[Pagina precedente]... son sicuro che l'effetto seguirà come vi dico, perché cosà è necessario che segua; e piú v'aggiungo che voi stesso ancora sapete che non può seguire altrimenti, se ben fingete, o simulate di fingere, di non lo sapere. Ma io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo farò confessare a viva forza. Ma il signor Sagredo sta molto cheto: mi pareva pur di vedervi far non so che moto, per dir alcuna cosa.
SAGR. Volevo veramente dir non so che; ma la curiosità che mi ha mossa questo sentir dire di far tal violenza al signor Simplicio, che palesi la scienza che e' ci vuole occultare, mi ha fatto deporre ogni altro desiderio: però vi prego ad effettuare il vanto.
SALV. Purché il signor Simplicio si contenti di rispondere alle mie interrogazioni, io non mancherò.
SIMP. Io risponderò quel che saprò, sicuro che avrò poca briga, perché delle cose che io tengo false non credo di poterne saper nulla, essendoché la scienza è de' veri, e non de' falsi.
SALV. Io non desidero che voi diciate o rispondiate di saper niente altro che quello che voi sicuramente sapete. Però ditemi: quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l'acciaio, e che fusse non parallela all'orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo, lasciata in sua libertà che credete voi che ella facesse? non credete voi (sà come credo io) che ella stesse ferma?
SIMP. Se quella superficie fusse inclinata?
SALV. SÃ, ché cosà già ho supposto.
SIMP. Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente.
SALV. Avvertite bene a quel che voi dite, signor Simplicio, perché io son sicuro ch'ella si fermerebbe in qualunque luogo voi la posaste.
SIMP. Come voi, signor Salviati, vi servite di questa sorte di supposizioni, io comincierò a non mi maravigliar che voi concludiate conclusioni falsissime.
SALV. Avete dunque per sicurissimo ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente?
SIMP. Che dubbio?
SALV. E questo lo tenete per fermo, non perché io ve l'abbia insegnato (perché io cercavo di persuadervi il contrario), ma per voi stesso e per il vostro giudizio naturale.
SIMP. Ora intendo il vostro artifizio: voi dicevi cosà per tentarmi e (come si dice dal vulgo) per iscalzarmi, ma non che in quella guisa credeste veramente.
SALV. Cosà sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocità ? E avvertite che io ho nominata una palla perfettissimamente rotonda ed un piano esquisitamente pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii: e cosà voglio che voi astragghiate dall'impedimento dell'aria, mediante la sua resistenza all'essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere.
SIMP. Ho compreso il tutto benissimo: e quanto alla vostra domanda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente; ché tale è la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo: e quanto maggior fusse la declività , maggior sarebbe la velocità .
SALV. Ma quand'altri volesse che quella palla si movesse all'insú sopra quella medesima superficie, credete voi che ella vi andasse?
SIMP. Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi.
SALV. E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto?
SIMP. Il moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe piú lungo o piú breve secondo il maggiore o minore impulso e secondo la maggiore o minore acclività .
SALV. Parmi dunque sin qui che voi mi abbiate esplicati gli accidenti d'un mobile sopra due diversi piani; e che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende e va continuamente accelerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul piano ascendente ci vuol forza a spignervelo ed anco a fermarvelo, e che 'l moto impressogli va continuamente scemando, sà che finalmente si annichila. Dite ancora di piú che nell'un caso e nell'altro nasce diversità dall'esser la declività o acclività del piano, maggiore o minore; sà che alla maggiore inclinazione segue maggior velocità , e, per l'opposito, sopra 'l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muove quanto l'elevazione è minore. Ora ditemi quel che accaderebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse né acclive né declive.
SIMP. Qui bisogna ch'io pensi un poco alla risposta. Non vi essendo declività , non vi può essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclività , non vi può esser resistenza all'esser mosso, talché verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resistenza al moto: parmi dunque che e' dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perché non è molto che 'l signor Sagredo mi fece intender che cosà seguirebbe.
SALV. Cosà credo, quando altri ve lo posasse fermo; ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe?
SIMP. Seguirebbe il muoversi verso quella parte.
SALV. Ma di che sorte di movimento? di continuamente accelerato, come ne' piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi?
SIMP. Io non ci so scorgere causa di accelerazione né di ritardamento, non vi essendo né declività né acclività .
SALV. Sì. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete: quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi?
SIMP. Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie né erta né china.
SALV. Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cioè perpetuo?
SIMP. Parmi di sÃ, quando il mobile fusse di materia da durare.
SALV. Già questo si è supposto, mentre si è detto che si rimuovano tutti gl'impedimenti accidentarii ed esterni, e la fragilità del mobile, in questo fatto, è un degli impedimenti accidentarii. Ditemi ora: quale stimate voi la cagione del muoversi quella palla spontaneamente sul piano inclinato, e non, senza violenza, sopra l'elevato?
SIMP. Perché l'inclinazion de' corpi gravi è di muoversi verso 'l centro della Terra, e solo per violenza in su verso la circonferenza; e la superficie inclinata è quella che acquista vicinità al centro, e l'acclive discostamento.
SALV. Adunque una superficie che dovesse esser non declive e non acclive, bisognerebbe che in tutte le sue parti fusse egualmente distante dal centro. Ma di tali superficie ve n'è egli alcuna al mondo?
SIMP. Non ve ne mancano: ècci quella del nostro globo terrestre, se però ella fusse ben pulita, e non, quale ella è, scabrosa e montuosa; ma vi è quella dell'acqua, mentre è placida e tranquilla.
SALV. Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei mobili che scorrono per una di quelle superficie che non sono né declivi né acclivi, e però disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii ed esterni, a muoversi, con l'impulso concepito una volta, incessabilmente e uniformemente
SIMP. Par che deva esser cosÃ.
SALV. E quella pietra ch'è su la cima dell'albero non si muov'ella, portata dalla nave, essa ancora per la circonferenza d'un cerchio intorno al centro, e per conseguenza d'un moto indelebile in lei, rimossi gli impedimenti esterni? e questo moto non è egli cosà veloce come quel della nave?
SIMP. Sin qui tutto cammina bene. Ma il resto?
SALV. Cavatene in buon'ora l'ultima conseguenza da per voi, se da per voi avete sapute tutte le premesse.
SIMP. Voi volete dir per ultima conclusione, che movendosi quella pietra d'un moto indelebilmente impressole, non l'è per lasciare, anzi è per seguire la nave, ed in ultimo per cadere nel medesimo luogo dove cade quando la nave sta ferma; e cosà dico io ancora che seguirebbe quando non ci fussero impedimenti esterni, che sturbassero il movimento della pietra dopo esser posta in libertà : li quali impedimenti son due; l'uno è l'essere il mobile impotente a romper l'aria col suo impeto solo, essendogli mancato quello della forza de' remi, del quale era partecipe, come parte della nave, mentre era su l'albero; l'altro è il moto novello del cadere a basso, che pur bisogna che sia d'impedimento all'altro progressivo.
SALV. Quanto all'impedimento dell'aria, io non ve lo nego; e quando il cadente fusse materia leggiera, come una penna o un fiocco di lana, il ritardamento sarebbe molto grande; ma in una pietra grave, è piccolissimo: e voi stesso poco fa avete detto che la forza del piú impetuoso vento non basta a muover di luogo una grossa pietra; or pensate quel che farà l'aria quieta incontrata dal sasso, non piú veloce di tutto 'l navilio. Tuttavia, come ho detto, vi concedo questo piccolo effetto, che può dependere da tale impedimento; sà come so che voi concederete a me che quando l'aria si movesse con l'istessa velocità della nave e del sasso, l'impedimento sarebbe assolutamente nullo. Quanto all'altro, del sopravegnente moto in giú, prima è manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e 'l retto verso 'l centro, non son contrarii né destruttivi l'un dell'altro né incompatibili, perché, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto: ché già voi stesso avete conceduto, la repugnanza esser contro al moto che allontana dal centro, e l'inclinazione, verso il moto che avvicina al centro; onde necessariamente segue che al moto che non appressa né discosta dal centro, non ha il mobile né repugnanza né propensione né, in conseguenza, cagione di diminuirsi in lui la facultà impressagli: e perché la causa motrice non è una sola, che si abbia, per la nuova operazione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravità attende solo a tirare il mobile al centro, e la virtú impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna d'impedimento.
SIMP. Il discorso veramente è in apparenza assai probabile, ma in essenza turbato un poco da qualche intoppo mal agevole a superarsi. Voi in tutto 'l progresso avete fatta una supposizione, che dalla scuola peripatetica non di leggiero vi sarà conceduta, essendo contrariissima ad Aristotile: e questa è il prender come cosa notoria e manifesta che 'l proietto separato dal proiciente continui il moto per virtú impressagli dall'istesso proiciente, la qual virtú impressa è tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio d'alcuno accidente d'uno in un altro suggetto: nella qual filosofia si tiene, come credo che vi sia noto, che 'l proietto sia portato dal mezo, che nel nostro caso viene ad esser l'aria e però se quel sasso, lasciato dalla cima dell'albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognerebbe attribuire tal effetto all'aria, e non a virtú impressagli: ma voi supponete che l'aria non séguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. Oltre che colui che lo lascia cadere, non l'ha a scagliare né dargli impeto col braccio, ma deve semplicemente aprir la mano e lasciarlo: e cosÃ, né per virtú impressagli dal proiciente, né per benefizio dell'aria, potrà il sasso seguire 'l moto della nave, e però resterà indietro.
SALV. Parmi dunque di ritrar dal vostro parlare, che non venendo la pietra cacciata dal braccio di colui, la sua non venga altrimenti ad essere una proiezione.
SIMP. Non si può propriamente chiamar moto di proiezione.
SALV. Quello dunque che dice Aristotile del moto, del mobile e del motore de i proietti, non ha che fare nel nostro proposito; e se non ci ha che fare, perché lo producete?
SIMP. Producolo per amor di quella virtú impressa, nominata ed introdotta da voi, la quale, non essendo al mondo, non può operar nulla, perché non entium nullæ sunt operationes; e però non solo del moto de i proietti, ma di ogn'altro che non sia naturale, bisogna attribuirne la causa motrice al mezo, del quale non si è avuta la debita considerazione; e però il detto sin ...
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