposte dell'Antiticone all'obbiezioni contro all'immutabilità del cielo, tra le quali voi inseriste questa delle macchie solari, non toccata da lui; e credo che voi voleste considerar la sua risposta all'instanza delle stelle nuove.
SALV. Or mi sovviene il restante; e seguitando la materia, parmi che nella risposta dell'Antiticone sieno alcune cose degne di riprensione. E prima, se le due stelle nuove, le quali e' non può far di manco di non por nelle parti altissime del cielo, e che furono di lunga durata e finalmente svanirono, non gli danno fastidio nel mantener l'inalterabilità del cielo, per non esser loro parti certe di quello né mutazioni fatte nelle stelle antiche, a che proposito mettersi con tanta ansietà ed affanno contro le comete, per bandirle in ogni maniera dalle regioni celesti? non bastav'egli il poter dir di loro quel medesimo che delle stelle nuove? cioè che per non esser parti certe del cielo né mutazioni fatte in alcuna delle sue stelle, nessun progiudizio portano né al cielo né alla dottrina d'Aristotile? Secondariamente, io non resto ben capace dell'interno dell'animo suo, mentre che e' confessa che le alterazioni che si facessero nelle stelle sarebber destruttrici delle prerogative del cielo, cioè dell'incorruttibilità etc., e questo, perché le stelle son cose celesti, come per il concorde consenso di tutti è manifesto; ed all'incontro, niente lo perturba, quando le medesime alterazioni si facessero fuori delle stelle, nel resto della celeste espansione. Stim'egli forse che il cielo non sia cosa celeste? io per me credeva che le stelle si chiamassero cose celesti mediante l'esser nel cielo o l'esser fatte della materia del cielo, e che però il cielo fusse piú celeste di loro, in quella guisa che non si può dire alcuna cosa esser piú terrestre o piú ignea della terra o del fuoco stesso. Il non aver poi fatto menzione delle macchie solari, delle quali è stato dimostrato concludentemente prodursi e dissolversi ed esser prossime al corpo solare e con esso o intorno ad esso raggirarsi, mi dà grand'indizio che possa esser che questo autore scriva piú tosto a compiacenza di altri che a soddisfazion propria; e questo dico, perché, dimostrandosi egli intelligente delle matematiche, è impossibile ch'ei non resti persuaso dalle dimostrazioni, che tali materie sono necessariamente contigue al corpo solare, e sono generazioni e corruzioni tanto grandi, che nissuna cosà grande se ne fa mai in Terra: e se tali e tante e sà frequenti se ne fanno nell'istesso globo del Sole, che ragionevolmente può stimarsi delle piú nobili parti del cielo, qual ragione resterà potente a dissuaderci che altre ne possano accadere ne gli altri globi?
SAGR. Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell'universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all'incontro stimar grande imperfezione l'esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sà diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d'arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l'acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l'animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. Ma quanto piú m'interno in considerar la vanità de i discorsi popolari, tanto piú gli trovo leggieri e stolti. E qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l'argento e l'oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i metalli piú pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sà belle frondi, fiori cosà odorosi e sà gentil frutti? È, dunque, la penuria e l'abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dirà poi quello essere un bellissimo diamante, perché assimiglia l'acqua pura, e poi non lo cambierebbe con dieci botti d'acqua. Questi che esaltano tanto l'incorruttibilità , l'inalterabilità , etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono.
SALV. E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe se non con qualche lor vantaggio; ché meglio credo io che sia il non discorrere, che discorrere a rovescio.
SIMP. E' non è dubbio alcuno che la Terra è molto piú perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile, etc., che se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile. Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti piú imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che i corpi celesti, cioè il Sole, la Luna e l'altre stelle, che non sono ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d'altro per conseguire il l...
[Pagina successiva]