DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI, di Galileo Galilei - pagina 40
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Le parallele comprese tra le linee rette, nel ritirarsi verso l'angolo, diminuiscono sempre con la medesima proporzione, come, v.
g., essendo divisa la AH in mezo nel punto F, la parallela HI sarà doppia della FG, e suddividendo la FA in mezo, la parallela prodotta dal punto della divisione sarà la metà della FG, e continuando la suddivisione in infinito, le parallele sussequenti saranno sempre la metà delle prossime precedenti: ma non così avviene delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza del cerchio; imperocchè, fatta l'istessa suddivisione nella FA e posto, per esempio, che la parallela che vien dal punto H fusse doppia di quella che vien da F, questa sarà poi più che doppia della seguente, e continuamente quanto verremo verso il toccamento A troveremo le precedenti linee contenere le prossime seguenti tre, quattro, dieci, cento, mille, centomila, e cento milioni, e più in infinito.
La brevità, dunque, di tali linee si riduce a tale, che di gran lunga supera il bisogno per far che il proietto, per leggerissimo che sia, ritorni, anzi pur si mantenga, sopra la circonferenza.
SAGR.
Io resto molto ben capace di tutto il discorso e della forza con la quale egli strigne: tuttavia mi pare che chi volesse travagliarlo ancora, potrebbe muoverci qualche difficultà, con dire che delle due cause che rendono la scesa del mobile piú e piú tarda in infinito, è manifesto che quella che depende dalla vicinità al primo termine della scesa, cresce sempre con la medesima proporzione, sí come sempre mantengono l'istessa proporzione tra di loro le parallele etc.; ma che la diminuzion della medesima velocità dependente dalla diminuzion della gravità del mobile (che era la seconda causa) si faccia essa ancora con la medesima proporzione, non par cosí manifesto.
E chi ci assicura che ella non si faccia secondo la proporzione delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza, o pur anco con proporzion maggiore?
SALV.
Io avevo preso come per vero che le velocità de i mobili naturalmente descendenti seguitassero la proporzione delle loro gravità, in grazia del signor Simplicio e d'Aristotile, che in piú luoghi l'afferma come proposizione manifesta; voi, in grazia dell'avversario, ponete ciò in dubbio, ed asserite poter esser che la velocità si accresca con proporzion maggiore, ed anco maggiore in infinito, di quella della gravità, onde tutto il discorso passato vadia per terra; resta a me, per sostenerlo, il dire che la proporzione delle velocità è molto minore di quella delle gravità, e cosí non solamente sollevare, ma fortificare, quanto si è detto: e di questo ne adduco per prova l'esperienza, la quale ci mostrerà che un grave anco ben trenta e quaranta volte piú di un altro, qual sarebbe, per esempio, una palla di piombo ed una di sughero non si moverà né anco a gran pezzo piú veloce il doppio.
Ora, se la proiezione non si farebbe quando ben la velocità del cadente si diminuisse secondo la proporzione della gravità, molto meno si farà ella tutta volta che poco si scemi la velocità per molto che si detragga del peso.
Ma posto anco che la velocità si diminuisse con proporzione assai maggiore di quella con che si scemasse la gravità, quando ben anco ella fusse quella stessa con la quale si diminuiscono quelle parallele tra la tangente e la circonferenza, io non penetro necessità veruna che mi persuada doversi far la proiezione di materie quanto si vogliano leggierissime, anzi affermo pure che ella non si farà, intendendo però di materie non propriamente leggierissime, cioè prive di ogni gravità e che per lor natura vadano in alto, ma che lentissimamente descendano ed abbiano pochissima gravità: e quello che mi muove a cosí credere è che la diminuzione di gravità, fatta secondo la proporzione delle parallele tra la tangente e la circonferenza, ha per termine ultimo ed altissimo la nullità di peso, come quelle parallele hanno per ultimo termine della lor diminuzione l'istesso contatto, che è un punto indivisibile; ora la gravità non si diminuisce mai sino al termine ultimo, perché cosí il mobile non sarebbe grave; ma ben lo spazio del ritorno del proietto alla circonferenza si riduce all'ultima piccolezza, il che è quando il mobile posa sopra la circonferenza nell'istesso punto del contatto, talché per ritornarvi non ha bisogno di spazio quanto: e però, sia quanto si voglia minima la propensione al moto in giú, sempre è ella piú che a bastanza per ricondurre il mobile su la circonferenza, dalla quale ei dista per lo spazio minimo, cioè per niente.
SAGR.
Veramente il discorso è molto sottile, ma altrettanto concludente; ed è forza confessare che il voler trattar le quistioni naturali senza geometria è un tentar di fare quello che è impossibile ad esser fatto.
SALV.
Ma il signor Simplicio non dirà cosí; se bene io non credo ch'ei sia di quei Peripatetici che dissuadono i lor discepoli dallo studio delle mattematiche, come quelle che depravano il discorso e lo rendono meno atto alla contemplazione.
SIMP.
Io non farei questo torto a Platone, ma direi bene con Aristotile che ei s'immerse troppo e troppo s'invaghí di quella sua geometria; perché finalmente queste sottigliezze mattematiche, signor Salviati, son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono: perché dimostrerranno ben i mattematici con i lor principii, per esempio, che sphæra tangit planum in puncto, proposizione simile alla presente; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro verso: e cosí voglio dire di quest'angoli del contatto e di queste proporzioni, che tutte poi vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili.
SALV.
Adunque voi non credete altrimenti che la tangente tocchi la superficie del globo terrestre in un punto?
SIMP.
Non solo in un punto, ma credo che molte e molte decine e forse centinaia di braccia vadia una linea retta toccando la superficie anco dell'acqua, non che della Terra, prima che separarsi da lei.
SALV.
Ma s'io vi concedo questa cosa, non v'accorgete voi che tanto peggio è per la causa vostra? perché, se posto che la tangente, da un sol punto in fuori, fusse separata dalla superficie della Terra, si è ad ogni modo dimostrato che per la grande strettezza dell'angolo della contingenza (se però si deve chiamar angolo) il proietto non si separerebbe, quanto meno avrà egli causa di separarsi se quell'angolo si chiuda affatto e la superficie e la tangente procedano unitamente? Non vedete voi che a questo modo la proiezione si farebbe su l'istessa superficie della Terra, che tanto è quanto a dire che ella non si farebbe? Vedete adunque qual sia la forza del vero, che mentre voi cercate d'atterrarlo, i vostri medesimi assalti lo sollevano e l'avvalorano.
Ma già che vi ho tratto di questo errore, non vorrei già lasciarvi in quest'altro, che voi stimaste che una sfera materiale non tocchi un piano in un sol punto; e vorrei pur che la conversazione, ancor che di poche ore, avuta con persone che hanno qualche cognizion di geometria vi facesse comparir un poco piú intelligente tra quei che non ne sanno niente.
Or, per mostrarvi quanto sia grande l'error di coloro che dicono che una sfera, verbigrazia, di bronzo, non tocca un piano, verbigrazia, d'acciaio, in un punto, ditemi qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse e costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera.
SIMP.
Lo stimerei per privo di discorso affatto.
SALV.
In questo stato è colui che dice che la sfera materiale non tocca un piano, pur materiale, in un punto, perché il dir questo è l'istesso che dire che la sfera non è sfera.
E che ciò sia vero, ditemi in quello che voi costituite l'essenza della sfera, cioè che cosa è quella che fa differir la sfera da tutti gli altri corpi solidi.
SIMP.
Credo che l'essere sfera consista nell'aver tutte le linee rette, prodotte dal suo centro sin alla circonferenza eguali.
SALV.
Talché quando tali linee non fussero eguali, quel tal solido non sarebbe altrimenti una sfera.
SIMP.
Signor no.
SALV.
Ditemi appresso, se voi credete che delle molte linee che si posson tirar tra due punti, ve ne possa essere altro che una retta sola.
SIMP.
Signor no.
SALV.
Ma voi intendete pure che questa sola retta sarà poi per necessità la brevissima di tutte l'altre.
SIMP.
L'intendo, e ne ho anche la dimostrazion chiara, arrecata da un gran filosofo peripatetico; e parmi, se ben mi ricorda, ch'ei la porti riprendendo Archimede, che la suppone come nota, potendola dimostrare.
SALV.
Questo sarà stato un gran matematico, avendo potuto dimostrar quel che né seppe né potette dimostrare Archimede; e se ve ne sovvenisse la dimostrazione, la sentirei volentieri, perché mi ricordo benissimo che Archimede ne i libri della sfera e del cilindro mette cotesta proposizione tra i postulati, e tengo per fermo che l'avesse per indimostrabile.
SIMP.
Credo che mi sovverrà, perch'ella è assai facile e breve.
SALV.
Tanto sarà maggior la vergogna d'Archimede, e la gloria di cotesto filosofo.
[vedi figura 13.gif]
SIMP.
Io farò la sua figura.
Tra i punti A, B tira la linea retta AB e la curva ACB, delle quali ei vuol provare la retta esser più breve; e la prova è tale.
Nella curva piglia un punto, che sarebbe C, e tira due altre rette AC, CB, le quali due sono più lunghe della sola AB, che così dimostra Euclide; ma la curva ACB è maggiore delle due rette AC, CB; adunque a fortiori la curva ACB sarà molto maggiore della retta AB, che è quello che si doveva dimostrare.
SALV.
Io non credo che a cercar tutti i paralogismi del mondo si potesse trovare il piú accomodato di questo per dare un esempio della piú solenne fallacia che sia tra tutte le fallacie, cioè di quella che prova ignotum per ignotius.
SIMP.
In che modo?
SALV.
Come in che modo? la conclusione ignota, che voi volete provare, non è che la curva A C B sia piú lunga della retta A B? il mezo termine, che si piglia per noto, non è che la curva A C B sia maggior delle due A C, C B, le quali è noto esser maggior della A B? e se vi è ignoto che la curva sia maggiore della sola retta A B, come non sarà egli assai piú ignoto che ella sia maggiore delle due rette A C, C B, che si sa esser maggiori della sola A B? e voi lo prendete per noto?
SIMP.
Io non intendo ancor bene dove consista la fallacia.
SALV.
Come le due rette sien maggiori della A B (sí come è noto per Euclide), tuttavolta che la curva sia maggior delle due rette A C, C B, non sarà ella molto maggiore della sola retta A B?
SIMP.
Signor sí.
SALV.
Esser maggiore la curva A C B della retta A B è la conclusione, piú nota del mezo termine, che è l'esser la medesima curva maggior delle due rette A C, C B: ora, quando il mezo è manco noto della conclusione, si domanda provare ignotum per ignotius.
Or torniamo al nostro proposito: basta che voi intendete, la retta esser la brevissima di tutte le linee che si posson tirare fra due punti.
E quanto alla principal conclusione, voi dite che la sfera materiale non tocca il piano in un sol punto: qual è dunque il suo contatto?
SIMP.
Sarà una parte della sua superficie.
SALV.
E il contatto parimente d'un'altra sfera eguale alla prima, sarà pure una simil particella della sua superficie?
SIMP.
Non ci è ragione che non deva esser cosí.
[vedi figura 14.gif]
SALV.
Adunque ancor le due sfere, toccandosi, si toccheranno con le due medesime particelle di superficie, perchè, adattandosi ciascheduna di esse all'istesso piano, è forza che si adattino ancor fra di loro.
Imaginatevi ora le due sfere, i cui centri A, B, che si tocchino, e congiungansi i lor centri con la retta linea AB, la quale passerà per il toccamento.
Passi per il punto C, e preso nel toccamento un altro punto D, congiungansi le due rette AD, BD, sì che si constituisca il triangolo ADB, del quale i due lati AD, DB saranno eguali all'altro solo ACB, contenendo, tanto quelli quanto questi, due semidiametri, che per la definizion della sfera sono tutti eguali: e così la retta AB, tirata tra i due centri A, B, non sarà la brevissima di tutte, essendoci le due AD, DB eguali a lei; il che per le vostre concessioni è assurdo.
SIMP.
Questa dimostrazione conclude delle sfere in astratto, e non delle materiali.
SALV.
Assegnatemi dunque in che cosa consiste la fallacia del mio argomento, già che non conclude nelle sfere materiali, ma sí bene nelle immateriali e astratte.
SIMP.
Le sfere materiali son soggette a molti accidenti, a i quali non soggiacciono le immateriali.
E perché non può esser che, posandosi una sfera di metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi in modo che il piano ceda qualche poco, o vero che l'istessa sfera nel contatto si ammacchi? In oltre, quel piano difficilmente potrà esser perfetto, quando non per altro, almeno per esser la materia porosa; e forse non sarà men difficile il trovare una sfera cosí perfetta, che abbia tutte le linee dal centro alla superficie egualissime per l'appunto.
SALV.
Oh tutte queste cose ve le concedo io facilmente, ma elle sono assai fuor di proposito; perché mentre voi volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto, voi vi servite d'una sfera che non è sfera e d'un piano che non è piano, poiché, per vostro detto, o queste cose non si trovano al mondo, o se si trovano si guastano nell'applicarsi a far l'effetto.
Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione.
ma condizionatamente, cioè che se si desse in materia una sfera e un piano che fussero e si conservassero perfetti, si toccherebber in un sol punto, e negaste poi ciò potersi dare.
SIMP.
Io credo che la proposizione de i filosofi vadia intesa in cotesto senso, perché non è dubbio che l'imperfezion della materia fa che le cose prese in concreto non rispondono alle considerate in astratto.
SALV.
Come non si rispondono? Anzi quel che voi stesso dite al presente prova che elle rispondon puntualmente.
SIMP.
In che modo?
SALV.
Non dite voi che per l'imperfezion della materia quel corpo che dovrebbe esser perfetto sferico, e quel piano che dovrebbe esser perfetto piano, non riescono poi tali in concreto quali altri se gli immagina in astratto?
SIMP.
Cosí dico.
SALV.
Adunque, tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto; e questi dite che non si toccano in un punto.
Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia sfera perfetta, può toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talché sin qui quello che accade in concreto, accade nell'istesso modo in astratto: e sarebbe ben nuova cosa che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti, non rispondessero poi alle monete d'oro e d'argento e alle mercanzie in concreto.
Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Sí come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, cosí, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici.
Gli errori dunque non consistono né nell'astratto né nel concreto, né nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa fare i conti giusti.
Però, quando voi aveste una sfera ed un piano perfetti, benché materiali, non abbiate dubbio che si toccherebbero in un punto; e se questo era ed è impossibile ad aversi, molto fuor di proposito fu il dire che sphæra æenea non tangit in puncto.
Ma piú vi aggiungo, signor Simplicio: concedutovi che non si possa dare in materia una figura sferica perfetta né un piano perfetto, credete voi che si possano dare due corpi materiali di superficie in qualche parte e in qualche modo incurvata, anco quanto si voglia irregolatamente?
SIMP.
Di questi non credo che ce ne manchino.
SALV.
Come ve ne siano di tali, questi ancora si toccheranno in un punto, ché il toccarsi in un sol punto non è miga privilegio particolare del perfetto sferico e del perfetto piano.
Anzi chi piú sottilmente andasse contemplando questo negozio, troverebbe che piú difficile assai è il trovar due corpi che si tocchino con parte delle lor superficie, che con un punto solo: perché a voler che due superficie combagino bene insieme, bisogna o che amendue sieno esattamente piane, o che se una è colma, l'altra sia concava, ma di una incavatura che per appunto risponda al colmo dell'altra; le quali condizioni son molto piú difficili a trovarsi, per la lor troppo stretta determinazione, che le altre, che nella casual larghezza son infinite.
SIMP.
Adunque voi credete che due pietre o due ferri, presi a caso e accostati insieme, il piú delle volte si tocchino in un sol punto?
SALV.
Ne gli incontri casuali credo di no, sí perché per lo piú sopra essi sarà qualche poco d'immondizia cedente, sí perché non si usa diligenza in applicargli insieme senza qualche percossa, ed ogni poca basta a far che l'una superficie ceda qualche poco all'altra, sí che scambievolmente si figurino, almeno in qualche minima particella, l'una all'impronta dell'altra: ma quando le superficie loro fussero ben terse, e che posati amendue sopra una tavola, acciocché l'uno non gravasse sopra all'altro, si spingessero pian piano l'uno verso l'altro, io non ho dubbio che potrebbero condursi al semplice contatto in un sol punto.
SAGR.
Egli è forza che con vostra licenza io proponga certa mia difficultà, natami nel sentir proporre al signor Simplicio la impossibilità che è nel potersi trovare un corpo materiale e solido che abbia perfettamente la figura sferica, e nel veder il signor Salviati prestargli in certo modo, non contradicendo, l'assenso.
Però vorrei sapere se la medesima difficultà si trovi nel figurare un solido di qualche altra figura, cioè, per dichiararmi meglio, se maggior difficultà si trovi in voler ridurre un pezzo di marmo in figura d'una sfera perfetta, che d'una perfetta piramide o d'un perfetto cavallo o d'una perfetta locusta.
SALV.
Per questa prima risposta, la darò io: e prima mi scuserò dell'assenso che vi pare ch'io abbia prestato al signor Simplicio, il quale era solamente per a tempo, perché io ancora avevo in animo, avanti che entrare in altra materia, dir quello che per avventura sarà l'istesso o assai conforme al vostro pensiero.
E rispondendo alla vostra prima interrogazione, dico che se figura alcuna si può dare a un solido, la sferica è la facilissima sopra tutte l'altre, sì come è anco la semplicissima e tiene tra le figure solide quel luogo che il cerchio tiene tra le superficiali: la descrizion del qual cerchio, come piú facile di tutte le altre, essa sola è stata giudicata da i matematici degna d'esser posta tra i postulati attenenti alle descrizioni di tutte l'altre figure.
Ed è talmente facile la formazion della sfera, che se in una piastra piana di metallo duro si caverà un vacuo circolare, dentro al quale si vadia rivolgendo casualmente qualsivoglia solido assai grossamente tondeggiato, per se stesso senz'altro artifizio si ridurrà in figura sferica, quanto piú sia possibile perfetta, purché quel tal solido non sia minore della sfera che passasse per quel cerchio; e quel che ci è anche di piú degno di considerazione è che dentro a quel medesimo incavo si formeranno sfere di diverse grandezze.
Quello poi che ci voglia per formare un cavallo o (come voi dite) una locusta, lo lascio giudicare a voi, che sapete che pochissimi scultori si troveranno al mondo atti a poterlo fare; e credo che il signor Simplicio in questo particolare non dissentirà da me.
SIMP.
Non so se io dissenta punto da voi.
L'oppinion mia è che nessuna delle nominate figure si possa perfettamente ottenere; ma per avvicinarsi quanto si possa al piú perfetto grado, credo che incomparabilmente sia piú agevole il ridurre il solido in figura sferica, che in forma di cavallo o di locusta.
SAGR.
E questa maggior difficultà da che credete voi che ella dependa?
SIMP.
Sì come la grand'agevolezza nel formar la sfera deriva dalla sua assoluta semplicità ed uniformità, cosí la somma irregolarità rende difficilissimo l'introdur l'altre figure.
SAGR.
Adunque, come l'irregolarità è causa di difficultà, anco la figura di un sasso rotto con un martello a caso sarà delle difficili a introdursi, essendo essa ancora irregolare forse piú di quella del cavallo?
SIMP.
Cosí deve essere.
SAGR.
Ma ditemi: quella figura, qualunque ella si sia, che ha quel sasso, hall'egli perfettissimamente o pur no?
SIMP.
Quella che egli ha, l'ha tanto perfettamente, che nessun'altra le si assesta tanto puntualmente.
SAGR.
Adunque, se delle figure irregolari, e perciò difficili a conseguirsi, pur se ne trovano infinite perfettissimamente ottenute, con qual ragione si potrà dire che la semplicissima, e per ciò facilissima piú di tutte, sia impossibile a ritrovarsi?
SALV.
Signori, con vostra pace, mi par che noi siamo entrati in una disputa non molto piú rilevante che quella della lana caprina, e dove che i nostri ragionamenti dovrebber continuar di esser intorno a cose serie e rilevanti, noi consumiamo il tempo in altercazioni frivole e di nessun rilievo.
Ricordiamoci in grazia che il cercar la costituzione del mondo è de' maggiori e de' piú nobil problemi che sieno in natura, e tanto maggior poi, quanto viene indrizzato allo scioglimento dell'altro, dico della causa del flusso e reflusso del mare, cercata da tutti i grand'uomini che sono stati sin qui e forse da niun ritrovata: però, quando altro non ci resti da produrre per l'assoluto scioglimento dell'instanza presa dalla vertigine della Terra, che fu l'ultima portata per argomento della sua immobilità circa il proprio centro, potremo passare allo scrutinio delle cose che sono in pro e contro al movimento annuo.
SAGR.
Non vorrei, signor Salviati, che voi misuraste gl'ingegni di noi altri con la misura del vostro: voi, avvezzo sempre ad occuparvi in contemplazioni altissime, stimate frivole e basse tal una di quelle che a noi paiono degno cibo de' nostri intelletti; però talvolta, per sodisfazione nostra, non vi sdegnate di abbassarvi a concedere qualcosa alla nostra curiosità.
Quanto poi allo scioglimento dell'ultima instanza, presa dallo scagliamento della vertigine diurna, per sodisfare a me bastava assai meno di quello che si è prodotto; tuttavia le cose che si son dette soprabbondantemente, mi son parse tanto curiose, che non solo non mi hanno stancata la fantasia, ma me l'hanno con le loro novità trattenuta sempre con diletto tale che maggior non saprei desiderarne: però se qualche altra specolazione resta a voi da aggiugnervi, producetela pure, ch'io per la parte mia molto volentieri la sentirò.
SALV.
Io nelle cose trovate da me ho sempre sentito grandissimo diletto, e doppo questo, che è il massimo, provo gran piacere nel conferirle con qualche amico che le capisca e che mostri di gustarle: or, poiché voi sete uno di questi, allentando un poco la briglia alla mia ambizione, che gode dentro di sé quando io mi mostro piú perspicace di qualche altro reputato di acuta vista, produrrò, per colmo e buona misura della discussion passata, un'altra fallacia de i seguaci di Tolomeo e d'Aristotile, presa nel già prodotto argomento.
SAGR.
Ecco che io avidamente mi apparecchio a sentirla.
SALV.
Noi aviamo sin qui trapassato e conceduto a Tolomeo come effetto indubitabile, che procedendo lo scagliamento del sasso dalla velocità della ruota mossa intorno al suo centro, tanto si accresca la causa di esso scagliamento, quanto la velocità della vertigine si agumenta; dal che si inferiva che essendo la velocità della terrestre vertigine sommamente maggiore di quella di qualsivoglia macchina che noi artifiziosamente possiam far girare, l'estrusione in conseguenza delle pietre e de gli animali etc.
dovesse esser violentissima.
Ora io noto che in questo discorso è una grandissima fallacia, mentre noi indifferentemente ed assolutamente paragoniamo le velocità tra di loro.
È vero che s'io fo comparazione delle velocità della medesima ruota o di due ruote eguali tra di loro, quella che piú velocemente sarà girata, con maggior impeto scaglierà le pietre, e crescendo la velocità, con la medesima proporzione crescerà anco la causa della proiezione; ma quando la velocità si facesse maggiore non con l'accrescer velocità nell'istessa ruota, che sarebbe co 'l fargli dar numero maggiore di conversioni in tempi eguali, ma co 'l crescere il diametro e far la ruota maggiore, sí che ritenendo il medesimo tempo di una conversione tanto nella piccola quanto nella gran ruota, e solo nella grande la velocità fusse maggiore per esser la sua circonferenza maggiore, non sia chi creda che la causa dello scagliamento nella gran ruota crescesse secondo la proporzione della velocità della sua circonferenza verso la velocità della circonferenza della minor ruota, perché questo è falsissimo, come per adesso una speditissima esperienza ci potrà mostrar cosí alla grossa: ché tal pietra potremmo noi scagliare con una canna lunga un braccio, che con una lunga sei braccia non potremo, ancorché il moto dell'estremità della canna lunga, cioè della pietra incastratavi, fusse piú veloce il doppio del moto della punta della canna piú corta; che sarebbe quando le velocità fussero tali, che nel tempo di una conversione intera della canna maggiore, la minore ne facesse tre.
SAGR Questo, signor Salviati, che voi mi dite, già comprendo io dovere necessariamente succeder cosí; ma non mi sovvien già prontamente la causa perché eguali velocità non abbiano a operare egualmente in estruder i proietti, ma assai piú quella della ruota minore che l'altra della ruota maggiore: però vi prego a dichiararmi come il negozio cammina.
SIMP.
Voi, signor Sagredo, questa volta vi sete dimostrato dissimile a voi medesimo, che solete in un momento penetrar tutte le cose, ed ora trapassate una fallacia posta nell'esperienza delle canne, la quale ho io potuto penetrare; e questa è la diversa maniera di operare nel far la proiezione or con la canna breve ed or con la lunga: perché a voler che la pietra scappi fuor della cocca, non bisogna continuar uniformemente il suo moto, ma allora ch'egli è velocissimo, convien ritenere il braccio e reprimer la velocità della canna, perloché la pietra, che già è in moto velocissimo, scappa e con impeto si muove; ma tal ritegno non si può far nella canna maggiore, la quale, per la sua lunghezza e flessibilità, non ubbidisce interamente al freno del braccio, ma, continuando di accompagnare il sasso per qualche spazio, co 'l dolcemente frenarlo se lo ritien congiunto, e non, come se in un duro intoppo avesse urtato, da sé lo lascia fuggire: ché quando amendue le canne urtassero in un ritegno che le fermasse, io credo che la pietra parimente scapperebbe dall'una e dall'altra, ancorché i movimenti loro fussero egualmente veloci.
SAGR.
Con licenzia del signor Salviati, risponderò io alcuna cosa al signor Simplicio, poiché egli a me si è rivoltato: e dico che nel suo discorso vi è del buono e del cattivo; buono, perché quasi tutto è vero; cattivo, perché non fa in tutto al proposito nostro.
Verissimo è, che quando quello che con velocità porta le pietre, urtasse in un ritegno immobile, esse con impeto scorrerebbero innanzi, seguendone quell'effetto che tutto il giorno si vede accadere in una barca che, scorrendo velocemente, arreni o urti in qualche ostacolo, che tutti quelli che vi son dentro, colti all'improvviso, repentinamente traboccano e cascano verso dove correva il navilio; e quando il globo terrestre incontrasse un intoppo tale che del tutto resistesse alla sua vertigine e la fermasse, allora sì ch'io credo che non solamente le fiere, gli edifizii e le città, ma le montagne, i laghi e i mari si sovvertirebbero, e pur che il globo stesso non si dissipasse: ma niente di questo fa al proposito nostro, che parliamo di quel che possa seguire al moto della Terra girata uniformemente e placidamente in se stessa, ancorché con velocità grande.
Quello parimente che voi dite delle canne, è in parte vero, ma non fu portato dal signor Salviati come cosa che puntualmente si assesti alla materia di cui trattiamo, ma solamente come un esempio che cosí alla grossa possa destarci la mente a piú accuratamente considerare, se crescendosi la velocità in qualsivoglia modo, con l'istessa proporzione si accresca la causa della proiezione, sì che, verbigrazia, se una ruota di dieci braccia di diametro, movendosi in maniera che un punto della sua circonferenza passasse in un minuto d'ora cento braccia, e perciò avesse impeto di scagliare una pietra, tale impeto si accresce centomila volte in una ruota che avesse un milion di braccia di diametro: il che nega il signor Salviati, ed io inclino a creder l'istesso; ma non ne sapendo la ragione, l'ho da esso richiesta, e con desiderio la sto attendendo.
SALV.
Eccomi per darvi quella sodisfazione che dalle mie forze mi sarà conceduta; e benché nel mio primo parlare vi sia per parer ch'io vadia ricercando cose aliene dal proposito nostro, tuttavia credo che nel progresso del ragionamento troverremo che pur non saranno tali.
Però dicami il signor Sagredo in quali cose egli ha osservato consister la resistenza di alcun mobile all'esser mosso.
SAGR.
Io per adesso non veggo esser nel mobile resistenza interna all'esser mosso se non la sua naturale inclinazione e propensione al moto contrario, come ne' corpi gravi, che hanno propensione al moto in giú, la resistenza è al moto in su: ed ho detto resistenza interna, perché di questa credo che voi intendiate, e non dell'esterne, che sono accidentali e molte.
SALV.
Cosí ho voluto dire, e la vostra perspicacità ha prevalso al mio avvedimento.
Ma s'io sono stato scarso nell'interrogare, dubito che il signor Sagredo non abbia, con la risposta, adequata a pieno la domanda, e che nel mobile, oltre alla naturale inclinazione al termine contrario, sia un'altra pure intrinseca e naturale qualità che lo faccia renitente al moto.
Però ditemi di nuovo: non credete voi che l'inclinazione, verbigrazia, de i gravi di muoversi in giú sia eguale alla resistenza de i medesimi all'essere spinti in su?
SAGR.
Credo che ella sia tale per l'appunto; e per questo veggo nella bilancia due pesi eguali restar fermi nell'equilibrio, resistendo la gravità dell'uno all'esser alzato alla gravità con la quale l'altro, premendo in giú, alzar lo vorrebbe.
SALV.
Benissimo; sí che a voler che l'uno alzasse l'altro, bisognerebbe accrescer peso al premente, o scemarlo all'altro.
Ma se nella sola gravità consiste la resistenza al moto in su, onde avviene che nella bilancia di braccia diseguali, cioè nella stadera, talvolta un peso di cento libbre, co 'l suo gravare in giú, non è bastante a alzarne uno di quattro libbre, che gli contrasterà; e potrà questo di quattro, abbassandosi alzare quello di cento? ché tale è l'effetto dei romano verso il grave peso che noi vogliam pesare.
Se la resistenza all'esser mosso risiede nella sola gravità, come può il romano, co'l suo peso di quattro libbre sole, resistere al peso di una balla di lana o di seta, che sarà ottocento o mille, anzi pure potrà egli vincere co 'l suo momento la balla e sollevarla? Bisogna pur, signor Sagredo, dire che qui si lavori con altra resistenza e con altra forza, che con quella della semplice gravità.
SAGR.
È necessario che sia cosí: però ditemi qual è questa seconda virtú.
SALV.
È quello che non era nella bilancia di braccia eguali.
Considerate qual novità è nella stadera, ed in questa di necessità consiste la causa del nuovo effetto.
SAGR.
Credo che 'l vostro tentare mi abbia fatto sovvenir non so che.
In amendue gli strumenti si lavora co 'l peso e co 'l moto: nella bilancia i movimenti sono eguali, e però l'un peso bisogna che superi l'altro in gravità per muoverlo; nella stadera il peso minore non moverà il maggiore se non quando questo si muova poco, essendo appeso nella minor distanza, e quello si muova molto, pendendo da distanza maggiore: bisogna dunque dire che 'l minor peso superi la resistenza del maggiore co 'l muoversi molto, mentre l'altro si muova poco.
SALV.
Che tanto è quanto a dire che la velocità del mobile meno grave compensa la gravità del mobile piú grave e meno veloce.
SAGR.
Ma credete voi che la velocità ristori per l'appunto la gravità? cioè che tanto sia il momento e la forza di un mobile, verbigrazia, di quattro libbre di peso, quanto quella di un di cento, qualunque volta quello avesse cento gradi di velocità e questo quattro gradi solamente?
SALV.
Certo sì, come io vi potrei con molte esperienze mostrare: ma per ora bastivi la confermazione di questa sola della stadera, nella quale voi vedrete il poco pesante romano allora poter sostenere ed equilibrare la gravissima balla, quando la sua lontananza dal centro, sopra il quale si sostiene e volgesi la stadera, sarà tanto maggiore dell'altra minor distanza dalla quale pende la balla, quanto il peso assoluto della balla è maggior di quel del romano.
E di questo non poter la gran balla co 'l suo peso sollevare il romano, tanto men grave, altro non si vede poterne esser cagione che la disparità de i movimenti che e quella e questo far dovrebbero, mentre che la balla con l'abbassarsi un sol dito facesse alzare il romano cento dita (posto che la balla pesasse per cento romani, e la distanza del romano dal centro della stadera fusse cento volte più della distanza tra 'l medesimo centro e 'l punto della sospension della balla): il muoversi poi lo spazio di cento dita il romano, nel tempo che la balla si muove per un sol dito, è l'istesso che 'l dire, esser la velocità del moto del romano cento volte maggior della velocità del moto della balla.
Ora fermatevi bene nella fantasia, come principio vero e notorio, che la resistenza che viene dalla velocità del moto compensa quello che depende dalla gravità d'un altro mobile: sì che, in conseguenza, tanto resiste al l'esser frenato un mobile d'una libbra, che si muova con cento gradi di velocità, quanto un altro mobile di cento libbre, la cui velocità sia d'un grado solo; ed all'esser mossi due mobili eguali resisteranno egualmente, se si avranno a far muovere con egual velocità; ma se uno doverà esser mosso più velocemente dell'altro, farà maggior resistenza, secondo la maggior velocità che se gli vorrà conferire.
Dichiarate queste
[vedi figura 15.gif] cose, venghiamo all'esplicazion del nostro problema; e per più facile intelligenza facciamone un poco di figura.
E siano due ruote diseguali intorno a questo centro A, e della minore sia la circonferenza BG, e della maggiore CEH, ed il semidiametro ABC sia eretto all'orizonte, e per i punti B, C segniamo le rette linee tangenti BF, CD, e ne gli archi BG, CE sieno prese due parti eguali BG, CE; ed intendasi le due ruote esser girate sopra i lor centri con eguali velocità, sì che due mobili, li quali sariano, v.
g., due pietre, poste ne' punti B e C, vengano portate per le circonferenze BG, CE con eguali velocità, talchè nell'istesso tempo che la pietra B scorrerebbe per l'arco BG, la pietra C passerebbe l'arco CE: dico adesso che la vertigine della minor ruota è molto più potente a far la proiezion della pietra B, che non è la vertigine della maggior ruota della pietra C.
Imperocchè dovendosi, come già si è dichiarato, far la proiezione per la tangente, quando le pietre B, C dovessero separarsi dalle lor ruote e cominciare il moto della proiezione da i punti B, C, verrebbero dall'impeto concepito dalla vertigine scagliate per le tangenti BF, CD: per le tangenti dunque BF, CD hanno, le due pietre, eguali impeti di scorrere, e vi scorrerebbero se da qualche altra forza non ne fussero deviate.
Non sta così, Sig.
Sagredo?
SAGR.
Cosí mi par che cammini il negozio.
SALV.
Ma qual forza vi par che possa esser quella che devii le pietre dal muoversi per le tangenti, dove l'impeto della vertigine veramente le caccia?
SAGR.
È o la propria gravità, o qualche colla che le ritien posate o attaccate sopra le ruote.
SALV.
Ma a deviare un mobile dal moto dove egli ha impeto, non ci vuol egli maggior forza o minore, secondo che la deviazione ha da esser maggiore o minore? cioè, secondoché nella deviazione egli dovrà nell'istesso tempo passar maggiore o minore spazio?
SAGR.
Sí, perché già di sopra fu concluso che a far muovere un mobile, con quanta maggior velocità si ha da far muovere, tanto bisogna che sia maggiore la virtú movente.
SALV.
Ora considerate come per deviar la pietra della minor ruota dal moto della proiezione, che ella farebbe per la tangente B F, e ritenerla attaccata alla ruota, bisogna che la propria gravità la ritiri per quanto è lunga la segante F G, o vero la perpendicolare tirata dal punto G sopra la linea B F; dove che nella ruota maggiore il ritiramento non ha da esser piú che si sia la segante D E, o vero la perpendicolare tirata dal punto E sopra la tangente D C, minor assai della F G, e sempre minore e minore secondo che la ruota si facesse maggiore: e perché questi ritiramenti si hanno a fare in tempi eguali, cioè mentre che si passano li due archi eguali B G, C E, quello della pietra B, cioè il ritiramento F G, doverà esser piú veloce dell'altro D E, e però molto maggior forza si ricercherà per tener la pietra B congiunta alla sua piccola ruota, che la pietra C alla sua grande; ch'è il medesimo che dire, che tal poca cosa impedirà lo scagliamento nella ruota grande, che non lo proibirà nella piccola.
È manifesto, dunque, che quanto piú si cresce la ruota, tanto si scema la causa della proiezione.
SAGR.
Da questo che ora intendo mercé del vostro lungo sminuzzamento, mi par di poter far restar pago il mio intelletto con assai breve discorso: perché, venendo dalla velocità eguale delle due ruote impresso impeto eguale in amendue le pietre per le tangenti, si vede la gran circonferenza co 'l poco separarsi dalla tangente, andar secondando in un certo modo e con dolce morso suavemente raffrenando nella pietra l'appetito, per cosí dire, di separarsi dalla circonferenza, sí che qualunque piccol ritegno, o della propria inclinazione o di qualche glutine, basta a mantenervela congiunta; il quale poi resta invalido a ciò poter fare nella piccola ruota, la quale, co 'l poco secondare la direzione della tangente, con troppa ingorda voglia cerca ritenere a sé la pietra, e non essendo il freno e 'l glutine piú gagliardo di quello che manteneva l'altra pietra unita con la maggior ruota, si strappa la cavezza, e si corre per la tangente.
Per tanto io non solamente resto capace dell'aver tutti quelli errato, che hanno creduto crescersi la cagione della proiezione secondo che si accresce la velocità della vertigine; ma di piú vo considerando, che scemandosi la proiezione nell'accrescersi la ruota, tuttavoltaché si mantenga la medesima velocità in esse ruote, forse potrebbe esser vero che a voler che la gran ruota scagliasse come la piccola, bisognasse crescerle tanto di velocità, quanto se le cresce di diametro, che sarebbe quando le intere conversioni si finissero in tempi eguali, e cosí si potrebbe stimare che la vertigine della Terra non piú fusse bastante a scagliare le pietre, che qualsivoglia altra piccola ruota che tanto lentamente si girasse, che in ventiquattr'ore desse una sola rivolta.
SALV.
Non voglio per ora che noi cerchiamo tant'oltre; basta che assai abbondantemente abbiamo (s'io non m'inganno) mostrato l'inefficacia dell'argumento, che nel primo aspetto pareva concludentissimo, e tale era stato stimato da grandissimi uomini: ed assai bene speso mi parrà il tempo e le parole, se anco nel concetto del signor Simplicio averò guadagnato qualche credenza, non dirò della mobilità della Terra, ma almanco del non esser l'opinion di coloro che la credono, tanto ridicola e stolta, quanto le squadre de' filosofi comuni la tengono.
SIMP.
Le soluzioni addotte sin qui all'instanze fatte contro a questa diurna revoluzion della Terra, prese da i gravi cadenti dalla sommità d'una torre, e da i proietti a perpendicolo in su o secondo qualsivoglia inclinazione lateralmente, verso oriente, occidente, mezzogiorno o settentrione etc., mi hanno in qualche parte scemata l'antiquata incredulità concepita contro a tale opinione: ma altre maggiori difficultà mi si aggirano adesso per la fantasia, dalle quali io assolutamente non mi saprei mai sviluppare, né forse credo che voi medesimi ve ne potrete disciorre; e può anco essere che venute non vi sieno all'orecchie, perché sono assai moderne.
E queste sono le opposizioni di due autori che ex professo scrivono contro al Copernico: le prime si leggono in un libretto di conclusioni naturali; le altre sono d'un gran filosofo e matematico insieme, inserte in un trattato che egli fa in grazia d'Aristotile e della sua opinione intorno all'inalterabilità del cielo, dove ei prova che non pur le comete, ma anco le stelle nuove, cioè quella del settantadua in Cassiopea e quella del seicentoquattro nel Sagittario, non erano altrimenti sopra le sfere de i pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare; e ciò dimostra egli contro a Ticone, Keplero e molti altri osservatori astronomi, e gli abbatte con le loro armi medesime, cioè per via delle parallassi.
Io, se vi è in piacere, produrrò le ragioni dell'uno e dell'altro, perché le ho lette piú d'una volta con attenzione; e voi potrete esaminar la lor forza e dirne il vostro parere.
SALV.
Essendoché il nostro principal fine è di produrre e ponderar tutto quello che è stato addotto in pro e contro a i due sistemi Tolemaico e Copernicano, non è bene passar cosa alcuna delle scritte in cotal materia.
SIMP.
Comincerò dunque dall'instanze contenute nel libretto delle conclusioni, e poi verrò all'altre.
Primieramente, dunque, l'autore con grand'acutezza va calcolando quante miglia per ora fa un punto della superficie terrestre posto sotto l'equinoziale, e quante si fanno da altri punti posti in altri paralleli; e non contento di investigar tali movimenti in tempi orarii, gli trova anco in un minuto d'ora, né contento del minuto, lo ritrova sino a uno scrupolo secondo; ma piú, e' va insino a mostrar apertissimamente quante miglia farebbe in tali tempi una palla d'artiglieria, posta nel concavo dell'orbe lunare, suppostolo anco tanto grande quanto l'istesso Copernico se lo figura, per levar tutti i sutterfugii all'avversario: e fatta quest'ingegnosissima ed esquisitissima supputazione, dimostra che un grave cadente di lassú consumerebbe assai piú di sei giorni per arrivar sino al centro della Terra, dove naturalmente tendono tutte le cose gravi.
Ora, quando dall'assoluta potenza divina o da qualche angelo fusse miracolosamente trasferita lassú una grossissima palla di artiglieria, e posta nel nostro punto verticale e di lí lasciata in sua libertà, è ben, per suo e mio parere, incredibilissima cosa che ella nel descendere a basso si andasse sempre mantenendo nella nostra linea verticale, continuando di girare con la Terra intorno al suo centro per tanti giorni, descrivendo sotto l'equinoziale una linea spirale nel piano di esso cerchio massimo, e sotto altri paralleli linee spirali intorno a coni, e sotto i poli cadendo per una semplice linea retta.
Stabilisce poi e conferma questa grand'improbabilità co 'l promover, per modo di interrogazioni, molte difficultà impossibili a rimuoversi da i seguaci del Copernico; e sono, se ben mi ricorda...
SALV.
Piano un poco: di grazia, signor Simplicio, non vogliate avvilupparmi con tante novità in un tratto; io ho poca memoria, e però mi bisogna andar di passo in passo.
E perché mi sovviene aver già voluto calcolare in quanto tempo un simil grave, cadendo dal concavo della Luna, arriverebbe nel centro della Terra, e mi par ricordare che il tempo non sarebbe sí lungo, sarà bene che voi ci dichiate con qual regola quest'autore abbia fatto il suo computo.
SIMP.
Hallo fatto, per provare il suo intento a fortiori, vantaggioso assai per la parte avversa, supponendo che la velocità del cadente per la linea verticale verso il centro della Terra fusse eguale alla velocità del suo moto circolare fatto nel cerchio massimo del concavo dell'orbe lunare, al cui ragguaglio verrebbe a fare in un'ora dodicimila seicento miglia tedesche, cosa che veramente ha dell'impossibile; tuttavia, per abbondare in cautela e dar tutti i vantaggi alla parte, ei la suppone per vera, e conclude il tempo della caduta dovere ad ogni modo esser piú di sei giorni.
SALV.
E quest'è tutto il suo progresso? e con questa dimostrazione prova, il tempo di tal cascata dover esser piú di sei giorni?
SAGR.
Parmi che e' si sia portato troppo discretamente, poiché essendo in poter del suo arbitrio dar qual velocità gli piaceva a un tal cadente, ed in conseguenza farlo venire in Terra in sei mesi ed anco in sei anni, si è contentato di sei giorni.
Ma di grazia, signor Salviati, racconciatemi un poco il gusto co 'l dirmi in qual maniera procedeva il vostro computo, già che voi dite averlo altra volta fatto; ché ben son sicuro che se 'l quesito non ricercava qualche operazione spiritosa, voi non vi areste applicata la mente.
SALV.
Non basta, signor Sagredo, che la conclusione sia nobile e grande, ma il punto sta nel trattarla nobilmente.
E chi non sa che nel resecar le membra di un animale si possono scoprir meraviglie infinite della provida e sapientissima natura? tuttavia, per uno che il notomista ne tagli, mille ne squarta il beccaio; ed io, nel cercar ora di sodisfare alla vostra domanda, non so con quale delli due abiti sia per comparire in scena: pur, preso animo dalla comparsa dell'autor del signor Simplicio, non resterò di recitarvi (se mi sovverrà) il modo che io tenevo.
Ma prima ch'io metta mano ad altro, non posso lasciar di dire che dubito grandemente che il signor Simplicio non abbia fedelmente referito il modo co 'l quale questo suo autore trova che la palla d'artiglieria, nel venir dal concavo della Luna sino al centro della Terra, consumerebbe piú di sei giorni; perché, s'egli avesse supposto che la sua velocità nello scendere fusse stata eguale a quella del concavo (come dice il signor Simplicio che e' suppone), si sarebbe dichiarato ignudissimo anco delle prime e piú semplici cognizioni di geometria: anzi mi maraviglio che l'istesso signor Simplicio nell'ammetter la supposizione ch'egli dice, non vegga l'esorbitanza immensa che in quella si contiene.
SIMP.
Ch'io abbia equivocato nel riferirla, potrebbe essere; ma che io vi scuopra dentro fallacia, non è sicuramente.
SALV.
Forse non ho ben appreso quel che avete riferito.
Non dite voi che quest'autore fa la velocità del moto della palla nello scendere eguale a quella ch'ell'aveva nello andare in volta, stando nel concavo lunare, e che calando con tal velocità si condurrebbe al centro in sei giorni?
SIMP.
Cosí mi par ch'egli scriva.
SALV.
E non vedete un'esorbitanza sí grande? Ma voi certo la dissimulate: ché non può esser che non sappiate che 'l semidiametro del cerchio è manco che la sesta parte della circonferenza; e che in conseguenza il tempo nel quale il mobile passerà il semidiametro, sarà manco della sesta parte del tempo nel quale, mosso con la medesima velocità, passerebbe la circonferenza; e che però la palla, scendendo con la velocità con la quale si muoveva nel concavo, arriverà in manco di quattr'ore al centro, posto che nel concavo compiesse una revoluzione in ore ventiquattro, come bisogna ch'ei supponga per mantenersi sempre nella medesima verticale.
SIMP.
Intendo ora benissimo l'errore; ma non glie lo vorrei attribuire immeritamente, ed è forza ch'io abbia errato nel recitar il suo argomento: e per fuggir di non gli n'addossar de gli altri, vorrei avere il suo libro, e se ci fusse chi andasse a pigliarlo, l'averei molto caro.
SAGR.
Non mancherà un lacchè, che anderà volando; ed appunto si farà senza perdimento di tempo, ché intanto il signor Salviati ci favorirà del suo computo.
SIMP.
Potrà andare, che lo troverà aperto su 'l mio banco insieme con quello dell'altro che pur argomenta contro al Copernico.
SAGR.
Faremo portar quello ancora, per piú sicurezza; ed in tanto il signor Salviati farà il suo calculo.
Ho spedito un servitore.
SALV.
Avanti di ogni altra cosa, bisogna considerare come il movimento de i gravi descendenti non è uniforme, ma partendosi dalla quiete vanno continuamente accelerandosi; effetto conosciuto ed osservato da tutti, fuor che dal prefato autore moderno, il quale, non parlando di accelerazione, lo fa equabile.
Ma questa general cognizione è di niun profitto, quando non si sappia secondo qual proporzione sia fatto questo accrescimento di velocità, conclusione stata sino a i tempi nostri ignota a tutti i filosofi, e primieramente ritrovata e dimostrata dall'Accademico, nostro comun amico: il quale, in alcuni suoi scritti non ancor pubblicati, ma in confidenza mostrati a me e ad alcuni altri amici suoi, dimostra come l'accelerazione del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cioè che segnati quali e quanti si voglino tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, averà passato un tale spazio, come, per esempio, una canna, nel secondo tempo passerà tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette, e cosí conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi, che in somma è l'istesso che il dire che gli spazii passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne' quali tali spazii son misurati, o vogliam dire che gli spazii passati son tra di loro come i quadrati de' tempi.
SAGR.
Mirabil cosa sento dire.
E di questo dite esserne dimostrazion matematica?
SALV.
Matematica purissima, e non solamente di questa, ma di molte altre bellissime passioni attenenti a i moti naturali e a i proietti ancora, tutte ritrovate e dimostrate dall'amico nostro: ed io le ho vedute e studiate tutte con mio grandissimo gusto e meraviglia, vedendo suscitata una nuova cognizione intera, intorno ad un suggetto del quale si sono scritti centinaia di volumi; e né pur una sola dell'infinite conclusioni ammirabili che vi son dentro, è stata osservata e intesa da alcuno prima che dal nostro amico
SAGR.
Voi mi fate fuggir la voglia d'intender piú oltre de i nostri cominciati discorsi, e solo sentire alcuna delle dimostrazioni che mi accennate; però, o ditemele al presente, o almeno datemi ferma parola di farne meco una particolare sessione, ed anco presente il signor Simplicio, se avrà gusto di sentire le passioni ed accidenti del primario effetto della natura.
SIMP.
Averollo indubitatamente, ancorché, per quanto appartiene al filosofo naturale, io non credo che il descendere a certe minute particolarità sia necessario, bastando una general cognizione della definizion del moto e della distinzione di naturale e violento, equabile e accelerato, e simili; ché quando questo non fusse bastato, io non credo che Aristotile avesse pretermesso di insegnarci tutto quello che fusse mancato.
SALV.
Può essere.
Ma non perdiamo piú tempo in questo, ch'io prometto spenderci una meza giornata appartatamente per vostra sodisfazione, anzi pur ora mi sovviene avervi un'altra volta promesso di darvi questa medesima sodisfazione.
E tornando al nostro cominciato calcolo del tempo nel quale il grave cadente verrebbe dal concavo della Luna sino al centro della Terra, per proceder non arbitrariamente e a caso, ma con metodo concludentissimo, cercheremo prima di assicurarci, con l'esperienza piú volte replicata, in quanto tempo una palla, verbigrazia, di ferro venga in Terra dall'altezza di cento braccia.
SAGR.
Pigliando però una palla di un tal determinato peso, e quella stessa sopra la quale noi vogliamo far il computo del tempo della scesa dalla Luna.
SALV.
Questo non importa niente, perché palle di una, di dieci, di cento, di mille libbre, tutte misureranno le medesime cento braccia nell'istesso tempo.
SIMP.
Oh questo non cred'io, né meno lo crede Aristotile, che scrive che le velocità de i gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravità.
SALV.
Come voi, signor Simplicio, volete ammetter cotesto per vero, bisogna che voi crediate ancora, che lasciate nell'istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libbre e l'altra d'una, dall'altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio: ora accomodate, se voi potete, il vostro cervello a imaginarsi di veder la gran palla giunta in Terra quando la piccola sia ancora a men d'un braccio vicina alla sommità della torre.
SAGR.
Che questa proposizione sia falsissima, io non ne ho un dubbio al mondo; ma che anco la vostra sia totalmente vera, non ne son ben capace: tuttavia la credo, poiché voi risolutamente l'affermate; il che son sicuro che non fareste quando non ne aveste certa esperienza o ferma dimostrazione.
SALV.
Honne l'una e l'altra, e quando tratteremo la materia de i moti separatamente, ve la comunicherò: intanto, per non avere occasione di piú interrompere il filo, ponghiamo di voler fare il computo sopra una palla di ferro di cento libbre, la quale per replicate esperienze scende dall'altezza di cento braccia in cinque minuti secondi d'ora.
E perché, come vi ho detto, gli spazii che si misurano dal cadente, crescono in duplicata proporzione, cioè secondo i quadrati de' tempi, essendoché il tempo di un minuto primo è duodecuplo del tempo di cinque secondi, se noi multiplicheremo le cento braccia per il quadrato di 12, cioè per 144, averemo 14400, che sarà il numero delle braccia che il mobile medesimo passerà in un minuto primo d'ora; e seguitando la medesima regola, perché un'ora è 60 minuti, multiplicando 14400, numero delle braccia passate in un minuto, per il quadrato di 60, cioè per 3600, ne verrà 51840000, numero delle braccia da passarsi in un'ora, che sono miglia 17280.
E volendo sapere lo spazio che si passerebbe in 4 ore, multiplicheremo 17280 per 16 (che è il quadrato di 4), e ce ne verranno miglia 276480: il qual numero è assai maggiore della distanza dal concavo lunare al centro della Terra, che è miglia 196000, facendo la distanza del concavo 56 semidiametri terrestri, come fa l'autor moderno, ed il semidiametro della Terra 3500 miglia di braccia 3000 l'uno, quali sono le nostre miglia italiane.
Adunque, signor Simplicio, quello spazio dal concavo della Luna al centro della Terra, che il vostro computista diceva non potersi passare se non in assai piú di sei giorni, vedete come, facendo il computo sopra l'esperienza e non su per le dita, si passerebbe in assai meno di 4 ore; e facendo il computo esatto, si passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
SAGR.
Di grazia, caro Signor, non mi defraudate di questo calculo esatto, perché bisogna che sia cosa bellissima.
SALV.
Tale è veramente.
Però avendo (come ho detto) con diligente esperienza osservato come un tal mobile passa, cadendo, l'altezza di 100 braccia in 5 secondi d'ora, diremo: Se 100 braccia si passano in 5 secondi, braccia 588 000 000 (che tante sono 56 semidiametri della Terra) in quanti secondi si passeranno? La regola per quest'operazione è che si multiplichi il terzo numero per il quadrato del secondo; ne viene 14 700 000 000, il quale si deve dividere per il primo, cioè per 100, e la radice quadrata del quoziente, che è 12 124, è il numero cercato, cioè 12 124 minuti secondi d'ora, che sono ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.
100 5 588000000
A B C 25
________________________
1 14700000000
35956
22
10
241 ______________
2422 60 12124
202
3
24240
SAGR.
Ho veduta l'operazione, ma non intendo niente della ragione del cosí operare, né mi par tempo adesso di domandarla.
SALV.
Anzi ve la voglio dire, ancorché non la ricerchiate, perché è assai facile.
Segniamo questi tre numeri con le lettere A primo, B secondo, C terzo; A, C sono i numeri de gli spazii, B è 'l numero del tempo: si cerca il quarto numero, pur del tempo.
E perché noi sappiamo, che qual proporzione ha lo spazio A allo spazio C, tale deve avere il quadrato del tempo B al quadrato del tempo che si cerca, però, per la regola aurea, si multiplicherà il numero C per il quadrato del numero B, ed il prodotto si dividerà per il numero A, ed il quoziente sarà il quadrato del numero, che si cerca, e la sua radice quadrata sarà l'istesso numero cercato.
Or vedete come è facile da intendersi.
SAGR.
Tali sono tutte le cose vere, doppo che son trovate; ma il punto sta nel saperle trovare.
Io resto capacissimo, e vi ringrazio; e se altra curiosità vi resta in questa materia, vi prego a dirla, perché, s'io debbo parlar liberamente, dirò, con licenzia del signor Simplicio, che da i vostri discorsi imparo sempre qualche bella novità, ma da quelli de' suoi filosofi non so d'aver sin ora imparato cose di gran rilievo.
SALV.
Pur troppo ci resterebbe da dire in questi movimenti locali; ma conforme al convenuto ci riserberemo ad una sessione appartata, e per ora dirò qualche cosa attenente all'autor proposto dal signor Simplicio: al quale par d'aver dato un gran vantaggio alla parte nel concederle che quella palla d'artiglieria, nel cader dal concavo della Luna, possa venir con velocità eguale alla velocità con la quale si sarebbe mossa in giro restando lassú e movendosi alla conversion diurna.
Ora io gli dico che quella palla, cadendo dal concavo sino al centro, acquisterà grado di velocità assai piú che doppio della velocità del moto diurno del concavo lunare; e questo mostrerò io con supposti verissimi, e non arbitrarii.
Dovete dunque sapere, come il grave cadendo, ed acquistando sempre velocità nuova secondo la proporzione già detta, in qualunque luogo egli si trovi della linea del suo moto, ha in sé tal grado di velocità, che se ei continuasse di muoversi con quella uniformemente, senza piú crescerla, in altrettanto tempo quanto è stato quello della sua scesa passerebbe spazio doppio del passato nella linea del precedente moto in giú: e cosí, per esempio, se quella palla nel venir dal concavo della Luna al suo centro ha consumato ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, dico che giunta al centro si trova costituita in tal grado di velocità, che se con quella, senza piú crescerla, continuasse di muoversi uniformemente, passerebbe in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi il doppio di spazio, cioè quant'è tutto 'l diametro intero dell'orbe lunare.
E perché dal concavo della Luna al centro sono miglia 196000, le quali la palla passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, adunque (stante quello ch'è detto) continuando la palla di muoversi con la velocità che si trova avere nell'arrivare al centro, passerebbe, in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, spazio doppio del detto, cioè miglia 392000: ma la medesima, stando nel concavo della Luna, che ha di circuito miglia 1232000, e movendosi con quello al moto diurno, farebbe nel medesimo tempo, cioè in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, miglia 172880, che sono assai manco che la metà delle miglia 392000.
Ecco dunque come il moto nel concavo non è qual dice l'autor moderno, cioè di velocità impossibile a participarsi dalla palla cadente, etc.
SAGR.
Il discorso camminerebbe benissimo e mi quieterebbe, quando mi fusse saldata quella partita del muoversi il mobile per doppio spazio del passato cadendo, in altro tempo eguale a quel della scesa, quando e' continuasse di muoversi uniformemente co 'l massimo grado della velocità acquistata nel descendere: proposizione anco un'altra volta da voi supposta per vera, ma non dimostrata.
SALV.
Quest'è una delle dimostrate dal nostro amico, e la vedrete a suo tempo; ma in tanto voglio con alcune conietture, non insegnarvi cosa nuova, ma rimuovervi da una certa opinione contraria, mostrandovi che forse cosí possa essere.
Sospendendosi con un filo lungo e sottile, legato al palco, una palla di piombo, se noi la allontaneremo dal perpendicolo, lasciandola poi in libertà, non avete voi osservato che ella declinando passerà spontaneamente di là dal perpendicolo poco meno che altrettanto?
SAGR.
L'ho osservato benissimo, e veduto (massime se la palla sarà grave assai) che ella sormonta tanto poco meno della scesa, che ho talvolta creduto che l'arco ascendente sia eguale al descendente, e però dubitato che le sue vibrazioni potessero perpetuarsi; e crederò che lo farebbero se si potesse levar l'impedimento dell'aria, la quale, resistendo all'esser aperta, ritarda qualche poco ed impedisce il moto del pendolo: ma l'impedimento è ben poco; di che è argomento il numero grande delle vibrazioni che si fanno avanti che il mobile si fermi del tutto.
SALV.
Non si perpetuerebbe il moto, signor Sagredo, quando ben si levasse totalmente l'impedimento dell'aria, perché ve n'è un altro piú recondito assai.
SAGR.
E qual è? ché altro non me ne sovviene.
SALV.
Vi gusterà il sentirlo, ma ve lo dirò poi; intanto seguitiamo.
Io vi ho proposta l'osservazione di questo pendolo, acciò che voi intendiate che l'impeto acquistato nell'arco descendente, dove il moto è naturale, è per se stesso potente a sospignere di moto violento la medesima palla per altrettanto spazio nell'arco simile ascendente; è tale, dico, per se stesso, rimossi tutti gl'impedimenti esterni.
Credo anco che senza dubitarne s'intenda, che sí come nell'arco descendente si va crescendo la velocità sino al punto infimo del perpendicolo, cosí da questo per l'altro arco ascendente si vadia diminuendo sino all'estremo punto altissimo, e diminuendo con l'istesse proporzioni con le quali si venne prima agumentando, sí che i gradi delle velocità ne i punti egualmente distanti dal punto infimo sieno tra di loro eguali.
Di qui parmi (discorrendo con una certa convenienza) di poter credere, che quando il globo terrestre fusse perforato per il centro, una palla d'artiglieria scendendo per tal pozzo acquisterebbe sino al centro tal impeto di velocità che, trapassato il centro la spignerebbe in su per altrettanto spazio quanto fusse stato quello della caduta, diminuendo sempre la velocità oltre al centro con decrementi simili a gl'incrementi acquistati nello scendere; ed il tempo che si consumerebbe in questo secondo moto ascendente credo che sarebbe eguale al tempo della scesa.
Ora, se il mobile co 'l diminuir successivamente, sino alla totale estinzione, il sommo grado della velocità che ebbe nel centro, conduce il mobile in tanto tempo per tanto spazio per quanto in altrettanto tempo era venuto con l'acquisto di velocità dalla total privazione di essa sino a quel sommo grado; par ben ragionevole che quando si movesse sempre co 'l sommo grado di velocità, trapassasse in altrettanto tempo amendue quelli spazii: perché se noi andremo con la mente dividendo quelle velocità in gradi crescenti e calanti, come, verbigrazia, questi numeri, sí che i primi sino al 10 sieno i crescenti, e gli altri sino all'1 i calanti, e quelli, del tempo della scesa, e gli altri, del tempo della salita, si vede che, congiunti tutti insieme, fanno tanto quanto se una delle due parti di loro fusse stata tutta di gradi massimi; e però tutto lo spazio passato con tutti i gradi delle velocità crescenti e calanti (che è tutto il diametro intero) dev'esser eguale allo spazio passato dalle velocità massime che in numero sono la metà dell'aggregato delle crescenti e delle calanti.
Io mi conosco essermi assai duramente spiegato, e Dio voglia ch'io mi lasci intendere.
SAGR.
Credo d'avere inteso benissimo, ed anco di poter in brevi parole mostrar ch'io ho inteso.
Voi avete voluto dire, che cominciando il moto dalla quiete ed andando successivamente crescendo la velocità con agumenti eguali, quali sono quelli de' numeri conseguenti, cominciando dall'unità, anzi dal zero, che rappresenta lo stato di quiete, disponendogli cosí, e conseguentemente quanti ne piacesse, sí che il minimo grado sia il zero e 'l massimo, verbigrazia, 5, tutti questi gradi di velocità, con i quali il mobile si è mosso, fanno la somma di 15; ma quando il mobile si movesse con tanti gradi in numero quanti son questi, e che ciascheduno fusse eguale al massimo, che è 5, l'aggregato di tutte queste velocità sarebbe doppio dell'altre, cioè 30: e però movendosi il mobile per altrettanto tempo, ma con velocità equabile e qual è quella del sommo grado 5, doverà passare spazio doppio di quello che passò nel tempo accelerato, che cominciò dallo stato di quiete.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 1 2 3 4 5
SALV.
Voi, conforme alla vostra velocissima e sottilissima apprensiva, avete spiegato il tutto assai più lucidamente di me, e fattomi anco venire in mente di aggiugnere alcuna cosa di più.
Imperocchè, essendo nel moto accelerato l'agumento continuo, non si può compartire i gradi della velocità, la quale sempre cresce, in numero alcuno determinato, perchè, mutandosi di momento in momento, son sempre infiniti: però meglio potremo esemplificare la nostra intenzione figurandoci un triangolo, qual sarebbe questo AB C, pigliando nel lato AC quante parti eguali ne piacerà, AD, DE, EF, FG, e tirando per i punti D, E, F, G linee rette parallele alla base BC; dove voglio che ci imaginiamo, le parti segnate nella linea AC esser tempi eguali, e le parallele tirate per i punti D, E, F, G rappresentarci i gradi delle velocità accelerate e crescenti egualmente in tempi eguali, ed il punto A esser lo stato di quiete, dal quale partendosi il mobile abbia, v.
g., nel tempo AD acquistato il grado di velocità DH, nel seguente tempo aver cresciuta la velocità sopra il grado DH sino al grado EI, e conseguentemente fattala maggiore ne i tempi succedenti, secondo i crescimenti delle linee FK, [vedi figura 16.gif] GL, etc.
Ma perchè l'accelerazione si fa continuamente di momento in momento, e non intercisamente di parte quanta di tempo in parte quanta, essendo posto il termine A come momento minimo di velocità, cioè come stato di quiete e come primo instante del tempo susseguente AD, è manifesto che avanti l'acquisto del grado di velocità DH, fatto nel tempo AD, si è passato per altri infiniti gradi minori e minori, guadagnati ne gli infiniti instanti che sono nel tempo DA, corrispondenti a gli infiniti punti che sono nella linea DA: però per rappresentare la infinità de i gradi di velocità che precedono al grado DH, bisogna intendere infinite linee sempre minori e minori, che si intendano tirate da gl'infiniti punti della linea DA, parallele alla DH, la qual infinità di linee ci rappresenta in ultimo la superficie del triangolo AHD; e così intenderemo, qualsivoglia spazio passato dal mobile con moto che, cominciando dalla quiete, si vadia uniformemente accelerando, aver consumato ed essersi servito di infiniti gradi di velocità crescenti, conforme all'infinite linee, che, cominciando dal punto A, si intendono tirate parallele alla linea HD ed alle IE, KF, LG, BC, continuandosi il moto quanto ne piace.
Ora finiamo l'intero parallelogrammo A M B C, e prolunghiamo sino al suo lato B M non solo le parallele segnate nel triangolo, ma la infinità di quelle che si intendono prodotte da tutti i punti del lato A C.
E sí come la B C era massima delle infinite del triangolo, rappresentanteci il massimo grado di velocità acquistato dal mobile nel moto accelerato, e tutta la superficie di esso triangolo era la massa e la somma di tutta la velocità con la quale nel tempo A C passò un tale spazio, cosí il parallelogrammo viene ad esser una massa ed aggregato di altrettanti gradi di velocità, ma ciascheduno eguale al massimo B C, la qual massa di velocità viene a esser doppia della massa delle velocità crescenti del triangolo, sí come esso parallelogrammo è doppio del triangolo; e però, se il mobile che cadendo si è servito de i gradi di velocità accelerata, conforme al triangolo A B C, ha passato in tanto tempo un tale spazio, è ben ragionevole e probabile che servendosi delle velocità uniformi, e rispondenti al parallelogrammo, passi con moto equabile nel medesimo tempo spazio doppio al passato dal moto accelerato.
SAGR.
Resto interamente appagato.
E se voi chiamate questo un discorso probabile, quali saranno le dimostrazioni necessarie? Volesse Dio che in tutta la comune filosofia se ne trovasse pur una delle sí concludenti!
SIMP.
Non bisogna nella scienza naturale ricercar l'esquisita evidenza matematica.
SAGR.
Ma questa del moto non è quistion naturale? e pur non trovo che di esso Aristotile mi dimostri pur un minimo accidente.
Ma non divertiamo piú il nostro ragionamento; e voi, signor Salviati, non mancate in grazia di dirmi quello che mi accennaste esser cagione del fermare il pendolo, oltre alla resistenza del mezo all'esser aperto.
SALV.
Ditemi: di due pendenti da distanze diseguali, quello che è attaccato a piú lunga corda non fa le sue vibrazioni piú rare?
SAGR.
Sí, quando si movessero per eguali distanze dal perpendicolo.
SALV.
Cotesto allontanarsi più o meno non importa niente, perchè il medesimo pendolo fa le sue reciprocazioni sempre sotto tempi eguali, sieno quelle lunghissime o brevissime, cioè rimuovasi il pendolo assaissimo o pochissimo dal perpendicolo; e se pur non sono del tutto eguali, son elleno insensibilmente differenti, come l'esperienza vi può mostrare; ma quando ben le fussero molto diseguali, non disfavorirebbe, ma favorirebbe la causa nostra.
Imperocchè segniamo il perpendicolo
[vedi figura 17.gif] AB, e penda dal punto A nella corda AC un peso C, ed un altro pur nella medesima più alto, che sia E; e discostata la corda AC dal perpendicolo, e lasciata poi in libertà, i pesi C, E si moveranno per gli archi CBD, EGF: ed il peso E, come pendente da minor distanza, ed anco come (per vostro detto) allontanato meno, vuol ritornare indietro più presto e far le sue vibrazioni più frequenti che il peso C, e però gli impedirà il trascorrere tant'oltre verso il termine D quanto farebbe se fusse libero; e così, recandogli in ogni vibrazione continuo impedimento, finalmente lo ridurrà alla quiete.
Ora, la corda medesima (levando i pesi di mezo) è un composto di molti pendoli gravi, cioè ciascheduna delle sue parti è un tal pendolo, attaccato più e più vicino al punto A e però disposto a far le sue vibrazioni sempre più e più frequenti; ed in conseguenza è abile ad arrecare un continuo impedimento al peso C.
Segno di questo ne è, che se noi osserveremo la corda AC, la vedremo distesa non rettamente, ma in arco; e se noi in cambio di corda piglieremo una catena, vedremo tale effetto assai più manifesto, e massime con l'allontanar assai il grave C dal perpendicolo AB: imperocchè, per esser la catena composta di molte particelle snodate, e ciascheduna assai grave, gli archi AEC, AFD si vedranno notabilmente incurvati.
Per questo dunque, che le parti della catena, secondo che son più vicine al punto A, voglion far le lor vibrazioni più frequenti, non lasciano scorrer le più basse quanto naturalmente farebbero; e con il continuo detrar dalle vibrazioni del peso C, finalmente lo fermano, quando ben l'impedimento dell'aria si potesse tor via.
SAGR.
Appunto sono arrivati i libri.
Pigliate, signor Simplicio, e trovate il luogo del quale si dubita.
SIMP.
Eccolo qui, dove egli incomincia ad argumentar contro al moto diurno della Terra, avendo egli prima confutato l'annuo: Motus Terrae annuus asserere Copernicanos cogit conversionem eiusdem quotidianam; alias idem Terrae hemispherium continenter ad Solem esset conversum, obumbrato semper averso(3); e cosí la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole.
SALV.
Parmi, per questo primo ingresso, che quest'uomo non si sia ben figurata la posizion del Copernico; perché s'egli avesse avvertito, come e' fa star l'asse del globo terrestre perpetuamente parallelo a se stesso, non arebbe detto che la metà della Terra non vedrebbe mai il Sole, ma che l'anno sarebbe stato un sol giorno naturale, cioè che per tutte le parti della Terra si sarebbe auto sei mesi di giorno e sei mesi di notte, come ora accade a gli abitatori sotto 'l polo.
Ma questo siagli perdonato, e venghiamo al resto.
SIMP.
Segue: Hanc autem gyrationem Terrae impossibilem esse, sic demonstramus.(4) Questo appresso è la dichiarazione della seguente figura, dove si veggono dipinti molti gravi descendenti, e leggieri ascendenti, e uccelli che si trattengono per aria, etc.
SAGR.
Mostrate, di grazia.
Oh che belle figure, che uccelli, che palle, e che altre belle cose son queste?
SIMP.
Queste son palle che vengono dal concavo della Luna.
SAGR.
E questa che è?
SIMP.
È una chiocciola, che qua a Venezia chiaman buovoli, che ancor essa vien dal concavo della Luna.
SAGR.
Sí, sí: quest'è che la Luna ha cosí grand'efficacia sopra questi pesci ostreacei, che noi chiamiamo pesci armai.
SIMP.
Quest'è poi quel calcolo ch'io dicevo, di questo viaggio in un giorno naturale, in un'ora, in un minuto primo ed in un secondo, che farebbe un punto della Terra posto sotto l'equinoziale, ed anco nel parallelo di 48 gradi.
E poi segue questo, dov'io dubito non avere errato nel referirlo; però leggiamolo: His positis, necesse est, Terra circulariter mota, omnia ex aëre eidem etc.
Quod si hasce pilas aequales ponemus pondere, magnitudine, gravitate, et in concavo spherae lunaris positas libero descensui permittamus, si motum deorsum aequemus celeritate motui circum (quod tamen secus est, cum pila A etc.), elabentur minimum (ut multum cedamus adversariis) dies sex: quo tempore sexies circa Terram etc.(5)
SALV.
Voi pur troppo avevi fedelmente referita l'instanza di quest'uomo.
Di qui potete comprender, signor Simplicio, con quanta cautela dovrebber andar quelli che vorrebber dar a credere altrui quelle cose che forse non credono essi medesimi: perché mi pare impossibil cosa che quest'autore non si avesse ad accorgere ch'e' si figurava un cerchio il cui diametro, che appresso i matematici è manco che la terza parte della circonferenza, fusse piú di 12 volte maggiore della medesima; errore che pone esser assai piú di 36 quello ch'è manco d'uno.
SAGR.
Forse che queste proporzioni matematiche, che son vere in astratto, applicate poi in concreto a cerchi fisici ed elementari non rispondon cosí per appunto: se ben mi pare che i bottai, per trovare il semidiametro del fondo da farsi per la botte, si servono della regola in astratto de' matematici, ancorché tali fondi sien cose assai materiali e concrete.
Però dica il signor Simplicio la scusa di quest'autore, e se gli pare che la fisica possa differir tanto dalla matematica.
SIMP.
La ritirata non mi par suffiziente, perché lo svario è troppo grande: e in questo caso non saprei che dire altro, se non che quandoque bonus etc.
Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia piú giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse piú di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per sí grand'intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra 'l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non piú tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo.
SALV.
L'effetto può esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti.
Imperocché, se la palla (conforme a' supposti che fa l'autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr'ore insieme con la Terra e co 'l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virtú che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuerà di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che piú tosto dovrebbe prevenirlo, essendoché nell'avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talché, mantenendosi nella palla quella medesima velocità che ell'aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra.
Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non è in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominciò; né il Copernico né alcuno de' suoi aderenti lo dirà.
SIMP.
Ma l'autore farà instanza, come voi vedete, domandando da qual principio dependa questo moto circolare de' gravi e de' leggieri, cioè se da principio interno o esterno.
SALV.
Stando nel problema di che si tratta, dico che quel principio che faceva andar la palla in volta mentre era nel concavo lunare, è il medesimo che gli mantiene la circolazione anco nello scendere: lascerò poi che l'autore lo faccia interno o esterno a modo suo.
SIMP.
L'autore proverà che non può esser né interno né esterno.
SALV.
Ed io risponderò che la palla nel concavo non si muoveva, e sarò libero dal dover dichiarare come discendendo resti sempre verticale al medesimo punto, attesoché ella non vi resterà.
SIMP.
Bene; ma come i gravi e i leggieri non possono aver principio né interno né esterno di muoversi circolarmente, né anco il globo terrestre si muoverà di moto circolare; e cosí avremo l'intento.
SALV.
Io non ho detto che la Terra non abbia principio né esterno né interno al moto circolare, ma dico che non so qual de' dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza di levarglielo.
Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra è una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e' crede che si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurerà chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra.
Ma piú, io voglio far l'istesso s'ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in giú.
SIMP.
La causa di quest'effetto è notissima, e ciaschedun sa che è la gravità.
SALV.
Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità.
Ma io non vi domando del nome, ma dell'essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto piú di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome, che a questa è stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non è che realmente noi intendiamo piú, che principio o che virtú sia quella che muove la pietra in giú, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoché (come ho detto) il nome, che piú singulare e proprio gli abbiamo assegnato di gravità.
doveché a quello con termine piú generico assegnamo virtú impressa, a quello diamo intelligenza, o assistente, o informante, ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la natura.
SIMP.
Parmi che quest'autore domandi assai manco di quello a che voi negate la risposta; poiché e' non vi chiede qual sia particolarmente e nominatamente il principio che muove i gravi e i leggieri in giro, ma, qualunque e' si sia, cerca solamente se voi lo stimate intrinseco o estrinseco: che se bene, verbigrazia, io non so che cosa sia la gravità, per la quale la Terra descende, so però ch'ell'è principio interno, poiché, non impedito, spontaneamente muove; ed all'incontro so che il principio che la muove in su, è esterno, ancorché io non sappia che cosa sia la virtú impressale dal proiciente.
SALV.
In quante quistioni bisognerebbe divertire, se noi volessimo decidere tutte le difficultà che si vengono attaccando l'una in conseguenza dell'altra! Voi chiamate principio esterno, ed anco lo chiamerete preternaturale e violento, quello che muove il proietto grave all'insú; ma forse non è egli meno interno e naturale che quello che lo muove in giú: può chiamarsi per avventura esterno e violento mentre il mobile è congiunto co 'l proiciente; ma separato, che cosa esterna rimane per motore della freccia o della palla? Bisogna pur necessariamente dire che quella virtú che la conduce in alto, sia non meno interna che quella che la muove in giú; ed io ho cosí per naturale il moto in su de i gravi per l'impeto concepito, come il moto in giú dependente dalla gravità.
SIMP.
Questo non ammetterò io mai; perché questo ha il principio interno naturale e perpetuo, e quello, esterno violento e finito.
SALV.
Se voi vi ritirate dal concedermi che i principii de i moti de i gravi in giú ed in su sieno egualmente interni e naturali, che fareste s'io vi dicessi che e' potessero anco essere il medesimo in numero?
SIMP.
Lo lascio giudicare a voi.
SALV.
Anzi voglio io voi stesso per giudice.
Però ditemi: credete voi che nel medesimo corpo naturale possano riseder principii interni che siano tra di loro contrarii?
SIMP.
Credo assolutamente di no.
SALV.
Della terra, del piombo, dell'oro, ed in somma delle materie gravissime, quale stimate voi che sia la lor naturale intrinseca inclinazione, cioè a qual moto credete voi che 'l lor principio interno le tiri?
SIMP.
Al moto verso il centro delle cose gravi, cioè al centro dell'universo e della Terra, dove, non impedite, si condurrebbero.
SALV.
Talché, quando il globo terrestre fusse perforato da un pozzo che passasse per il centro di esso, una palla d'artiglieria lasciata cader per esso, mossa da principio naturale ed intrinseco, si condurrebbe al centro; e tutto questo moto farebbe ella spontaneamente e per principio intrinseco: non sta cosí?
SIMP.
Cosí tengo io per fermo.
SALV.
Ma giunta al centro, credete voi ch'ella passasse piú oltre, o pur che quivi cesserebbe immediatamente dal moto?
SIMP.
Credo che ella continuerebbe di muoversi per lunghissimo spazio.
SALV.
Ma questo moto oltre al centro non sarebb'egli all'insú e, per vostro detto, preternaturale e violento? e da qual altro principio lo farete voi dependere, salvoché da quell'istesso che ha condotta la palla al centro, e che voi avete chiamato intrinseco e naturale? trovate voi un proiciente esterno, che gli sopraggiunga di nuovo per cacciarla in su.
E questo che si dice del moto per il centro, si vede anco quassú da noi: imperocché l'impeto interno di un grave cadente per una superficie declive, se la medesima, piegandosi da basso, si refletterà in su, lo porterà, senza punto interrompere il moto, anco all'insú.
Una palla di piombo pendente da uno spago, rimossa dal perpendicolo, descende spontaneamente, tirata dall'interna inclinazione, e senza interpor quiete trapassa il punto infimo, e senz'altro sopravvegnente motore si muove in su.
Io so che voi non negherete che tanto è naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in giú, quanto de i leggieri quello che gli muove in su: onde io vi metto in considerazione una palla di legno, la quale scendendo per aria da grande altezza, e però movendosi da principio interno, giunta sopra una profondità d'acqua, continua la sua scesa, e senz'altro motore esterno per lungo tratto si sommerge; e pure il moto in giú per l'acqua gli è preternaturale, e con tutto ciò depende da principio che è interno, e non esterno della palla.
Eccovi dunque dimostrato come un mobile può esser mosso, da uno stesso principio interno, di movimenti contrarii.
SIMP.
Io credo che a tutte queste instanze ci sieno risposte, benché per ora non mi sovvengano.
Ma comunque ciò sia, continua l'autor di domandar da qual principio dependa questo moto circolare de i gravi e de i leggieri, cioè se da principio interno o esterno, e seguendo dimostra che non può esser né l'uno né l'altro, dicendo: Si ab externo, Deusne illum excitat per continuum miraculum? an vero angelus? an aër? Et hunc quidem multi assignant.
Sed contra...
(6)
SALV.
Non vi affaticate in legger l'instanze, perch'io non son di quelli che attribuisca tal principio all'aria ambiente.
Quanto poi al miracolo o all'angelo, piú tosto inclinerei in quella parte; perché quello che comincia da divino miracolo o da operazione angelica, qual è la trasportazione d'una palla d'artiglieria nel concavo della Luna, non ha dell'improbabile che in virtú del medesimo principio faccia anco il resto.
Ma quanto all'aria, a me basta che ella non impedisca il moto circolare de i mobili che per essa si dice che si muovono; e per ciò fare, basta (né piú si ricerca) che essa si muova dell'istesso moto, e che con la medesima velocità finisca le sue circolazioni che il globo terrestre.
SIMP.
Ed egli insurgerà parimente contro a questo, domandando chi conduce intorno l'aria, la natura o la violenza? e confuta la natura, con dire che ciò è contro alla verità, all'esperienza, all'istesso Copernico.
SALV.
Contro al Copernico non è altrimenti, il quale non scrive tal cosa, e quest'autor glie l'attribuisce con troppo eccesso di cortesia: anzi egli dice, e per mio parer dice bene, che la parte dell'aria vicina alla Terra, essendo piú presto evaporazion terrestre, può aver la medesima natura, e naturalmente seguire il suo moto, o vero, per essergli contigua, seguirla in quella maniera che i Peripatetici dicono che la parte superiore e l'elemento del fuoco seguono il moto del concavo della Luna; sí che a loro tocca a dichiarare se cotal moto sia naturale o violento.
SIMP.
Replicherà l'autore, che se 'l Copernico fa muovere una parte dell'aria inferiore solamente, mancando di cotal moto la superiore, non potrà render ragione, come quell'aria quieta sia per poter condur seco i medesimi gravi e fargli secondare il moto della Terra.
SALV.
Il Copernico dirà che questa propension naturale de i corpi elementari di seguire il moto terrestre ha una limitata sfera, fuor della quale cesserebbe tal naturale inclinazione; oltreché, come ho detto, non è l'aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguano il suo moto; sí che cascano tutte le instanze che questo autor produce per provar che l'aria può non cagionar cotali effetti.
SIMP.
Come dunque ciò non sia, bisognerà dire che tali effetti dependano da principio interno; contro alla qual posizione oboriuntur dificillimæ, immo inextricabiles, quæstiones secundæ,(7) che sono le seguenti: Principium illud internum vel est accidens, vel substantia: si primum, quale nam illud? nam qualitas loco motiva circum hactenus nulla videtur esse agnita.
(8)
SALV.
Come non si ha notizia di alcuna? non ci sono queste, che muovon intorno tutte queste elementari materie, insieme con la Terra? Vedete come quest'autore suppon per vero quello ch'è in quistione.
SIMP.
Ei dice che ciò non si vede, e parmi che abbia ragione in questo.
SALV.
Non si vede da noi, perché andiamo in volta insieme con loro.
SIMP.
Sentite l'altra instanza: Quæ etiam si esset, quomodo tamen inveniretur in rebus tam contrariis? in igne ut in aqua? in aëre ut in terra? in viventibus ut in anima carentibus?(9)
SALV.
Posto per ora che l'acqua e il fuoco sien contrarii, come anche l'aria e la terra (che pur ci sarebbe da dire assai), il piú che da questo ne possa seguire, sarà che ad essi non possono esser comuni i moti che tra loro sien contrarii, sí che, verbigrazia, il moto in su, che naturalmente compete al fuoco, non possa competere all'acqua, ma che, sí come essa è per natura contraria al fuoco, cosí a lei convenga quel moto che è contrario al moto del fuoco, che sarà il moto deorsum: ma il moto circolare, che non è contrario né al sursum né al deorsum, anzi che si può mescolare con amendue, come il medesimo Aristotile afferma, perché non potrà egualmente competere a i gravi ed a i leggieri? I moti poi che non posson esser comuni a i viventi ed a i non viventi, son quelli che dependon dall'anima; ma quelli che son del corpo, in quanto egli è elementare, ed in conseguenza participante delle qualità degli elementi, perché non hanno ad esser comuni al cadavero ed al vivente? E però, quando il moto circolare sia proprio degli elementi, dovrà esser comune de i misti ancora.
SAGR.
È forza che quest'autor creda, che cadendo una gatta morta da una finestra, non possa esser che anco viva ci potesse cadere, non essendo cosa conveniente che un cadavero partecipi delle qualità che convengono ad un vivente.
SALV.
Non conclude, dunque, il discorso di quest'autore contro a chi dicesse, il principio del moto circolare de i gravi e de i leggieri esser un accidente interno.
Non so quanto e' sia per dimostrare che non possa esser una sustanza.
SIMP.
Insurge contro a questo con molte opposizioni, la prima delle quali è questa: Si secundum (nempe si dicas, tale principium esse substantiam), illud est aut materia, aut forma, aut compositum; sed repugnant iterum tot diversæ rerum naturæ, quales sunt aves, limaces, saxa, sagittæ, nives, fumi, grandines, pisces, etc., quæ tamen omnia, specie et genere differentia, moverentur a natura sua circulariter, ipsa naturis diversissima, etc.
(10)
SALV.
Se queste cose nominate sono di nature diverse, e le cose di nature diverse non possono aver un moto comune, bisognerà, quando si debba sodisfare a tutte, pensar ad altro che a due moti solamente in su e in giú; e se se ne deve trovar uno per le freccie, uno per le lumache, un altro per i sassi, uno per i pesci, bisognerà pensare anco a i lombrichi e a i topazii e all'agarico, che non son men differenti di natura tra di loro che la gragnuola e la neve.
SIMP.
Par che voi ve ne burliate di questi argomenti.
SALV.
Anzi no, signor Simplicio; ma già si è risposto di sopra, cioè che se un moto in giú o vero in su può convenire alle cose nominate, potrà non meno convenir loro un circolare.
E stando nella dottrina peripatetica, non porrete voi diversità maggiore tra una cometa elementare e una stella celeste, che tra un pesce e un uccello? e pur quelle si muovono amendue circolarmente.
Or seguite il secondo argumento.
SIMP.
Si Terra staret per voluntatem Dei, rotarentne cætera annon? si hoc, falsum est a natura gyrari; si illud, redeunt priores quæstiones; et sane mirum esset, quod gavia pisciculo, alauda nidulo suo et corvus limaci petræque, etiam volens, imminere non posset.(11)
SALV.
Io per me darei una risposta generale: che, dato per volontà di Dio che la Terra cessasse dalla vertigine diurna, quegli uccelli farebber tutto quello che alla medesima volontà di Dio piacesse.
Ma se pur cotesto autore desiderasse una piú particolar risposta, gli direi che e' farebber tutto l'opposito di quello che e' facessero quando, mentre eglino separati dalla Terra si trattenesser per aria, il globo terrestre per volontà divina si mettesse inaspettatamente in un moto precipitosissimo: tocca ora a quest'autore ad assicurarci di quello che in tal caso accaderebbe.
SAGR.
Di grazia, signor Salviati, concedete a mia richiesta a quest'autore, che fermandosi la Terra per volontà di Dio, l'altre cose da quella separate continuasser d'andar in volta del natural movimento loro, e sentiamo quali impossibili o inconvenienti ne seguirebbero: perché io per me non so veder disordini maggiori di questi che produce l'autor medesimo, cioè che l'allodole, ancorché le volessero, non si potrebber trattener sopra i nidi loro, né i corbi sopra le lumache o sopra i sassi; dal che ne seguirebbe che a i corbi converrebbe patirsi la voglia delle lumache, e gli allodolini si morrebber di fame e di freddo, non potendo esser né imbeccati né covati dalle lor madri: questa è tutta la rovina ch'io so ritrar che seguirebbe, stante il detto dell'autore.
Vedete voi, signor Simplicio, se maggiori inconvenienti seguir ne dovessero.
SIMP.
Io non ne so scorger di maggiori, ma è ben credibile che l'autore ci scorga, oltre a questi, altri disordini in natura, che forse per suoi degni rispetti non ha volsuti produrre.
Seguirò dunque la terza instanza: Insuper, quî fit utistæ res tam variæ tantum moveantur ab occasu in ortum parallelæ ad æquatorem? ut semper moveantur, numquam quiescant?.
(12)
SALV.
Muovonsi da occidente in oriente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi, in quella maniera appunto che voi credete che le stelle fisse si muovano da levante a ponente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi.
SIMP.
Quare quo sunt altiores celerius, quo humiliores tardius?(13)
SALV.
Perché in una sfera o in un cerchio che si volga intorno al suo centro, le parti piú remote descrivono cerchi maggiori, e le piú vicine gli descrivono nell'istesso tempo minori.
SIMP.
Quare quæ æquinoctiali propiores in maiori, quæ remotiores in minori, circulo feruntur?(14)
SALV.
Per immitar la sfera stellata, nella quale le piú vicine all'equinoziale si muovon in cerchi maggiori che le piú lontane.
SIMP.
Quare pila eadem sub æquinoctiali tota circa centrum Terræ ambitu maximo, celeritate incredibili, sub polo vero circa centrum proprium gyro nullo, tarditate suprema, volveretur?.
(15)
SALV.
Per immitar le stelle del firmamento, che farebbon l'istesso se 'l moto diurno fusse loro.
SIMP.
Quare eadem res, pila verbi gratia plumbea, si semel Terram circuivit descripto circulo maximo, eamdem ubique non circummigret secundum circulum maximum, sed translata extra æquinoctialem in circulis minoribus agetur? (16)
SALV.
Perché cosí farebbero, anzi pure hanno fatto in dottrina di Tolomeo, alcune stelle fisse, che già erano vicinissime all'equinoziale e descrivevan cerchi grandissimi, ed ora, che ne son lontane, gli descrivon minori.
SAGR.
Oh s'io potessi tenere a mente tutte queste belle cose, mi parrebbe pur d'aver fatto il grand'acquisto! Bisogna, signor Simplicio, che voi me lo prestiate questo libretto, perché egli è forza che perentro vi sia un mare di cose peregrine ed esquisitissime.
SIMP.
Io ve ne farò un presente.
SAGR.
Oh questo no, io non ve ne priverei mai.
Ma son finite ancora le interrogazioni?
SIMP.
Signor no; sentite pure: Si latio circularis gravibus et levibus est naturalis, qualis est ea quæ fit secundum lineam rectam? nam si naturalis, quomodo et is motus qui circum est, naturalis est, cum specie differat a recto? si violentus, quî fit ut missile ignitum, sursum evolans, scintillosum caput sursum a Terra, non autem circum, volvatur?(17) etc.
SALV.
Già mille volte si è detto che il moto circolare è naturale del tutto e delle parti, mentre sono in ottima disposizione: il retto è per ridurr'all'ordine le parti disordinate; se ben meglio è dire che mai, né ordinate né disordinate, non si muovon di moto retto, ma di un moto misto, che anco potrebb'esser circolare schietto; ma a noi resta visibile e osservabile una parte sola di questo moto misto, cioè la parte del retto, restandoci l'altra parte del circolare impercettibile, perché noi ancora lo participiamo; e questo risponde a i razzi, li quali si muovono in su e in giro, ma noi non possiamo distinguer il circolare, perché di quello ci moviamo noi ancora.
Ma quest'autore non credo che abbia mai capita questa mistione, poiché si vede come egli resolutamente dice che i razzi vanno in su a diritto e non vanno altrimenti in giro.
SIMP.
Quare centrum spheræ delapsæ sub æquatore spiram describit in eius plano, sub aliis parallelis spiram describit in cono? sub polo descendit in axe, lineam gyralem decurrens in superficie cylindrica consignatam? (18)
SALV.
Perché delle linee tirate dal centro alla circonferenza della sfera, che son quelle per le quali i gravi descendono, quella che termina nell'equinoziale disegna un cerchio, e quelle che terminano in altri paralleli descrivon superficie coniche, e l'asse non descrive altro, ma si resta nell'esser suo.
E se io vi debbo dire il mio parer liberamente, dirò che non so ritrarre da tutte queste interrogazioni costrutto nissuno che rilievi contro al moto della Terra; perché s'io domandassi a quest'autore (concedutogli che la Terra non si muova) quello che accaderebbe di tutti questi particolari, dato che ella si movesse come vuole il Copernico, son ben sicuro che e' direbbe che ne seguirebbon tutti questi effetti, che egli adesso oppone come inconvenienti per rimuover la mobilità; talché nella mente di quest'uomo le conseguenze necessarie vengon reputate assurdi.
Ma, di grazia, se ci è altro, spediamoci da questo tedio.
SIMP.
In questo che segue, ci è contro al Copernico e suoi seguaci, che voglion che il moto delle parti, separate dal suo tutto, sia solo per riunirsi al suo tutto, ma che naturale assolutamente sia il muoversi circolarmente alla vertigine diurna; contro a i quali instà dicendo che, conforme all'oppinion di costoro, si tota Terra, una cum aqua, in nihilum redigeretur, nulla grando aut pluvia e nube decideret, sed naturaliter tantum circumferretur; neque ignis ullus aut igneum ascenderet, cum, illorum non improbabili sententia, ignis nullus sit supra.
(19)
SALV.
La providenza di questo filosofo è mirabile e degna di gran lode, attesoché e' non si contenta di pensare alle cose che potrebbon accadere stante il corso della natura, ma vuol trovarsi provvisto in occasione che seguissero di quelle cose che assolutamente si sa che non sono mai per seguire.
Io voglio dunque, per sentir qualche bella sottigliezza, concedergli che quando la Terra e l'acqua andassero in niente, né le grandini né la pioggia cadessero piú, né le materie ignee andasser piú in alto, ma si trattenesser girando: che sarà poi? e che mi opporrà il filosofo?
SIMP.
L'opposizione è nelle parole che seguono immediatamente; eccole qui: Quibus tamen experientia et ratio adversatur.
(20)
SALV.
Ora mi convien cedere, poiché egli ha sí gran vantaggio sopra di me, qual è l'esperienza, della quale io manco; perché sin ora non mi son mai incontrato in vedere che 'l globo terrestre, con l'elemento dell'acqua, sia andato in niente, sí ch'io abbia potuto osservare quel che in questo piccol finimondo faceva la gragnuola e l'acqua.
Ma ci dic'egli almanco, per nostra scienza, quel che facevano?
SIMP.
Non lo dice altrimenti.
SALV.
Pagherei qualsivoglia cosa a potermi abboccar con questa persona, per domandargli, se quando questo globo sparí, e' portò via anco il centro comune della gravità, sí com'io credo; nel qual caso, penso che la grandine e l'acqua restassero come insensate e stolide tra le nugole, senza saper che farsi di loro.
Potrebbe anco esser che, attratte da quel grande spazio vacuo, lasciato mediante la partita del globo terrestre, si rarefacesser tutti gli ambienti, ed in particolar l'aria, che è sommamente distraibile, e concorressero con somma velocità a riempierlo; e forse i corpi piú solidi e materiali, come gli uccelli, che pur di ragione ne dovevano esser molti per aria, si ritirarono piú verso il centro della grande sfera vacua (che par ben ragionevole che alle sustanze che sotto minor mole contengono assai materia, sieno assegnati i luoghi piú angusti, lasciando alle piú rare i piú ampli), e quivi, mortisi finalmente di fame e risoluti in terra, formassero un nuovo globettino, con quella poca di acqua che si trovava allora tra' nugoli.
Potrebbe anco essere che le medesime materie, come quelle che non veggon lume, non s'accorgessero della partita della Terra, e che alla cieca scendessero al solito, pensando d'incontrarla, e a poco a poco si conducessero al centro, dove anco di presente andrebbero se l'istesso globo non l'impedisse.
E finalmente, per dare a questo filosofo una meno irrisoluta risposta, gli dico che so tanto di quel che seguirebbe dopo l'annichilazione del globo terrestre, quanto egli avrebbe saputo che fusse per seguir di esso ed intorno ad esso avanti che fusse creato: e perché io son sicuro ch'e' direbbe che non si sarebbe né anco potuto immaginare nissuna delle cose seguite, delle quali la sola esperienza l'ha fatto scienziato, dovrà non mi negar perdono e scusarmi s'io non so quel che egli sa delle cose che seguirebbero doppo l'annichilazione di esso globo, atteso che io manco di quest'esperienza che egli ha.
Dite ora se ci è altra cosa.
SIMP.
Ci è questa figura, che rappresenta il globo terrestre con una gran cavità intorno al suo centro, ripiena d'aria; e per mostrare che i gravi non si muovono in giú per unirsi co 'l globo terrestre, come dice il Copernico, costituisce questa pietra nel centro, e domanda, posta in libertà quel che ella farebbe; ed un'altra ne pone nella concavità di questa gran caverna, e fa l'istessa interrogazione, dicendo quanto alla prima: Lapis in centro constitutus aut ascendet ad Terram in punctum aliquod, aut non: si secundum, falsum est partes ob solam seiunctionem a toto ad illud moveri; si primum, omnis ratio et experientia renititur, neque gravia in suæ gravitatis centro conquiescent.
Item, si suspensus lapis liberatus decidat in centrum, separabit se a toto, contra Copernicum; si pendeat, refragatur omnis experientia, cum videamus integros fornices corruere.
(21)
SALV.
Risponderò, benché con mio disavvantaggio grande, già che son alle mani con chi ha veduto per esperienza ciò che fanno questi sassi in questa gran caverna, cosa che non ho veduta io, e dirò che credo che prima siano le cose gravi che il centro comune della gravità, sí che non un centro, che altro non è che un punto indivisibile, e però di nessuna efficacia, sia quello che attragga a sé le materie gravi, ma che esse materie, cospirando naturalmente all'unione, si formino un comun centro, che è quello intorno al quale consistono parti di eguali momenti: onde stimo, che trasferendosi il grande aggregato de i gravi in qualsivoglia luogo, le particelle che dal tutto fusser separate lo seguirebbero, e non impedite lo penetrerebbero sin dove trovassero parti men gravi di loro, ma pervenute sin dove s'incontrassero in materie piú gravi, non scenderebber piú.
E però stimo che nella caverna ripiena d'aria tutta la volta premerebbe, e solo violentemente si sostenterebbe sopra quell'aria, quando la durezza non potesse esser superata e rotta dalla gravità; ma sassi staccati credo che scenderebbero al centro, e non soprannoterebbero all'aria: né per ciò si potrebbe dire che non si movessero al suo tutto, movendosi là dove tutte le parti del tutto si moverebbero, quando non fussero impedite.
SIMP.
Quel che resta è certo errore ch'ei nota in un seguace del Copernico, il quale, facendo che la Terra si muova del moto annuo e del diurno in quella guisa che la ruota del carro si muove sopra il cerchio della Terra ed in se stessa, veniva a fare o il globo terrestre troppo grande o l'orbe magno troppo piccolo; attesoché 365 revoluzioni dell'equinoziale son meno assai che la circonferenza dell'orbe magno.
SALV.
Avvertite che voi equivocate, e dite il contrario di quello che bisogna che sia scritto nel libretto: imperocché bisogna dire che quel tale autore veniva a fare il globo terrestre troppo piccolo o l'orbe magno troppo grande, e non il terrestre troppo grande e l'annuo troppo piccolo.
SIMP.
L'equivoco non è altrimenti mio: ecco qui le parole del libretto: Non videt quod vel circulum annuum æquo minorem, vel orbem terreum iusto multo fabricet maiorem.(22)
SALV.
Se il primo autore abbia errato, io non lo posso sapere, poiché l'autor del libretto non lo nomina; ma ben è manifesto e inescusabile l'error del libretto, abbia o non abbia errato quel primo seguace del Copernico, poiché quel del libretto trapassa senza accorgersi un error sí materiale, e non lo nota e non lo emenda [Qui è attribuito l'errore all'autor del libretto, ma veramente l'errore non vi è.].
Ma questo siagli perdonato, come errore piú tosto d'inavertenza che d'altro.
Oltre che, se non ch'io sono omai stracco e sazio di piú lungamente occuparmi e consumare il tempo con assai poca utilità in queste molto leggieri altercazioni, potrei mostrare come non è impossibile che un cerchio, anco non maggior d'una ruota d'un carro, co 'l dar non pur 365, ma anco meno di 20 revoluzioni, può descrivere o misurare la circonferenza non pur dell'orbe magno, ma di uno mille volte maggiore: e questo dico per mostrare che non mancano sottigliezze assai maggiori di questa, con la quale quest'autore nota l'error del Copernico.
Ma, di grazia, respiriamo un poco, per venir poi a quest'altro filosofo, oppositor del medesimo Copernico.
SAGR.
Veramente ne ho bisogno io ancora, benché abbia solamente affaticato gli orecchi; e quando io pensassi di non aver a sentir cose piú ingegnose in quest'altro autore, non so s'io mi risolvessi a andarmene a i freschi in gondola.
SIMP.
Credo che sentirete cose di maggior polso, perché quest'è filosofo consumatissimo, e anco gran matematico, ed ha confutato Ticone in materia delle comete e delle stelle nuove.
SALV.
È egli forse l'autor medesimo dell'Antiticone?
SIMP.
È quello stesso: ma la confutazione contro alle stelle nuove non è nell'Antiticone, se non in quanto e' dimostra che elle non erano progiudiziali all'inalterabilità ed ingenerabilità del cielo, sí come già vi dissi: ma doppo l'Antiticone, avendo trovato per via di parallasse modo di dimostrare che esse ancora son cose elementari e contenute dentro al concavo della Luna, ha scritto quest'altro libro: De tribus novis stellis etc., ed inseritovi anco gli argomenti contro al Copernico.
Io l'altra volta vi produssi quello ch'egli aveva scritto circa queste stelle nuove nell'Antiticone, dove egli non negava che le fussero nel cielo, ma dimostrava che la lor produzione non alterava l'inalterabilità del cielo, e ciò facev'egli con discorso puro filosofico, nel modo ch'io vi dissi; e non mi sovvenne di dirvi come di poi aveva trovato modo di rimuoverle dal cielo, perché, procedendo egli in questa confutazione per via di computi e di parallassi, materie poco o niente comprese da me, non l'avevo lette, e solo avevo fatto studio sopra queste instanze contro al moto della Terra, che son pure naturali.
SALV.
Intendo benissimo, e converrà, doppo che avremo sentite le opposizioni al Copernico, che sentiamo, o veggiamo almeno, la maniera con la quale per via di parallasse dimostra essere state elementari quelle nuove stelle, che tanti astronomi di gran nome costituiron tutti altissime e tra le stelle del firmamento; e come quest'autore conduce a termine una tanta impresa, di ritirar di cielo le nuove stelle sin dentro alla sfera elementare, sarà ben degno d'esser grandemente esaltato e trasferito esso tra le stelle, o almeno che per fama sia tra quelle eternato il suo nome.
Però spediamoci quanto prima da questa parte, che oppone all'oppinion del Copernico, e cominciate a portare le sue instanze.
SIMP.
Queste non occorrerà leggerle ad verbum, perché sono molto prolisse; ma io, come vedete, nel leggerle attentamente piú volte, ho contrassegnato nella margine le parole dove consiste tutto il nervo della dimostrazione, e quella basterà leggere.
Il primo argomento comincia qui: Et primo, si opinio Copernici recipiatur, criterium naturalis philosophiæ, ni prorsus tollatur, vehementer saltem labefactari videtur.(23) Il qual criterio vuole, secondo l'opinione di tutte le sette de' filosofi, che il senso e l'esperienza siano le nostre scorte nel filosofare; ma nella posizion del Copernico i sensi vengono a ingannarsi grandemente, mentre visibilmente scorgono da vicino, in mezi purissimi, i corpi gravissimi scender rettamente a perpendicolo, né mai deviar un sol capello dalla linea retta; con tutto ciò per il Copernico la vista in cosa tanto chiara s'inganna, e quel moto non è altrimenti retto, ma misto di retto e circolare.
SALV.
Questo è il primo argomento che Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci producono: al quale si è abbondantemente risposto, e mostrato il paralogismo, ed assai apertamente dichiarato come il moto comune a noi ed a gli altri mobili è come se non fusse.
Ma perché le conclusioni vere hanno mille favorevoli rincontri che le confermano, voglio, in grazia di questo filosofo, aggiunger qualche altra cosa; e voi, signor Simplicio, facendo la parte sua, rispondetemi alle domande.
E prima, ditemi: che effetto fa in voi quella pietra la quale, cadendo dalla cima della torre, è cagione che voi di tal movimento vi accorgiate? perché se 'l suo cadere nulla di piú o di nuovo operasse in voi di quello che si operava la sua quiete in cima della torre, voi sicuramente non vi accorgereste della sua scesa, né distinguereste il suo muoversi dal suo star ferma.
SIMP.
Comprendo il suo discendere in relazione alla torre, perché or la veggo a canto a un tal segno di essa torre, poi ad un basso, e cosí successivamente, sin che la scorgo giunta in terra.
SALV.
Adunque, se quella pietra fusse caduta da gli artigli d'una volante aquila e scendesse per la semplice aria invisibile, e voi non aveste altro oggetto visibile e stabile con chi far parallelo di quella, non potreste il suo moto comprendere?
SIMP.
Anzi pur me n'accorgerei, poiché, per vederla mentre è altissima, mi converrebbe alzar la testa, e secondo ch'ella venisse calando, mi bisognerebbe abbassarla, ed in somma muover continuamente o quella o gli occhi, secondando il suo moto.
SALV.
Ora avete data la vera risposta.
Voi conoscete dunque la quiete di quel sasso, mentre senza muover punto l'occhio ve lo vedete sempre avanti, e conoscete ch'ei si muove, quando, per non lo perder di vista, vi convien muover l'organo della vista, cioè l'occhio.
Adunque, tuttavoltaché senza muover mai l'occhio voi vi vedeste continuamente un oggetto nell'istesso aspetto, sempre lo giudichereste immobile.
SIMP.
Credo che cosí bisognasse necessariamente.
SALV.
Figuratevi ora d'esser in una nave, e d'aver fissato l'occhio alla punta dell'antenna: credete voi che, perché la nave si muovesse anco velocissimamente, vi bisognasse muover l'occhio per mantener la vista sempre alla punta dell'antenna e seguitare il suo moto?
SIMP.
Son sicuro che non bisognerebbe far mutazion nessuna, e che non solo la vista, ma quando io v'avessi drizzato la mira d'un archibuso, mai per qualsivoglia moto della nave non mi bisognerebbe muoverla un pelo per mantenervela aggiustata.
SALV.
E questo avviene perché il moto che conferisce la nave all'antenna, lo conferisce anche a voi ed al vostro occhio, sí che non vi convien muoverlo punto per rimirar la cima dell'antenna; ed in conseguenza ella vi apparisce immobile.
[E tanto è che il raggio della vista vadia dall'occhio all'antenna, quanto se una corda fusse legata tra due termini della nave: ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si conservano, muovasi la nave o stia ferma.]
Ora trasferite questo discorso alla vertigine della Terra ed al sasso posto in cima della torre, nel quale voi non potete discernere il moto, perché quel movimento che bisogna per seguirlo, l'avete voi comunemente con lui dalla Terra, né vi convien muover l'occhio; quando poi gli sopraggiugne il moto all'ingiú, che è suo particolare, e non vostro, e che si mescola co 'l circolare, la parte del circolare che è comune della pietra e dell'occhio, continua d'esser impercettibile, e solo si fa sensibile il retto, perché per seguirla vi convien muover l'occhio abbassandolo.
Vorrei, per tòr d'error questo filosofo, potergli dire che, una volta andando in barca, facesse d'avervi un vaso assai profondo pieno d'acqua, ed avesse accomodato una palla di cera o d'altra materia che lentissimamente scendesse al fondo, sí che in un minuto d'ora appena calasse un braccio, e facendo andar la barca quanto piú velocemente potesse, talché in un minuto d'ora facesse piú di cento braccia, leggiermente immergesse nell'acqua la detta palla e la lasciasse liberamente scendere, e con diligenza osservasse il suo moto: egli primieramente la vedrebbe andare a dirittura verso quel punto del fondo del vaso dove tenderebbe quando la barca stesse ferma, ed all'occhio suo ed in relazione al vaso tal moto apparirebbe perpendicolarissimo e rettissimo; e pure non si può dir che non fusse composto del retto in giú e del circolare intorno all'elemento dell'acqua.
E se queste cose accaggiono in moti non naturali, ed in materie che noi possiamo farne l'esperienze nel loro stato di quiete e poi nel contrario del moto, e pur, quanto all'apparenza, non si scorge diversità alcuna e par che ingannino il senso, che vogliamo noi distinguere circa alla Terra, la quale perpetuamente è stata nella medesima costituzione, quanto al moto o alla quiete? ed in qual tempo vogliamo in essa sperimentare se differenza alcuna si scorge tra questi accidenti del moto locale ne' suoi diversi stati di moto e di quiete, se ella in un solo di questi due eternamente si mantiene?
SAGR.
Questi discorsi m'hanno racconciato alquanto lo stomaco, il quale quei pesci e quelle lumache in parte mi avevano conturbato; ed il primo m'ha fatto sovvenire la correzione d'un errore, il quale ha tanto apparenza di vero, che non so se di mille uno non l'ammettesse per indubitato.
E questo fu, che navigando in Soria, e trovandomi un telescopio assai buono, statomi donato dal nostro comune amico, che non molti giorni avanti l'aveva investigato, proposi a quei marinari che sarebbe stato di gran benefizio nella navigazione l'adoperarlo su la gaggia della nave per iscoprir vasselli da lontano e riconoscergli: fu approvato il benefizio, ma opposta la difficultà del poterlo usare mediante il continuo fluttuar della nave, e massime in su la cima dell'albero, dove l'agitazione è tanto maggiore, e che meglio sarebbe stato chi l'avesse potuto adoperare al piede, dove tal movimento è minore che in qualsivoglia altro luogo del vassello.
Io (non voglio ascondere l'error mio) concorsi nel medesimo parere, e per allora non replicai altro, né saprei dirvi da che mosso, tornai tra me stesso a ruminar sopra questo fatto, e finalmente m'accorsi della mia semplicità (ma però scusabile) nell'ammetter per vero quello che è falsissimo: dico falso, che l'agitazion massima della gaggia, in comparazion della piccola del piede dell'albero, debba render piú difficile l'uso del telescopio nell'incontrar l'oggetto.
SALV.
Io sarei stato compagno de i marinari ed anche vostro, su 'l principio.
SIMP.
Ed io parimente sarei stato, e sono ancora; né crederei co 'l pensarvi cent'anni intenderla altrimenti.
SAGR.
Potrò dunque io questa volta farvi a tutti due (come si dice) il maestro addosso: e perché il proceder per interrogazioni mi par che dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere, mi servirò di tale artifizio E prima io suppongo che le navi, fuste o altri legni, che si cerca di scoprire e riconoscere, sieno lontani assai, cioè 4, 6, 10 o 20 miglia, perché per riconoscer i vicini non c'è bisogno d'occhiali; ed in conseguenza il telescopio può, in tanta distanza di 4 o 6 miglia, comodamente scoprire tutto 'l vassello, ed anco machina assai maggiore.
Ora io domando, quali in ispezie e quanti in numero siano i movimenti che si fanno nella gaggia, dependenti dalla fluttuazion della nave.
SALV.
Figuriamoci che la nave vadia verso levante: prima, nel mar tranquillissimo, non ci sarebbe altro moto che questo progressivo; ma aggiunta l'agitazion dell'onde, ce ne sarà uno che, alzando ed abbassando vicendevolmente la poppa e la prua, fa che la gaggia inclina innanzi e indietro; altre onde, facendo andare il vassello alla banda, piegano l'albero a destra e a sinistra; altre posson girare alquanto la nave e farla defletter, diremo con l'artimone, dal dritto punto orientale or verso greco or verso sirocco; altre, sollevando per di sotto la carina, potrebber far che la nave, senza deflettere, solamente si alzasse ed abbassasse: ed in somma parmi che in spezie questi movimenti sien due, uno, cioè, che muta per angolo la direzion del telescopio, e l'altro che la muta, diremo, per linea, senza mutar angolo, cioè mantenendo sempre la canna dello strumento parallela a se stessa.
SAGR.
Ditemi appresso: se noi, avendo prima drizzato il telescopio là a quella torre di Burano, lontana di qua sei miglia, lo piegassimo per angolo a destra o a sinistra, o vero in su o in giú, solamente quanto è un nero d'ugna, che effetto ci farebbe circa l'incontrar essa torre?
SALV.
Ce la farebbe immediate sparir dalla vista, perché una tal declinazione, benché piccolissima qui, può importar là le centinaia e le migliaia delle braccia.
SAGR.
Ma se senza mutar l'angolo, conservando sempre la canna parallela a se stessa, noi la trasferissimo 10 o 12 braccia piú lontana, a destra o a sinistra, in alto o a basso, che effetto ci cagionerebbe ella quanto alla torre?
SALV.
Assolutamente impercettibile; perché, sendo gli spazii qui e là contenuti tra raggi paralleli, le mutazioni fatte qui e là convien che sieno eguali; e perché lo spazio che scuopre là lo strumento è capace di molte di quelle torri, però non la perderemmo altrimenti di vista.
SAGR.
Tornando ora alla nave, possiamo indubitabilmente affermare, che il muovere il telescopio a destra o a sinistra, in su o in giú, ed anco innanzi o indietro, 20 o 25 braccia, mantenendolo però sempre parallelo a se stesso, non può sviare il raggio visivo dal punto osservato nell'oggetto piú che le medesime 25 braccia; e perché nella lontananza di 8 o 10 miglia la scoperta dello strumento abbraccia spazio molto piú largo che la fusta o altro legno veduto, però tal piccola mutazione non me lo fa perder di vista.
L'impedimento dunque e la causa dello smarrir l'oggetto non ci può venire se non dalla mutazion fatta per angolo, già che per l'agitazion della nave la trasportazion del telescopio in alto o a basso, a destra o a sinistra, non può importar gran numero di braccia.
Ora supponete d'aver due telescopii fermati uno all'inferior parte dell'albero della nave, e l'altro alla cima non pur dell'albero, ma anco dell'antenna altissima, quando con essa si fa la penna, e che amendue sien drizzati al vassello discosto 10 miglia: ditemi se voi credete che, per qual si sia agitazion della nave e inclinazion dell'albero, maggior mutazione, quanto all'angolo, si faccia nella canna altissima che nella infima.
Alzando un'onda la prua, farà ben dare indietro la punta dell'antenna 30 o 40 braccia piú che il piede dell'albero, e verrà a ritirar indietro la canna superiore per tanto spazio, e la inferiore un palmo solamente; ma l'angolo tanto si altera nell'uno strumento quanto nell'altro: e parimente un'onda che venga per banda, trasporta a destra ed a sinistra cento volte piú la canna alta che la bassa; ma gli angoli o non si mutano o si alterano egualmente; ma la mutazione a destra o a sinistra, innanzi o in dietro, in su o in giú, non reca impedimento sensibile nella veduta de gli oggetti lontani, ma sí bene grandissima l'alterazione dell'angolo: adunque bisogna necessariamente confessare che l'uso del telescopio nella sommità dell'albero non è piú difficile che al piede, avvenga che le mutazioni angolari son eguali in amendue i luoghi.
SALV.
Quanto bisogna andar circospetto prima che affermare o negare una proposizione! Io torno a dire, che nel sentir pronunziar resolutamente che per il movimento maggiore fatto nella sommità dell'albero che nel piede, ciascuno si persuaderà che grandemente sia piú difficile l'uso del telescopio su alto che a basso.
E cosí anco voglio scusar quei filosofi che si disperano e si gettan via contro a quelli che non gli voglion concedere che quella palla d'artiglieria, che e' veggon chiaramente venire a basso per una linea retta e perpendicolare, assolutamente si muova in quel modo, ma voglion che 'l moto suo sia per un arco, ed anco molto e molto inclinato e trasversale.
Ma lasciamogli in quest'angustia, e sentiamo l'altre opposizioni che l'autore che aviamo a mano fa contro al Copernico.
SIMP.
Continua pur l'autore di mostrare come in dottrina del Copernico bisogna negare i sensi, e le sensazioni massime, qual sarebbe se noi, che sentiamo il ventilar d'una leggierissima aura, non abbiamo poi a sentire l'impeto d'un vento perpetuo che ci ferisce con una velocità che scorre piú di 2529 miglia per ora; ché tanto è lo spazio che il centro della Terra co 'l moto annuo trapassa in un'ora per la circonferenza dell'orbe magno, come egli diligentemente calcola, e perché, come ei dice pur di parer del Copernico, cum Terra movetur circumpositus aër; motus tamen eius, velocior licet ac rapidior celerrimo quocumque vento, a nobis non sentiretur, sed summa tum tranquillitas reputaretur, nisi alius motus accederet.
Quid est vero decipi sensum, nisi hæc esset deceptio? (24)
SALV.
È forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l'aria ambiente, per la circonferenza dell'orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ma un'altra separata, perché questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocità sua e dell'aria circostante: e qual ferita possiam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare? Questo signore s'è scordato che noi ancora siamo, non men che la Terra e l'aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d'aria, la quale però non ci ferisce.
SIMP.
Anzi no: eccovi le parole che immediatamente seguono: Præterea nos quoque rotamur ex circumductione Terræ etc.
(25)
SALV.
Ora non lo posso piú né aiutare né scusare; scusatelo voi e aiutatelo, signor Simplicio.
SIMP.
Per ora, cosí improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione.
SALV.
Ombé, ci penserete stanotte, e difenderetelo poi domani: intanto sentiamo l'altre opposizioni.
SIMP.
Séguita pur l'istessa instanza, mostrando che in via del Copernico bisogna negar le sensazioni proprie.
Imperocché questo principio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o è nostro intrinseco, o ci è esterno, cioè un rapimento di essa Terra: e se questo secondo è, non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che 'l senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, né la sua impressione nel sensorio; ma se il principio è intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accorgeremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi.
SALV.
Talché l'instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o interno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non è né l'uno né l'altro, e però noi non ci moviamo, né in conseguenza la Terra.
Ed io dico che può essere nell'un modo e nell'altro, senza che noi lo sentiamo.
E del poter esser esterno, l'esperienza della barca rimuove ogni difficultà soprabbondantemente: e dico soprabbondantemente, perché, potendo noi a tutte l'ore farla muovere ed anco farla star ferma, e con grand'accuratezza andare osservando se da qualche diversità, che dal senso del tatto possa esser compresa, noi possiamo imparare ad accorgerci se la si muova o no, vedendo che per ancora non si è acquistata tale scienza, a che maravigliarsi se l'istesso accidente ci resta incognito nella Terra, la quale ci può aver portati perpetuamente, senza potere mai sperimentar la sua quiete? Voi sete pur, signor Simplicio, per quel ch'io credo, andato mille volte nelle barche da Padova, e se voi volete confessar il vero, non avete mai sentita in voi la participazione di quel moto, se non quando la barca, arrenando o urtando in qualche ritegno, si è fermata, e che voi con gli altri passeggieri, colti all'improvviso, sete con pericolo traboccati.
Bisognerebbe che il globo terrestre incontrasse qualche intoppo che l'arrestasse, che vi assicuro che allora vi accorgereste dell'impeto che in voi risiede, mentre da esso sareste scagliato verso le stelle.
Ben è vero che con altro senso, ma accompagnato co 'l discorso, potete accorgervi del moto della barca, cioè con la vista, mentre riguardate gli alberi e le fabbriche poste nella campagna, le quali, essendo separate dalla barca, par che si muovano in contrario: ma se per una tale esperienza voleste restare appagato del moto terrestre, direi che riguardaste le stelle, che per ciò vi appariscono muoversi in contrario.
Il maravigliarsi poi di non sentir cotal principio, posto che fusse nostro interno, è pensiero men ragionevole; perché se noi non sentiamo un simile che ci vien di fuori e che frequentemente si parte, per qual ragione dovremmo sentirlo quando immutabilmente risedesse di continuo in noi? Ora ècci altro in questo primo argomento?
SIMP.
Ècci questa esclamazioncella: Ex hac itaque opinione necesse est diffidere nostris sensibus, ut penitus fallacibus vel stupidis in sensibilibus, etiam coniunctissimis, diiudicandis; quam ergo veritatem sperare possumus, a facultate adeo fallaci ortum trahentem? (26)
SALV.
Oh io ne vorrei dedur precetti piú utili e piú sicuri, imparando ad esser piú circuspetto e men confidente circa quello che a prima giunta ci vien rappresentato da i sensi, che ci possono facilmente ingannare; e non vorrei che questo autore si affannasse tanto in volerci far comprender co 'l senso, questo moto de i gravi descendenti esser semplice retto e non di altra sorte, né si risentisse ed esclamasse perché una cosa tanto chiara manifesta e patente venga messa in difficultà; perché in questo modo dà indizio di credere che a quelli che dicon, tal moto non esser altrimenti retto, anzi piú tosto circolare, paia di veder sensatamente quel sasso andar in arco, già che egli invita piú il lor senso che il lor discorso a chiarirsi di tal effetto: il che non è vero signor Simplicio, perché, sí come io, che sono indifferente tra queste opinioni e solo a guisa di comico mi immaschero da Copernico in queste rappresentazioni nostre, non ho mai veduto, né mi è parso di veder, cader quel sasso altrimenti che a perpendicolo, cosí credo che a gli occhi di tutti gli altri si rappresenti l'istesso.
Meglio è dunque che, deposta l'apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza co 'l discorso, o per confermar la realtà di quella, o per iscoprir la sua fallacia.
SAGR.
Se io potessi una volta incontrarmi in questo filosofo, che pur mi pare che si elevi assai sopra molti altri seguaci dell'istesse dottrine, vorrei in segno di affetto ricordargli un accidente che assolutamente egli ha ben mille volte veduto, dal quale, con molta conformità di questo che trattiamo, si può comprendere quanto facilmente possa altri restar ingannato dalla semplice apparenza o vogliamo dire rappresentazione del senso.
E l'accidente è il parere, a quelli che di notte camminano per una strada, d'esser seguitati dalla Luna con passo eguale al loro, mentre la veggono venir radendo le gronde de i tetti sopra le quali ella gli apparisce, in quella guisa appunto che farebbe una gatta che, realmente camminando sopra i tegoli, tenesse loro dietro: apparenza che, quando il discorso non s'interponesse, pur troppo manifestamente ingannerebbe la vista.
SIMP.
Veramente non mancano l'esperienze le quali ci rendono sicuri delle fallacie de i semplici sensi; però, sospendendo per ora cotali sensazioni, sentiamo gli argomenti che seguono, che son presi, come e' dice, ex rerum natura.
Il primo de' quali è, che la Terra non può muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, o vero bisognerebbe rifiutare molte dignità manifeste: la prima delle quali è, che ogni effetto depende da qualche causa, la seconda; che nessuna cosa produce se medesima, dal che ne segue che non è possibile che il movente e quello che è mosso siano totalmente l'istessa cosa: e questo non solo nelle cose che son mosse da motore estrinseco è manifesto, ma si raccoglie anco da i principii proposti l'istesso accadere nel moto naturale dependente da principio intrinseco; altrimenti, essendo che il movente, come movente, è causa, e 'l mosso, come mosso, è effetto, il medesimo totalmente sarebbe causa ed effetto; adunque un corpo non muove tutto sé, cioè che tutto muova e tutto sia mosso, ma bisogna nella cosa mossa distinguere in qualche modo il principio efficiente della mozione, e quello che di tal mozione si muove.
La terza dignità è che, nelle cose suggette a i sensi, uno, in quanto uno, produce una cosa sola; cioè l'anima nell'animale produce ben diverse operazioni cioè la vista, l'udito, l'odorato, la generazione, ma con istrumenti diversi: ed in somma si scorge, nelle cose sensibili le diverse operazioni derivar da diversità che sia nella causa.
Ora, se si congiugneranno queste dignità, sarà cosa chiarissima che un corpo semplice, qual è la Terra, non si potrà di sua natura muover insieme di tre movimenti grandemente diversi.
Imperocché, per le supposizioni fatte, tutta non muove sé tutta; bisogna dunque distinguere in lei tre principii di tre moti, altrimenti un principio medesimo produrrebbe piú moti: ma contenendo in sé tre principii di moti naturali, oltre alla parte mossa, non sarà corpo semplice, ma composto di tre principii moventi e della parte mossa: se dunque la Terra è corpo semplice, non si moverà di tre moti.
Anzi, pur non si moverà ella di alcuno di quelli che le attribuisce il Copernico, dovendosi muover d'un solo; essendo manifesto, per le ragioni di Aristotile, che ella si muove al suo centro, come mostrano le sue parti, che scendono ad angoli retti alla superficie sferica della Terra.
SALV.
Molte cose sarebbon da dirsi e da considerarsi intorno alla testura di questo argomento; ma già che noi lo possiamo in brevi parole risolvere, non voglio per ora senza necessità diffondermi, e tanto piú, quanto la risposta mi vien dal medesimo autore somministrata, mentre egli dice, nell'animale da un sol principio esser prodotte diverse operazioni: onde io per ora gli rispondo, con un simil modo da un sol principio derivare nella Terra diversi movimenti.
SIMP.
A questa risposta non si quieterà punto l'autore dell'instanza, anzi vien pur ella totalmente atterrata da quello che ei soggiugne immediatamente per maggiore stabilimento dell'impugnazion fatta, sí come voi sentirete.
Corrobora, dico, l'argomento con altra dignità, che è questa: che la natura non manca, né soprabbonda, nelle cose necessarie.
Questo è manifesto a gli osservatori delle cose naturali e principalmente degli animali, ne' quali, perché dovevano muoversi di molti movimenti, la natura ha fatte loro molte flessure, e quivi acconciamente ha legate le parti per il moto, come alle ginocchia, a i fianchi, per il camminar de gli animali e per coricarsi a lor piacimento; in oltre nell'uomo ha fabbricate molte flessioni e snodature al gomito ed alla mano, per poter esercitar molti moti.
Da queste cose si cava l'argomento contro al triplicato movimento della Terra: o vero il corpo uno e continuo, senza essere snodato da flessura nessuna, può esercitar diversi movimenti, o vero non può senza aver le flessure; se può senza, adunque indarno ha la natura fabbricate le flessure negli animali, che è contro alla dignità; ma se non può senza, adunque la Terra, corpo uno e continuo e privo di flessure e di snodamenti, non può di sua natura muoversi di piú moti.
Or vedete quanto argutamente va a incontrar la vostra risposta, che par quasi che l'avesse prevista.
SALV.
Dite voi su 'l saldo, o pur parlate ironicamente?
SIMP.
Io dico dal miglior senno ch'i' m'abbia.
SALV.
Bisogna dunque che voi vi sentiate d'aver tanto buono in mano, da poter anco sostener la difesa di questo filosofo contro qualche altra replica che gli fusse fatta in contrario: però rispondetemi, vi prego, in sua grazia, già che non possiamo averlo presente.
Voi primieramente ammettete per vero che la natura abbia fatti gli articoli, le flessure e snodature a gli animali, acciocché si possano muover di molti e diversi movimenti; ed io vi nego questa proposizione, e dico che le flessioni son fatte acciocché l'animale possa muovere una o piú delle sue parti, restando immobile il resto, e dico che quanto alle spezie e differenze de' movimenti, quelli sono di una sola, cioè tutti circolari: e per questo voi vedete, tutti i capi de gli ossi mobili esser colmi o cavi; e di questi, altri sono sferici, che son quelli che hanno a muoversi per tutti i versi, come fa nella snodatura della spalla il braccio dell'alfiere nel maneggiar l'insegna, e dello strozziere nel richiamar co 'l logoro il falcone, e tal è la flessura del gomito, sopra la quale si gira la mano nel forar col succhiello; altri son circolari per un sol verso e quasi cilindrici, che servono per le membra che si piegano in un sol modo, come le parti delle dita l'una sopra l'altra, etc.
Ma senza piú particolari incontri, un solo general discorso ne può far conoscer questa verità; e questo è, che di un corpo solido che si muova restando uno de' suoi estremi senza mutar luogo, il moto non può esser se non circolare: e perché nel muover l'animale uno delle sue membra non lo separa dall'altro suo conterminale, adunque tal moto è circolare di necessità.
SIMP.
Io non l'intendo per questo verso; anzi veggo io l'animale muoversi di cento moti non circolari e diversissimi tra loro, e correre e saltare e salire e scendere e notare e molt'altri.
SALV.
Sta bene: ma cotesti son moti secondarii, dependenti da i primi, che sono de gli articoli e delle flessure.
Al piegar delle gambe alle ginocchia e delle cosce a i fianchi, che son moti circolari delle parti, ne viene in conseguenza il salto o il corso, che son movimenti di tutto 'l corpo, e questi posson esser non circolari.
Ora, perché del globo terrestre non si ha da muovere una parte sopra un'altra immobile, ma il movimento deve esser di tutto il corpo, non ci è bisogno di flessure.
SIMP.
Questo (dirà la parte) potrebbe esser quando il moto fusse un solo; ma l'esser tre, e diversissimi tra di loro, non è possibile che s'accomodino in un corpo inarticolato.
SALV.
Cotesta credo veramente che sarebbe la risposta del filosofo; contro alla quale io insurgo per un'altra banda, e vi domando se voi stimate che per via di articoli e flessure si potesse adattare il globo terrestre alla participazione di tre moti circolari diversi.
Voi non rispondete? Già che voi tacete, risponderò io per il filosofo; il quale assolutamente direbbe di sí, perché altrimenti sarebbe stato superfluo e fuori del caso il metter in considerazione che la natura fa le flessioni acciocché il mobile possa muoversi di moti differenti, e che però, non avendo il globo terrestre flessure; non può aver i tre moti attribuitigli; perché, quando egli avesse stimato che né anco per via di flessure si potesse render atto a tali movimenti, arebbe liberamente pronunziato, il globo non poter muoversi di tre moti.
Ora, stante questo, io prego voi, e per voi, se fusse possibile, il filosofo autor dell'argomento, ad essermi cortese d'insegnarmi in qual maniera bisognerebbe accomodar le flessure, acciocché i tre moti comodamente potessero esercitarsi; e vi concedo tempo per la risposta quattro e anco sei mesi.
Intanto a me pare che un principio solo possa cagionar nel globo terrestre piú moti, in quella guisa appunto, come dianzi risposi, che un sol principio, co 'l mezo di varii strumenti, produce moti multiplici e diversi nell'animale: e quanto all'articolazione, non ve n'è bisogno, dovendo esser i movimenti del tutto, e non di alcune parti; e perché hanno ad esser circolari, la semplice figura sferica è la piú bella articolazione che domandar si possa.
SIMP.
Al piú che vi si dovesse concedere, sarebbe che ciò potesse accader d'un movimento solo; ma di tre diversi, al parer mio e dell'autore, non è possibile, come egli pur continuando, e corroborando l'instanza, segue scrivendo: Figuriamoci co 'l Copernico che la Terra si muova, per propria facultà e da principio intrinseco, da occidente in oriente nel piano dell'eclittica, ed oltre a ciò che ella si rivolga, pur da principio intrinseco, intorno al suo proprio centro da oriente in occidente, e per il terzo moto ch'ella per propria inclinazione si pieghi da settentrione in austro ed all'incontro; essendo ella un corpo continuo e non collegato con flessioni e giunture, potrà mai la nostra stimativa e 'l nostro giudizio comprendere che un medesimo principio naturale e indistinto, cioè che una medesima propensione, si distragga insieme in diversi moti e quasi contrarii? Io non posso credere che alcuno sia per dir tal cosa, se non chi a dritto e a torto avesse preso a sostenere questa posizione.
SALV.
Fermate un poco, e trovatemi questo luogo nel libro; mostrate.
Fingamus modo cum Copernico, Terram aliqua sua vi et ab indito principio impelli ab occasu ad ortum in eclipticæ plano, tum rursus revolvi ab indito etiam principio circa suimet centrum ab ortu in occasum, tertio deflecti rursus suopte nutu a septentrione in austrum et vicissim.
Io dubitavo, signor Simplicio, che voi non aveste preso errore nel riferirci le parole dell'autore; ma veggo che egli stesso, e pur troppo gravemente, si inganna, e con mio dispiacere comprendo ch'e' si è posto ad impugnar una posizione la quale e' non ha ben capita; imperocché questi non sono i movimenti che 'l Copernico attribuisce alla Terra.
E donde cava egli che 'l Copernico faccia il moto annuo per l'eclittica contrario al moto circa il proprio centro? bisogna che e' non abbia letto il suo libro, che in cento luoghi, ed anco ne i primi capitoli, scrive tali movimenti esser amendue verso le medesime parti, cioè da occidente verso oriente.
Ma senza sentirlo da altri, non dovev'egli per se stesso comprendere, che attribuendosi alla Terra i movimenti che si levano l'uno al Sole e l'altro al primo mobile, bisognava che fussero necessariamente fatti pel medesimo verso?
SIMP.
Guardate pur di non errar voi, ed il Copernico insieme.
Il moto diurno del primo mobile non è egli da levante a ponente? ed il moto annuo del Sole per l'eclittica non è, per l'opposito, da ponente a levante? come dunque volete che i medesimi, trasferiti nella Terra, di contrarii divengan concordi?
SAGR.
Certo che il signor Simplicio ci ha scoperta l'origine dell'error di questo filosofo: è forza che esso ancora abbia fatto l'istesso discorso.
SALV.
Or che si può, caviamo d'errore almanco il signor Simplicio.
Il quale, vedendo le stelle nel nascere alzarsi sopra l'orizonte orientale, non arà difficultà nell'intendere che, quando tal moto non fusse delle stelle, bisognerebbe necessariamente dire che l'orizonte con moto contrario si abbassasse, ed in conseguenza che la Terra si volgesse in se stessa al contrario di quel che ci sembrano muoversi le stelle, cioè da occidente verso oriente, che è secondo l'ordine de' segni del zodiaco.
Quanto poi all'altro moto, essendo il Sole fisso nel centro del zodiaco e la Terra mobile per la circonferenza di quello, per far che il Sole ci apparisca muoversi per esso zodiaco secondo l'ordine de i segni, è necessario che la Terra cammini secondo il medesimo ordine attesoché il Sole ci apparisce sempre occupar nel zodiaco il grado opposto al grado nel quale si trova la Terra: e cosí, scorrendo la Terra, verbigrazia, l'Ariete, il Sole apparirà scorrer la Libra, e passando la Terra per il segno del Toro, il Sole scorrerà per quello dello Scorpione; la Terra per i Gemini, il Sole per il Sagittario: ma quest'è muoversi per il medesimo verso amendue, cioè secondo l'ordine de' segni, come anco era la revoluzion della Terra circa il proprio centro.
SIMP.
Ho inteso benissimo, né saprei qual cosa produr per isgravio d'un tanto errore.
SALV.
Ma piano, signor Simplicio, ché ce n'è un altro maggior di questo: ed è, ch'e' fa muover la Terra per il moto diurno intorno al proprio centro da oriente verso occidente, e non comprende che quando questo fusse, il movimento delle 24 ore dell'universo ci apparirebbe fatto da ponente verso levante, per l'opposito giusto di quel che noi veggiamo.
SIMP.
Oh io, che appena ho veduti i primi elementi della sfera, son sicuro che non arei errato sí gravemente.
SALV.
Giudicate ora quale studio si può stimare che abbia fatto questo oppositore ne i libri del Copernico, se e' prende al rovescio questa principale e massima ipotesi, sopra la quale si fonda tutta la somma delle cose nelle quali il Copernico dissente dalla dottrina d'Aristotile e di Tolomeo.
Quanto poi a questo terzo moto che l'autore, pur di mente del Copernico, assegna al globo terrestre, non so di quale e' si voglia intendere: quello non è egli sicuramente che il Copernico gli attribuisce congiuntamente con gli altri due, annuo e diurno, che non ha che fare co 'l declinare verso austro e settentrione, ma solo serve per mantener l'asse della revoluzion diurna continuamente parallelo a se stesso; talché bisogna dire, o che l'oppositore non abbia compreso questo, o l'abbia dissimulato.
Ma benché questo solo grave mancamento bastasse a liberarne dall'obbligo di piú occuparci nella considerazione delle sue opposizioni, tuttavia voglio ritenerle in stima, sí come veramente meritano di esser apprezzate assai piú che mille altre di altri vani oppositori.
Tornando dunque all'instanza, dico che i due movimenti annuo e diurno non sono altrimenti contrarii, anzi son per il medesimo verso, e però posson dependere da un medesimo principio; il terzo vien talmente in conseguenza dell'annuo, da per se stesso e spontaneamente, che non vi bisogna chiamar principio interno né esterno (come a suo luogo dimostrerò) dal quale, come da causa, venga prodotto.
SAGR.
Voglio pur io ancora, scorto dal discorso naturale, dire a questo oppositore qualche cosa.
Il qual vuol condennare il Copernico se io non gli so puntualmente risolvere tutti i dubbi e risponder a tutte le opposizioni che ei gli fa, quasi che in conseguenza della mia ignoranza segua necessariamente la falsità della sua dottrina: ma se questo termine di condennar gli scrittori gli par iuridico, non dovrà parergli fuor di ragione se io non approverò Aristotile e Tolomeo, quando egli non risolva meglio di me le difficultà medesime ch'io gli promuovo nella loro dottrina.
E' mi domanda quali siano i principii, per i quali il globo terrestre si muove del moto annuo nel zodiaco, e del diurno per l'equinoziale in se stesso.
Dicogli che e' sono una cosa simile a quelli per i quali Saturno si muove per il zodiaco in 30 anni, ed in se stesso in tempo molto piú breve secondo l'equinoziale, come lo scoprirsi ed ascondersi de i suoi globi collaterali ci mostra; e una cosa simile a quella per la quale ei concederebbe senza scrupolo che il Sole scorresse l'eclittica in un anno, ed in se stesso si rivolgesse parallelo all'equinoziale in manco d'un mese, come sensatamente mostrano le sue macchie; e una cosa simil a quella per la quale le stelle Medicee scorrono il zodiaco in 12 anni, e tra tanto si volgono in cerchi piccolissimi ed in tempi brevissimi intorno a Giove.
SIMP.
Quest'autore vi negherà tutte queste cose, come inganni della vista, mediante i cristalli del telescopio.
SAGR.
Oh questo sarebbe un volerne troppo per sé, mentre e' vuole che l'occhio semplice non si possa ingannare nel giudicar il moto retto de' gravi descendenti, e vuol che e' si inganni nel comprendere questi altri movimenti, mentre la sua virtú vien perfezionata ed accresciuta a trenta doppii.
Diciamogli dunque che la Terra partecipa la pluralità di movimenti in un modo simile e forse il medesimo, co 'l quale la calamita ha il muoversi in giú, come grave, e due moti circolari, uno orizontale e l'altro verticale, sotto il meridiano.
Ma che piú? ditemi, signor Simplicio, tra chi credete voi che quest'autore mettesse maggior diversità, tra il moto retto e 'l circolare, o tra il moto e la quiete?
SIMP.
Tra il moto e la quiete sicuramente.
E quest'è manifesto; perché il moto circolare non è contrario al retto per Aristotile, anzi e' concede che si possano mescolare; il che è impossibile del moto e della quiete.
SAGR.
Adunque proposizione meno improbabile è il porre in un corpo naturale due principii interni, uno a 'l moto retto e l'altro al circolare, che due, pur interni, uno al moto e l'altro alla quiete.
Ora, della naturale inclinazione che risegga nelle parti della Terra, di ritornar al suo tutto quando per violenza ne vengono separate, concordano insieme amendue le posizioni; e solo dissentono nell'operazion del tutto, ché questa vuole che per principio interno stia immobile, e quella gli attribuisce il moto circolare: ma per la vostra concessione e di questo filosofo, due principii, uno al moto e l'altro alla quiete, son incompatibili insieme, sí come incompatibili sono gli effetti; ma non già accade questo de i due movimenti retto e circolare, che nulla repugnanza hanno fra di loro.
SALV.
Aggiugnete di piú, che probabilissimamente può essere che il movimento che fa la parte della Terra separata, mentre si riconduce al suo tutto, sia esso ancora circolare, come di già si è dichiarato: talché per tutti i rispetti, in quanto appartiene al presente caso, la mobilità sembra piú accettabile che la quiete.
Ora seguite, signor Simplicio, quello che resta.
SIMP.
Fortifica l'autore l'instanza con additarci un altro assurdo, cioè che gli stessi movimenti convengano a nature sommamente diverse: ma l'osservazione ci insegna, l'operazioni e i moti di nature diverse esser diversi; e la ragione lo conferma, perché altrimenti non avremmo ingresso per conoscere e distinguer le nature, quando elle non avessero i lor moti ed operazioni che ci scorgessero alla cognizione delle sustanze.
SAGR.
Io ho dua o tre volte osservato ne i discorsi di quest'autore, che per prova che la cosa stia nel tale e nel tal modo, e' si serve del dire che in quel tal modo si accomoda alla nostra intelligenza, o che altrimenti non avremmo adito alla cognizione di questo o di quell'altro particolare, o che il criterio della filosofia si guasterebbe, quasi che la natura prima facesse il cervello a gli uomini, e poi disponesse le cose conforme alla capacità de' loro intelletti.
Ma io stimerei piú presto, la natura aver fatte prima le cose a suo modo, e poi fabbricati i discorsi umani abili a poter capire (ma però con fatica grande) alcuna cosa de' suoi segreti.
SALV.
Io son dell'istessa opinione.
Ma dite, signor Simplicio: quali sono queste nature diverse, alle quali, contro all'osservazione ed alla ragione, il Copernico assegna moti ed operazioni medesime?
SIMP.
Eccole: l'acqua e l'aria (che pur sono nature diverse dalla terra), e tutte le cose che in tali elementi si trovano, aranno ciascheduna quei tre movimenti che il Copernico finge nel globo terrestre.
E segue di dimostrar geometricamente come in via del Copernico una nugola che sia sospesa in aria, e che per lungo tempo ci soprastia al capo senza mutar luogo, bisogna necessariamente ch'ell'abbia tutti tre que' movimenti che ha il globo terrestre: la dimostrazione è questa, e voi la potete legger da per voi, ch'io non la saprei riferir a mente.
SALV.
Io non istarò altrimenti a leggerla, anzi stimo superfluo l'avercela posta, perch'io son sicuro che nessuno de gli aderenti del moto della Terra glie la negherà.
Però, ammessagli la dimostrazione, parliamo dell'instanza: la qual non mi pare che abbia molta forza di concluder nulla contro alla posizione del Copernico, avvengaché niente si deroga a quei moti e a quelle operazioni per i quali si viene in cognizione delle nature etc.
Rispondetemi in grazia, signor Simplicio: quelli accidenti ne' quali alcune cose puntualissimamente convengono, ci posson eglin servire per farci conoscer le diverse nature di quelle tali cose?
SIMP.
Signor no, anzi tutto l'opposito, perché dall'identità delle operazioni e degli accidenti non si può argumentare salvo che una identità di nature.
SALV.
Talché le diverse nature dell'acqua, della terra, dell'aria, e dell'altre cose che sono per questi elementi, voi non l'arguite da quelle operazioni nelle quali tutti questi elementi e loro annessi convengono, ma da altre operazioni: sta cosí?
SIMP.
Cosí è in effetto.
SALV.
Talché quello che lasciasse ne gli elementi tutti quei moti, operazioni ed altri accidenti per i quali si distinguono le lor nature, non ci priverebbe del poter venire in cognizione di esse, ancorché e' rimovesse poi quella operazione nella quale unitamente convengono, e che perciò non serve nulla per la distinzione di tali nature.
SIMP.
Credo che il discorso proceda benissimo.
SALV.
Ma che la terra, l'acqua e l'aria siano da natura egualmente costituite immobili intorno al centro, non è opinione vostra, dell'autore, di Aristotile, di Tolomeo e di tutti i lor seguaci?
SIMP.
È ricevuta come verità irrefragabile.
SALV.
Adunque da questa comune natural condizione, di quietare intorno al centro, non si trae argomento delle diverse nature di questi elementi e cose elementari, ma convien apprender tal notizia da altre qualità non comuni; e però chi levasse a gli elementi solamente questa quiete comune e gli lasciasse loro tutte l'altre operazioni, non impedirebbe punto la strada che ne guida alla cognizione delle loro essenze: ma il Copernico non leva loro altro che questa comune quiete, e glie la tramuta in un comunissimo moto, lasciandogli la gravità, la leggierezza, i moti in su, in giú, piú tardi, piú veloci, la rarità, la densità, le qualità di caldo, freddo, secco, umido, ed in somma tutte l'altre cose: adunque un tal assurdo, qual s'immagina questo autore, non è altrimenti nella posizion copernicana; né il convenire in una identità di moto importa piú o meno che il convenire in una identità di quiete, circa 'l diversificare o non diversificar nature.
Or dite se ci è altro argomento in contrario.
SIMP.
Séguita una quarta instanza, presa pur da una naturale osservazione, che è che i corpi del medesimo genere hanno moti che convengono in genere, o vero convengono nella quiete: ma nella posizione del Copernico, corpi che convengono in genere, e tra di loro similissimi, arebbono in quanto al moto una somma sconvenienza, anzi una diametral repugnanza; imperocché stelle tanto tra di loro simili, nulladimeno nel moto sarebbero tanto dissimili, poiché sei pianeti andrebbono in volta perpetuamente, ma il Sole e tutte le stelle fisse perpetuamente starebbero immote.
SALV.
La forma dell'argomentare mi par concludente, ma credo bene che l'applicazione o la materia sia difettosa; e purché l'autore voglia persistere nel suo assunto, la conseguenza verrà senz'altro direttamente contro di lui.
Il progresso dell'argomento è tale: Tra i corpi mondani, sei ce ne sono che perpetuamente si muovono, e sono i sei pianeti; de gli altri, cioè della Terra, del Sole e delle stelle fisse, si dubita chi di loro si muova e chi stia fermo, essendo necessario che se la Terra sta ferma, il Sole e le stelle fisse si muovano, e potendo anch'essere che il Sole e le fisse stessero immobili, quando la Terra si muovesse; cercasi, in dubbio del fatto, a chi piú convenientemente si possa attribuire il moto, ed a chi la quiete.
Detta il natural discorso, che il moto debba stimarsi essere di chi piú in genere ed in essenza conviene con quei corpi che indubitatamente si muovono, e la quiete di chi da i medesimi piú dissente; ed essendo che un'eterna quiete e perpetuo moto sono accidenti diversissimi, è manifesto che la natura del corpo sempre mobile convien che sia diversissima dalla natura del sempre stabile; cerchiamo dunque, mentre stiamo ambigui del moto e della quiete, se per via di qualche altra rilevante condizione potessimo investigare chi piú convenga con i corpi sicuramente mobili, o la Terra, o pure il Sole e le stelle fisse.
Ma ecco, la natura, favorevole al nostro bisogno e desiderio, ci somministra due condizioni insigni, e differenti non meno che 'l moto e la quiete, e sono la luce e le tenebre, cioè l'esser per natura splendidissimo, e l'esser oscuro e privo di ogni luce.
Son dunque diversissimi d'essenza i corpi ornati d'un interno ed eterno splendore, da i corpi privi d'ogni luce: priva di luce è la Terra; splendidissimo per se stesso è il Sole, e non meno le stelle fisse; i sei pianeti mobili mancano totalmente di luce, come la Terra; adunque l'essenza loro convien con la Terra, e dissente dal Sole e dalle stelle fisse: mobile dunque è la Terra, immobile il Sole e la sfera stellata.
SIMP.
Ma l'autore non concederà che i sei pianeti sien tenebrosi, e su tal negativa si terrà saldo, o vero egli argomenterà la conformità grande di natura tra' sei pianeti e il Sole e le stelle fisse, e la difformità tra questi e la Terra, da altre condizioni che dalle tenebre e dalla luce; anzi, or ch'io m'accorgo, nell'instanza quinta, che segue, ci è posta la disparità somma tra la Terra e i corpi celesti: nella quale egli scrive, che gran confusione e intorbidamento sarebbe nel sistema dell'universo e tra le sue parti secondo l'ipotesi del Copernico; imperocché tra corpi celesti immutabili ed incorruttibili, secondo Aristotile e Ticone ed altri, tra corpi, dico, di tanta nobiltà, per confessione di ognuno e dell'istesso Copernico, che afferma quelli esser ordinati e disposti in un'ottima costituzione, e che da quelli rimuove ogni inconstanza di virtú, tra corpi, dico, tanto puri, cioè tra Venere e Marte, collocar la sentina di tutte le materie corruttibili, cioè la Terra, l'acqua, l'aria e tutti i misti! Ma quanto piú prestante distribuzione e piú alla natura conveniente, anzi a Dio stesso architetto, sequestrar i puri da gl'impuri, i mortali da gl'immortali, come insegnano l'altre scuole, che ci insegnano come queste materie impure e caduche son contenute nell'angusto concavo dell'orbe lunare, sopra 'l quale con serie non interrotta s'alzano poi le cose celesti!
SALV.
È vero che 'l sistema Copernicano mette perturbazione nell'universo d'Aristotile; ma noi trattiamo dell'universo nostro, vero e reale.
Quando poi la disparità d'essenza tra la Terra e i corpi celesti la vuol quest'autore inferire dall'incorruttibilità di quelli e corruttibilità di questa, in via d'Aristotile, dalla qual disparità e' concluda il moto dover esser del Sole e delle fisse e l'immobilità della Terra, va vagando nel paralogismo, supponendo quel che è in quistione; perché Aristotile inferisce l'incorruttibilità de' corpi celesti dal moto, del quale si disputa se sia loro o della Terra.
Della vanità poi di queste retoriche illazioni, se n'è parlato a bastanza.
E qual cosa piú insulsa che dire, la Terra e gli elementi esser relegati e separati dalle sfere celesti, e confinati dentro all'orbe lunare? ma non è l'orbe lunare una delle celesti sfere, e, secondo il consenso loro, compresa nel mezo di tutte l'altre? nuova maniera di separare i puri da gl'impuri e gli ammorbati da' sani, dar a gl'infetti stanza nel cuore della città! io credeva che il lazeretto se le dovesse scostare piú che fusse possibile.
Il Copernico ammira la disposizione delle parti dell'universo per aver Iddio costituita la gran lampada, che doveva rendere il sommo splendore a tutto il suo tempio, nel centro di esso, e non da una banda.
Dell'esser poi il globo terrestre tra Venere e Marte, ne tratteremo in breve; e voi stesso, in grazia di quest'autore, farete prova di rimuovernelo.
Ma, di grazia, non intrecciamo questi fioretti rettorici con la saldezza delle dimostrazioni, e lasciamogli a gli oratori o piú tosto a i poeti, li quali hanno saputo con lor piacevolezze inalzar con laude cose vilissime ed anco tal volta perniziose; e se altro ci resta, spediamoci quanto prima.
SIMP.
Ci è il sesto ed ultimo argomento: nel qual ei pone per cosa molto inverisimile che un corpo corruttibile e dissipabile si possa muovere d'un moto perpetuo e regolare; e questo conferma con l'esempio de gli animali, li quali movendosi di moto a loro naturale, pur si straccano, ed hanno bisogno di riposo per restaurare le forze; ma che ha da fare tal movimento con quel della Terra, immenso al paragon del loro? ma, piú, farla muovere di tre moti discorrenti e distraenti in parti diverse? chi potrà mai asserir tali cose, salvo che quelli che si fussero giurati lor difensori? Né vale in questo caso quel che produce il Copernico, che per essere questo moto naturale alla Terra, e non violento, opera contrarii effetti da i moti violenti; e che si dissolvon bene, né posson lungamente sussister, le cose alle quali si fa impeto, ma le fatte dalla natura si conservano nell'ottima loro disposizione; non val, dico, questa risposta, che vien atterrata dalla nostra.
Imperocché l'animale è pur corpo naturale, e non fabbricato dall'arte, ed il movimento suo è naturale, derivando dall'anima, cioè da principio intrinseco; e violento è quel moto il cui principio è fuori, ed al quale niente conferisce la cosa mossa: tuttavia, se l'animal continua lungo tempo il suo moto, si stracca, ed anco si muore, quando si vuole sforzare ostinatamente.
Vedete dunque come in natura si incontrano da tutte le bande vestigii contrarianti alla posizione del Copernico, né mai de' favorabili.
E per non aver a ripigliar piú la parte di questo oppositore, sentite quel ch'ei produce contro al Keplero (co 'l quale ei disputa), in proposito di quello che esso Keplero istava contro a quelli a i quali pare inconveniente, anzi impossibil cosa, l'accrescer in immenso la sfera stellata, come ricerca la posizion del Copernico.
Instà dunque il Keplero dicendo: Difficilius est accidens præter modulum subiecti intendere, quam subiectum sine accidente augere: Copernicus igitur verisimilius facit, qui auget orbem stellarum fixarum absque motu, quam Ptolemæus, qui auget motum fixarum immensa velocitate.(27) La qual instanza scioglie l'autore, maravigliandosi di quanto il Keplero s'inganni nel dire che nell'ipotesi di Tolomeo si cresca il moto fuor del modello del subietto, imperocché a lui pare che non si accresca se non conforme al modello, e che secondo il suo accrescimento si agumenti la velocità del moto: il che prova egli con figurarsi una macina che dia una revoluzione in 24 ore, il qual moto si chiamerà tardissimo; intendendosi poi il suo semidiametro prolungato sino alla distanza del Sole, la sua estremità agguaglierà la velocità del Sole; prolungatolo sino alla sfera stellata, agguaglierà la velocità delle fisse, benché nella circonferenza della macina sia tardissimo.
Applicando ora questa considerazione della macina alla sfera stellata, intendiamo un punto nel suo semidiametro vicino al centro quant'è il semidiametro della macina; il medesimo moto, che nella sfera stellata è velocissimo, in quel punto sarà tardissimo: ma la grandezza del corpo è quella che di tardissimo lo fa divenir velocissimo, ancorché e' continui d'esser il medesimo; e cosí la velocità cresce non fuor del modello del subietto, anzi cresce secondo quello e la sua grandezza, molto diversamente da quel che stima il Keplero.
SALV.
Io non credo che quest'autore si sia formato concetto del Keplero cosí tenue e basso, che e' possa persuadersi che e' non abbia inteso che il termine altissimo d'una linea tirata dal centro sin all'orbe stellato si muove piú velocemente che un punto della medesima linea vicino al centro a due braccia: e però è forza che e' capisca e comprenda che il concetto e l'intenzione del Keplero è stata di dire, minore inconveniente esser l'accrescer un corpo immobile a somma grandezza, che l'attribuire una somma velocità a un corpo pur vastissimo, avendo riguardo al modulo, cioè alla norma ed all'esempio, de gli altri corpi naturali, ne i quali si vede che crescendo la distanza dal centro, si diminuisce la velocità, cioè che i periodi delle lor circolazioni ricercano tempi piú lunghi; ma nella quiete, che non è capace di farsi maggiore o minore, la grandezza o piccolezza del corpo non fa diversità veruna.
Talché, se la risposta dell'autore debbe andar ad incontrar l'argomento del Keplero, è necessario che esso autore stimi che al principio movente l'istesso sia muover dentro al medesimo tempo un corpo piccolissimo ed uno immenso, essendo che l'augumento della velocità vien senz'altro in conseguenza dell'accrescimento della mole: ma quest'è poi contro alle regole architettoniche della natura, la quale osserva nel modello delle minori sfere, sí come veggiamo ne i pianeti e sensatissimamente nelle stelle Medicee, di far circolare gli orbi minori in tempi piú brevi, onde il tempo della revoluzion di Saturno è piú lungo di tutti i tempi dell'altre sfere minori, essendo di 30 anni: ora il passar da questa a una sfera grandemente maggiore, e farla muover in 24 ore, può ben ragionevolmente dirsi uscir delle regole del modello.
Sí che, se noi attentamente considereremo, la risposta dell'autore va non contro al concetto e senso dell'argomento, ma contro alla spiegatura e 'l modo del parlare; dove anco l'autore ha il torto né può negare di non aver ad arte dissimulato l'intelligenza delle parole, per gravar il Keplero d'una troppo crassa ignoranza: ma l'impostura è stata tanto grossolana, che non ha potuto con sí gran tara difalcar del concetto che ha della sua dottrina impresso il Keplero nelle menti de i litterati.
Quanto poi all'instanza contro al perpetuo moto della Terra, presa dall'esser impossibil cosa che ella continuasse senza straccarsi, essendo che gli animali stessi, che pur si muovon naturalmente e da principio interno, si straccano ed hanno bisogno di riposo per relassar le membra...
SAGR.
Mi par di sentire il Keplero rispondergli, che pur ci sono de gli animali che si rinfrancano dalla stanchezza co 'l voltolarsi per terra, e che però non si deve temer che il globo terrestre si stracchi; anzi ragionevolmente si può dire che e' goda d'un perpetuo e tranquillissimo riposo, mantenendosi in un eterno rivoltolamento.
SALV.
Voi, signor Sagredo, sete troppo arguto e satirico: ma lasciamo pur gli scherzi da una banda, mentre trattiamo di cose serie.
SAGR.
Perdonatemi, signor Salviati: questo ch'io dico non è miga cosí fuor del caso quanto forse voi lo fate; perché un movimento che serva per riposo e per rimuover la stanchezza a un corpo defatigato dal viaggio, può molto piú facilmente servire a non la lasciar venire, sí come piú facili sono i rimedii preservativi che i curativi.
E io tengo per fermo, che quando il moto de gli animali procedesse come questo che viene attribuito alla Terra, e' non si stancherebbero altrimenti, avvenga che lo stancarsi il corpo dell'animale deriva, per mio credere, dall'impiegare una parte sola per muover se stessa e tutto il resto del corpo: come, verbigrazia, per camminare si impiegano le cosce e le gambe solamente, per portar loro stesse e tutto il rimanente; all'incontro vedrete il movimento del cuore esser come infatigabile, perché muove sé solo.
In oltre, non so quanto sia vero che il movimento dell'animale sia naturale, e non piú tosto violento; anzi credo che si possa dir con verità che l'anima muove naturalmente le membra dell'animale di moto preternaturale: perché, se il moto all'insú è preternaturale a i corpi gravi, l'alzar le gambe e le cosce, che son corpi gravi, per camminare, non si potrà far senza violenza, e però non senza fatica del movente; il salir su per una scala porta il corpo grave, contro alla sua naturale inclinazione, all'in su, onde ne segue la stanchezza, mediante la natural repugnanza della gravità a cotal moto.
Ma per muover un mobile di un movimento al quale e' non ha repugnanza nissuna, qual lassezza o diminuzion di virtú e di forza si deve temer nel movente? e perché si deve scemar la forza dove non se n'esercita punto?
SIMP.
Sono i moti contrarii, de i quali il globo terrestre si figura muoversi, quelli sopra i quali l'autore fonda la sua instanza.
SAGR.
Già si è detto che non sono altrimenti contrarii, e che in questo l'autore si è grandemente ingannato, talché il vigore di tutta l'instanza si volge contro l'impugnator medesimo, mentre e' voglia che il primo mobile rapisca tutte le sfere inferiori contro al moto il quale esse nell'istesso tempo e continuamente esercitano.
Al primo mobile, dunque, tocca a stancarsi, che, oltre al muovere se stesso, deve condur tant'altre sfere, le quali, di piú, con movimento contrario gli contrastano.
Talché quell'ultima conclusione che l'autor inferiva, con dir che discorrendo per gli effetti di natura s'incontrano sempre cose favorabili per l'opinion d'Aristotile e Tolomeo, e non mai alcuna che non contrarii al Copernico, ha bisogno d'una gran considerazione; e meglio è dire, che sendo una di queste due posizioni vera, e l'altra necessariamente falsa, è impossibile che per la falsa s'incontri mai ragione, esperienza o retto discorso che le sia favorevole, sí come alla vera nessuna di queste cose può esser repugnante.
Gran diversità dunque convien che si trovi tra i discorsi e gli argomenti che si producono dall'una e dall'altra parte in pro e contro a queste due opinioni, la forza de i quali lascerò che giudichiate voi stesso, signor Simplicio.
SALV.
Voi, signor Sagredo, traportato dalla velocità del vostro ingegno, mi tagliaste dianzi il ragionamento, mentre io volevo dire alcuna cosa in risposta di quest'ultimo argomento dell'autore; e benché voi gli abbiate piú che a sufficienza risposto, voglio ad ogni modo aggiugner non so che, che allora avevo in mente.
Egli pone per cosa molto inverisimile che un corpo dissipabile e corruttibile, qual è la Terra, possa perpetuamente muoversi d'un movimento regolare, massime vedendo noi gli animali finalmente stancarsi ed aver necessità di riposo; e gli accresce l'inverisimile il dover essere tal moto di velocità incomparabile e immensa, rispetto a quella de gli animali.
Ora io non so intendere perché la velocità della Terra l'abbia di presente a perturbare, mentre quella della sfera stellata, tanto e tanto maggiore, non gli arreca disturbo piú considerabile che se gli arrechi la velocità d'una macine, la quale in 24 ore dia una sola revoluzione.
Se per esser la velocità della conversion della Terra su 'l modello di quella della macine non si tira in conseguenza cose di maggior efficacia di quella, cessi l'autore di temer lo stancarsi della Terra perché né anco qualsivoglia ben fiacco e pigro animale, dico né anco un camaleonte, si straccherebbe col muoversi non piú di cinque o sei braccia in 24 ore; ma se e' vuol considerar la velocità non piú su 'l modello della macine, ma assolutamente, ed in quanto in 24 ore il mobile ha da passare uno spazio grandissimo, molto piú si dovrebbe mostrar renitente a concederla alla sfera stellata, la quale con velocità incomparabilmente maggiore di quella della Terra deve condur seco migliaia di corpi, ciaschedun grandemente maggiore del globo terrestre.
Resterebbe ora che noi vedessimo le prove per le quali l'autore conclude, le stelle nuove del 72 e del 604 essere state sublunari, e non celesti, come comunemente si persuasero gli astronomi di quei tempi, impresa veramente grande; ma ho pensato, per essermi tale scrittura nuova, e lunga per i tanti calcoli, che sarà piú espediente che io tra stasera e domattina ne vegga quel piú ch'io potrò, e domani poi, tornando a i soliti ragionamenti, vi referisca quello che avrò ritratto: e se ci avanzerà tempo, verremo a discorrere del movimento annuo attribuito alla Terra.
Intanto, se voi avete da dire alcuna cosa, ed in particolare il signor Simplicio, intorno alle cose attenenti al moto diurno, assai lungamente da me esaminato, ci avanza ancora un poco di tempo da poter discorrere.
SIMP.
A me non resta altro che dire, se non che i discorsi auti in questo giorno mi son ben parsi ripieni di pensieri molto acuti e ingegnosi, prodotti per la parte del Copernico in confermazion del moto della Terra, ma non mi sento già persuaso a crederlo; perché finalmente le cose dette non concludon altro se non che le ragioni per la stabilità della Terra non son necessarie, ma non però si è prodotta dimostrazione alcuna per la parte contraria, la quale necessariamente convinca e concluda la mobilità.
SALV.
Io non ho mai preso, signor Simplicio, a rimuovervi dalla vostra opinione, né meno ardirei di definitivamente sentenziar sopra sí gran litigio; ma solamente è stata, e sarà anco nelle disputazioni seguenti, mia intenzione di farvi manifesto, che quelli che hanno creduto che questo moto velocissimo delle 24 ore sia della Terra sola, e non dell'universo trattane la sola Terra, non si erano persuasi che in cotal guisa potesse e dovesse essere, come si dice, alla cieca, ma che benissimo avevano vedute sentite ed esaminate le ragioni della contraria opinione, ed anco non leggiermente rispostole.
Con questa medesima intenzione, quando cosí sia di gusto vostro e del signor Sagredo, potremo passare alla considerazione dell'altro movimento, prima da Aristarco Samio e poi da Niccolò Copernico attribuito al medesimo globo terrestre, il quale è, come credo che voi già abbiate sentito, fatto sotto il zodiaco, dentro allo spazio d'un anno, intorno al Sole, immobilmente collocato nel centro di esso zodiaco.
SIMP.
La quistione è tanto grande e tanto nobile, che molto curiosamente sentirò discorrerne, presupponendo d'aver a sentir tutto quello che in tal materia si possa dire.
Andrò poi meco medesimo facendo con mio comodo reflession maggiore sopra le cose sentite e da sentirsi; e quando altro io non guadagni, non sarà poco il poterne con piú fondamento discorrere.
SAGR.
Adunque, per non stancar piú il signor Salviati, faremo punto a i ragionamenti d'oggi, e domani ripiglieremo, conforme al solito, i discorsi, con isperanza d'aver a sentir gran novità.
SIMP.
Io lascio il libro delle stelle nuove, ma riporto questo delle conclusioni, per riveder quello che vi è scritto contro al moto annuo, che deve esser la materia de' ragionamenti di domani.
GIORNATA TERZA
SAGR.
Il desiderio grande con che sono stato aspettando la venuta di Vostra Signoria, per sentir le novità de i pensieri intorno alla conversione annua di questo nostro globo, mi ha fatto parer lunghissime le ore notturne passate, ed anco queste della mattina, benché non oziosamente trascorse ,anzi buona parte vegliate in riandar con la mente i ragionamenti di ieri, ponderando le ragioni addotte dalle parti a favor delle due contrarie posizioni, quella d'Aristotile e Tolomeo, e questa di Aristarco e del Copernico.
E veramente parmi, che qualunque di questi si è ingannato, sia degno di scusa; tali sono in apparenza le ragioni che gli possono aver persuasi, tuttavolta però che noi ci fermassimo sopra le prodotte da essi primi autori gravissimi: ma, come che l'opinione peripatetica per la sua antichità ha auti molti seguaci e cultori, e l'altra pochissimi, prima per l'oscurità e poi per la novità, mi pare scorgerne tra quei molti, ed in particolare tra i moderni, esserne alcuni che per sostentamento dell'oppinione da essi stimata vera abbiano introdotte altre ragioni assai puerili, per non dir ridicole.
SALV.
L'istesso è occorso a me, e tanto piú che a Vossignoria, quanto io ne ho sentite produrre di tali, che mi vergognerei a ridirle, non dirò per non denigrare la fama de i loro autori, i nomi de i quali si posson sempre tacere, ma per non avvilir tanto l'onore del genere umano.
Dove io finalmente, osservando, mi sono accertato esser tra gli uomini alcuni i quali, preposteramente discorrendo, prima si stabiliscono nel cervello la conclusione, e quella, o perché sia propria loro o di persona ad essi molto accreditata, sí fissamente s'imprimono, che del tutto è impossibile l'eradicarla giammai; ed a quelle ragioni che a lor medesimi sovvengono o che da altri sentono addurre in confermazione dello stabilito concetto, per semplici ed insulse che elle siano, prestano subito assenso ed applauso, ed all'incontro, quelle che lor vengono opposte in contrario, quantunque ingegnose e concludenti, non pur ricevono con nausea, ma con isdegno ed ira acerbissima: e taluno di costoro, spinto dal furore non sarebbe anco, lontano dal tentar qualsivoglia machina per supprimere e far tacer l'avversario; ed io ne ho veduta qualche esperienza.
SAGR.
Questi dunque non deducono la conclusione dalle premesse, né la stabiliscono per le ragioni, ma accomodano o per dir meglio scomodano, e travolgon, le premesse e le ragioni alle loro già stabilite e inchiodate conclusioni.
Non è ben adunque cimentarsi con simili, e tanto meno, quanto la pratica loro è non solamente ingioconda, ma pericolosa ancora.
Per tanto seguiteremo col nostro signor Simplicio, conosciuto da me di lunga mano per uomo di somma ingenuità e spogliato in tutto e per tutto di malignità: oltre che è assai pratico nella peripatetica dottrina, sí che io posso assicurarmi che quello che non sovverrà ad esso per sostentamento dell'opinione d'Aristotile, non potrà facilmente sovvenire ad altri.
Ma eccolo appunto tutto anelante, il quale questo giorno si è fatto desiderare un gran pezzo.
Stavamo appunto dicendo mal di voi.
SIMP.
Bisogna non accusar me, ma incolpar Nettunno, di questa mia cosí lunga dimora, che nel reflusso di questa mattina ha in maniera ritirate l'acque, che la gondola che mi conduceva, entrata non molto lontano di qui in certo canale dove non son fondamenta, è restata in secco, e mi è bisognato tardar lí piú d'una grossa ora in aspettare il ritorno del mare.
E quivi stando cosí senza potere smontar di barca, che quasi repentinamente arrenò, sono andato osservando un particolare che mi è parso assai maraviglioso: ed è che nel calar l'acque, si vedevan fuggir via molto velocemente per diversi rivoletti, sendo già il fango in piú parti scoperto; e mentre io attendo a considerar quest'effetto, veggo in un tratto cessar questo moto, e senza intervallo alcuno di tempo cominciar a tornar la medesima acqua in dietro, e di retrogrado farsi il mar diretto, senza restar pure un momento stazionario: effetto, che per tutto il tempo che ho praticato Venezia, non mi è incontrato il vederlo altra volta.
SAGR.
Non vi debbe anco esser molte volte accaduto il restar cosí in secco tra piccolissimi rivoletti, per li quali, per aver pochissima declività, l'abbassamento o alzamento solo di quanto è grossa una carta, che faccia la superficie del mare aperto, è assai per fare scorrere e ricorrer l'acqua per tali rivoletti per ben lunghi spazii; sí come in alcune spiagge marine l'alzamento del mare di 4 o 6 braccia solamente fa sparger l'acqua per quelle pianure per molte centinaia e migliaia di pertiche.
SIMP.
Questo intendo benissimo, ma avrei creduto che tra l'ultimo termine dell'abbassamento e primo principio dell'alzamento dovesse interceder qualche notabile intervallo di quiete.
SAGR.
Questo vi si rappresenterà quando voi porrete mente alle mura o a i pali dove queste mutazioni si fanno a perpendicolo; ma non è che veramente vi sia stato di quiete.
SIMP.
Mi pareva, che per esser questi due moti contrarii, dovesse tra di loro esser in mezo qualche quiete; conforme anco alla dottrina d'Aristotile, che dimostra che in puncto regressus mediat quies.(28)
SAGR.
Mi ricordo benissimo di cotesto luogo, ma mi ricordo ancora che quando studiavo filosofia, non restai persuaso della dimostrazione d'Aristotile, anzi che avevo molte esperienze in contrario; le quali vi potrei anco addurre, ma non voglio che entriamo in altri pelaghi, essendo convenuti qui per discorrer della materia nostra, se sarà possibile, senza interromperla, come abbiamo fatto quest'altri giorni passati.
SIMP.
E pur converrà, se non interromperla, almanco prolungarla assai, perché, ritornato iersera a casa, mi messi a rileggere il libretto delle conclusioni, dove trovo dimostrazioni contro a questo movimento annuo, attribuito alla Terra, molto concludenti; e perché non mi fidavo di poterle cosí puntualmente riferire, ho voluto riportar meco il libro.
SAGR.
Avete fatto bene: ma se noi vogliamo ripigliare i ragionamenti conforme all'appuntamento di ieri, converrà sentir prima ciò che avrà da riferirci il signor Salviati intorno al libro delle stelle nuove, e poi senz'altri interrompimenti verremo al moto annuo.
Ora, che dice il signor Salviati in proposito di tali stelle? son ellen veramente state traportate di cielo in queste piú basse regioni in virtú de' calcoli dell'autore prodotto dal signor Simplicio?
SALV.
Io mi messi iersera a legger i suoi progressi, e questa mattina ancora gli ho data un'altra scorsa, per veder pure se quel che mi pareva aver letto la sera, vi era scritto veramente, o se erano state mie larve e imaginazioni fantastiche della notte: ed in somma trovo con mio gran cordoglio esservi veramente scritto e stampato quello che per riputazion di questo filosofo non avrei voluto.
Che e' non conosca la vanità della sua impresa, non mi par possibile, sí perché l'è troppo scoperta, sí perché mi ricordo averlo sentito nominar con laude dall'Accademico amico nostro; parmi anco cosa troppo inverisimile che egli a compiacenza di altri si possa esser indotto ad aver in cosí poca stima la sua riputazione, ch'e' si sia indotto a far pubblica un'opera, della quale non poteva attenderne altro che biasimo appresso gl'intelligenti.
SAGR.
Soggiugnete che saranno assai manco che un per cento, a ragguaglio di quelli che lo celebrerranno ed esalteranno sopra tutti i maggiori intelligenti che sieno o sieno stati già mai.
Uno che abbia saputo sostener la peripatetica inalterabilità del cielo contro a una schiera d'astronomi, e che, per lor maggior vergogna, gli abbia atterrati con le lor proprie armi! E che volete che possano quattro o sei per provincia, che scorgano le sue leggierezze, contro a gl'innumerabili che, non sendo atti a poterle scoprire né comprendere, se ne vanno presi alle grida, e tanto piú gli applaudono quanto manco l'intendono? Aggiugnete che anco quei pochi che intendono, si asterranno di dar risposta a scritture tanto basse e nulla concludenti; e ciò con gran ragione, perché per gl'intendenti non ce n'è bisogno, e per quelli che non intendono è fatica buttata via.
SALV.
Il piú proporzionato gastigo al lor demerito sarebbe veramente il silenzio, se non fusser altre ragioni per le quali è forse quasi necessario il risentirsi: l'una delle quali è, che noi altri Italiani ci facciamo spacciar tutti per ignoranti e diamo da ridere a gli oltramontani, e massime a quelli che son separati dalla nostra religione; ed io potrei mostrarvene di tali assai famosi, che si burlano del nostro Accademico e di quanti matematici sono in Italia, per aver lasciato uscire in luce e mantenervisi senza contradizione le sciocchezze di un tal Lorenzini contro gli astronomi.
Ma questo pur anco si potrebbe passare, rispetto ad altra maggior occasione di risa che si potesse porger loro, dependente dalla dissimulazione de gl'intelligenti intorno alle leggerezze di questi simili oppositori alle dottrine da loro non intese.
SAGR.
Io non voglio maggior esempio della petulanzia di costoro e dell'infelicità d'un pari del Copernico, sottoposto ad esser impugnato da chi non intende né anco la primaria sua posizione, per la quale gli è mossa la guerra.
SALV.
Voi non meno resterete maravigliato della maniera del confutar gli astronomi che affermano, le stelle nuove essere state superiori a gli orbi de' pianeti, e per avventura nel firmamento stesso.
SAGR.
Ma come potete voi in sí breve tempo aver esaminato tutto cotesto libro, che pure è un gran volume, ed è forza che le dimostrazioni sieno in gran numero?
SALV.
Io mi son fermato su queste prime confutazioni sue, nelle quali con dodici dimostrazioni, fondate sopra le osservazioni di dodici astronomi, che tutti stimarono che la stella nuova del 72, apparsa in Cassiopea, fusse nel firmamento, prova per l'opposito lei essere stata sullunare, conferendo a due a due l'altezze meridiane prese da diversi osservatori in luoghi di differente latitudine, procedendo nella maniera che appresso intenderete: e perché mi par, nell'esaminar questo primo suo progresso, d'avere scoperto in quest'autore una gran lontananza dal poter concluder nulla contro a gli astronomi, in favor de' filosofi peripatetici, e che molto e molto piú concludentemente si confermi l'opinion loro, non ho volsuto applicarmi con una simil pazienza nell'esaminar gli altri suo' metodi, ma gli ho dato una scorsa assai superficiale, sicuro che quella inefficacia che è in queste prime impugnazioni, sia parimente nell'altre: e sí come vedrete in fatto, pochissime parole bastano a confutar tutta quest'opera, benché construtta con tanti e tanti laboriosi calcoli, come voi vedete.
Però sentite il mio progresso.
Piglia quest'autore, per trafigger, come dico, gli avversarii con le lor proprie armi, un numero grande d'osservazioni fatte da lor medesimi, che pur sono da 12 o 13 autori in numero, e sopra una parte di quelle fa suoi calcoli, e conclude tali stelle essere state inferiori alla Luna.
Ora, perché il proceder per interrogazioni mi piace assai, già che non ci è l'autore stesso, rispondami il signor Simplicio, alle domande ch'io farò, quel ch'e' crederà che fusse per rispondere esso.
E supponendo di trattar della già detta stella del 72, apparsa in Cassiopea, ditemi, signor Simplicio, se voi credete che ella potesse esser nell'istesso tempo collocata in diversi luoghi, cioè esser tra gli elementi, ed anco tra gli orbi de' pianeti, ed anco sopra questi e tra le stelle fisse, ed anco infinitamente piú alta.
SIMP.
Non è dubbio che bisogna dire che ella fusse in un sol luogo, ed in una sola e determinata distanza dalla Terra.
SALV.
Adunque, quando le osservazioni fatte da gli astronomi fusser giuste, e che i calcoli fatti da questo autore non fussero errati, bisognerebbe necessariamente che da tutte quelle e da tutti questi se ne raccogliesse la medesima lontananza sempre per appunto: non è vero?
SIMP.
Sin qua arriva a 'ntendere il mio discorso, che bisognerebbe che fusse cosí di necessità; né credo che l'autore contradicesse.
SALV.
Ma quando de' molti e molti computi fatti non ne riuscissero pur due solamente che s'accordassero, che giudizio ne fareste?
SIMP.
Giudicherei che tutti fussero fallaci, o per colpa del computista o per difetto de gli osservatori; ed al piú che si potesse dire, direi che un solo, e non piú, fusse giusto, ma non saprei già elegger quale.
SALV.
Vorreste voi dunque da fondamenti falsi dedurre e stabilir per vera una conclusione dubbia? certo no.
Ora i calcoli di questo autore son tali, che nessuno confronta con un altro; vedete dunque quant'è da prestar lor fede.
SIMP.
Veramente, come la cosa sia cosí, questo è un mancamento notabile.
SAGR.
Voglio pure aiutare il signor Simplicio e l'autore, con dire al signor Salviati che il suo motivo concluderebbe ben necessariamente, quando l'autore avesse intrapreso a voler determinatamente ritrovare quanta fusse la lontananza della stella dalla Terra; il che non credo che sia stato il suo intento, ma solo di dimostrare che da quelle osservazioni si traeva, la stella essere stata sullunare; talché, se dalle dette osservazioni e da tutti i computi fatti sopra di esse si raccoglie l'altezza della stella sempre minor di quella della Luna, tanto basta all'autore per convincer d'una crassissima ignoranza tutti quelli astronomi che, per difetto di geometria o d'aritmetica, non avevano saputo dalle lor medesime osservazioni dedurre vere conclusioni.
SALV.
Sarà dunque conveniente ch'io mi volga a voi, signor Sagredo, che tanto accortamente sostenete la dottrina di questo autore.
E per veder di fare che anco il signor Simplicio, benché inesperto di calcoli e dimostrazioni, resti capace almeno della non concludenza delle dimostrazioni di questo autore, prima metto in considerazione come ed esso e gli astronomi tutti con i quali egli è in controversia convengono che la stella nuova fusse priva di moto proprio, e solo andasse in giro al moto diurno del primo mobile; ma dissentono circa il luogo, ponendola quelli nella region celeste, cioè sopra la Luna, e per avventura tra le stelle fisse, e questi giudicandola vicina alla Terra, cioè sotto al concavo dell'orbe lunare.
E perché il sito della stella nuova, della quale si parla, fu verso settentrione e non in gran lontananza dal polo, in modo che a noi settentrionali ella non tramontava mai, fu agevol cosa il poter prendere con istrumenti astronomici le sue altezze meridiane, tanto le minime sotto il polo, quanto le massime sopra; dalla conferenza delle quali altezze, fatte da diversi luoghi della Terra posti in varie distanze dal settentrione, cioè tra di loro differenti quanto all'altezze polari, si poteva argomentare la lontananza della stella.
Imperocché, quando ella fusse stata nel firmamento tra le altre fisse, le sue altezze meridiane prese in diverse elevazioni di polo conveniva che fussero tra di loro differenti con le medesime differenze che tra esse elevazioni si ritrovavano; cioè, per esempio, se l'elevazione della stella sopra l'orizonte era 30 gradi, presa nel luogo dove l'altezza polare era, verbigrazia, gradi 45, conveniva che l'elevazione della medesima stella fusse cresciuta 4 o 5 gradi in quei paesi piú settentrionali ne' quali il polo fusse piú alto gli stessi 4 o 5 gradi: ma quando la lontananza della stella dalla Terra fusse assai piccola in comparazion di quella del firmamento, le altezze sue meridiane convien che, accostandoci al settentrione, crescano notabilmente piú che l'altezze polari; e da quel maggiore accrescimento, cioè dall'eccesso dell'accrescimento dell'elevazion della stella sopra l'accrescimento dell'altezza polare (che si chiama differenza di parallasse), si calcola prontamente, con metodo chiaro e sicuro, la lontananza della stella dal centro della Terra.
Ora, questo autore piglia le osservazioni fatte da 13 astronomi in diverse elevazioni di polo, e conferendo una particella di quelle a sua elezione, calcola, con dodici accoppiamenti, l'altezza della stella nuova essere stata sempre sotto la Luna; ma ciò conseguisce egli con promettersi tanto crassa ignoranza in tutti quelli alle mani de' quali potesse pervenire il suo libro, che veramente m'ha fatto nausea: ed io sto a vedere come gli altri astronomi ed in particolare il Keplero, contro al quale principalmente inveisce quest'autore, si contenga in silenzio, che pur non gli suol morir la lingua in bocca, se già egli non ha stimato tale impresa troppo bassa.
Ora, per farne avvertiti voi, ho trascritte sopra questo foglio le conclusioni che e' raccoglie dalle sue 12 indagini.
Delle quali la prima è delle due osservazioni
1.- Del Maurolico e dell'Hainzelio; onde si raccoglie, la stella essere stata lontana dal centro manco di 3 semidiametri terrestri, essendo la differenza di parallasse gr.
4.42 m.p.
e 30 sec.
........................
3 semid.
2.- E calculata dall'osservazioni dell'Hainzelio e dello Schulero, con parallasse 8 m.p.
e 30 sec.; e si raccoglie la sua lontananza dal centro piú di
........................
25semid.
3.- E sopra le osservazioni di Ticone e dell'Hainzelio, con parallasse di 10 m.p.; e si raccoglie la distanza dal centro poco meno di
........................
19 semid.
4.- E sopra l'osservazioni di Ticone e del Landgravio, con parallasse di 14 m.p.; e rende la distanza dal centro circa
........................
10 semid.
5.- E sopra l'osservazioni dell'Hainzelio e di Gemma, con parallasse di 42 m.p.
e 3o sec.; per la quale si raccoglie la distanza circa
.........................
4 semid.
6.- E sopra l'osservazioni del Landgravio e del Camerario, con parallasse di 8 m.p.; e si ritrae la distanza circa
.........................
4 semid.
7.- E sopra l'osservazioni di Ticone e dell'Hagecio, con parallasse di 6 m.p.; e si raccoglie la distanza
.........................
32 semid.
8.- E con l'osservazioni dell'Hagecio e dell'Ursino, con parallasse di 43 m.p.; e rende la distanza della stella dalla superficie della Terra
.........................
1/2 semid.
9.- E sopra le osservazioni del Landgravio e del Buschio, con parallasse di 15 m.p.; e rende la distanza dalla superficie della Terra
.......................
1/48 di semid.
10.- E sopra l'osservazioni del Maurolico e del Munosio, con parallasse di 4 gr.
e 30 m.p.; e rende la distanza dalla superficie della Terra
........................
1/5 di semid.
11.- E con le osservazioni del Munosio e di Gemma, con parallasse di 55 m.p.; e rendono la distanza dal centro circa
..........................
13 semid.
12.
E con le osservazioni del Munosio e dell'Ursino, con parallasse di gr.
1 e 36 m.p.; e si ritrae la distanza dal centro meno di
..........................
7 semid.
Queste sono 12 investigazioni fatte dall'autore a sua elezione, tra moltissime che, come egli dice, potevano farsi con le combinazioni delle osservazioni di questi 13 osservatori; le quali 12 è credibile che sieno le piú favorevoli per provare il suo intento.
SAGR.
Ma io vorrei sapere se tra le altre tante indagini pretermesse dall'autore ve ne sono di quelle che fussero in suo disfavore, cioè dalle quali calcolando si raccogliesse, la stella nuova essere stata sopra la Luna, sí come mi par, cosí a prima fronte, di poter ragionevolmente dubitare, mentre io veggo queste prodotte esser tanto tra di loro differenti, che alcune mi danno la lontananza della stella nuova da Terra 4, 6, 10, 100, e mille, e millecinquecento volte maggiore l'una che l'altra; talché posso ben sospettare che tra le non calcolate ve ne fusse qualcuna in favor della parte avversa, e tanto piú mi pare di poter creder ciò, quanto io non penso che quelli astronomi osservatori mancassero della intelligenza e pratica di questi computi, che non penso che dependano dalle piú astruse cose del mondo.
E ben mi parrà cosa piú che miracolosa se, mentre in queste 12 sole indagini ce ne sono di quelle che rendono la stella vicina alla Terra a poche miglia, ed altre che per piccolissimo intervallo la rendono inferiore alla Luna, non se ne trovi alcuna che, a favor della parte avversa, la renda almanco per 20 braccia sopra l'orbe lunare, e, quel che sarà poi piú stravagante, che tutti quelli astronomi siano stati cosí ciechi, che non abbiano scorta una lor fallacia tanto patente.
SALV.
Cominciate ora a prepararvi l'orecchie a sentir con infinita ammirazione a quali eccessi di confidenza della propria autorità e dell'altrui balordaggine trasporta il desiderio di contradire e mostrarsi piú intelligente de gli altri.
Tra le indagini tralasciate dall'autore ce ne sono di quelle che rendono la stella nuova non pur sopra la Luna, ma sopra le stelle fisse ancora; e queste non son poche, ma la maggior parte, come vedrete in quest'altro foglio, dove io l'ho registrate.
SAGR.
Ma che dice l'autore di queste? forse non le ha considerate?
SALV.
Le ha considerate pur troppo, ma dice che le osservazioni sopra le quali i calcoli rendon la stella infinitamente lontana, sono errate, e che non possono tra di loro combinarsi.
SIMP.
Oh questa mi par bene una ritirata debole, perché la parte potrà con altrettanta ragione dire che errate siano quelle onde egli sottrae, la stella essere stata nella regione elementare.
SALV.
Oh, signor Simplicio, se mi succedesse di farvi restar capace dell'artifizio, benché non gran cosa artifizioso, di questo autore, vorrei destarvi meraviglia ed anco sdegno, mentre scorgeste come egli, palliando la sua sagacità co 'l velo della vostra semplicità e de gli altri puri filosofi, si vuole insinuare nella vostra grazia co 'l grattarvi le orecchie e co 'l gonfiar la vostra ambizione, mostrando d'aver convinti e resi muti questi astronometti che hanno voluto assalire l'inespugnabile inalterabilità del cielo peripatetico, e, quel che è piú, ammutitigli e convinti con le lor proprie armi.
Io ne voglio fare ogni sforzo; ed intanto il signor Sagredo condoni al signor Simplicio ed a me il tediarlo forse un po' troppo, mentre con soverchio circuito di parole (soverchio dico, alla sua velocissima apprensiva) anderò cercando di far palese cosa, che è bene che non gli resti ascosa e incognita.
SAGR.
Io, non solo senza tedio, ma con gusto, sentirò i vostri discorsi; e cosí ci potessero intervenire tutti i filosofi peripatetici, acciò potessero comprendere quanto devano restar obbligati a questo lor protettore.
SALV.
Ditemi, signor Simplicio, se voi sete ben restato capace, come, sendo la stella nuova collocata nel cerchio meridiano là verso settentrione, a uno che da mezzo giorno camminasse verso tramontana tanto se gli andrebbe elevando sopra l'orizonte l'istessa stella nuova quanto il polo, tuttavolta che ella fusse veramente collocata tra le stelle fisse; ma che quando ella fusse notabilmente piú bassa, cioè piú vicina a Terra, ella apparirebbe elevarsi piú del medesimo polo, e sempre piú quanto la vicinanza fusse maggiore?
[vedi figura 18.gif]
SIMP.
Parmi d'esserne capacissimo, in segno di che mi proverò a farne una figura matematica: ed in questo cerchio grande noterò il polo P, e in questi due cerchi più bassi noterò due stelle vedute da un punto in Terra, che sia A, e le due stelle sieno queste B, C, vedute per la medesima linea ABC incontro a una stella fissa D; camminando poi in Terra sino al termine E, le due stelle mi appariranno separate dalla fissa D e avvicinatesi al polo P, e più la più bassa B, che mi apparirà in G, e manco la C, che apparirà in F; ma la fissa D averà mantenuta la medesima lontananza dal polo.
SALV.
Veggo che voi intendete benissimo.
Credo che voi comprendiate ancora, come, per esser la stella B piú bassa della C, l'angolo che vien costituito da i raggi della vista che partendosi da i due luoghi A, E si congiungono in C, cioè quest'angolo A C E, è piú stretto, o vogliam dir piú acuto, dell'angolo costituito in B da i raggi A B, E B.
SIMP.
Si vede al senso benissimo.
SALV.
Ed anco, per esser la Terra piccolissima e quasi insensibile rispetto al firmamento, ed in conseguenza per esser brevissimo lo spazio A E, che si può camminare in Terra, in comparazion dell'immensa lunghezza delle linee E G, E F da Terra sino al firmamento, venite a intendere che la stella C si potrebbe alzare e allontanar tanto e tanto dalla Terra, che l'angolo costituito in essa da i raggi che partono da i medesimi punti A, E divenisse acutissimo e come assolutamente insensibile e nullo.
SIMP.
E questo ancora intendo io perfettamente.
SALV.
Ora sappiate, signor Simplicio, che gli astronomi e matematici hanno trovate regole infallibili per via di geometria e d'aritmetica, da potere, mercé della quantità di questi angoli B, C e delle loro differenze, congiugnendovi la notizia della distanza de i due luoghi A, E, ritrovare a un palmo la lontananza delle cose sublimi, tuttavolta però che detta distanza e detti angoli siano presi giusti.
SIMP.
Talché, se le regole dependenti dalla geometria e dall'aritmetica son giuste, tutte le fallacie ed errori che s'incontrassero nel volere investigar tali altezze di stelle nuove o di comete o di altro, convien che dependano dalla distanza A E e da gli angoli B, C, non ben misurati.
E cosí tutte quelle diversità che si veggono in queste 12 indagini, dependono non da difetti delle regole de i calcoli, ma da errori commessi nell'investigar tali angoli e tali distanze per mezo delle osservazioni istrumentali.
SALV.
Cosí è, né di questo casca difficultà veruna.
Ora convien che attentamente notiate, come nell'allontanar la stella da B in C, onde l'angolo si fa sempre piú acuto, il raggio E B G si va continuamente allontanando dal raggio A B D dalla parte di sotto l'angolo, come mostra la linea E C F, la cui parte inferiore E C è piú remota dalla parte A C che non è la E B: ma non può già mai accadere che, per qualunque immenso allontanamento, le linee A D, E F totalmente si disgiunghino, dovendosi finalmente andare a congiugner nella stella; e solamente si potrebbe dire che le si separassero e si riducessero ad esser parallele, quando l'allontanamento fusse infinito, il qual caso non si può dare.
Ma perché (notate bene) la lontananza del firmamento, in relazione alla piccolezza della Terra, come già s'è detto, si reputa come infinita, però l'angolo contenuto da i raggi che tirati da i punti A, E andassero a terminare in una stella fissa, si stima come nullo, ed essi raggi come due linee parallele; e però si conclude, che allora solamente si potrà affermare, la stella nuova essere stata nel firmamento, quando dalla collazione delle osservazioni fatte in diversi luoghi si raccolga co 'l calcolo, l'angolo detto esser insensibile e le linee come parallele.
Ma quando l'angolo sia di notabil quantità, convien necessariamente la stella nuova esser piú bassa delle fisse, ed anco della Luna, quando però l'angolo A B E fusse maggiore di quello che si costituirebbe nel centro della Luna.
SIMP.
Adunque la lontananza della Luna non è tanto grande che un simil angolo in lei resti insensibile?
SALV.
Signor no; anzi è egli sensibile non solo nella Luna, ma nel Sole ancora.
SIMP.
Ma se questo è, potrà anco essere che tale angolo sia osservabile nella stella nuova senza che ella sia inferiore al Sole, non che alla Luna.
SALV.
Cotesto può essere, ed è anco ne i presenti casi, come vedrete a suo luogo, cioè quando averò spianata la strada in maniera, che voi ancora, benché non intelligente di calcoli astronomici, possiate restar capace e toccar con mano quanto quest'autore ha avuto piú la mira di scrivere a compiacenza de i Peripatetici, co 'l palliare e dissimular varie cose, che a stabilimento del vero, co 'l portarle con nuda sincerità.
Però seguiamo oltre.
Dalle cose dichiarate sin qui credo che voi restiate capacissimo come la lontananza della stella nuova non si può mai far tanto immensa, che 'l piú volte nominato angolo interamente svanisca e che li due raggi de gli osservatori da i luoghi A, E divengano linee parallele; e venite in conseguenza a comprender perfettamente, che quando il calcolo ritraesse dalle osservazioni, tal angolo esser totalmente nullo o le linee esser veramente parallele, saremmo sicuri l'osservazioni esser, almeno in qualche minimo che, errate; ma quando il calcolo ci desse, le medesime linee essersi disseparate non solamente sino all'equidistanza, cioè sino all'esser parallele, ma aver trapassato oltre al termine, ed essersi allargate piú ad alto che a basso, allora bisogna risolutamente concludere, le osservazioni essere state fatte con meno accuratezza, ed in somma essere errate, come quelle che ci conducono ad un manifesto impossibile.
Bisogna poi che voi mi crediate, e supponghiate per cosa verissima, che due linee rette che si partono da due punti segnati sopra un'altra retta, allora son piú larghe in alto che a basso, quando gli angoli compresi dentro di esse sopra quella retta son maggiori di due angoli retti; e quando questi fussero eguali a due retti, esse linee sarebbero parallele; ma se fussero minori di due retti, le linee sarebbero concorrenti, e prolungate serrerebbero il triangolo indubitabilmente.
SIMP.
Io, senza prestarvi fede, ne ho scienza, e non son tanto nudo di geometria, ch'io non sappia una proposizione che mille volte ho avuto occasione di leggere in Aristotile, cioè che i tre angoli d'ogni triangolo sono eguali a due retti: talché, s'io piglio nella mia figura il triangolo A B E, posto che la linea E A fusse retta, comprendo benissimo come i suoi tre angoli A, E, B sono eguali a due retti, e che in conseguenza li due soli E, A son minori di due retti tanto quanto è l'angolo B; onde allargando le linee A B, E B (ritenendole però ferme ne' punti A, E) sin che l'angolo contenuto da esse verso le parti B svanisca, li due da basso resteranno eguali a due retti, ed esse linee saranno ridotte all'esser parallele; e se si seguitasse di slargarle piú, gli angoli a i punti E, A diverrebbero maggiori di due retti.
SALV.
Voi sete un Archimede, e mi avete liberato dallo spender piú parole in dichiararvi, come tuttavolta che da i calcoli si cavasse li due angoli A, E esser maggiori di due retti, l'osservazioni senz'altro vengono ad essere errate.
Quest'è quel tanto ch'io desideravo che voi capiste perfettamente, e ch'io dubitavo di non aver a poter dichiarar in modo che un puro filosofo peripatetico ne acquistasse sicura intelligenza.
Ora seguitiamo quel che resta.
E ripigliando quello che poco fa mi concedeste, cioè, che non potendo esser la stella nuova in piú luoghi, ma in un solo, tuttavoltaché i calcoli fatti sopra le osservazioni di questi astronomi non ce la rendono nel medesimo luogo, è forza che sia errore nelle osservazioni, cioè o nel prender l'altezze polari, o nel prender l'elevazioni della stella, o nell'una e nell'altra operazione; ora, perché nelle molte indagini, fatte con le combinazioni a due a due dell'osservazioni, pochissime sono che si rincontrino a render la stella nel medesimo sito, adunque queste pochissime sole potrebbero esser le non errate, ma le altre tutte sono assolutamente errate.
SAGR.
Bisognerà dunque credere a queste pochissime sole piú che a tutte l'altre insieme; e perché voi dite che queste che si concordano son pochissime, ed io tra queste 12 ne veggo due che rendon la distanza della stella dal centro della Terra amendue 4 semidiametri, che sono questa quinta e la sesta, adunque piú probabile è che la stella nuova sia stata elementare che celeste.
SALV.
Non sta cosí: perché, se voi notate bene, non ci è scritto la distanza essere stata puntualmente 4 semidiametri, ma circa 4 semidiametri; ma però voi vedrete che tali due distanze differivano tra di loro per molte centinaia di miglia.
Eccovele qui: vedete che questa quinta, che è 13389 miglia, supera la sesta, che è miglia 13100, quasi di 300 miglia.
SAGR.
Quali son dunque queste poche che s'accordano in por la stella nel medesimo luogo?
SALV.
Son, per disgrazia di questo autore, cinque indagini, che tutte la ripongono nel firmamento, come voi vedrete in quest'altra nota, dove io registro molte altre combinazioni.
Ma io voglio concedere all'autore piú di quello che per avventura mi domanderebbe, che è insomma che in ciascuna combinazione delle osservazioni sia qualche errore: il che credo che assolutamente sia necessario; perché, sendo 4 in numero le osservazioni che servono per una indagine, cioè due diverse altezze di polo e due diverse elevazioni di stella, fatte da diversi osservatori, in diversi luoghi e con diversi strumenti, chiunque abbia qualche cognizione di tal pratica dirà non potere essere che tra tutte 4 non sia caduto qualche errore, e massime mentre che noi veggiamo che nel prender una sola altezza di polo, co 'l medesimo strumento, nel medesimo luogo e dal medesimo osservatore, che l'ha potuta far mille volte, tuttavia si va titubando di qualche minuto, e spesso anco di molti, come in questo medesimo libro potete vedere in diversi luoghi.
Supposte queste cose, io vi domando, signor Simplicio, se voi credete che questo autore tenga i 13 osservatori in concetto d'uomini accorti, intelligenti e destri nel maneggiare tali strumenti, o pur per uomini grossolani e inesperti.
SIMP.
Non può esser ch'e' gli reputi se non molto cauti ed intelligenti; perché quando e' gli stimasse inetti a tal esercizio, potrebbe dar bando al suo stesso libro, come nulla concludente, per esser fondato sopra supposizioni piene di errori; e per troppo semplici spaccerebbe noi, mentre e' credesse con l'inesperienza di quelli persuaderci per vera una sua falsa proposizione.
SALV.
Adunque, come questi osservatori sien tali, e che pur con tutto ciò abbiano errato e però convenga emendar loro errori, per poter dalle loro osservazioni ritrar quel piú di notizia che sia possibile, conveniente cosa è che noi gli applichiamo le minori e piú vicine emende e correzioni che si possa, purch'elle bastino a ritirar l'osservazioni dall'impossibilità alla possibilità; sí che, verbigrazia, se si può temperar un manifesto errore ed un patente impossibile di una loro osservazione con l'aggiugnere o detrar 2 o ver 3 minuti, e con tale emenda ridurlo al possibile, non si deva volerlo aggiustare con la giunta o suttrazione del 15 o 20 o 50.
SIMP.
Non credo che l'autore contradicesse a questo; perché, conceduto che e' siano uomini giudiziosi ed esperti, si deve creder piú presto che egli abbiano errato di poco che d'assai.
SALV.
Or notate appresso.
De i luoghi dove collocar la stella nuova, alcuni son manifestamente impossibili, ed altri possibili.
Impossibile assolutamente è che ella fusse per infinito intervallo superiore alle stelle fisse, perché un tal sito non è al mondo, e quando fusse, la stella posta là a noi sarebbe stata invisibile; è anco impossibile che ella andasse serpendo sopra la superficie della Terra, e molto piú che ella fusse dentro all'istesso globo terreno.
Luoghi possibili sono questi de' quali si è in controversia, non repugnando al nostro intelletto che un oggetto visibile, in aspetto di stella, potesse esser sopra la Luna, non men che sotto.
Ora, mentre si va cercando di ritrar per via d'osservazioni e di calcoli, fatti con quella sicurezza alla quale la diligenza umana può arrivare, qual veramente fusse il suo luogo, si trova che la maggior parte di essi calcoli la rendon piú che per infinito intervallo superiore al firmamento, altri la rendon prossima alla superficie della Terra, ed alcuni anco sotto tal superficie, e de gli altri, che la ripongono in luoghi non impossibili, nissuni si concordano tra di loro, dimodoché convien dire, tutte le osservazioni esser necessariamente fallaci; talché, se noi vogliamo pur da tante fatiche ritrar qualche frutto, bisogna ridursi alle correzioni, emendando tutte l'osservazioni.
SIMP.
Ma l'autore dirà, che delle osservazioni che rendono la stella in luoghi impossibili, non si deve far capitale alcuno, come quelle che infinitamente sono errate e fallaci; e solo si debbono accettar quelle che la costituiscono in luoghi non impossibili, e tra queste solamente andar ricercando, per via de i piú probabili e piú numerosi rincontri, se non il sito particolare e giusto, cioè la sua vera distanza dal centro della Terra, almeno di venire in cognizione se ella fu tra gli elementi o pur tra i corpi celesti.
SALV.
Il discorso che fate voi adesso, è quell'istesso che ha fatto l'autore a favor della causa sua, ma con troppo irragionevol disavvantaggio della parte; e quest'è quel punto principale che mi ha fatto sopramodo maravigliare della troppa confidenza ch'e' si è presa, non men della propria autorità, che della cecità ed inavvertenza de gli astronomi: per i quali io parlerò, e voi risponderete per l'autore.
E prima io vi domando, se gli astronomi nell'osservare con loro strumenti, e cercar, verbigrazia, quanta sia l'elevazione d'una stella sopra l'orizonte, possono deviar dal vero tanto nel piú quanto nel meno, cioè ritrar con errore che ella sia talvolta piú alta del vero e talvolta piú bassa, o pure se l'errore non può mai esser se non d'un genere, cioè che, errando, sempre pecchino nel soverchio e non mai nel meno, o sempre nel meno né già mai nel soverchio.
SIMP.
Io non ho dubbio che sia egualmente pronto l'errare nell'uno che nell'altro modo.
SALV.
Credo che l'autore risponderebbe il medesimo.
Ora, di questi due generi d'errori, che son contrarii e ne quali possono essere egualmente incorsi gli osservatori della stella nuova, applicati al calcolo, l'un genere renderà la stella piú alta del vero, e l'altro piú bassa: e perché già noi convenghiamo che tutte le osservazioni son errate, per qual ragione vuol quest'autore che noi accettiamo per piú congruenti co 'l vero quelle che mostrano la stella essere stata vicina, che l'altre che la mostrano soverchiamente lontana?
SIMP.
Per quel che mi pare aver ritratto dalle cose dette sin qui, io non veggo che l'autore ricusi quelle osservazioni ed indagini che potesser render la stella lontana piú che la Luna ed anco piú del Sole, ma solamente quelle che la fanno remota (come voi stesso avete detto) piú che per un infinito intervallo; la qual distanza perché voi ancora recusate come impossibile, però egli trapassa, come per infinitamente convinte di falsità e di impossibilità, cotali osservazioni.
Parmi dunque, che se voi volete convincer l'autore, voi debbiate produrre indagini piú esatte, o piú in numero, o di piú diligenti osservatori, le quali costituiscano la stella in tanta e tanta lontananza sopra la Luna o sopra al Sole, in luogo insomma possibile ad esservi, sí come egli produce queste 12 che tutte rendono la stella sotto la Luna, in luoghi che sono al mondo e dove ella poteva essere.
SALV.
Maaa, signor Simplicio, qui consiste l'equivoco vostro e dell'autore; vostro per un rispetto, e dell'autore per un altro.
Io scorgo dal vostro parlare, che voi vi sete formato concetto che l'esorbitanze che si commettono nello stabilir la lontananza della stella, vadano crescendo secondo la proporzione de gli errori che si fanno sopra lo strumento nel far l'osservazioni, e che, per il converso, dalla grandezza delle esorbitanze si possa argomentar la grandezza de gli errori, e che però, sentendo dire, ritrarsi dalla tale osservazione la lontananza della stella esser infinita, sia necessario l'error nell'osservare essere stato infinito, e perciò inemendabile e come tale recusabile: ma il negozio, signor Simplicio mio, non cammina cosí; e del non aver compreso come stia questo fatto, ne scuso voi, come inesperto di tali maneggi, ma non posso già sotto simil mantello palliar l'error dell'autore, il quale, dissimulando l'intelligenza di questo, che si è persuaso che noi veramente non fussimo per intendere, ha sperato servirsi della nostra ignoranza per accreditar maggiormente la sua dottrina appresso la moltitudine de i poco intelligenti.
Però, per avvertimento di quelli che son piú creduli che intendenti, e per trar voi d'errore, sappiate che può essere (e che il piú delle volte accaderà) che una osservazione la quale vi dia la stella, per esempio, nella lontananza di Saturno, con l'accrescere o detrarre un sol minuto dall'elevazione presa con lo strumento la farà divenir in distanza infinita, e però di possibile impossibile; e per il converso, quei calcoli che fabbricati sopra tali osservazioni vi rendono la stella infinitamente lontana, molte volte può essere che con l'aggiugnere o scemare un sol minuto la ritirino in sito possibile: e questo ch'io dico d'un minuto, può accadere ancora con la correzione d'un mezo, e d'un sesto, e di manco.
Ora fissatevi ben nella mente, che nelle distanze altissime qual è, verbigrazia, l'altezza di Saturno o quella delle stelle fisse, minimissimi errori fatti dall'osservatore sopra lo strumento rendono il sito di terminato e possibile, infinito ed impossibile.
Ciò non cosí avviene delle distanze sublunari e vicine alla Terra, dove può accadere che l'osservazione dalla quale si sia raccolto, la stella esser lontana, verbigrazia, 4 semidiametri terrestri, si potrà crescere o diminuire non solamente d'un minuto, ma di dieci e di cento e di assai piú, senza che il calcolo la renda non pur infinitamente remota, ma né anco superiore alla Luna.
Comprendete da questo, che la grandezza de gli errori, per cosí dire, strumentali non si ha da stimare dall'esito del calcolo, ma dalla quantità stessa de i gradi e de' minuti che si numerano sopra lo strumento; e quelle osservazioni s'hanno a chiamar piú giuste o men errate, le quali con la giunta o suttrazione di manco minuti restituiscono la stella in luogo possibile; e tra i luoghi possibili, il vero sito convien credere che fusse quello intorno al quale concorre numero maggiore delle distanze, sopra le piú giuste osservazioni calcolate.
SIMP.
Io non resto ben capace di questo che voi dite, né so per me stesso comprendere come possa essere che nelle distanze massime maggior esorbitanza possa nascere dall'error d'un sol minuto, che nelle piccole da 10 o da 100; e però arei caro di intenderlo.
SALV.
Voi, se non per teorica almeno per pratica, lo vedrete da questo breve sunto ch'io ho fatto di tutte le combinazioni e di parte delle indagini tralasciate dall'autore, le quali io ho calcolate, e notate sopra questo medesimo foglio.
SAGR.
Convien dunque che voi da ieri in qua, che pur non son passate piú di 18 ore, non abbiate fatto altro che calcolare, senza prender né cibo né sonno.
SALV.
Anzi ho io preso l'uno e l'altro ristoro: ma io fo simili calcoli con gran brevità; e s'io debbo dire il vero, mi son maravigliato non poco che quest'autore vadia cosí per la lunga ed interponendo tante computazioni non punto necessarie al quesito che si cerca.
E per piena intelligenza di questo, ed anco acciò speditamente si possa conoscer quanto dalle osservazioni de gli astronomi, de i quali si serve l'autore, piú probabilmente si raccolga, la stella nuova potere essere stata superiore alla Luna ed anco a tutti i pianeti, e tra le stelle fisse e piú alta ancora, ho trascritte sopra questa carta tutte l'osservazioni registrate dal medesimo autore che furon fatte da 13 astronomi, dove son notate le elevazioni polari e le altezze della stella nel meridiano, tanto le minime sotto il polo, quanto le massime e superiori: e son queste.
-Ticone.
Altezza del polo gr.
55.
58 m.p.
Altezza della stella gr.
84.
0 la massima;
27.
57 m.p.
la minima.
E queste sono del primo
scritto, ma del secondo
la minima è 27.45 m p.
_____________________________________________
-Ainzelio.
Altezza polare gr.
48.22 m.p.
Altezza della stella gr.
76.34 m.p.
76.33 m.p.
e 45 sec.
76.35 m.p.
20.9 m.p.
e40sec.
20.9 m.p.
e 30sec.
20.9 m.p.
e 20sec.
_____________________________________________
-Peucero e Sculero.
Altezza polare 51.54 m.p.
Altezza della stella 79.56 m.p.
23.33 m.p.
_____________________________________________
-Landgravio.
Altezza polare 51.18 m.p.
Altezza della stella 79.30 m.p.
_____________________________________________
-Camerario.
Altezza polare gr.
52.24 m.p.
della stella 80.30 m.p.
80.27 m.p.
80.26 m.p.
24.28 m.p.
24.20 m.p.
24.17 m p.
______________________________________________
-Agecio.
Altezza polare gr.
48.22 m.p.
della stella 20.15 m.p.
______________________________________________
-Ursino.
Altezza polare 49.24 m.p.
stella 79.
22.
______________________________________________
-Munosio.
Altezza polare 39.30 m p.
Stella 67.30 m.p.
11.30 m.p.
______________________________________________
-Maurolico.
Altezza polare gr.
38.30 m.p.
della stella 20.15 m.p.
______________________________________________
-Gemma.
Altezza polare 50.50 m p.
Stella 79.45 m p.
______________________________________________
-Buschio.
Altezza polare 51.10 m.p.
Stella 79.20 m.p.
22.40 m.p.
______________________________________________
-Reinoldo.
Altezza polare 51.18 m.p.
Stella 79.30 m.p.
23.02 m.p.
Ora, per veder tutto il mio progresso, potremo cominciar da questi calcoli, che son 5 trapassati dall'autore forse perché fanno contro di lui, atteso che costituiscono la stella sopra la Luna per molti semidiametri terrestri.
Il primo de' quali è questo, calcolato sopra l'osservazioni del Landgravio d'Assia e di Ticone, che sono, anco per concession dell'autore, de i piú esquisiti osservatori: ed in questo primo dichiarerò l'ordine che tengo nell'investigazione, la qual notizia vi servirà per tutti gli altri, atteso che vanno con la medesima regola, non variando in altro che nella quantità del dato, cioè ne i numeri de i gradi dell'altezze polari e delle elevazioni sopra l'orizonte della stella nuova, della quale si cerca la distanza dal centro della Terra in proporzione al semidiametro del globo terrestre; del quale in questo caso niente importa il saper quante miglia sia, onde il risolver quello e la distanza de' luoghi dove furon fatte l'osservazioni, come fa quest'autore, è fatica e tempo gettato via, né so perché l'abbia fatto, e massime che in ultimo e' torna a riconvertir le miglia trovate in semidiametri del globo terrestre.
SIMP.
Forse fa questo per ritrovar, con tali misure piú piccole e con le loro frazioni, la distanza della stella determinata sino a 4 dita; perché noi altri, che non intendiamo le vostre regole aritmetiche, restiamo stupefatti nel sentir le conclusioni, mentre leggiamo, verbigrazia: "Adunque la cometa, o la stella nuova, era lontana dal centro della Terra trecento settantatremila ottocentosette miglia, e piú dugent'undici quattromilanovantasettesimi 373807 211/4097", e sopra queste tanto precise puntualità, dove si registrano tali minuzie, formiamo concetto che sia impossibil cosa che voi, che ne' vostri calcoli tenete conto d'un dito, poteste in ultimo ingannarci di 100 miglia.
SALV.
Questa vostra ragione e scusa sarebbe accettabile, quando in una distanza di migliaia di miglia un braccio di piú o di meno fusse di gran rilievo, e quando le supposizioni che noi pigliamo per vere fusser cosí certe, che ci assicurassero che noi fussimo per ritrarre in ultimo un'indubitabil verità: ma qui voi vedete, nelle 12 indagini dell'autore le lontananze della stella, che da esse si raccolgono, esser differenti l'una dall'altra (e però lontane dal vero) di molte centinaia e migliaia di miglia; ora, mentre io sia piú che sicuro che quel ch'io cerco deve necessariamente differir dal giusto di centinaia di miglia, a che proposito affannarsi nel calcolo, per la gelosia di non ismagliar d'un dito? Ma venghiamo finalmente all'operazione, la qual io risolvo in tal modo.
Ticone, come si vede nella nota, osservò la stella nell'altezza polare di gr.
55.58 m.p.; e l'altezza polare del Landgravio fu 51.18 m.p.: l'altezza della stella nel meridiano, presa da Ticone, fu gr.
27.45 m.p.; il Landgravio la trovò alta gr.
23.03 m.p.: le quali altezze son queste notate qui appresso, come vedete:
Ticone Polo 55.58 m.p.
stella 27.45 m p.
Landgravio Polo 51.18 m.p.
stella 23.03 m.p.
Fatto questo, sottraggo le minori dalle maggiori, e restano queste differenze qui sotto:
4.40 m.p.
4.42 m.p.
Parallasse 2 m.p.
dove la differenza dell'altezze polari, 4.40 m.p., è minore della differenza dell'altezze della, 4.42 m.p., e però c'è differenza di parallasse gr.
0.
2 m.p.
Trovate queste cose, piglio l'istessa figura dell'autore, cioè questa, nella quale il punto B è il luogo del Landgravio, D il luogo di Ticone, C luogo della, A centro della Terra, A B E linea verticale del Landgravio, A D F di Ticone, e l'angolo B C D differenza di parallasse.
[vedi figura 19.gif]
E perché l'angolo B A D, compreso tra le verticali, è eguale alla differenza dell'altezze polari, sarà gr.
4.40 m.p., e lo noto qui da parte; e di esso trovo la corda, dalla tavola de gli archi e corde, e la noto appresso, che è 8142 parti di quali il semidiametro A B è 100000.
Trovo poi l'angolo B D C facilmente: imperocché la metà dell'angolo B A D, che è 2.20 m.p., giunta a un retto dà l'angolo B D F 92.20 m.p., al quale giugnendo l'angolo C D F, che è la distanza dal vertice della maggiore altezza della stella, che qui è 62.15 m.p., ci dà la quantità dell'angolo BDC 154.45 m.p.; il quale noto insieme co 'l suo sino, preso dalla tavola, il quale è 42.657, e sotto questo noto l'angolo della parallasse B C D 0.2 m.p., co 'l suo sino 58.
E perché nel triangolo B C D il lato D B al lato B C è come il sino dell'angolo opposto B C D al sino dell'angolo opposto B D C, adunque quando la linea B D fusse 58, B C sarebbe 42.657; e perché la corda DB è 8142 di quali il semidiametro BA è 100000, e noi cerchiamo di sapere quante delle medesime parti sia B C, però diremo, per la regola aurea: Se quando BD è 58, BC è 42.657, quando la medesima DB fusse 8.142, quanto sarebbe la BC? Però multiplico il secondo termine per il terzo; mi viene 347.313.294, il quale si deve dividere per il primo, cioè per 58, ed il quoziente sarebbe il numero delle parti della linea B C di quali il semidiametro A B è 100.000: e per sapere quanti semidiametri B A contenesse la medesima linea B C, bisognerebbe di nuovo dividere il medesimo quoziente trovato per 100.000, ed aremmo il numero de' semidiametri compresi in B C.
Ora, il numero 347.313.294 diviso per 58 dà 5.988.160 1/4 come si vede qui:
5988160 1/4
58 | 347313294
5717941
54 3
e questo diviso per 100000 ci dà 59 88160/100000
1 | 00000 | 59 | 88160
Ma noi possiamo abbreviare assai l'operazione, dividendo il primo prodotto trovato, cioè 347313294, per il prodotto della multiplicazione delli due numeri 58 e 100000, che è
59
58 | 00000 | 3473 | 13294
571
5
e ne vien parimente 59 5113294/5800000.
E tanti semidiametri son contenuti nella linea B C, a i quali aggiuntone uno per la linea A B, averemo poco meno che 61 semidiametri per le due linee A B C, e però la distanza retta dal centro A alla stella C sarà piú di 60 semidiametri; adunque viene ad esser superiore alla Luna, secondo Tolomeo piú di 27 semidiametri, e secondo il Copernico piú di 8, posto che la lontananza della Luna dal centro della Terra in via di esso Copernico sia, qual dice l'autore, semidiametri 52.
Con questa simile indagine trovo, dall'osservazioni del Camerario e del Munosio, la stella tornar situata in una simil lontananza, cioè essa ancora piú di 60 semidiametri: e queste sono le osservazioni, e questo appresso il calcolo.
Altezza | Camerario 52.24 m p.
altezza | 24.28 m.p.
polare del | Munosio 39.30 m.p.
della stella | 11.30 m.p.
_______________
Differenza dell'altezze 12.58 m.p.
differenza
polari 12.54 m p.
dell'altezze
della stella
12.54 m.p.
________
Differenza di parallasse 0.
4 m.p.
ed angolo BCD.
| BAD 12.54 m.p.; e la sua corda 22466
Angoli | BDC 161.59 m.p.| 30930
| BCD 0.
4 | sini 116
Regola aurea
22466
116 30930 22466
___________________
673980
202194
67398
____________
59 distanza BC semidiametri 59 e quasi 60.
116 | 6948 | 73380
1144
10
La indagine appresso è fatta sopra due osservazioni di Ticone e del Munosio; dalle quali si calcola, la stella essere stata lontana dal centro della Terra semidiametri 478 e piú.
Altezze | Ticone 55.58 m.p.
altezze | 84.
0 m.p.
polari di | Munosio 39.30 m.p.
della stella | 67.30 m.p.
______ _________
Differenza delle 16.30 m.p.
differenza
altezze polari 16.28 m.p.
dell'altezze
della stella
16.28 m.p.
_________
Differenza di parallasse 0.
2 m.p.
ed angolo BCD.
| BAD 16.28 m.p.; la sua corda 28640
Angoli | BDC 104.14 m.p.
| sini 96930
| BCD 0.
2 m.p.
| sini 58
Regola aurea
58 96930 28640
28640
___________
3877200
58158
77544
19386
___________________
478
58 | 27760 | 75200
4506
53
Quest'indagine che segue, dà la stella remota dal centro piú di 358 semidiametri.
Altezze | Peucero 51.54 m.p.
altezza | 79.56 m.p.
polari | Munosio 39.30 m.p.
della stella | 67.30 m.p.
______ ________
12.24 m.p.
12.26 m.p.
12.24 m.p.
_______
0.
2 m.p.
| BAD 12.24 m.p.; corda 21600
Angoli | BDC 106.16 m.p.
| sini 95996
| BCD 0.
2 m.p.
| sini 58
Regola aurea
58 95996 21600
21600
_____________________
57597600
95996
191992
______________________
357
58 | 20735 | 13600
3339
42
Da quest'altra indagine la stella si ritrova esser lontana dal centro piú di 716 semidiametri.
Altezze | Landgravio 51.18 m.p.
della | 79.30 m.p.
polari | Ainzelio 48.22 m.p.
stella | 76.33 m.p.
e 45 sec
________ _______________
2.56 m.p.
2.56 m.p.
e 15 sec.
2.56 m.p.
________________
0.
0 m.p.
15 sec.
BAD 2.56 m.p.; corda 5120
BDC 101.58 m.p.
| sini 97845
BCD 0.
0 15 sec.
| sini 7
Regola aurea
7 | 97845 | 5120
5120
__________________
1956900
97845
489225
__________________
715
7 | 5009 | 66400
134
Queste, come vedete, son cinque indagini le quali rendon la stella assai superiore alla Luna: dove voglio che voi facciate considerazione sopra quel particolare che poco fa vi dissi, cioè che nelle distanze grandi la mutazione, o vogliam dir correzione, di pochissimi minuti, rimuove la stella per grandissimi spazii; come, per esempio, nella prima di queste indagini, dove il calcolo rese la stella 60 semidiametri remota dal centro, con la parallasse di 2 minuti, chi volesse sostenere che ella fusse nel firmamento, non ha a corregger nelle osservazioni altro che 2 minuti e anco meno, perché allora cessa la parallasse, o divien cosí piccola che rende la stella in lontananza immensa, quale si riceve da tutti esser quella del firmamento.
Nella seconda indagine l'emenda di manco di 4 m.p.
fa l'istesso.
Nella terza e nella quarta, pur come nella prima, due minuti soli ripongon la stella anco sopra le fisse.
Nella precedente un quarto d'un minuto, cioè 15 secondi, ci danno l'istesso.
Ma non cosí avverrà nelle altezze sublunari: imperocché figuratevi pure qual lontananza piú vi piace, e fate prova di voler corregger le indagini fatte dall'autore ed aggiustarle sí che tutte rispondano nella medesima determinata lontananza; voi vedrete quanto maggiori emende vi bisognerà fare.
SAGR.
Non sarà se non bene, per nostra piena intelligenza, veder qualche esempio di questo che dite.
SALV.
Stabilite voi a vostro beneplacito qual si sia determinata lontananza sublunare, dove costituir la stella; ché con poca briga potremo assicurarci se correzioni simili a queste, che abbiamo veduto bastar per ridurla tra le fisse, la ridurranno nel luogo da voi stabilito.
SAGR.
Per pigliare la piú favorevole distanza per l'autore, porremo che sia quella che è la maggiore di tutte le investigate da esso nelle sue 12 indagini; imperocché, mentre si è in controversia tra gli astronomi ed esso, e che quelli dicono la stella essere stata superiore alla Luna, e questo inferiore, ogni poco spazio che e' la provi essere stata sotto, gli dà la vittoria.
SALV.
Pigliamo dunque la settima indagine, fatta sopra le osservazioni di Ticone e di Taddeo Agecio, per le quali trova l'autore la stella essere stata lontana dal centro 32 semidiametri, il qual sito è il piú favorevole per la parte sua; e per dargli ogni vantaggio, voglio che, oltre a questo, la ponghiamo nella piú disfavorevole lontananza per gli astronomi, qual è il collocarla anco sopra il firmamento.
Posto dunque ciò, andiam ricercando quali correzioni sarebber necessarie applicare all'altre sue 11 indagini, acciò sublimassero la stella sino alla distanza di 32 semidiametri; e cominciamo dalla prima, calcolata sopra l'osservazioni dell'Ainzelio e del Maurolico, nella quale l'autore trova la distanza dal centro circa 3 semidiametri, con la parallasse di gr.
4.42 m.p.
e 30 sec.: veggiamo ora se co 'l ritirarla a 20 m.p.
solamente, si eleva sino alli 32 semidiametri.
Ecco l'operazione, brevissima e giusta: multiplico il sino dell'angolo B D C per la corda B D, e parto l'avvenimento, detrattone le 5 ultime figure, per il sino della parallasse; ne viene 28 semidiametri e mezo: talché né anco per la correzione di gr.
4.22 m.p.
e 30 secondi, tolti da gr.
4.42 m.p.
e 30 secondi, si eleva la stella sino all'altezza di 32 semidiametri; la qual correzione, per intelligenza del signor Simplicio, è di m.p.
262 e mezo.
Ainzelio Pol.
48.22 stella 76.34 m.p.
e 30 sec.
Maurolico Pol.
38.30 stella 62
_____ _____________
9.52 14.34 m.p.
e 30 sec.
9.52
______________
Parallasse 4.42 m.p.
e 30 sec.
BAD 9.52 m.p.
corda 17200
BDC 108.21 m.p.
e 30 sec.
sino 94910
BCD 0.20 m.p.
sino 582
94910
17200
__________
18982000
66437
9491
_________________
28
582 | 16324 | 52000
4688
2
Nella seconda operazione, fatta sopra l'osservazioni dell'Ainzelio e dello Sculero, con parallasse di gr.
0.
8 m.p.
e 30 sec., trovasi la stella in altezza di 25 semidiametri in circa, come si vede nella seguente operazione.
BD | corda | 6166 97987
BDC | sini | 97987 6166
BCD | sini | 247 __________
587922
587922
97987
587922
_____________
24
247 | 6041 | 87842
1103
11
E ritirando la parallasse 0.8 m.p.
e 30 sec.
a 7 m.p., il cui sino è 204, si eleva la stella a 30 semidiametri in circa: non basta dunque la correzione di 1 m.p.
e 30 sec.
29
204 | 6041 | 87842
1965
12
Or veggiamo qual correzione bisogna per la terza indagine, fatta su l'osservazioni dell'Ainzelio e di Ticone, la qual rende la stella alta circa 19 semidiametri, con la parallasse 10 m.p.
Gli angoli soliti e lor sini e corda, trovati dall'autore, son questi; e rendono (come anco nell'operazione dell'autore) la stella lontana circa 19 semidiametri; bisogna dunque, per alzarla, scemar la parallasse, conforme alla regola che egli ancora osserva nella nona indagine: ponghiamo per tanto la parallasse esser 6 m.p., il cui sino è 175; e fatta la divisione, si trova ancor meno di 31 semidiametri per la distanza della stella.
È dunque la correzione di 4 m.p.
poca per il bisogno dell'autore.
Venghiamo alla quarta indagine ed alle rimanenti con la medesima regola, e con le corde e sini ritrovati dall'autor medesimo.
In questa la parallasse è 14 m.p., e l'altezza trovata manco di 10 semidiametri; e diminuendo la parallasse da 14 m.p.
a 4 m.p., ad ogni modo vedete come la stella non si eleva né anco sino a 31 semidiametri: non basta dunque la correzione di 10 m.p.
sopra 14 m.p.
BD corda 8142 43235
BDC sino 43235 8142
________
BCD sino 407 86470
172940
43235
345880
_________________
30
116 | 3520 | 19370
4
Nella quinta operazione dell'autore abbiamo i sini e la corda come vedete:
BD corda 4034 97998
BDC sino 97998 4034
_________
BCD sino 1236 391992
293994
391992
________________
27
145 | 3953 | 23932
1058
3
e la parallasse è 0.42 m.p.
e 30 sec., la quale rende l'altezza della stessa circa 4 semidiametri; e correggendo la parallasse, con ridurla da i 42 m.p.
e 30 sec.
a 5 m.p.
solamente non basta per alzarla, né anche sino a 28 semidiametri: l'emendazione dunque di 37 m.p.
e 30 sec.
è poca.
Nella sesta operazione la corda, i sini e la parallasse son tali
BD corda 1920 40248
BDC sino 40248 1920
_______
BCD 8 m.
sino 233 804960
362232
40248
_____________
26
29 | 772 | 76160
198
1
e la stella si trova esser alta circa 4 semidiametri: vegghiamo dove la si riduce calando la parallasse da 8 a un solo m.p.
Ecco l'operazione, e la stella non piú alzata che sino a 27 semidiametri in circa: non basta dunque la correzione di 7 m.p.
sopra 8 m.p.
Nell'ottava operazione la corda, i sini e la parallasse, come vedete, son tali:
BD corda 1804 36643
BDC sino 36643 1804
_______
BCD sino 29 146572
293144
36643
______________
22
29 | 661 | 03972
83
2
e di qui calcola l'autore l'altezza della stella semidiametri 1 e mezo, con la parallasse di 43 m.p.; la quale ridotta a 1 m.p.
dà tuttavia la stella lontana manco di 24 semidiametri: la correzion dunque di 42 m.p.
non basta.
Veggiamo ora la nona.
Ecco la corda, i sini e la parallasse, che è 15 m.p.: onde l'autor calcola, la lontananza della stella dalla superficie della Terra esser manco di un quarantasettesimo di semidiametro.
Ma questo è con error del calcolo; imperocché la vien veramente, come noi vedremo qui adesso, piú di un quinto: ecco che vengono circa 90/436 che son piú di un quinto.
BD corda 232 39046
BDC sino 39046 232
_________
BCD sino 436 78092
117138
78092
_________
436 | 90 | 58672
Quello che soggiugne poi l'autore in emenda delle osservazioni, cioè che non basta ritirar la differenza della parallasse né a un sol minuto, né anco all'ottava parte di 1 m.p., è vero.
Ma io dico che né meno la decima parte di 1 m.p.
ridurrà l'altezza della stella a 32 semidiametri: imperocché il sino della decima parte di 1 m.p., cioè di 6 secondi, è 3, per il quale se nella nostra regola noi divideremo 90, o vogliam dire se noi divideremo per 300000, 9058672, ne verrà 30 58672/100000, cioè poco piú di 30 semidiametri e mezo.
La decima dà l'altezza della stella un quinto di semidiametro, con quest'angolo, sini e parallasse, che è gr.
4.30 m.p.: la quale veggo che ridotta da gr.
4.30 m.p.
a 2 m.p., ad ogni modo non promuove la stella sino a 29 semidiametri.
BD corda 1746 1746
BDC sino 92050 92050
________
BCD 4.30 m.p.
sino 7846 87300
3492
15714
______________
27
58 | 1607 | 19300
441
4
L'undecima rende la stella all'autore remota circa 13 semidiametri, con la parallasse di 55 m.p.: veggiamo, riducendola a 20 m.p., dove innalzerà la stella.
Ecco il calcolo: l'eleva a poco meno di 33 semidiametri: la correzione dunque è di 35, poco meno, sopra 55 m.p.
BD corda 19748 96166
BDC sino 96166 19748
__________
BCD 0.55 m.p.
sino 1600 769328
384664
673162
865494
96166
_______________
32
582 | 18900 | 86168
1536
36
La duodecima, con la parallasse di gr.
1.36 m.p., rende la stella alta meno di 6 semidiametri: ritirando la parallasse a 20 m.p., conduce la stella a meno di 30 semidiametri di lontananza: non basta dunque la correzione di gr.
1.16 m.p.
BD corda 17258 17258
BDC sino 96150 96150
________
BCD 1.36 m.p.
sino 2792 862900
17258
103548
155322
_____________
28
582 | 16593 | 56700
4957
29
Queste sono le correzioni delle parallasse delle 10 indagini dell'autore, per ridur la stella in altezza di 32 semidiametri:
gr.
I.
II.
gr.
I.
II.
4.
22 m.p.
e 30 sec.
sopra 4.
42.
30
4 sopra 0.
10
10 sopra 0.
14
37 sopra 0.
42.
30
7 sopra 0.
8
42 sopra 0.
43
14 e 50 sec.
sopra 0.
15
4.
28 sopra 4.
30
35 sopra 0.
55
1.
16 sopra 1.
36
__________________________________
216 296 60
540 540 9
__ _ __
756 836 540
Di qui si vede come per ridur la stella all'altezza di 32 semidiametri, bisogna dalla somma delle parallassi 836 detrarne 756 e ridurle a 80, né anco basta tal correzione.
Di qui si vede (sí come ho notato qua dreto) che quando l'autore stabilisse di voler ricever per vero sito della stella nuova la distanza di 32 semidiametri, la correzione dell'altre sue 10 indagini (e dico 10, perché la seconda, essendo assai ben alta, si riduce all'altezza di 32 semidiametri con 2 m.p.
di correzione), per far che tutte restituissero detta stella in tal distanza, ricercherebbe un ritiramento di parallassi tale, che tra tutte le suttrazioni importerebbero piú di 756 m.p.: dove che nelle 5 calcolate da me, che rendono la stella sopra la Luna, per correggerle sí che la costituiscano nel firmamento, basta la correzione di minuti 10 e un quarto solamente.
Ora aggiugnete a queste, altre 5 indagini che rendono la stella precisamente nel firmamento senza bisogno di veruna correzione, ed avremo 10 indagini concordi a costituirla nel firmamento, con la sola correzione di 5 di loro (come s'è veduto) di minuti 10 e un quarto: dove che per la correzione dell'altre 10 dell'autore, per ridurla in altezza di 32 semidiametri, vi bisogneranno l'emendazioni di minuti 756 sopra minuti 836; cioè bisogna che dalla somma di 836 se ne detraggano 756, a voler che la stella si elevi all'altezza di 32 semidiametri, ed anco tal correzione non basta.
Le indagini poi, che immediatamente senz'altra correzione rendon la stella senza parallasse, e perciò nel firmamento ed anco nelle piú remote parti di esso, ed in somma alta quanto l'istesso polo, son queste 5 notate qui:
Camerario | Altezze polari | Gr.
52.24 m.p | Altezze | 80.26
Peucero | | Gr.
51.54 | della stella | 79.56
______ ____
0.30 0.30
_____________________________________________________
Landgravio | Altezze polari | Gr.
51.18 | Altezze | 79.30
Ainzeglio | | Gr.
48.22 | della stella| 76.34
____ ____
2.56 2.56
____________________________________________________
Ticone | Altezze polari | Gr.
55.58 | Altezze | 84.
Peucero | | Gr.
51.54 | della stella| 79.56
____ ____
4.
4 4.
4
____________________________________________________
Reinoldo | Altezze polari | Gr.
51.18 | Altezze | 79.30
Ainzeglio | | Gr.
48.22 | della stella| 76.34
____ ____
2.56 2.56
____________________________________________________
Camerario | Altezze polari | Gr.
52.24 | Altezze | 24.17
Agecio | | Gr.
48.22 | della stella| 20.15
-------------------------------------------
4.
2 4.
2
Del resto de gli accoppiamenti che si posson fare delle osservazioni di tutti questi astronomi, quelli che rendon la stella per infinito spazio sublime son molti piú in numero, cioè circa 30 di piú, che gli altri che danno, calcolando, la stella sotto la Luna; e perché (sí come siam convenuti) è da credere che gli osservatori abbiano errato piú presto di poco che d'assai, manifesta cosa è che le correzioni da applicarsi all'osservazioni che danno la stella alta in infinito, nel ritirarla a basso, prima e con emenda minore la condurranno nel firmamento che sotto la Luna: talché tutte queste applaudono all'opinione di quelli che la mettono tra le fisse.
Aggiugnete che le correzioni che si ricercano per tali emende, sono assai minori che quelle per le quali la stella dall'inverisimil vicinità si può ridurre all'altezza piú favorevole per questo autore, come per gli esempi passati si è veduto: tra le quali impossibili vicinità ce ne son 3 che par che rimuovano la stella dal centro della Terra per manco distanza d'un semidiametro, facendola in certo modo andar in volta sotto Terra; e queste son quelle combinazioni nelle quali, essendo l'altezza polare d'uno de gli osservatori maggiore dell'altezza polare dell'altro, l'elevazion della stella presa da quello è minore dell'elevazione della stella di questo.
E sono tali combinazioni le notate qui appresso.
Questa prima è del Landgravio con Gemma: dove l'altezza polare del Landgravio, 51.18 m.p., è maggiore dell'altezza polare di Gemma, che è 50.50 m.p.; ma l'altezza della stella del Landgravio, 79.30 m.p., è minore di quella della stella di Gemma, 79.45 m.p.
Landgravio | Altezza polare 51.13 | Altezza 79.30
Gemma | 50.50 | della stella 79.45
Le altre due sono queste di sotto:
Buschio | Altezza polare 51.10 | Altezze 79.20
Gemma | 50.50 | della stella 79.45
Reinoldo | Altezza polare 51.18 | Altezze 79.30
Gemma | 50.50 | della stella 79.45
Da quello che sin qui v'ho mostrato, potete comprendere quanto questa prima maniera d'investigar la distanza della stella e provarla sublunare, introdotta dall'autore, sia disfavorevole per la causa sua, e quanto piú probabilmente e chiaramente si raccolga, la lontananza di quella esser stata tra le piú remote stelle fisse.
SIMP.
Sino a questa parte mi par che assai manifestamente sia scoperta la poca efficacia delle dimostrazioni dell'autore; ma io veggo che tutto questo vien compreso in non molte carte del libro, e potrebb'esser che altre sue ragioni fusser piú concludenti che non son queste prime.
SALV.
Anzi non posson esser se non men valide, se vogliamo che le passate ci siano esempio per le rimanenti; attesoché (sí come è manifesto) l'incertezza e poca concludenza di quelle chiaramente si comprende derivar da gli errori commessi nelle osservazioni strumentali, dalle quali si è creduto le altezze polari e della stella essere state prese giustamente, essendo in effetto errate facilmente tutte; e pur per trovar l'altezze del polo hanno avuto gli astronomi secoli di tempo da impiegarvisi a lor agio, e le altezze meridiane della stella sono le piú agevoli da osservarsi, come quelle che sono terminatissime e concedono qualche spazio all'osservatore di poterle continuare, come quelle che non si mutano sensibilmente in tempo brevissimo, come fanno le remote dal meridiano: e se questo è, sí come è, verissimo, qual fede vorrem noi prestare a calcoli fondati sopra osservazioni piú in numero, piú difficili a farsi, piú momentanee nel variarsi, con la giunta appresso di strumenti piú incomodi e piú fallaci? Per una semplice occhiata che ho data alle dimostrazioni seguenti, i computi son fatti sopra altezze della stella prese in diversi cerchi verticali, che chiamano con voce arabica azimutti: nelle quali osservazioni si adoprano strumenti mobili non solo ne i cerchi verticali, ma nell'orizonte ancora nel medesimo tempo; in modo che convien, nell'istesso momento che si prende l'altezza, aver nell'orizonte osservata la distanza del verticale, nel qual è la stella, dal meridiano; in oltre dopo notabile intervallo di tempo convien reiterar l'operazione, e tener minuto conto del tempo decorso, fidandosi o d'oriuoli o d'altre osservazioni di stelle: una tal matassa di osservazioni va poi conferendo con un'altra simile, fatta da un altro osservatore, in un altro paese, con diverso strumento ed in diverso tempo; e da questa cerca l'autore di ritrar quali sarebbono state l'altezze della stella e le latitudini orizontali accadute nel tempo ed ora dell'altre prime osservazioni, e sopra un tale aggiustamento fabbrica in ultimo il suo calcolo.
Lascio ora giudicar a voi quanto sia da prestar fede a ciò che da simili indagini si ritrae.
Oltre che io non dubito punto che quando altri si volesse martirizare sopra tali lunghissimi computi, si troverebbe, sí come ne i passati, esser piú quelli che favorissero la parte avversa, che l'autore: ma non mi par che metta conto prendersi una tal fatica per cosa che non è tra le primarie intese da noi.
SAGR.
Io son dalla vostra in questa parte; ma sendo questo negozio circondato da tante confusioni incertezze ed errori, sopra qual confidenza hanno tanti astronomi asseverantemente pronunziato, la nuova stella essere stata altissima?
SALV.
Sopra due sorte di osservazioni, semplicissime facilissime e verissime, una sola delle quali è piú che a bastanza per assicurarne dell'essere stata locata nel firmamento, o almeno per lunghissimo tratto superiore alla Luna: una delle quali è presa dall'egualità o poco differente inegualità delle sue lontananze dal polo, tanto mentre ell'era nell'infima parte del meridiano, quanto nella suprema; l'altra è l'aver lei conservato perpetuamente le medesime distanze da alcune stelle fisse, sue circonvicine, ed in particolare dall'undecima di Cassiopea, non piú da essa remota di gradi I e mezo: dalli quali due capi indubitabilmente si raccoglie o l'assoluta mancanza di parallasse, o una piccolezza tale, che ne assicura con calcoli speditissimi della sua gran lontananza dalla Terra.
SAGR.
Ma queste cose non sono state comprese da questo autore? e se egli le ha vedute, in che modo se ne difende?
SALV.
Noi sogliamo dire che quando altri, non trovando ripiego che vaglia contro a i suoi falli, produce frivolissime scuse, cerca di attaccarsi alle funi del cielo; ma quest'autore ricorre non alle corde, ma alle fila de' ragnateli del cielo, come apertamente vedrete nell'andare esaminando questi due punti pur ora accennativi.
E prima, quello che ci mostrino le distanze polari ad uno ad uno de gli osservatori, l'ho io notato in questi brevi calcoli; per piena intelligenza de' quali devo primamente avvertirvi, come, tuttavolta che la stella nuova o altro fenomeno sia vicino a Terra, girando al moto diurno intorno al polo, più distante si mostrerà da esso mentre si trovi nella parte di sotto nel meridiano, che quando è nella superiore, come in questa figura si vede: nella quale il punto T denota [vedi figura 20.gif] il centro della Terra, O il luogo dell'osservatore, il firmamento l'arco VPC, il polo P; il fenomeno, muovendosi per il cerchio FS, vedesi or sotto il polo, per il raggio OFC, ed or sopra, secondo il raggio OSD, sì che i luoghi veduti nel firmamento siano D, C; ma i veri, rispetto al centro T, sono B, A, lontani egualmente dal polo: dove già è manifesto, il luogo apparente del fenomeno S, cioè il punto D, esser più vicino al polo che non è l'altro apparente luogo C, veduto per il raggio OFC; che è la prima cosa da notarsi.
Conviene che nel secondo luogo voi notiate, come l'eccesso della apparente inferior distanza dal polo sopra l'apparente superiore distanza, pur dal polo, è maggiore che non è la parallasse inferiore del fenomeno; cioè dico che l'eccesso dell'arco CP (distanza inferiore apparente) sopra l'arco PD (distanza apparente superiore) è maggiore dell'arco CA (che è la parallasse inferiore).
Il che si raccoglie facilmente: imperocchè di più eccede l'arco CP il PD che il PB, essendo PB maggiore di PD; ma PB è eguale a PA, e l'eccesso di CP sopra PA è l'arco CA; adunque l'eccesso dell'arco CP sopra l'arco PD è maggiore dell'arco CA, che è la parallasse del fenomeno posto in F: che è quel che bisognava sapere.
E per dar tutti i vantaggi all'autore, voglio che supponghiamo, la parallasse della stella in F esser tutto l'eccesso dell'arco CP (cioè della distanza inferiore dal polo) sopra l'arco PD (distanza superiore).
Vengo adesso ad esaminare quel che ci danno le osservazioni di tutti gli astronomi prodotti dall'autore: tra le quali non ce n'è pur una che non gli sia in disfavore e contraria al suo intento.
E facciamo principio da queste del Buschio, il quale trovò la distanza della stella dal polo, quando gli era superiore, esser gr.
28.10 m.p., e la inferiore esser gr.
28.30 m.p., sì che l'eccesso è gr.
0.20 m.p., il quale voglio che prendiamo (a favor dell'autore) come se tutto fusse parallasse della stella in F, cioè l'angolo TFO; la distanza poi dal vertice, cioè l'arco CV, è gr.
67.20 m.p.
Trovate queste due cose, prolunghisi la linea CO, e sopra essa caschi la perpendicolare TI, e consideriamo il triangolo TOI, del quale l'angolo I è retto, e l'IOT noto, per esser alla cima dell'angolo VOC, distanza della stella dal vertice; inoltre nel triangolo TIF, pur rettangolo, è noto l'angolo F, preso per la parallasse: notinsi dunque da parte li due angoli IOT, IFT, e di essi si prendano i sini, che sono come si vede notato.
E perchè nel triangolo IOT di quali parti il sino tutto TO è 100000, di tali il sino TI è 92276, e di più nel triangolo IFT di quali il sino tutto TF è 100000, di tali il sino TI è 582, per ritrovar quante parti sia TF di quelle che TO è 100000, diremo, per la regola aurea: Quando TI è 582, TF è 100000; ma quando TI fusse 92276, quanto sarebbe TF? Multiplichiamo 92276 per 100000; ne viene 9227600000: e questo si deve partire per 582; ne viene, come si vede, 15854982: e tante parti saranno in TF di quelle che in TO sono 100000.
Onde per voler sapere quante linee TO sono in TF, divideremo 15854982 per 100000; ne verrà 158 e mezo prossimamente: e tanti semidiametri sarà la distanza della stella F dal centro T.
E per abbreviar l'operazione, vedendo noi come il prodotto del multiplicato di 92276 per 100000 si deve divider prima per 582 e poi il quoziente per 100000, potremo, senza la multiplicazione di 92276 per 100000 e con una sola divisione del sino 92276 per il sino 582, conseguir subito l'istesso, come si vede lì sotto; dove 92276 diviso per 582 ci dà l'istesso 158 e mezo in circa.
Tenghiamo dunque memoria, come la sola divisione del sino TI come sino dell'angolo TOI, diviso per il sino TI, come sino dell'angolo IFT, ci dà la distanza cercata TF in tanti semidiametri TO.
Angoli | IOT 67.20 m.p.| sini | 92276 15854982
| IFT 0.20 m.p.| | 582 582 | 9227600000
| 3407002246
TI TF TI TF 49297867
582 100000 92276 0 325414
___________________
100000 | 158 | 54982
___________________
| 158
582 | 92276
34070
492
3
Vedete ora quel che ci danno le osservazioni del Peucero: del quale la distanza inferior dal polo è gr.
28.21 m.p., e la superiore gr.
28.2 m.p., la differenza gr.
0.19 m.p., e la distanza dal vertice gr.
66.27 m.p.; dalle quali cose si raccoglie la distanza della stella dal centro quasi 166 semidiametri.
Angoli | IAC 66.27 m.p.
| sini | 91672 165 427/553
| IEC 0.19 m.p.
| | 553 553 | 91672
| 36397
312
4
Ecco quel che ci mostra l'osservazione di Ticone, presa la piú favorevole per l'avversario: cioè, la distanza inferiore dal polo, gr.
28.13 m.p.; e la superiore, 28.2 m.p., lasciando la differenza, che è 0.11 m.p., come se tutta fusse parallasse; la distanza dal vertice, gr.
62.15 m.p.
Ecco qui sotto l'operazione, e la lontananza della stella dal centro ritrovata semidiametri 276 9/16
Angoli | IAC 62.15 m.p.
| sini | 88500 276 9/16
| IEC 0.11 m.p.
| | 320 320 | 88500
| 2418
21
L'osservazione del Reinoldo, ch'è la seguente, ci rende la distanza della stella dal centro semidiametri 793.
Angoli | IAC 66.58 m.p.
| sini | 92026 793 38/116
| IEC 0.
4 m.p.
| | 116 116 | 92026
| 10888
33
Dalla seguente osservazion del Landgravio si ritrae la distanza della stella dal centro semidiametri 1057.
Angoli | IAC 66.57 m.p.
| sini | 92012 1057 53/87
| IEC 0.
3 m.p.
| | 87 87 | 92012
| 5663
| 5
Prese dal Camerario due delle sue osservazioni piú favorevoli per l'autore, si trova la lontananza della stella dal centro semidiametri 3143.
Angoli | IAC 65.43 m.p.
| sini | 91152 3143
| IEC 0.
1 m.p.
| | 29 29 | 91152
| 4295
1
L'osservazione del Munosio non dà parallasse, e però rende la stella nuova tra le fisse altissime: quella dell'Ainzelio ce la dà remota per infinito spazio, ma con emendazion di un mezo minuto primo la ripon tra le fisse: e l'istesso si ritrae dall'Ursino con la correzione di 12 m.p.
De gli altri astronomi non ci sono le distanze sopra e sotto il polo, onde non si può ritrar cosa veruna.
Or vedete come tutte le osservazioni di tutti convengono, in disfavor dell'autore, in collocar la stella nelle regioni celesti e altissime.
SAGR.
Ma che difesa trov'egli contro a sí patenti contrarietà?
SALV.
Uno di quei debolissimi fili: dicendo che le parallassi vengono diminuite mercè delle refrazioni, le quali, operando contrariamente, sublimano il fenomeno, dove le parallassi l'abbassano.
Ora, quanto vaglia questo miserabil refugio, giudicatelo da questo, che quando quest'effetto delle refrazioni fusse di quella efficacia che da non molto tempo in qua alcuni astronomi hanno introdotto, al piú che potesse operar circa l'elevar piú del vero un fenomeno sopra l'orizonte, mentre egli sia di già alto 23 o 24 gradi, sarebbe il diminuirgli circa 3 minuti di parallasse; il qual temperamento è scarsissimo per ritrar la stella sotto la Luna, ed in alcuni casi è minore che non è il vantaggio conceduto da noi nell'ammetter che l'eccesso della distanza inferior dal polo sopra la superiore sia tutto parallasse, il qual vantaggio è cosa assai piú chiara e palpabile che l'effetto della refrazione, della grandezza del quale io dubito, e non senza ragione.
Ma piú, io domando quest'autore s'ei crede che quelli astronomi, delle osservazioni de i quali egli si serve, avessero cognizione di questi effetti delle refrazioni e vi facessero sopra considerazione, o no: se gli conobbero e considerarono, è ragionevol credere che di essi tenesser conto nell'assegnare le vere elevazioni della stella, facendo a quei gradi di altezze, che sopra gli strumenti si scorgevano, quelle tare che erano convenienti mercé dell'alterazioni delle refrazioni, immodo che le distanze pronunziate da loro fussero poi le corrette e giuste, e non le apparenti e false; ma s'ei crede che tali autori non facessero reflessione sopra le dette refrazioni, convien confessare che eglino abbiano parimente errato in determinar tutte quelle cose le quali non si possono perfettamente aggiustare senza la modificazione delle refrazioni: tra le quali cose una è l'investigazione precisa delle altezze polari, le quali comunemente si prendono dalle due altezze meridiane di alcuna delle stelle fisse sempre apparenti, le quali altezze verranno alterate dalla refrazione, nell'istesso modo appunto che quelle della stella nuova; talché l'altezza polare, che da esse si deduce, verrà difettosa, e partecipe dell'istesso mancamento che quest'autore ascrive alle altezze assegnate alla stella nuova, cioè e quella e queste poste, con pari errore, piú sublimi del vero.
Ma tale errore, per quanto appartiene al nostro presente negozio, non progiudica punto, perché non avendo noi bisogno di saper altro che la differenza tra le due distanze della stella nuova dal polo, mentre ella gli fu inferiore e poi superiore, chiara cosa è che tali distanze saran l'istesse posta l'alterazion della refrazione comunemente per la stella e per il polo, ch'è comunemente emendata per questo e per quella.
Arebbe qualche momento, benché debolissimo, l'argomento dell'autore, se egli ci avesse assicurati che l'altezza del polo fusse stata assegnata precisa e emendata dall'error dependente dalla refrazione, dal quale non si fussero poi guardati i medesimi astronomi nell'assegnarci l'altezze della stella nuova; ma egli di ciò non ci ha fatti sicuri, né forse ce ne poteva fare, e forse (e questo è piú credibile) tal cautela è stata tralasciata da gli osservatori.
SAGR.
Parmi soprabbondantemente annullata questa instanza; però ditemi in qual maniera e' si libera poi da quell'aver mantenuta sempre la medesima distanza dalle stelle fisse sue circonvicine.
SALV.
Apprendendosi similmente a due fili ancor piú deboli dell'altro, l'uno de' quali è pur legato alla refrazione, ma tanto men saldamente, quanto e' dice che, pur la refrazione operando nella stella nuova e sublimandola sopra il vero sito, rende incerte le distanze vedute dalle vere, comparate alle stelle fisse sue vicine; né posso a bastanza maravigliarmi come e' dissimuli d'accorgersi che la medesima refrazione lavorerà nell'istesso modo nella stella nuova che nell'antica, sua vicina, sublimando amendue egualmente, onde da tale accidente l'intervallo tra esse resti inalterato.
L'altro refugio è ancora piú infelice e tiene assai del ridicolo, fondandosi sopra l'errore che può nascere nell'operazione stessa strumentale, mentre che l'osservatore, non potendo costituire il centro della pupilla dell'occhio nel centro del sestante (strumento adoprato nell'osservare gl'intervalli tra due stelle), ma tenendolo elevato sopra detto centro quant'è la distanza di essa pupilla da non so che osso della gota, dove s'appoggia il capo dello strumento, si viene a formar nell'occhio un angolo piú acuto di quello che si forma da i lati del sestante: il qual angolo de' raggi differisce anco da se stesso, mentre si riguardano stelle poco elevate sopra l'orizonte e le medesime poi poste in grande altura.
Si fa, dice, tal angolo differente, mentre si vadia elevando lo strumento, tenendo ferma la testa: ma se nell'alzar il sestante si piegasse il collo indietro e si andasse elevando la testa insieme con lo strumento, l'angolo allora si conserverebbe l'istesso: suppone dunque la risposta dell'autore che gli osservatori, nell'uso dello strumento, non abbiano alzato la testa conforme al bisogno, cosa che non ha del verisimile.
Ma posto anco che cosí fusse seguito, lascio giudicare a voi qual differenza può essere tra due angoli acuti di due triangoli equicruri, i lati dell'uno de i quali triangoli siano lunghi ciascuno quattro braccia, e quelli dell'altro quattro braccia meno quant'è il diametro d'una lente; ché assolutamente non maggiore può essere la differenza tra la lunghezza delli due raggi visivi mentre la linea vien tirata perpendicolarmente dal centro della pupilla sopra il piano dell'aste del sestante (la qual linea non è maggiore che la grossezza del pollice), e la lunghezza de i medesimi raggi mentre, elevandosi il sestante senza alzar insieme la testa, tal linea non cade piú a perpendicolo sopra detto piano, ma inclina, facendo l'angolo verso la circonferenza alquanto acuto.
Ma per liberare in tutto e per tutto questo autore da queste infelicissime mendicità, sappia (già che si vede che egli non ha molta pratica nell'uso de gli strumenti astronomici) che ne i lati del sestante o quadrante si accomodano due traguardi, uno nel centro e l'altro nell'estremità opposta, i quali sono elevati un dito o piú dal piano dell'aste e per le sommità di tali traguardi si fa passar il raggio dell'occhio, il quale occhio si tiene anco remoto dallo strumento un palmo o due o piú ancora; talché né pupilla, né osso di gota, né di tutta la persona, tocca né si appoggia allo strumento; il quale strumento né meno si sostiene o si eleva a braccia, e massime se saranno di quei grandi, come si costuma, li quali, pesando le decine e le centinaia ed anco le migliaia delle libbre, si sostengono sopra basi saldissime: talché tutta l'instanza svanisce.
Questi sono i sutterfugii di questo autore, i quali, quando ben fussero tutto acciaio, non lo potrebbero sollevare d'un centesimo di minuto: e con questi si persuade di darci a credere d'aver compensata quella differenza che importa piú di cento minuti, dico del non si esser osservata notabil diversità nelle distanze tra una fissa e la nuova stella in tutta la lor circolazione, che, quando ella fusse stata prossima alla Luna, doveva farsi grandemente cospicua anco alla semplice vista, senza strumento veruno, e massime paragonandola con l'undecima di Cassiopea, sua vicina a gr.
1 e mezo; che di piú di due diametri della Luna doveva variarsi, come ben avvertirono i piú intelligenti astronomi di quei tempi.
SAGR.
Mi par di vedere quell'infelice agricoltore, che dopo l'essergli state battute e destrutte dalla tempesta tutte le sue aspettate ricolte, va con faccia languida e china raggranellando reliquie cosí tenui, che non son per bastargli a nutrir né anco un pulcino per un sol giorno.
SALV.
Veramente che con troppo scarsa provisione d'arme s'è levato quest'autore contro a gl'impugnatori della inalterabilità del cielo, e con troppo fragili catene ha tentato di ritirar dalle regioni altissime la stella nuova di Cassiopea in queste basse ed elementari.
E perché mi pare che assai chiaramente si sia dimostrata la differenza grande che è tra i motivi di quelli astronomi e di questo loro oppugnatore, sarà bene che, lasciata questa parte, torniamo alla nostra principal materia; nella quale segue la considerazione del movimento annuo comunemente attribuito al Sole, ma poi, da Aristarco Samio in prima, e dopo dal Copernico, levato dal Sole e trasferito nella Terra; contro alla qual posizione sento venir gagliardamente provisto il signor Simplicio, ed in particolare con lo stocco e con lo scudo del libretto delle conclusioni o disquisizioni matematiche, l'oppugnazioni del quale sarà bene cominciare a proporre.
SIMP.
Voglio, quando cosí vi piaccia, riserbarle in ultimo, come quelle che sono le ultime ritrovate.
SALV.
Sarà dunque necessario che voi, conforme al modo tenuto sin qui, andiate ordinatamente proponendo le ragioni in contrario, sí d'Aristotile come di altri antichi, il che son per far io ancora, acciò non resti nulla indietro senza esser attentamente considerato ed esaminato; e parimente il signor Sagredo con la vivacità del suo ingegno, secondoché si sentirà svegliare, produrrà in mezo i suoi pensieri.
SAGR.
Lo farò con la mia solita libertà; e perché voi cosí comandate, sarete anco in obbligo di scusarla.
SALV.
Il favore obbligherà a ringraziarvi, e non a scusarvi.
Ma cominci or mai il signor Simplicio a promuover quelle difficultà che lo respingono dal poter credere che la Terra, a guisa de gli altri pianeti, si possa muover in giro intorno ad un centro stabile.
SIMP.
La prima e massima difficultà è la repugnanza ed incompatibilità che è tra l'esser nel centro e l'esserne lontano: perché, quando il globo terrestre si abbia a muover in un anno per la circonferenza di un cerchio, cioè sotto il zodiaco, è impossibile che nell'istesso tempo e' sia nel centro del zodiaco; ma che la Terra sia in tal centro, è in molti modi provato da Aristotile, da Tolomeo e da altri.
SALV.
Molto bene discorrete; e non è dubbio alcuno che chi vorrà far muover la Terra per la circonferenza di un cerchio, bisogna prima che e' provi che ella non sia nel centro di quel tal cerchio.
Séguita dunque ora che noi vegghiamo se la Terra sia o non sia in quel centro, intorno al quale io dico che ella si gira, e voi dite ch'ell'è collocata; e prima che questo, è necessario ancora che ci dichiariamo se di questo tal centro abbiamo voi ed io l'istesso concetto o no.
Però dite quale e dove è questo vostro inteso centro.
SIMP.
Intendo per centro quello dell'universo, quello del mondo, quello della sfera stellata, quel del cielo.
SALV.
Ancorché molto ragionevolmente io potessi mettervi in controversia, se in natura sia un tal centro, essendo che né voi né altri ha mai provato se il mondo sia finito e figurato, o pure infinito e interminato; tuttavia, concedendovi per ora che ei sia finito e di figura sferica terminato, e che per ciò abbia il suo centro, converrà vedere quanto sia credibile che la Terra, e non piú tosto altro corpo, si ritrovi in esso centro.
SIMP.
Che il mondo sia finito e terminato e sferico, lo prova Aristotile con cento dimostrazioni.
SALV.
Le quali si riducono poi tutte ad una sola, e quella sola al niente; perché se io gli negherò il suo assunto, cioè che l'universo sia mobile, tutte le sue dimostrazioni cascano, perché e' non prova esser finito e terminato se non quello dell'universo che è mobile.
Ma per non multiplicar le dispute, concedasi per ora che il mondo sia finito, sferico, ed abbia il suo centro: e già che tal figura e centro si è argomentato dalla mobilità, non sarà se non molto ragionevole se da gl'istessi movimenti circolari de' corpi mondani noi andremo alla particolar investigazione del sito proprio di tal centro; anzi Aristotile medesimo ha egli pur nell'istessa maniera discorso e determinato, facendo centro dell'universo quell'istesso intorno al quale tutte le celesti sfere si girano e nel quale ha creduto venir collocato il globo terrestre.
Ora ditemi, signor Simplicio: quando Aristotile si trovasse costretto da evidentissime esperienze a permutar in parte questa sua disposizione ed ordine dell'universo, ed a confessare d'essersi ingannato in una di queste due proposizioni, cioè o nel por la Terra nel centro, o nel dir che le sfere celesti si movessero intorno a cotal centro, qual delle due confessioni credete voi ch'egli eleggesse?
SIMP.
Credo che quando il caso accadesse, i Peripatetici...
SALV.
Non domando de i Peripatetici, domando d'Aristotile medesimo; ché quanto a quelli so benissimo ciò che risponderebbero.
Essi, come reverentissimi ed umilissimi mancipii d'Aristotile, negherebbero tutte l'esperienze e tutte l'osservazioni del mondo, e recuserebbero anco di vederle, per non le avere a confessare, e direbbero che il mondo sta come scrisse Aristotile, e non come vuol la natura; perché, toltogli l'appoggio di quell'autorità, con che vorreste che comparissero in campo? E però ditemi pure quel che voi stimate che fusse per far Aristotile medesimo.
SIMP.
Veramente non mi saprei risolvere, qual de' due inconvenienti e' fusse per reputar minore.
SALV.
Non usate, di grazia, questo termine di chiamar inconveniente quel che potrebb'esser necessario che fusse cosí.
Inconveniente fu il voler por la Terra nel centro delle celesti revoluzioni.
Ma già che voi non sapete in qual parte e' fusse per inclinare, stimandolo io uomo di grand'ingegno, andiamo esaminando qual delle due elezioni sia la piú ragionevole, e quella reputiamo che fusse la ricevuta da Aristotile.
Ripigliando dunque il nostro ragionamento da principio, e posto, in grazia d'Aristotile, che il mondo (della grandezza del quale non abbiamo sensata notizia oltre alle stelle fisse), come quello che è di figura sferica e circolarmente si muove, abbia necessariamente, e rispetto alla figura e rispetto al moto, un centro, ed essendo noi oltre a ciò sicuri che dentro alla sfera stellata sono molti orbi, l'uno dentro all'altro, con loro stelle, che pur circolarmente si muovono, si cerca quel che sia piú ragionevol credere e dire, che questi orbi contenuti si muovano intorno all'istesso centro del mondo, o pure intorno ad altro assai lontano da quello.
Dite ora, signor Simplicio, il parer vostro circa questo particolare.
SIMP.
Quando noi potessimo fermarci sopra questo solo presupposto, e che fussimo sicuri di non poter incontrar qualche altra cosa che ci disturbasse, io direi che molto piú ragionevol fusse il dire che il continente e le parti contenute si movesser tutte circa un comun centro, che sopra diversi.
SALV.
Ora, quando sia vero che 'l centro del mondo sia l'istesso che quello intorno al quale si muovono gli orbi de i corpi mondani, cioè de' pianeti, certissima cosa è che non la Terra, ma piú tosto il Sole, si trova collocato nel centro del mondo; talché, quanto a questa prima semplice e generale apprensione, il luogo di mezo è del Sole, e la Terra si trova tanto remota dal centro, quanto dall'istesso Sole.
SIMP.
Ma da che argumentate voi che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de' pianeti?
SALV.
Concludesi da evidentissime, e perciò necessariamente concludenti, osservazioni; delle quali le piú palpabili, per escluder la Terra da cotal centro e collocarvi il Sole, sono il ritrovarsi tutti i pianeti ora piú vicini ed ora piú lontani dalla Terra, con differenze tanto grandi, che, verbigrazia, Venere lontanissima si trova sei volte piú remota da noi che quando ell'è vicinissima, e Marte si inalza quasi otto volte piú in uno che in un altro stato.
Vedete intanto se Aristotile s'ingannò di qualche poco in creder che e' fussero sempre egualmente remoti da noi.
SIMP.
Quali poi sono gl'indizii che i movimenti loro sieno intorno al Sole?
SALV.
Si argomenta ne i tre pianeti superiori, Marte Giove e Saturno, dal trovarsi sempre vicinissimi alla Terra quando sono all'opposizion del Sole, e lontanissimi quando sono verso la congiunzione; e questo avvicinamento ed allontanamento importa tanto, che Marte vicino si vede ben 60 volte maggiore che quando è lontanissimo.
Di Venere poi e di Mercurio si ha certezza del rivolgersi intorno al Sole dal non si allontanar mai molto da lui e dal vedersegli or sopra ed or sotto, come la mutazion di figure in Venere conclude necessariamente.
Della Luna è vero che ella non si può in verun modo separar dalla Terra, per le ragioni che piú distintamente nel progresso si produrranno.
SAGR.
Io mi aspetto d'aver a sentir cose ancor piú meravigliose, dependenti da questo movimento annuo della Terra, che non sono state le dependenti dalla conversione diurna.
SALV.
Voi non v'ingannate punto: perché, quanto all'operar il moto diurno ne' corpi celesti, non fu né potette esser altro che il farci apparir l'universo precipitosamente scorrer in contrario; ma questo moto annuo, mescolandosi con i moti particolari di tutti i pianeti, produce moltissime stravaganze, le quali hanno fatto sin ora perder la scherma a tutti i maggiori uomini del mondo.
Ma ritornando alle prime apprensioni generali, replico che il centro delle celesti conversioni de i cinque pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, è il Sole; e sarà del moto della Terra ancora, se ci succederà di metterla in cielo.
Quanto poi alla Luna, questa ha un moto circolare intorno alla Terra, dalla quale (come ho già detto) in modo alcuno non si può separare; ma non però resta ella d'andare intorno al Sole insieme con la Terra co 'l movimento annuo.
SIMP.
Io non resto ancora ben capace di questa struttura; e forse co 'l farne un poco di disegno s'intenderà meglio, e piú agevolmente si potrà discorrere intorno ad essa.
SALV.
E cosí sia: anzi, per vostra maggior sodisfazione e meraviglia insieme, voglio che voi stesso la disegniate, e veggiate come, non credendo d'intenderla, ottimamente la capite; e solo co 'l risponder alle mie interrogazioni la descriverrete puntualmente.
Pigliate dunque un foglio e le seste: e sia questa carta bianca l'immensa espansione dell'universo, nella quale voi avete a distribuire ed ordinar le sue parti conforme a che la ragione vi detterà.
E prima, essendo che senza mio insegnamento voi tenete per fermo la Terra esser collocata in questo universo, però notate un punto a vostro beneplacito, intorno al quale voi intendete ella esser collocata, e contrassegnatelo con qualche carattere.
SIMP.
Sia questo, segnato A, il luogo del globo terrestre.
SALV.
Bene sta.
So, secondariamente, che voi sapete benissimo che essa Terra non è dentro al corpo solare, né meno a quello contigua, ma per certo spazio distante; e però assegnate al Sole qual altro luogo piú vi piace, remoto dalla Terra a vostro beneplacito, e questo ancora contrassegnate.
SIMP.
Ecco fatto: sia il luogo del corpo solare questo, segnato O.
[vedi figura 21.gif]
SALV.
Stabiliti questi due, voglio che pensiamo di accomodar il corpo di Venere in tal maniera, che lo stato e movimento suo possa sodisfar a ciò che di essi ci mostrano le sensate apparenze; e però riducetevi a memoria quello che, o per i discorsi passati o per vostre proprie osservazioni, avete compreso accadere in tale stella; e poi assegnatele quello stato che vi parrà convenirsele.
SIMP.
Posto che sieno vere le apparenze narrate da voi, e che ho lette ancora nel libretto delle conclusioni, cioè che tale stella non si discosti mai dal Sole oltre a certo determinato intervallo di 40 e tanti gradi, sì che ella già mai non arrivi non solamente all'opposizion del Sole, ma nè anco al quadrato, nè tampoco all'aspetto sestile; e più, che ella si mostri in un tempo quasi 40 volte maggiore che in altro tempo, cioè grandissima quando, sendo retrograda, va alla congiunzion vespertina del Sole, e piccolissima quando con movimento diretto va alla congiunzion mattutina; e di più, sendo vero che quando ella appar grandissima, si mostri di figura cornicolata, e quando appar piccolissima, si vegga rotonda perfettamente; sendo, dico, vere cotali apparenze, non veggo che si possa sfuggire di affermare, tale stella raggirarsi in un cerchio intorno al Sole, poichè tal cerchio in niuna maniera si può dire che abbracci e dentro di sè contenga la Terra, nè meno che sia inferiore al Sole, cioè tra esso e la Terra, nè anco superior al Sole.
Non può tal cerchio abbracciar la Terra, perchè Venere verrebbe talvolta all'opposizion del Sole; non può esser inferiore, perchè Venere circa l'una e l'altra congiunzione co 'l Sole si mostrerebbe falcata; nè può esser superiore, perchè si mostrerebbe sempre rotonda, nè mai cornicolata.
E però per il ricetto di lei segnerò il cerchio CH intorno al Sole, senza che egli abbracci la Terra.
SALV.
Accomodata Venere, è bene che pensiate a Mercurio, il quale, come sapete, trattenendosi sempre intorno al Sole, molto meno da lui si allontana che Venere; però considerate qual luogo convenga assegnargli.
SIMP.
Non è dubbio che, immitando egli Venere, accomodatissima stanza sarà per lui un minor cerchio dentro a questo di Venere, e pure intorno al Sole, essendo, massime della sua vicinità al Sole, argomento ed indizio assai concludente la vivacità del suo splendore sopra quello di Venere e de gli altri pianeti: potremo dunque con tal fondamento segnare il suo cerchio, notandolo con li caratteri B G.
SALV.
Marte poi dove lo metteremo?
SIMP.
Marte, perché viene all'opposizion del Sole, è necessario che co 'l suo cerchio abbracci la Terra: ma veggo ch'e' bisogna per necessità ch'egli abbracci il Sole ancora; imperocché, venendo alla congiunzion co 'l Sole, se e' non gli passasse di sopra, ma gli fusse inferiore, apparirebbe cornicolato, come fa Venere e la Luna; ma egli si mostra sempre rotondo; adunque è necessario che egli includa dentro al suo cerchio non meno il Sole che la Terra.
E perché mi sovviene che voi abbiate detto che quando esso è all'opposizion del Sole si mostra 60 volte maggiore che quando è verso la congiunzione, parmi che molto bene si accomoderà a queste apparenze un cerchio intorno al centro del Sole e che abbracci la Terra, quale io noto adesso e contrassegno D I: dove Marte nel punto D è vicinissimo alla Terra, ed è opposto al Sole; ma quando è nel punto I, è alla congiunzion co 'l Sole, ma lontanissimo dalla Terra.
E perché l'istesse apparenze si osservano in Giove ed in Saturno, se ben con assai minor diversità in Giove che in Marte, e con minor ancora in Saturno che in Giove, mi par comprendere che molto acconciamente sodisfaremo anco a questi due pianeti con due cerchi pur intorno al Sole, e questo primo per Giove segnandolo E L, ed un altro superiore per Saturno notato F M.
SALV.
Voi sin qui vi sete portato egregiamente.
E perché (come vedete) l'appressamento e discostamento de' tre superiori vien misurato dal doppio della distanza tra la Terra e 'l Sole, questa fa maggior diversità in Marte che in Giove, per essere il cerchio D I di Marte minore del cerchio E L di Giove; e similmente perché questo E L è minore del cerchio F M di Saturno, la medesima diversità è ancor minore in Saturno che in Giove: e ciò puntualmente risponde all'apparenze.
Resta ora che pensiate di assegnare il luogo alla Luna.
SIMP.
Seguendo l'istesso metodo, che mi par concludentissimo, poiché veggiamo che la Luna viene alla congiunzione ed all'opposizione del Sole, è necessario dire che il suo cerchio abbracci la Terra; ma non bisogna già che egli abbracci il Sole, perché quando ella fusse verso la congiunzione, non si mostrerebbe falcata, ma sempre rotonda e piena di lume; oltre che già mai non potrebbe ella farci, come spesse volte fa, l'eclisse del Sole, con l'interporsi tra esso e noi.
È dunque necessario assegnarle un cerchio intorno alla Terra, qual sarebbe questo N P, sí che costituita in P ci apparisca dalla Terra A congiunta co 'l Sole, onde possa talora eclissarlo, e posta in N si vegga opposta al Sole, ed in tale stato possa cadere nell'ombra della Terra ed oscurarsi.
SALV.
Ora che faremo, signor Simplicio, delle stelle fisse? Vogliamole por disseminate per gl'immensi abissi dell'universo, in diverse lontananze da qualsivoglia determinato punto, o pur collocate in una superficie sfericamente distesa intorno a un suo centro, sí che ciascheduna di loro sia dal medesimo centro egualmente distante?
SIMP.
Piú tosto torrei una strada di mezo, e gli assegnerei un orbe descritto intorno a un determinato centro e compreso dentro a due superficie sferiche, cioè una altissima concava e l'altra inferiore convessa, tra le quali costituirei l'innumerabil moltitudine delle stelle, ma però in diverse altezze; e questa si potrebbe chiamar la sfera dell'universo, continente dentro di sé gli orbi de i pianeti, già da noi disegnati.
SALV.
Adunque già aviamo noi, signor Simplicio, sin qui ordinati i corpi mondani giusto secondo la distribuzion del Copernico, e ciò si è fatto di propria mano vostra: e di piú a tutti avete voi assegnati movimenti proprii, eccettuatone il Sole, la Terra e la sfera stellata; ed a Mercurio con Venere avete attribuito il moto circolare intorno al Sole, senza abbracciar la Terra: intorno al medesimo Sole fate muover li tre superiori, Marte, Giove e Saturno, comprendendo la Terra dentro a i cerchi loro; la Luna poi non può muoversi in altra maniera che intorno alla Terra, senza abbracciar il Sole: e pure in questi moti convenite voi ancora co 'l medesimo Copernico.
Restano ora da decidere, tra il Sole, la Terra e la sfera stellata, tre cose: cioè la quiete, che apparisce esser della Terra; il movimento annuo sotto il zodiaco, che apparisce esser del Sole; e il movimento diurno, che apparisce esser della sfera stellata, con participarlo a tutto il resto dell'universo, eccettuatone la Terra.
Ed essendo vero che tutti gli orbi de' pianeti, dico di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, si muovono intorno al Sole, come centro loro, di esso Sole par tanto piú ragionevole che sia la quiete che della Terra, quanto di sfere mobili è piú ragionevole che il centro stia fermo, che alcun altro luogo da esso centro remoto: alla Terra, dunque, la qual resta costituita in mezo a parti mobili, dico tra Venere e Marte, che l'una fa la sua revoluzione in nove mesi e l'altro in due anni, molto acconciamente si può attribuire il movimento d'un anno, lasciando la quiete al Sole.
E quando ciò sia, segue per necessaria conseguenza che anco il moto diurno sia della Terra: imperocché se, stando fermo il Sole, la Terra non si rivolgesse in se stessa, ma solo avesse il movimento annuo intorno al Sole, il nostro anno non sarebbe altro che un giorno ed una notte, cioè sei mesi di giorno e sei mesi di notte, com'altra volta s'è detto.
Vedete poi quanto acconciamente vien levato dall'universo il precipitosissimo moto delle 24 ore, e come le stelle fisse, che sono tanti Soli, conforme al nostro Sole godono una perpetua quiete.
Vedete in oltre quanta agevolezza si trovi in questo primo abbozzamento, per render le ragioni di apparenze tanto grandi ne' corpi celesti.
SAGR.
Io la scorgo benissimo; ma sí come voi da questa simplicità raccogliete gran probabilità per la verità di cotal sistema, altri forse per l'opposito ne potrebbe far contrarie deduzioni, dubitando, non senza ragione, come, essendo tal costituzione antichissima de' Pittagorici e tanto bene accomodata all'apparenze, abbia poi nel progresso di migliaia d'anni auto cosí pochi seguaci, e sia sin da Aristotile medesimo stata rifiutata, e doppo l'istesso Copernico vadia continuando nell'istessa fortuna.
SALV.
Se voi, signor Sagredo, vi foste alcuna volta abbattuto, sí com'io molte e molte volte incontrato mi sono, a sentir quali sorte di scempiezze bastano a render contumace ed impersuasibile il vulgo al prestar l'orecchio, non che l'assenso, a queste novità, credo che assai in voi si diminuirebbe la meraviglia del trovarsi cosí pochi seguaci di tale opinione; ma poca stima, per mio parere, si deve fare di cervelli a i quali, per confermargli e fissamente ritenergli nell'immobilità della Terra, concludentissima dimostrazione è il vedere come stamani non saranno a desinar in Costantinopoli né stasera a cena nel Giappone, e che son certi che la Terra, come gravissima, non può montar su sopra il Sole e poi a rompicollo calare a basso.
Di questi tali, il numero de' quali è infinito, non bisogna tener conto né registrar le loro sciocchezze e cercar di fare acquisto d'uomini nella cui difinizione entra solo il genere e manca la differenza, per avergli per compagni nelle opinioni sottilissime e delicatissime.
In oltre, qual guadagno credereste voi di poter mai fare con tutte le dimostrazioni del mondo in cervelli tanto stolidi, che non sono per se stessi bastanti a conoscer le lor cosí estreme pazzie? Ma la mia, signor Sagredo, è molto differente dalla vostra meraviglia: voi vi maravigliate che cosí pochi siano seguaci della opinione de' Pitagorici; ed io stupisco come si sia mai sin qui trovato alcuno che l'abbia abbracciata e seguita, né posso a bastanza ammirare l'eminenza dell'ingegno di quelli che l'hanno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacità dell'intelletto loro fatto forza tale a i proprii sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario.
Che le ragioni contro alla vertigine diurna della Terra, già esaminate da voi, abbiano grandissima apparenza, già l'abbiamo veduto, e l'averle ricevute per concludentissime i Tolemaici, gli Aristotelici e tutti i lor seguaci, è ben grandissimo argomento della loro efficacia; ma quelle esperienze che apertamente contrariano al movimento annuo, son ben di tanto piú apparente repugnanza, che (lo torno a dire) non posso trovar termine all'ammirazion mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità.
SAGR.
Adunque siamo per avere altri contrasti gagliardi contro a questo movimento annuo ancora?
SALV.
Siamo; e tanto evidenti e sensati, che se senso superiore e piú eccellente de i comuni e naturali non si accompagnava con la ragione, dubito grandemente che io ancora sarei stato assai piú ritroso contro al sistema Copernicano, di quello che stato non sono doppo che piú chiara lampada che la consueta mi ha fatto lume.
SAGR.
Or dunque, signor Salviati, vegnamo, come si dice, alle strette, ché ogni parola che si spende in altro mi par gettata via.
SALV.
Eccomi a servirvi.
[SIMP.
Di grazia, signori, permettetemi che io riduca a tranquillità la mia mente, che ora mi ritrovo molto fluttuante per certo particolare pur ora tocco dal signor Salviati, acciò che io possa poi, spianate che siano l'onde, piú distintamente ricever le vostre specolazioni: imperò che non ben s'imprimano le spezie nello speccio ondeggiante, come il Poeta latino graziosamente ci espresse dicendo: ...
nuper me in littore vidi cum placidum ventis staret mare.
<"al lido or ora mi vidi, | placido essendo il mare di venti" (VIRGILIO, Bucoliche, ecloga II, 25-26)>
SALV.
Voi avete molto ben ragione, e però dite i vostri dubbii.
SIMP Voi avete ultimamente spacciati per egualmente d'ingegno ottuso quelli che negano alla Terra il moto diurno, perché non si veggono da quello trasportare in Persia o nel Giappone, e quelli che son contrarianti al moto annuo per la repugnanza che sentono nel dovere ammettere che la vastissima e gravissima mole del globo terrestre possa sollevarsi in alto e quindi calare abasso, come converrebbe che facesse quando intorno al Sole con tal movimento si rigirasse: ed io, non prendendo rossore d'essere annumerato tra questi sciocchi, sento l'istessa repugnanza nel mio cervello, quanto però a questo secondo punto che oppone al moto annuo, e massimamente mentre veggo quanta resistenza faccia all'esser mossa anco per piano, non dirò una montagna ma una pietra che piccola parte sia d'una rupe alpestre.
Però, non disprezzando affatto simili instanze, vi prego a risolverle, e non solo per me, quanto per altri, a i quali sembrano concludentissime; perché ho per assai difficile che alcuno, per semplice che sia, conosca e confessi la sua semplicità, mosso dal solo sentirsi reputare per tale.
SAGR.
Anzi, quanto piú semplice, tanto piú sarà egli impersuasibile del suo difetto.
E con questa occasione vo considerando come non solamente per sodisfare al signor Simplicio, ma per altro rispetto ancora, non meno importante, è bene risolver questa ed altre instanze di simil sorte; poiché si vede che non mancano uomini, nella comune filosofia ed in altre scienze versatissimi, che, per mancamento o dell'astronomia o delle matematiche o di qual altra facoltà si sia che acuisce l'ingegno alla penetrazion del vero, restano persuasi da discorsi tanto vani: per lo che mi par degna di commiserazione la condizione del povero Copernico, il quale non si può tener sicuro che la censura delle sue dottrine non possa per avventura cadere in mano di persone, che non sendo abili a restar capaci delle sue ragioni sottilissime e per ciò difficili ad esser comprese ma ben di già persuasi da simili vane apparenze della falsità di quelle, per false e per erronee le vadano predicando.
Per lo che, quando non si potessero render capaci di quelle piú astruse, è bene procurare che conoscano la nullità di queste altre, dalla qual cognizione venga moderato il giudizio e la condanna della dottrina che ora tengano per erronea.
Recherò dunque due altre obiezzioni, ma contro al moto diurno, le quali non è molto che sentii produrre da persone di gran litteratura, e poi verremo al moto annuo.
La prima fu, che quando fusse vero che non il Sole e l'altre stelle si sollevassero sopra l'orizonte orientale, ma che la parte orientale della Terra se gli abbassasse sotto, restando quelle immobili, bisognerebbe che di lí a poche ore le montagne situate a levante declinando in giú mediante la conversion del globo terrestre, si riducessero in tale stato, che dove poco fa per ascendere al lor giogo conveniva caminare all'erta, convenisse di poi, per condursi lassú, scendere alla china.
L'altra fu, che quando il moto diurno fusse della Terra, doverebbe esser tanto veloce, che uno costituito nel fondo di un pozzo non potrebbe se non per un momento di tempo vedere una stella che gli fusse sopra 'l vertice, non la potendo egli vedere se non quel brevissimo tempo nel quale passa 2 o 3 braccia della circonferenza della Terra, ché tanta sarà la larghezza del pozzo: tutta via si vede per esperienza che il passaggio apparente di tale stella, nel traversare il pozzo, consuma assai lungo tempo; argomento necessario che la bocca del pozzo non si muove altramente con quella furia che converrebbe alla diurna conversione, e, per consequenza, che la Terra è immobile.
SIMP.
Di questi 2 argomenti, il secondo veramente mi pare assai concludente: ma quanto al primo, crederei di potermi da per me stesso disbrigare, mentre considero che l'istesso è che il globo terrestre, rivolgendosi intorno al proprio centro, porti una montagna verso levante, che se, stando fermo il globo, la montagna, svelta dalla radice, fusse strascicata sopra la Terra; ed il portare il monte sopra la superficie della Terra non veggo che sia differente operazione dal condurre una nave per la superficie del mare: onde, tuttavolta che l'instanza del monte valesse, ne seguirebbe parimente che, continuando la nave il suo viaggio, discostata che ella si fusse da i nostri porti per molti gradi, ci convenisse per andare sopra 'l suo albero non piú salire, ma muoversi per la piana e poi ancora scendere; il che non accade, né io ho mai sentito alcun marinaro, etiam di quelli che hanno circondato tutto 'l globo, che ponga differenza veruna circa tale operazione, né intorno ad alcun altro ministerio che si faccia in nave, per ritrovarsi il vassello piú in questa che in qualsivoglia altra parte.
SALV.
Voi molto ben discorrete: e se all'autore di quella instanza fusse mai caduto in mente di considerare che la sua vicina montagna, postagli a levante, quando il globo terrestre girasse, di lí a 2 ore per tal moto si troverebbe condotta colà dove ora si trova, verbigrazia, il monte Olimpo o 'l Carmelo, arebbe compreso come dal suo proprio modo di argomentare si costrigneva a credere e confessare che per andare nel vertice di detti monti, de facto conviene sciendere.
Questi sono di quei cervelli atti a negar gli antipodi, atteso che non si può caminare col capo all'ingiú e coi piedi attaccati al palco; questi da concetti veri, ed anco perfettamente intesi da loro, non sanno poi dedur soluzioni facilissime a i lor dubbi: voglio dire che benissimo intendono che il gravitare e lo sciendere è tendere verso 'l centro del globo terrestre, e che 'l salire è il discostarsene; si perdono poi nell'intendere che gli antipodi nostri per sostenersi e caminare non hanno difficoltà veruna, perché fanno giusto come noi, cioè tengono le piante de' piedi verso 'l centro della Terra e 'l capo verso 'l cielo.
SAGR.
E pur sappiamo, uomini in altre dottrine di subblimi ingegni essersi abbagliati in tali cognizioni; dal che tanto maggiormente vien confermato quello che pur ora dicevo, cioè che è bene rimuover tutte le obbiezzioni, ancor che debolissime: e però rispondasi pur ancora a quei del pozzo.
SALV Questo secondo argomento ha bene in apparenza un non so che piú del concludente; tutta via io tengo per fermo che quando si potesse interrogare quell'istesso a chi e' sovvenne, acciò meglio si spiegasse con dichiarare qual sia precisamente l'effetto che dovrebbe seguire, e che gli par che non segua, posta la conversion diurna esser della Terra, credo, dico, che egli si avvilupperebbe nell'espor la sua difficoltà con le sue conseguenze, forse non meno di quel ch'e' farebbe nello svilupparsene col pensarvi.
SIMP.
S'io debbo dire 'l vero, stimo certo che cosí accaderebbe, imperò che io ancora di presente mi trovo nella medesima confusione: perché mi pare che l'argomento stringa, quanto alla prima apprensione; ma all'incontro veggo come per nebbia che se il discorso procedesse rettamente, quella immensa rapidità di corso che si dovrebbe scorger nella stella quando il moto fusse della Terra, si doverebbe ancora, anzi molto piú, scorger nella medesima quando il moto fusse suo, dovendo esser molte migliaia di volte piú veloce nella stella che nella Terra.
All'incontro poi, l'aversi a perder la vista della stella per il solo trapasso della bocca del pozzo, che sarà poi 2 o tre braccia di diametro, mentre il pozzo con la Terra ne trapassano assai piú di 2.000.000 in un'ora, par ben che abbia da esser cosa tanto momentanea, che né anco possa esser compresa; e pur dal fondo del medesimo pozzo per assai lungo spazio di tempo vien ella veduta.
Però vengo in desiderio d'esser ridotto in chiaro di questo negozio.
SALV.
Ora mi confermo io maggiormente nel credere la confusione dell'autor dell'instanza, mentre veggo che voi ancora, signor Simplicio, adombrate, né ben possedete, quello che dir vorreste: il che raccolgo io principalmente dal tralasciar voi una distinzione, che è un punto principalissimo in questa faccenda.
Però ditemi se nel far questa esperienza, dico di questo trapasso di stella sopra la bocca del pozzo, voi fate differenza veruna dall'essere il pozzo piú o men profondo, cioè dall'esser quello che osserva piú o men distante dalla bocca; perché non vi ho sentito far caso sopra ciò.
SIMP.
Veramente non ci ho applicato il pensiero, ma ben la vostra interrogazione mi sveglia la mente, e mi accenna, tal distinzione dovere esser necessariissima; e già comincio a comprendere che per determinare il tempo di tal passaggio, la profondità del pozzo può per avventura arrecar diversità non minore che la larghezza.
SALV.
Anzi pur vo io dubitando che la larghezza non ci abbia che far niente, o pochissimo.
SIMP.
E pur mi pare che dovendo scorrer 10 braccia di larghezza ricerchi dieci volte piú tempo che il trapasso di un braccio: e son sicuro che una barchetta lunga 10 braccia prima mi trapasserà innanzi alla vista, che una galera lunga cento.
SALV.
E pur persistiamo ancora in quello inveterato concetto, di non ci muover se non tanto quanto le nostre gambe ci portano.
Questo che voi dite, signor Simplicio mio, è vero quando l'oggetto veduto si muove stando voi fermo a osservarlo; ma se voi sarete nel pozzo quando il pozzo e voi insieme siate portati dalla terrestre conversione, non vedete voi che né in un'ora né in mille né in eterno sarete trapassato dalla bocca del pozzo? Quello che in tal caso operi in voi il muoversi o non muoversi la Terra, non può riconoscersi nella bocca del pozzo, ma in altro oggetto separato e che non partecipi della medesima condizione, dico di moto o di quiete.
SIMP.
Tutto sta bene: ma posto che io, stando nel pozzo, sia portato di conserva con esso dal moto diurno, e che la stella da me veduta sia immobile, non essendo l'apertura del pozzo, che sola dà il passaggio alla mia vista, piú di tre braccia de i tanti milioni di braccia del resto della superficie terrestre, che la vista m'impedisce, come potrà essere il tempo della veduta sensibil parte di quello dell'occultazione?
SALV.
E pur ricadete nel medesimo equivoco: ed in effetto sete bisognoso di chi v'aiuti a uscirne.
Non è, signor Simplicio, la larghezza del pozzo quella che misura il tempo dell'apparizion della stella, perché cosí la vedreste perpetuamente, essendo che perpetuamente la bocca del pozzo dà il transito alla vostra vista; ma tal misura si deve prendere dalla quantità del cielo immobile, che per l'apertura del pozzo vi resta visibile.
SIMP.
Ma quello che mi si scuopre del cielo non è egli tal parte di tutta la sfera celeste, quale è la bocca del pozzo di tutta la terrestre?
SALV.
Voglio che vi rispondiate da voi medesimo; però ditemi, se la bocca del medesimo pozzo è sempre la medesima parte della superficie terrena.
SIMP.
È senza dubbio la medesima sempre.
SALV.
E la parte del cielo veduta da quello che è nel pozzo, è ella sempre la medesima quantità di tutta la sfera celeste?
SIMP.
Ora comincio a disottenebrarmi la mente e a intender quello che poco fa mi accennaste, e che la profondità del pozzo ha che fare assai nel presente negozio; perché non è dubbio che quanto piú si allontanerà l'occhio dalla bocca del pozzo, minor parte del cielo si scoprirà, la qual poi, in consequenza, piú presto verrà trapassata e persa di vista da colui che dal profondo del pozzo la rimirerà
SALV.
Ma èvv'egli luogo alcuno nel pozzo dal quale si scoprisse tal parte appunto della celeste sfera, quale è la bocca del pozzo della superficie terrena?
SIMP.
Parmi che quando si profondasse il pozzo sino al centro della Terra, forse di là si scoprirebbe una parte di cielo, che sarebbe di lui quale è il pozzo della Terra.
Ma discostandosi dal centro e salendo verso la superficie, si vien sempre scoprendo parte maggiore di esso cielo.
SALV.
E finalmente, posto l'occhio nel piano della bocca del pozzo, si scuopre la metà del cielo o pochissimo meno, per la qual passare (dato che noi fussimo sotto l'equinoziale) ci vuol 12 ore di tempo.] Già vi ho disegnato la forma del sistema Copernicano: contro alla verità del quale muove prima fierissimo assalto Marte istesso, il quale, quando fusse vero che variasse tanto le sue distanze dalla Terra che dalla minima alla massima lontananza ci fusse differenza quanto è due volte dalla Terra al Sole, sarebbe necessario che quando è a noi vicinissimo si mostrasse il suo disco piú di 60 volte maggiore di quello che si mostra quando è lontanissimo; tuttavia tal diversità di apparente grandezza non ci si scorge, anzi nella opposizione al Sole, quando è vicino alla Terra, non si mostra né anco 4 o 5 volte piú grande che quando, verso la congiunzione, viene occultato sotto i raggi del Sole.
Altra e maggior difficultà ci fa Venere, che se girando intorno al Sole, come afferma il Copernico, gli fusse ora sopra ed ora sotto, allontanandosi ed appressandosi a noi quanto verrebbe ad esser il diametro del cerchio da lei descritto, quando fusse sotto il Sole e a noi vicinissima, dovrebbe il suo disco mostrarcisi poco meno di 40 volte maggiore che quando è superiore al Sole, vicina all'altra sua congiunzione; tutta via la differenza è quasi impercettibile.
Aggiugnesi un'altra difficultà: che quando il corpo di Venere sia per se stesso tenebroso, e solo risplenda, come la Luna, per l'illuminazion del Sole, come par ragionevole, quando ella si ritrova sotto il Sole, dovrebbe mostrarcisi falcata, come la Luna quando parimente ell'è vicina al Sole: accidente che in lei non apparisce; per lo che il Copernico pronunziò che ella o fusse lucida per se medesima, o che la sua materia fusse tale, che potesse imbeversi del lume solare e quello trasmettere per tutta la sua profondità, sí che potesse mostrarcisi sempre risplendente: ed in questo modo scusò il Copernico il non mutar figura in Venere; ma della poco variata grandezza di lei non disse cosa veruna, e di Marte assai meno del suo bisogno, credo per non poter a sua sodisfazion salvare un'apparenza tanto repugnante alla sua posizione: e pur, persuaso da tanti altri rincontri, ci si mantenne, e l'ebbe per vera.
Oltre a queste cose, il far che tutti i pianeti, insieme con la Terra, si muovano intorno al Sole, come centro delle lor conversioni, e che la Luna sola perturbi cotale ordine, ed abbia il suo movimento proprio intorno alla Terra, e che insieme insieme ed essa e la Terra e tutta la sfera elementare si muova in un anno intorno al Sole, par che alteri in guisa l'ordine, che lo renda inverisimile e falso.
Queste son quelle difficultà che mi fanno maravigliare come Aristarco e il Copernico, che non può esser che non l'abbiano osservate, non le avendo poi potute risolvere, ad ogni modo abbiano per altri mirabili riscontri confidato tanto in quello che la ragione gli dettava, che pur confidentemente abbiano affermato, non poter la struttura dell'universo avere altra forma che la da loro disegnata.
Ci sono poi altre gravissime e bellissime difficultà, non cosí agevoli da esser risolute da gli ingegni mediocri, ma però penetrate e dichiarate dal Copernico, le quali noi rimetteremo piú di sotto, doppo che averemo risposto ad altre opposizioni di altri, che si mostrano contrarie a questa posizione.
Ora venendo alle dichiarazioni e risposte alle tre addotte gravissime obiezioni, dico che le due prime non solamente non contrariano al sistema Copernicano, ma grandemente ed assolutamente lo favoriscono; perché e Marte e Venere si mostrano diseguali a se stessi, secondo le proporzioni assegnate, e Venere sotto il Sole si mostra falcata, e va puntualmente mutando sue figure nello stesso modo che fa la Luna.
SAGR.
Ma com'è stato questo occulto al Copernico, e manifesto a voi?
SALV.
Queste cose non possono esser comprese se non co 'l senso della vista, il quale da natura non è stato conceduto a gli uomini tanto perfetto, che sia potuto arrivare a discerner tali differenze; anzi pur lo strumento stesso del vedere a se medesimo reca impedimento: ma doppo che all'età nostra è piaciuto a Dio di concedere all'umano ingegno tanto mirabil invenzion, di poter perfezionar la nostra vista co 'l multiplicarla 4, 6, 10, 20, 30 e 40 volte, infiniti oggetti che, o per la loro lontananza o per la loro estrema piccolezza, ci erano invisibili, si sono co 'l mezo del telescopio resi visibilissimi.
SAGR.
Ma Venere e Marte non sono de gli oggetti invisibili per la lor lontananza o piccolezza, anzi pur gli comprendiamo noi con la semplice vista naturale: perché dunque non distinguiamo noi le differenze delle grandezze e figure loro?
SALV.
In questo ci ha gran parte l'impedimento del nostro occhio stesso, come pur ora vi ho accennato, dal quale gli oggetti risplendenti e lontani non ci vengono rappresentati semplici e schietti; ma ce gli porge inghirlandati di raggi avventizii e stranieri, cosí lunghi e folti, che il lor nudo corpicello ci si mostra ingrandito 10, 20, 100 e mille volte piú di quello che ci si rappresenterebbe quando se gli levasse il capellizio radioso non suo.
SAGR.
Ora mi sovviene d'aver letto non so che in questa materia, non so se nelle Lettere Solari o nel Saggiatore del nostro amico comune: ma non sarà se non bene, sí per ridurlo in memoria a me sí per intelligenza del signor Simplicio, che forse non ha viste tali scritture, dichiararci piú distintamente come sta questo negozio, la cui cognizione penso che sia molto necessaria per ben restar capace di quello che ora si tratta.
SIMP.
A me veramente giugne nuovo tutto quello che di presente vien portato dal signor Salviati; ché, per dire il vero, non ho auto curiosità di legger cotesti libri, né ho sin qui prestato molta fede all'occhiale nuovamente introdotto, anzi, seguendo le pedate de gli altri filosofi peripatetici miei consorti, ho creduto esser fallacie e inganni de i cristalli quelle che altri hanno ammirate per operazioni stupende: e però, quando io sia sin qui stato in errore, mi sarà caro d'esserne cavato; e allettato dall'altre novità udite da voi, starò piú attentamente a sentire il resto.
SALV.
La confidenza che hanno questi tali uomini del proprio loro accorgimento è non meno fuor di ragione di quel che sia la poca stima che fanno del giudizio altrui; ed è gran cosa che si stimino atti a poter giudicar meglio d'un tale strumento senza averlo mai sperimentato, che quelli che mille e mille esperienze ne hanno fatte e ne fanno ogni giorno.
Ma lasciamo, di grazia, questa sorta di pervicaci, che non si possono né anco tassare senza onorargli piú che non meritano: e tornando al nostro proposito, dico che gli oggetti risplendenti, o sia che il loro lume si refranga nella umidità che è sopra le pupille, o si refletta ne gli orli delle palpebre, spargendo i suoi raggi reflessi sopra le medesime pupille, o sia pur per altra cagione, si mostrano all'occhio nostro circondati di nuovi raggi, e perciò maggiori assai di quello che ci si rappresenterebbero i corpi loro spogliati di tale irradiazione; e questo ingrandimento si fa con maggiore e maggior proporzione secondo che tali oggetti lucidi son minori e minori; in quella guisa appunto che se noi supponessimo che il ricrescimento de' crini risplendenti fusse, verbigrazia, quattro dita, la qual giunta fatta intorno a un cerchio che avesse quattro dita di diametro accrescerebbe nove volte la sua apparente grandezza, ma...
SIMP.
Dubito che voi abbiate voluto dir tre volte; perché aggiunto quattro dita di qua e quattro di là al diametro d'un cerchio che sia pur quattro dita, si viene a triplicar la sua quantità, e non a crescerla nove volte.
SALV.
Un poco di geometria, signor Simplicio.
È vero che 'l diametro cresce tre volte, ma la superficie, che è quella della quale noi parliamo, cresce nove volte; perché, signor Simplicio, le superficie de i cerchi son fra di loro come i quadrati de i lor diametri, ed un cerchio che abbia quattro dita di diametro ad un altro che ne abbia dodici ha quella proporzione che ha il quadrato di quattro al quadrato di dodici, cioè che ha 16 a 144, e però sarà maggior di quello nove volte, e non tre: che sia per avvertimento al signor Simplicio.
E seguendo avanti, se noi aggiugneremo la capellatura medesima di quattro dita a un cerchio che avesse due dita di diametro solamente, già il diametro della ghirlanda sarebbe dieci dita, e la piazza del cerchio all'area del nudo corpicello sarebbe come 100 a 4, ché tali sono i quadrati di 10 e di 2; l'ingrandimento dunque sarebbe di 25 volte tanto: e finalmente le 4 dita di crini aggiunte a un picciol cerchio d'un dito di diametro l'ingrandirebbero 81 volta: e cosí continuamente i ricrescimenti si fanno con maggior e maggior proporzione, secondo che gli oggetti reali, che si ricrescono, son minori e minori.
SAGR.
La difficultà che ha dato fastidio al signor Simplicio, veramente non l'ha dato a me, ma son bene alcune altre cose delle quali io desidero piú chiara intelligenza; ed in particolare vorrei intendere sopra qual fondamento voi affermate che tale ricrescimento sia sempre eguale in tutti gli oggetti visibili.
SALV.
Già mi son io in parte dichiarato, mentre ho detto ricrescer solamente gli oggetti lucidi, e non gli oscuri; ora aggiungo il rimanente: che degli oggetti risplendenti quelli che son di luce piú viva, maggior fanno e piú forte la reflessione sopra la nostra pupilla, onde molto piú mostrano d'ingrandirsi che i manco lucidi.
E per non mi distender piú lungamente sopra questo particolare, venghiamo a quello che la vera maestra ci insegna.
Guardiamo questa sera, quando l'aria sia bene scurita, la stella di Giove; noi la vedremo raggiante assai e molto grande: facciamo poi passar la vista nostra per un cannello, o anco per un piccolo spiraglio che, strignendo il pugno ed accostandocelo all'occhio, lasceremo tra la palma della mano e le dita, o veramente per un foro fatto con un sottile ago in una carta; vedremo il disco del medesimo Giove spogliato de i raggi, ma cosí piccolo che ben lo giudicheremo minore anco della sessantesima parte di quello che ci apparisce la sua gran fiaccola veduta con l'occhio libero: potremo doppo riguardare il Cane, stella bellissima e maggior di tutte l'altre fisse, la quale all'occhio libero si rappresenta non gran fatto minor di Giove; ma toltagli poi nel modo detto la capellatura, si vedrà il suo disco cosí piccolo, che ben non si giudicherà la ventesima parte di quel di Giove, anzi chi non è di vista perfettissima a gran fatica lo scorgerà: dal che si può ragionevolmente concludere che tale stella, come quella che è di un lume grandemente piú vivo che quel di Giove, fa la sua irradiazione maggiore che Giove la sua.
L'irradiazion poi del Sole e della Luna è come nulla, mediante la grandezza loro, la quale occupa per sé sola tanto spazio nell'occhio nostro, che non lascia luogo per i raggi avventizii; tal che i dischi loro si veggono tosi e terminati.
Potremo assicurarci della medesima verità con un'altra esperienza, da me piú volte fatta; assicurarci, dico, come i corpi splendenti di luce piú vivace si irraggiano assai piú che quelli che sono di luce piú languida.
Io ho piú volte veduto Giove e Venere insieme, lontani dal Sole 25 o 30 gradi, ed essendo l'aria assai imbrunita, Venere pareva bene 8 ed anco 10 volte maggior di Giove, mentre però si riguardavono con l'occhio libero; ma guardati poi co 'l telescopio, il disco di Giove si scorgeva veramente maggior quattro e piú volte di quel di Venere, ma la vivacità dello splendor di Venere era incomparabilmente maggiore della luce languidissima di Giove: il che da altro non procedeva che dall'esser Giove lontanissimo dal Sole e da noi, e Venere vicina a noi ed al Sole.
Dichiarate queste cose, non sarà difficile a intender come possa esser che Marte, quand'è all'opposizion del Sole, e però vicino a Terra sette volte e piú che quando è verso la congiunzione, appena ci si mostri maggiore 4 o 5 volte in quello stato che in questo, mentre lo doveremmo vedere piú di 50 volte tanto: di che la sola irradiazione è causa; ché se noi lo spoglieremo de i raggi avventizii, lo troveremo precisamente ingrandito con la debita proporzione: per levargli poi la chioma, il telescopio è l'unico e l'ottimo mezo, il quale, ingrandendo il suo disco 900 o mille volte, ce lo fa veder nudo e terminato come quel della Luna, e differente da se stesso nelle due posizioni secondo la debita proporzione a capello.
In Venere poi, che nella sua congiunzion vespertina, quando è sotto il Sole, si dovrebbe mostrar quasi 40 volte maggiore che nell'altra congiunzion mattutina, e pur non si vede né anco raddoppiata, accade, oltre all'effetto della irradiazione, ch'ell'è falcata, e le sue corna, oltre all'esser sottili, ricevono il lume del Sole obliquamente, e però assai languido, talché, per esser poco e debile, meno ampla e vivace si fa la sua irradiazione che quando si mostra a noi co 'l suo emisferio tutto lucido; ma però il telescopio apertamente ci mostra le sue corna cosí terminate e distinte come quelle della Luna, e veggonsi come di un cerchio grandissimo, ed a proporzione maggiori quelle quasi 40 volte del suo medesimo disco, quando è superiore al Sole nell'ultima sua apparizion mattutina.
SAGR.
Oh Niccolò Copernico, qual gusto sarebbe stato il tuo nel veder con sí chiare esperienze confermata questa parte del tuo sistema!
SALV.
Sí; ma quanto minore la fama della sublimità del suo ingegno appresso a gl'intendenti! mentre si vede, come pur dissi dianzi, aver egli costantemente continuato nell'affermare, scorto dalle ragioni, quello di cui le sensate esperienze mostravano il contrario: che io non posso finir di stupire ch'egli abbia pur costantemente voluto persistere in dir che Venere giri intorno al Sole, ed a noi sia meglio di sei volte piú lontana una volta che un'altra, e pur sempre si mostri eguale a se stessa, quando ella dovrebbe mostrarsi quaranta volte maggiore.
SAGR.
In Giove, in Saturno ed in Mercurio credo pur che si devano veder ancor le differenze delle lor grandezze apparenti puntualmente rispondere alle lor variate lontananze.
SALV.
Ne' due superiori le ho io precisamente osservate quasi ogni anno da ventidua anni in qua: in Mercurio non si può fare osservazione di momento, per non si lasciar egli vedere se non nelle sue massime digressioni dal Sole, nelle quali le sue distanze dalla Terra sono insensibilmente diseguali e però tali differenze inosservabili, come anco le mutazioni di figure, che assolutamente bisogna che seguano come in Venere; e quando lo vediamo, dovrebbe mostrarsi in figura di mezo cerchio, come fa Venere ancora nelle sue massime digressioni; ma il suo disco è tanto piccolo e 'l suo splendore tanto vivace, per esser egli cosí vicino al Sole, che non basta la virtú del telescopio a radergli il crine, sí che egli apparisca tutto tosato.
Restaci da rimuover quella che pareva grande sconvenevolezza nel moto della Terra, cioè che, volgendosi tutti i pianeti intorno al Sole, ella solamente non solitaria come gli altri, ma in compagnia della Luna, insieme con tutta la sfera elementare, andasse in un anno intorno al Sole, ed insieme insieme si movesse l'istessa Luna ogni mese intorno alla Terra.
Qui è forza esclamar un'altra volta ed esaltare l'ammirabil perspicacità del Copernico ed insieme compiagner la sua disavventura, poiché egli non vive al nostro tempo, quando, per tòr via l'apparente assurdità del movimento in conserva della Terra e della Luna, vediamo Giove, quasi un'altra Terra, non in conserva di una Luna, ma accompagnato da quattro Lune, andare intorno al Sole in 12 anni, con tutto quello che può esser contenuto dentro a gli orbi delle quattro stelle Medicee.
SAGR.
Per qual cagione chiamate voi Lune i quattro pianeti gioviali?
SALV.
Tali si rappresentan elleno a chi stando in Giove le riguardasse.
Imperocché esse per se stesse son tenebrose, e dal Sole ricevono il lume, il che è manifesto dal suo rimaner eclissate quando entrano nel cono dell'ombra di Giove; e perché di esse vien solamente illuminato l'emisferio che riguarda verso il Sole, a noi, che siamo fuor de i loro orbi e piú vicini al Sole, si mostrano sempre tutte lucide; ma a chi fusse in Giove si mostrerebbero tutte luminose quando fussero nelle parti superiori de i lor cerchi, ma nelle parti inferiori, cioè tra Giove e 'l Sole, da Giove si scorgerebbon falcate: ed in somma farebbero a i Gioviali le mutazioni stesse di figure che a noi Terrestri fa la Luna.
Vedete ora quanto mirabilmente si accordano co 'l sistema Copernicano queste tre prime corde, che da principio parevan sí dissonanti.
Di qui potrà intanto il signor Simplicio vedere con quanta probabilità si possa concludere che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de i pianeti: e poiché la Terra vien collocata tra i corpi mondani che indubitatamente si muovono intorno al Sole, cioè sopra Mercurio e Venere, e sotto a Saturno, Giove e Marte, come parimente non sarà probabilissimo e forse necessario concedere che essa ancora gli vadia intorno?
SIMP.
Questi accidenti son tanto grandi e cospicui, che non è possibile che Tolomeo e gli altri suoi seguaci non ne abbiano avuto cognizione; ed avendol auta, è pur necessario che abbiano ancor trovata maniera di render di tali e cosí sensate apparenze sufficiente ragione, ed anco assai congrua e verisimile, poiché per sí lungo tempo è stata ricevuta da tanti e tanti.
SALV.
Voi molto ben discorrete; ma sappiate che il principale scopo de i puri astronomi è il render solamente ragione delle apparenze ne i corpi celesti, ed ad esse ed a i movimenti delle stelle adattar tali strutture e composizioni di cerchi, che i moti secondo quelle calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco curandosi di ammetter qualche esorbitanza che in fatto, per altri rispetti, avesse del difficile: e l'istesso Copernico scrive, aver egli ne' primi suoi studii restaurata la scienza astronomica sopra le medesime supposizioni di Tolomeo, e in maniera ricorretti i movimenti de i pianeti, che molto aggiustatamente rispondevano i computi all'apparenze e l'apparenze a i calcoli, tuttavia però che si prendeva separatamente pianeta per pianeta; ma soggiugne che nel voler poi comporre insieme tutta la struttura delle fabbriche particolari, ne risultava un mostro ed una chimera composta di membra tra di loro sproporzionatissime e del tutto incompatibili, sí che, quantunque si sodisfacesse alla parte dell'astronomo puro calcolatore, non però ci era la sodisfazione e quiete dell'astronomo filosofo.
E perché egli molto ben intendeva, che se con assunti falsi in natura si potevan salvar le apparenze celesti, molto meglio ciò si sarebbe potuto ottenere dalle vere supposizioni, si messe a ricercar diligentemente se alcuno tra gli antichi uomini segnalati avesse attribuita al mondo altra struttura che la comunemente ricevuta di Tolomeo; e trovando che alcuni Pitagorici avevano in particolare attribuito alla Terra la conversion diurna, ed altri il movimento annuo ancora, cominciò a rincontrar con queste due nuove supposizioni le apparenze e le particolarità de i moti de i pianeti, le quali tutte cose egli aveva prontamente alle mani, e vedendo il tutto con mirabil facilità corrisponder con le sue parti, abbracciò questa nuova costituzione ed in essa si quietò.
SIMP.
Ma quali esorbitanze sono nella costituzione tolemaica, che maggiori non ne sieno in questa copernicana?
SALV.
Sono in Tolomeo le infermità, e nel Copernico i medicamenti loro.
E prima, non chiameranno tutte le sette de i filosofi grande sconvenevolezza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il proprio centro, e regolarmente sopra un altro punto? e pur di tali movimenti difformi sono nella fabbrica di Tolomeo; ma nel Copernico tutti sono equabili intorno al proprio centro.
In Tolomeo bisogna assegnare a i corpi celesti movimenti contrarii, e far che tutti si muovano da levante a ponente ed insieme insieme da ponente verso levante; che nel Copernico son tutte le revoluzion celesti per un sol verso, da occidente in oriente.
Ma che diremo noi dell'apparente movimento de i pianeti, tanto difforme che non solamente ora vanno veloci ed ora piú tardi, ma talvolta del tutto si fermano, ed anco dopo per molto spazio ritornano in dietro? per la quale apparenza salvare introdusse Tolomeo grandissimi epicicli, adattandone un per uno a ciaschedun pianeta, con alcune regole di moti incongruenti, li quali tutti con un semplicissimo moto della Terra si tolgono via.
E non chiamereste voi, signor Simplicio, grandissimo assurdo se nella costruzion di Tolomeo, dove a ciascun pianeta sono assegnati proprii orbi, l'uno superior all'altro, bisognasse bene spesso dire che Marte, costituito sopra la sfera del Sole, calasse tanto che, rompendo l'orbe solare, sotto a quello scendesse, ed alla Terra piú che il corpo solare si avvicinasse, e poco appresso sopra il medesimo smisuratamente si alzasse? e pur questa ed altre esorbitanze dal solo e semplicissimo movimento annuo della Terra vengono medicate.
SAGR.
Queste stazioni, regressi e direzioni, che sempre mi son parse grandi improbabilità, vorrei io meglio intendere come procedano nel sistema Copernicano.
SALV.
Voi, Sig.
Sagredo, le vedrete proceder talmente, che questa sola coniettura dovrebbe esser bastante, a chi non fusse più che protervo o indisciplinabile a farlo prestar l'assenso a tutto il rimanente di tal dottrina.
Vi dico dunque che, nulla mutato nel movimento di Saturno di 30 anni in quel di Giove di 12, in quel di Marte di 2, in quel di Venere di 9 mesi, e in quel di Mercurio di 80 giorni incirca, il solo movimento annuo della Terra tra Marte e Venere cagiona le apparenti inegualità ne' moti di tutte le 5 stelle nominate: e per facile e piena intelligenza del tutto ne voglio descriver la sua figura.
Per tanto supponete nel centro o esser collocato il Sole, intorno al quale [vedi figura 22.gif] noteremo l'orbe descritto dalla Terra co 'l movimento annuo B G M, ed il cerchio descritto, v.
g., da Giove intorno al Sole in 12 anni sia questo bgm, e nella sfera stellata intendiamo il zodiaco yus; in oltre nell'orbe annuo della Terra prenderemo alcuni archi eguali BC, CD, DE, EF, FG, GH H I, I K, K L, L M, e nel cerchio di Giove noteremo altri archi passati ne' medesimi tempi ne' quali la Terra passa i suoi, che sieno bc, cd, de, ef, fg, gh, hi, ik, kl, lm, che saranno a proporzione ciascheduno minor di quelli notati nell'orbe della Terra, sì come il movimento di Giove sotto il zodiaco è più tardo dell'annuo.
Supponendo ora, che quando la Terra è in B, Giove sia in b, ci apparirà a noi nel zodiaco essere in p, tirando la linea retta Bbp: intendasi ora la Terra mossa da B in C, e Giove da b in c nell'istesso tempo; ci apparirà Giove esser venuto nel zodiaco in q, e mosso direttamente secondo l'ordine de' segni p, q: passando poi la Terra in D, e Giove in d si vedrà nel zodiaco in r, e da E Giove arrivato in e apparirà nel zodiaco in s, mosso pur sempre direttamente.
Ma cominciando poi la Terra a interporsi più dirittamente tra Giove e 'l Sole, venuta che ella sia in F, e Giove in f, ci apparirà in t già aver cominciato a ritornare apparentemente in dietro sotto il zodiaco; ed in quel tempo che la Terra averà passato l'arco EF, Giove si sarà trattenuto dentro a i punti s, t, e mostrandosi a noi quasi fermo e stazionario.
Venuta poi la Terra in G, e Giove in g all'opposizion del Sole, si vedrà nel zodiaco in u, e grandemente ritornato in dietro per tutto l'arco del zodiaco tu, ancor che egli, seguendo sempre il suo corso uniforme, sia veramente andato innanzi non solo nel suo cerchio, ma nel zodiaco ancora, rispetto al centro di esso zodiaco ed al Sole, in quello collocato; continuando poi e la Terra e Giove i movimenti loro, venuta che sia la Terra in H e Giove in h, si vedrà grandemente tornato indietro nel zodiaco per tutto l'arco ux: venuta la Terra in I e Giove in i, nel zodiaco si sarà apparentemente mosso per il piccolo spazio xy, ed ivi apparirà stazionario.
Quando poi conseguentemente la Terra sarà venuta in K e Giove in k, nel zodiaco avrà passato l'arco yn con moto diretto; e seguendo il corso suo, la Terra da L vedrà Giove in l nel punto z: e finalmente Giove in m si vedrà dalla Terra M passato in a, con moto pur diretto; e tutta la sua apparente retrogradazione nel zodiaco sarà quanto è l'arco sy, fatta da Giove mentre che egli nel proprio cerchio passa l'arco ei e la Terra nel suo l'arco EI.
E questo che si è detto di Giove, intendasi di Saturno e di Marte ancora, ed in Saturno tali regressi esser alquanto più frequenti che in Giove, per esser il moto suo più tardo di quel di Giove, sì che la Terra in più breve spazio di tempo lo raggiugne; in Marte poi son più rari, per essere il moto suo più veloce che quel di Giove, onde la Terra più tempo spende in racquistarlo.
Quanto poi a Venere ed a Mercurio, i cerchi de i quali son compresi da quel della Terra, appariscono pur le loro stazioni e regressi cagionati non da i moti di quelli, che realmente sien tali, ma dal moto annuo di essa Terra, come acutamente dimostra il Copernico con Apollonio Pergeo, nel libro 5 delle sue Revoluzioni al cap.
35.
Voi vedete, Signori, con quanta agevolezza e simplicità il moto annuo, quando fusse della Terra, si accomoda a render ragione delle apparenti esorbitanze che si osservano ne i movimenti de i cinque pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, levandole via tutte e riducendole a moti equabili e regolari; e di questo maraviglioso effetto è stato Niccolò Copernico il primo che ci ha resa manifesta la cagione.
Ma di un altro, non men di questo ammirando e che con nodo forse di piú difficile scioglimento strigne l'intelletto umano ad ammetter questa annua conversione e lasciarla al nostro globo terrestre, nuova ed inopinata coniettura ce n'arreca il Sole stesso, il quale mostra di non aver voluto esso solo sfuggir l'attestazione di una conclusione tanto insigne, anzi, come testimonio maggior di ogni eccezione, ci è voluto essere a parte.
Sentite dunque l'alta e nuova maraviglia.
Fu il primo scopritore ed osservatore delle macchie solari, sí come di tutte l'altre novità celesti, il nostro Academico Linceo; e queste scopers'egli l'anno 1610, trovandosi ancora alla lettura delle Matematiche nello Studio di Padova, e quivi ed in Venezia ne parlò con diversi, de i quali alcuni vivono ancora: ed un anno doppo le fece vedere in Roma a molti Signori, come egli asserisce nella prima delle sue Lettere al signor Marco Velsero, Duumviro d'Augusta.
Esso fu il primo che, contro alle opinioni de i troppo timidi e troppo gelosi dell'inalterabilità del cielo, affermò tali macchie esser materie che in tempi brevi si producevano e si dissolvevano; che, quanto al luogo, erano contigue al corpo del Sole, e che intorno a quello si rigiravano, o vero, portate dall'istesso globo solare, che in se stesso circa il proprio centro nello spazio quasi di un mese si rivolgesse, finivano loro conversioni: il qual moto giudicò sul principio farsi dal Sole intorno ad un asse eretto al piano dell'eclittica, atteso che gli archi descritti da esse macchie sopra il disco del Sole apparivano all'occhio nostro linee rette ed al piano dell'eclittica parallele; le quali però venivano alterate in parte di alcuni movimenti accidentarii, vaganti ed irregolari, a i quali elleno son sottoposte, e per i quali tumultuariamente e senza ordine alcuno si vanno tra di loro mutando di sito, ora accozzandosi molte insieme, ora disseparandosi, ed alcuna in piú dividendosi, e grandemente mutandosi di figure, per lo piú molto stravaganti.
E benché tali incostanti mutazioni alterassero in parte il periodico primario corso di esse macchie, non fecero però mutar pensiero all'amico nostro, sí che ei credesse che di tali deviazioni fusse alcuna cagione essenziale e ferma, ma continuò di credere che tutta l'apparente alterazione derivasse da quelle accidentarie mutazioni; in quella guisa appunto che accaderebbe a chi da lontane regioni osservasse il moto delle nostre nugole, le quali si scorgerebbero muoversi di moto velocissimo, grande e costante, portate dalla vertigine diurna della Terra (quando tal moto fusse suo) in ventiquattr'ore per cerchi paralleli all'equinoziale, ma però alterati in parte da i movimenti accidentarii cagionatigli da i venti, li quali verso diverse parti del mondo casualmente le spingono.
Occorse in questo tempo che il signor Velsero gli mandò alcune lettere scritte da certo finto Apelle in materia di queste macchie, ricercandolo con instanza che gli volesse liberamente dire il suo parere sopra tali lettere, e di piú significargli qual fusse l'opinion sua circa l'essenza di tali macchie: al che egli sodisfece con tre Lettere, mostrando prima quanto fussero vani i pensieri di Apelle, e scoprendogli secondariamente le proprie opinioni, con predirgli appresso che assolutamente Apelle, consigliatosi meglio col tempo, era per venire nella sua opinione, sí come poi seguí.
E perché parve al nostro Academico (sí come parve anco ad altri intelligenti delle cose della natura) d'avere investigato e dimostrato nelle dette tre Lettere se non quanto si poteva dalla curiosità umana desiderare e ricercare, almeno quanto si poteva per umani discorsi conseguire in cotal materia, intermesse per alcun tempo (occupato in altri studii) le continuate osservazioni, e solo per compiacere a qualche amico, faceva seco tal volta alcuna osservazione alla spezzata; sin che incontratosi meco, doppo alcuni anni, essendo noi nella mia villa delle Selve, in una delle solari macchie solitaria, assai grande e densa, invitati anco da una chiarissima e continuata serenità di cielo, si fecero a mia richiesta osservazioni di tutto il transito di quella, appuntando diligentemente sopra la carta i luoghi di giorno in giorno, nell'ora che il Sole si trovava nel meridiano; ed accortici come il viaggio suo non era altrimenti per linea retta, ma alquanto incurvata, venimmo in pensiero di fare altre osservazioni di tempo in tempo: alla quale impresa gagliardamente ci stimulò un concetto che repentinamente cascò in mente all'ospite mio, e con tali parole mel conferí: "Filippo, a gran conseguenza mi par che ci si apra la strada.
Imperocché, se l'asse intorno al quale si rivolge il Sole non è eretto perpendicolarmente al piano dell'eclittica, ma sopra di quello è inclinato, come il pur ora osservato passaggio incurvato mi accenna, tal coniettura avremo degli stati del Sole e della Terra, quale né sí ferma né sí concludente da verun altro rincontro non ne è sin qui stata somministrata".
Io, risvegliato da sí alta promessa, gli feci instanza acciò apertamente mi scoprisse il suo concetto.
Ed egli: "Quando il moto annuo sia della Terra per l'eclittica intorno al Sole, e che il Sole sia costituito nel centro di essa eclittica, ed in quello si volga in se stesso non intorno all'asse di essa eclittica (che sarebbe l'asse del movimento annuo della Terra), ma sopra uno inclinato, strane mutazioni converrà che a noi si rappresentino ne i movimenti apparenti delle macchie solari, quando ben si ponga tale asse del Sole persister perpetuamente ed immutabilmente nella medesima inclinazione ed in una medesima direzione verso l'istesso punto dell'universo.
Imperocché, camminandogli intorno il globo terrestre al moto annuo, primieramente converrà che a noi, portati da quello, i passaggi delle macchie ben talvolta appariscano fatti per linee rette, ma questo due volte l'anno solamente, ed in tutti gli altri tempi si mostreranno fatti per archi sensibilmente incurvati.
Secondariamente, la curvità di tali archi per una metà dell'anno ci apparirà inclinata al contrario di quello che si scorgerà nell'altra metà; cioè per sei mesi il convesso de gli archi sarà verso la parte superiore del disco solare, e per gli altri 6 mesi verso l'inferiore.
Terzo, cominciando ad apparire, e, per cosí dire, a nascere, all'occhio nostro le macchie dalla parte sinistra del disco solare, ed andando ad occultarsi e a tramontare nella parte destra, i termini orientali, cioè delle prime comparite, per sei mesi saranno piú bassi de i termini opposti delle occultazioni, e per altri sei mesi accaderà per l'opposito, cioè che nascendo esse macchie da punti piú elevati e da quelli descendendo, ne i corsi loro verranno ad ascondersi in punti piú bassi, e per due giorni soli di tutto l'anno saranno tali termini, de gli orti e de gli occasi, equilibrati; doppo i quali libramenti cominciando pian piano l'inclinazione de i viaggi delle macchie, e di giorno in giorno facendosi maggiore, in tre mesi giugnerà alla somma obbliquità, e di lí cominciando a diminuirsi, in altrettanto tempo si ridurrà all'altro equilibrio.
Accaderà, per la quarta maraviglia, che il giorno della massima obbliquità sarà l'istesso che quello del passaggio fatto per linea retta, e nel giorno della librazione apparirà l'arco del viaggio piú che mai incurvato: ne gli altri tempi poi, secondo che la pendenza si andrà diminuendo e incamminandosi verso l'equilibrio, l'incurvazione de gli archi de i passaggi, per l'opposito, si andrà agumentando".
SAGR.
Io, signor Salviati mio, conosco che l'interrompervi il discorso è mala creanza; ma non men cattiva stimo che sia il lasciarvi diffonder piú lungamente in parole, mentre elle vengano, come si dice, buttate al vento.
Imperocché, a dirla liberamente, io non mi so formar concetto alcuno distinto pur di una delle conclusioni che avete pronunziate: ma perché, apprese cosí in generale ed in confuso, mi si rappresentano cose di ammirabili conseguenze, vorrei pure in qualche maniera esserne fatto capace.
SALV.
L'istesso che accade a voi, avvenne a me ancora, mentre con nude parole mi furon portate dal mio ospite; il quale mi agevolò poi l'intelligenza col figurarmi il fatto sopra uno strumento materiale, che non fu altro che una semplice sfera, servendosi di alcuni de' suoi cerchi, ma in altro uso di quello al quale comunemente sono ordinati.
Ora, in difetto della sfera, supplirò con farne disegni in carta, secondo che bisognerà.
E per rappresentare il primo accidente da me proposto, il quale fu che i passaggi delle macchie due volte l'anno solamente potevano apparir fatti per linee rette, figuriamoci questo punto O esser centro dell'orbe magno, o vogliam dire dell'eclittica, e parimente ancora del globo dell'istesso Sole, del quale, mediante la gran distanza che [vedi figura 23.gif] è tra esso e la Terra, possiamo suppor noi terreni di vederne la metà; però descriveremo questo cerchio ABCD intorno al medesimo centro O, il quale ci rappresenti il termine estremo che divide e separa l'emisferio del Sole a noi apparente dall'altro occulto.
E perchè l'occhio nostro, non meno che 'l centro della Terra, s'intende esser nel piano dell'eclittica, nel quale è parimente il centro del Sole, però, se ci rappresenteremo il corpo solare esser segato dal detto piano, la sezione all'occhio nostro apparirà una linea retta, quale sia la BOD; e posta sopra di essa la perpendicolare AOC, sarà l'asse di essa eclittica e del moto annuo del globo terrestre.
Intendiamo ora il corpo solare (senza mutar centro) rivolgersi in sè stesso, non già intorno all'asse AOC (che è l'eretto al piano dell'eclittica), ma intorno ad uno alquanto inclinato, qual sia questo EOI, il quale asse fisso ed immutabile si mantenga perpetuamente nella medesima inclinazione e direzione verso i medesimi punti del firmamento e dell'universo, e perchè nelle revoluzioni del solar globo ciaschedun punto della sua superficie (trattone i poli) descrive la circonferenza d'un cerchio, o maggiore o minore secondo ch' e' si ritrova più o men remoto da essi poli, preso il punto F egualmente distante da quelli, segniamo il diametro FOG, che sarà perpendicolare all'asse EI e sarà diametro del cerchio massimo descritto intorno a i poli E, I.
Posto ora che la Terra, e noi con lei, sia in tal luogo dell'eclittica che l'emisferio del Sole a noi apparente venga terminato dal cerchio ABCD, il quale, passando (come sempre fa) per i poli A, C, passi ancora per li E, I, è manifesto che il cerchio massimo il cui diametro è FG, sarà eretto al cerchio ABCD; al quale è perpendicolare il raggio che dall'occhio nostro casca sopra il centro O; onde il medesimo raggio cade nel piano del cerchio il cui diametro è FG, e però la sua circonferenza ci apparirà una linea retta, e l'istessa che FG: per lo che qualunque volta nel punto F fusse una macchia, venendo poi portata dalla solar conversione, segnerebbe sopra la superficie del Sole la circonferenza di quel cerchio che a noi appare una linea retta.
Retto dunque apparirà il suo passaggio; e retti ancora appariranno i movimenti di altre macchie le quali nell'istessa revoluzione descrivessero minor cerchi, per esser tutti paralleli al massimo, e l'occhio nostro posto in distanza immensa da quelli.
Ora, se voi considererete come, doppo che avrà scorso la Terra in sei mesi la metà dell'orbe magno e si sarà costituita incontro all'emisferio del Sole che ora ci è occulto, sì che il terminator della parte che allor sarà veduta sia l'istesso cerchio ABCD, che pur passerà per li poli E, I, intenderete che l'istesso accaderà de i viaggi delle macchie, cioè che tutti appariranno fatti per linee rette: ma perchè tale accidente non ha luogo se non quando il terminator passa per i poli E, I, ed esso terminatore di momento in momento, mediante il moto annuo della Terra, si va mutando, però momentaneo è il suo passar per i poli fissi E, I, ed in conseguenza momentaneo è il tempo dell'apparir diritti i moti di esse macchie.
Da questo che sin qui si è detto, si viene a comprendere ancora come, essendo l'apparizione e principio del moto delle macchie dalla parte F, procedendo verso G, i passaggi loro sono dalla sinistra, ascendendo verso la destra; ma posta la Terra nella parte diametralmente opposta, la comparsa delle macchie intorno a G sarà bene alla sinistra del riguardante, ma il passaggio sarà descendente verso la destra F.
Figuriamoci ora la Terra esser situata per una quarta lontana dal presente stato, e segniamo in quest'altra figura il terminatore ABCD e l'asse, come prima, AC, per il quale passerebbe il piano del nostro meridiano, nel qual piano sarebbe ancora l'asse della revoluzion del Sole, con i suoi poli, uno verso di noi, cioè nell'emisferio apparente, il qual polo rappresenteremo col punto E, e l'altro caderà nell'emisferio occulto, e lo noto I.
Inclinando dunque l'asse EI con la superior parte E verso noi, il cerchio massimo descritto dalla conversion del Sole sarà questo BFDG, la cui metà da noi veduta, cioè BFD, non più ci apparirà una linea retta, per non esser i poli E, I nella circonferenza ABCD, ma si mostrerà incurvata e col suo convesso verso la parte inferiore C, ed è manifesto che l'istesso apparirà di tutti i cerchi minori paralleli al massimo BFD.
Intendesi ancora, che quando la Terra sarà diametralmente opposta a questo stato, sì che vegga l'altro emisferio del Sole, il quale ora è occulto, vedrà del medesimo cerchio massimo la parte DGB incurvata col suo convesso verso la parte superiore A; e i corsi delle macchie in queste costituzioni saranno prima per l'arco BFD e poi per l'altro DGB, e le lor prime apparizioni e l'ultime occultazioni, fatte intorno a i punti B, D, [vedi figura 24.gif] saranno equilibrate, e non quelle più o meno elevate di queste.
Ma se noi porremo la Terra in tal luogo dell'eclittica, che nè il finitore ABCD nè il meridiano AC passi per i poli dell'asse EI, come adesso vi mostro disegnando questa terza figura, dove il polo apparente E casca tra l'arco del terminatore AB e la sezione del meridiano AC, il diametro del cerchio massimo sarà FOG ed il semicerchio apparente FNG, e l'occulto GSF: quello, incurvato col suo convesso N verso la parte inferiore; e questo, piegato col suo colmo S verso la parte superiore del Sole: gl'ingressi e l'uscite delle macchie, cioè i termini F, G, non saranno librati, come i passati B, D, ma l'F più basso e 'l G più alto ma ben con minor differenza che nella prima figura; l'arco ancora FNG sarà incurvato, ma non tanto quanto il precedente BFD: onde in tal costituzione i passaggi delle macchie saranno ascendenti dalla parte sinistra F verso la destra G, e saranno fatti per linee curve.
Ed intendendo la Terra esser collocata nel sito diametralmente opposto, sì che l'emisferio del Sole adesso occulto sia il veduto, e dal medesimo finitore ABCD terminato, manifestamente si scorge che il corso delle macchie sarà per l'arco GSF, cominciando dal punto sublime G, che pur sarà dalla sinistra del riguardante, ed andando a terminare, descendendo verso la destra, nel punto F.
Inteso quanto sin qui ho esposto, non credo che resti difficultà veruna in comprender come dal passare il terminatore dei solari emisferi per i poli della conversion del Sole o a quelli vicino o lontano, nascono tutte le diversità ne gli apparenti viaggi delle macchie, sì che quanto più essi poli saranno lontani da esso terminatore, tanto più i detti viaggi saranno incurvati e meno obbliqui onde nella massima lontananza, che è quando detti poli sono nella sezion del meridiano, la curvità è ridotta al sommo, ma l'obbliquità al minimo, cioè all'equilibrio, come dimostra la seconda figura; all'incontro, quando i poli sono nel terminatore, come mostra la prima figura, l'inclinazione è massima, ma la curvità è minima e ridotta alla rettitudine, partendosi il terminator da i poli, comincia la curvità a farsi sensibile con andar sempre crescendo, e l'obbliquità e inclinazione si va facendo minore.
Queste sono le stravaganti mutazioni che mi diceva l'ospite mio che sarebbero apparse di tempo in tempo ne i progressi delle macchie solari, tuttavolta che fusse stato vero che il movimento annuo fusse della Terra, e che il Sole, costituito nel centro dell'eclittica, si fusse girato in se stesso sopra un asse non eretto, ma inclinato, al piano di essa eclittica.
SAGR.
Io resto assai ben capace di queste conseguenze, e meglio credo che me l'imprimerò nella fantasia nell'andarle riscontrando con accomodar un globo con tale inclinazione, riguardandolo poi da diverse bande.
Resta ora che ci diciate quello che di poi seguí circa gli eventi delle immaginate conseguenze.
SALV.
Seguinne, che continuando noi per molti e molti mesi a far diligentissime osservazioni, notando con somma accuratezza i passaggi di varie macchie in diversi tempi dell'anno, si trovarono gli eventi puntualmente rispondere alle predizioni.
SAGR.
Signor Simplicio, come questo che dice il signor Salviati sia vero (né già conviene por dubbio sopra le sue parole), di saldi argomenti e di gran conietture e di fermissime esperienze aranno bisogno i Tolemaici e gli Aristotelici per bilanciare un incontro di tanto peso, e far sí che la loro opinione non dia l'ultimo tracollo.
SIMP.
Piano, signor mio, che forse voi non sete ancora dove per avventura vi persuadete d'essere pervenuto: imperocché io, se ben non mi sono interamente impadronito della materia del discorso fatto dal signor Salviati, non trovo che la mia logica, mentre riguardo alla forma, m'insegni che tal maniera d'argomentare m'induca necessità veruna di concludere a favor dell'ipotesi Copernicana, cioè della stabilità del Sole nel centro del zodiaco e della mobilità della Terra sotto la di lui circonferenza.
Perché, se bene è vero che posta la tal conversion del Sole e la tal circuizion della Terra si debban necessariamente scorger nelle macchie solari le tali e tali stravaganze, non però ne séguita che, argomentando per il converso, dallo scorgersi nelle macchie tali stravaganze si debba necessariamente concludere, la Terra muoversi per la circonferenza e 'l Sole esser posto nel centro del zodiaco: imperocché chi m'assicura che simili stravaganze non possano anco esser vedute nel Sole mobile per l'eclittica da gli abitatori della Terra stabile nel centro di quella? Se voi non mi dimostrate prima che di tale apparenza non si possa render ragione quando si faccia mobile il Sole e stabile la Terra, io non mi rimoverò dalla mia opinione e dal credere che 'l Sole si muova e la Terra stia immobile.
SAGR.
Strenuamente si porta il signor Simplicio, e molto acutamente s'oppone e sostiene la parte d'Aristotile e di Tolomeo; e, s'io debbo dire il vero, mi par che la conversazione del signor Salviati, ancor che sia stata di tempo breve, l'abbia addestrato assai nel discorrer concludentemente, effetto che intendo essere stato cagionato in altri ancora.
Quanto poi all'investigare e giudicare se delle apparenti esorbitanze ne i movimenti delle macchie solari si possa render competente ragione lasciando la Terra immobile e mantenendo mobile il Sole, aspetterò che 'l signor Salviati ci manifesti il suo pensiero; ché ben è credibile che egli v'abbia fatto sopra reflessione e ritrattone quanto in tal proposito si può produrre.
SALV.
Io ci ho piú volte pensato, ed anco discorsone con l'amico ed ospite mio: e circa quello che siano per produrre i filosofi e gli astronomi in mantenimento dell'antico sistema, per una parte siamo sicuri, sicuri dico, che i veri e puri Peripatetici, ridendosi di chi s'impiega in tali, al gusto loro, insipide sciocchezze, spaccieranno tutte queste apparenze per vane illusioni de' cristalli, ed in questa maniera con poca fatica si libereranno dall'obbligo di pensar piú oltre; quanto poi a i filosofi astronomi, doppo aver noi con qualche attenzione specolato ciò che si potesse addurre in mezo, non abbiamo investigato ripiego che basti per sodisfare unitamente al corso delle macchie ed al discorso della mente.
Io vi esporrò quello che ci è sovvenuto, e voi ne farete quel capitale che il giudizio vostro vi detterà.
Posto che gli apparenti movimenti delle macchie solari siano quali di sopra si è dichiarato, e posta la Terra immobile nel centro dell'eclittica, nella cui circonferenza sia collocato il centro del Sole, è necessario che di tutte le diversità che si scorgono in essi movimenti le cagioni riseggano in moti che siano nel corpo solare: il quale primieramente converrà che in se stesso si rivolga portando seco le macchie, le quali si è supposto, anzi pur dimostrato, essere aderenti alla solar superficie.
Bisognerà, secondariamente, dire che l'asse della solar conversione non sia parallelo all'asse dell'eclittica, che è quanto a dire che non sia eretto perpendicolarmente sopra 'l piano dell'eclittica, perché, se fusse tale, i passaggi di esse macchie ci apparirebber fatti per linee rette e parallele all'eclittica: è dunque tale asse inclinato, poiché i passaggi per lo piú appariscon fatti per linee curve.
Sarà, nel terzo luogo, necessario dire che l'inclinazion di questo asse non sia fissa e riguardante di continuo verso il medesimo punto dell'universo, anzi che di momento in momento vadia mutando direzione; perché, quando la pendenza riguardasse continuamente verso l'istesso punto, i passaggi delle macchie non cangerebbero già mai apparenza, ma, retti o curvi, piegati in su o in giú, ascendenti o descendenti, che apparissero una volta, tali apparirebber sempre.
È forza dunque dire, tale asse esser convertibile, e talora trovarsi nel piano del cerchio estremo terminator dell'emisferio apparente, allora, dico, quando i passaggi delle macchie appariscono fatti per linee rette e piú che mai pendenti, il che accade due volte l'anno; altre volte poi trovarsi nel piano del meridiano del riguardante, in modo tale che l'uno de' suoi poli caschi nel solare emisferio apparente e l'altro nell'occulto, ed amendue lontani da i punti estremi, o vogliam dire da i poli, d'un altro asse del Sole, il quale sia parallelo all'asse dell'eclittica (il qual secondo asse converrà necessariamente assegnare al globo del Sole), lontani, dico, tanto quanto importa l'inclinazione dell'asse della revoluzione delle macchie; e di piú, che il polo cadente nell'emisferio apparente una volta sia nella parte superiore e l'altra nell'inferiore, perché del cosí accadere necessario argomento ce ne danno i passaggi quando sono equilibrati e nelle lor massime curvità, ora col convesso loro verso la parte inferiore, ed altra volta verso la superiore del disco solare.
E perché tali stati si vanno continuamente mutando, facendosi le inclinazioni e le incurvazioni or maggiori ed or minori, e talora riducendosi quelle all'equilibrio perfetto e queste alla perfetta dirittezza, convien necessariamente porre, l'istesso asse della revoluzione mestrua delle macchie avere una sua propria conversione, per la quale i suoi poli descrivano due cerchi intorno a i poli d'un altro asse, il quale per ciò conviene (come ho detto) assegnare al Sole, il semidiametro de i quali cerchi risponda alla quantità dell'inclinazione del medesimo asse; ed è necessario che il tempo del suo periodo sia d'un anno, avvengaché tale è il tempo nel quale si restituiscono tutte l'apparenze e diversità ne i passaggi delle macchie: e del farsi la conversione di questo asse sopra i poli dell'altro asse parallelo a quel dell'eclittica, e non intorno ad altri punti, ne son manifesto indizio le massime inclinazioni e le massime incurvazioni, le quali son sempre della medesima grandezza.
Talché, finalmente, per mantener la Terra stabile nel centro, sarà necessario attribuire al Sole due movimenti intorno al proprio centro, sopra due differenti assi, l'uno de i quali finisca la sua conversione in un anno, e l'altro la sua in manco di un mese: il quale assunto all'intelletto mio si rappresenta molto duro e quasi impossibile; e questo depende dal doversi attribuire all'istesso corpo solare du' altri movimenti intorno alla Terra sopra diversi assi, descrivendo con l'uno l'eclittica in un anno, e con l'altro formando spire o cerchi paralleli all'equinoziale uno per giorno; onde quel terzo movimento, il qual si debbe assegnare al globo del Sole in se stesso (non parlo di quello quasi mestruo che conduce le macchie, ma dico dell'altro che deve trasferir l'asse ed i poli di questo mestruo), non si vede ragion nessuna per la quale ei debba finire il suo periodo piú tosto in un anno, come dependente dal moto annuo per l'eclittica, che in ventiquatt'ore, come dependente dal moto diurno sopra i poli dell'equinoziale.
So che questo che dico, al presente è assai oscuro, ma vi si farà manifesto quando parleremo del terzo moto annuo assegnato dal Copernico alla Terra.
Ora, quando questi quattro moti, tanto tra di loro incongruenti (li quali tutti per necessità converrebbe attribuire all'istesso corpo del Sole), si possano ridurre a un solo e semplicissimo, assegnato al Sole sopra un asse non mai alterabile, e che, senza innovar cosa veruna ne i movimenti per tanti altri rincontri assegnati al globo terrestre, si possa cosí agevolmente salvar tante stravaganti apparenze ne i movimenti delle macchie solari, par veramente che il partito non sia da recusarsi.
Questo, signor Simplicio, è quanto sin ora è sovvenuto all'amico nostro ed a me da potersi produrre, in esplicazion di questa apparenza, da i Copernicani e da i Tolemaici per mantenimento delle loro opinioni.
Voi fatene quel capitale che il giudizio vostro vi persuade.
SIMP.
Io mi conosco inabile a potermi intromettere in una decisione tanto importante; e quanto al concetto mio, me ne starò neutrale, con isperanza però che sia per venir tempo che, illuminati da piú alte contemplazioni che non sono questi nostri umani discorsi, ci debba essere svelata la mente, e tolta via quella caligine che ora ce la tiene offuscata.
SAGR.
Ottimo e santo è il consiglio al quale si attiene il signor Simplicio, e degno d'esser da tutti ricevuto e seguito, come quello che, derivando dalla somma sapienza e suprema autorità, solo può con sicurezza essere abbracciato.
Ma per quanto è permesso di penetrare al discorso umano, contenendomi dentro a i termini delle conietture e delle ragioni probabili, dirò bene, un poco piú resolutamente che non fa il signor Simplicio, non aver, tra quante sottigliezze io mai mi abbia sentite, incontrato mai cosa di maggior maraviglia al mio intelletto, né che piú strettamente m'abbia allacciata la mente (trattone le pure geometriche ed aritmetiche dimostrazioni), di queste due conietture, prese l'una dalle stazioni e retrogradazioni de i cinque pianeti, e l'altra da queste stravaganze de i movimenti delle macchie solari: e perché mi pare che elleno tanto facilmente e lucidamente rendan la vera cagione di apparenze tanto stravaganti, mostrando come un solo semplice moto, mescolato con tanti altri pur semplici, ma tra di loro differenti, senza introdur difficultà alcuna, anzi con levar tutte quelle ch'accompagnano l'altra posizione [...] vo meco medesimo concludendo, necessariamente bisognare che quelli che restano contumaci contro a questa dottrina, o non abbian sentite o non abbiano intese queste tanto manifestamente concludenti ragioni.
SALV.
Io non gli attribuirò titolo né di concludenti né di non concludenti, attesoché, come altre volte ho detto, l'intenzion mia non è stata di risolver cosa veruna sopra cosí alta quistione, ma solo di proporre quelle ragioni naturali ed astronomiche le quali per l'una e per l'altra posizione possono da me addursi, lasciando ad altri la determinazione: la quale non dovrà in ultimo esser ambigua, attesoché, convenendo una delle due costituzioni esser necessariamente vera e l'altra necessariamente falsa, impossibil cosa è che (stando però tra i termini delle dottrine umane) le ragioni addotte per la parte vera non si manifestino altrettanto concludenti, quanto le in contrario vane ed inefficaci.
SAGR.
Sarà dunque tempo che sentiamo le opposizioni del libretto delle conclusioni o disquisizioni, che il signor Simplicio ha riportato.
SIMP.
Ecco il libro; ed ecco il luogo dove l'autore prima brevemente descrive il sistema mondano conforme alla posizion del Copernico, dicendo: Terram igitur una cum Luna totoque hoc elementari mundo Copernicus, etc.
(29)
SALV.
Fermate un poco, signor Simplicio, ché mi pare che questo autore in questo primo ingresso si dichiari molto poco intelligente della posizione la quale egli intraprende a voler confutare, mentre dice che il Copernico fa che la Terra insieme con la Luna va descrivendo in un anno l'orbe magno, movendosi da oriente verso occidente; cosa che, sí come è falsa ed impossibile, cosí non fu mai profferita da quello; ma ben la fa egli andare al contrario, dico da occidente verso oriente, cioè secondo l'ordine de i segni, onde tale apparisce poi esser il moto annuo del Sole, costituito immobile nel centro del zodiaco.
Vedete troppa ardita confidenza di uno! mettersi alla confutazione della dottrina di un altro, ed ignorare i suoi primi fondamenti, sopra i quali s'appoggia la maggiore e più importante parte di tutta la fabrica.
Questo è un cattivo principio per guadagnarsi credito appresso il lettore.
Ma seguitiamo piú avanti.
SIMP.
Esplicato l'universal sistema, comincia a propor sue instanze contro a questo movimento annuo: e le prime son queste, ch'e' profferisce ironicamente ed in derisione del Copernico e de' suoi seguaci, scrivendo che in questa fantastica costituzione del mondo convien dir solennissime sciocchezze; cioè che 'l Sole, Venere e Mercurio son sotto alla Terra, e che le materie gravi vanno naturalmente all'in su e le leggiere all'in giú, e che Cristo, nostro Signore e Redentore, salí a gli inferi e scese in cielo, quando s'avvicinò al Sole, e che quando Iosuè comandò al Sole che si fermasse, la Terra si fermò o vero il Sole si mosse al contrario della Terra, e che quando il Sole è in Cancro, la Terra scorre per il Capricorno, e che i segni iemali fanno la state e gli estivali il verno, e che non le stelle alla Terra, ma la Terra alle stelle nasce e tramonta, e che l'oriente comincia in occidente e l'occidente in oriente, ed in somma che quasi tutto 'l corso del mondo si travolge.
SALV.
Ogni cosa mi piace, fuor che l'aver mescolati luoghi della Sacra Scrittura, sempre veneranda e tremenda, tra queste puerizie pur troppo scurrili, e volsuto ferire con cose sacrosante chi, per ischerzo e da burla filosofando, non afferma né nega, ma, fatti alcuni presupposti o ipotesi, familiarmente ragiona.
SIMP.
Veramente ha scandalezato me ancora e non poco, e massime co 'l soggiugner poi, che se bene i Copernichisti rispondono, benché assai stravoltamente, a queste e simili altre ragioni, non però potranno sodisfare e rispondere alle cose che seguono.
SALV.
Quest'è poi peggio di tutto, perché mostra d'aver cose piú efficaci e concludenti che le autorità delle Sacre Lettere.
Ma, di grazia, riveriamo queste, e passiamo a i discorsi naturali ed umani: anzi pure, quando e' non produca tra le ragioni naturali cose di miglior senso che queste sin qui addotte, potremo lasciar da banda tutta questa impresa, perché io sicuramente non son per spender parola in rispondere a inezzie cosí scempie; e quello che egli dice, che i Copernichisti rispondono a queste instanze, è falsissimo, né si può credere che uomo alcuno si mettesse a consumar il tempo tanto inutilmente.
SIMP.
Concorro io ancora nell'istesso giudizio: però sentiamo l'altre instanze, che egli arreca per molto piú gagliarde.
Ed ecco qui, come voi vedete, egli con calcoli esattissimi conclude, che quando l'orbe magno della Terra, nel quale il Copernico fa che ella scorra in un anno intorno al Sole, fusse come insensibile rispetto all'immensità della sfera stellata, secondo che l'istesso Copernico dice che bisogna porlo, converrebbe di necessità dire e confermare che le stelle fisse fussero per una distanza inimmaginabile lontane da noi, e che le minori di loro fussero piú grandi che non è tutto l'istesso orbe magno, ed alcune altre maggiori assai di tutta la sfera di Saturno; moli veramente pur troppo vaste, ed incomprensibili ed incredibili.
SALV.
Io già ho veduto una cosa simile portata da Ticone contro al Copernico, e non è ora che ho scoperta la fallacia, o per dir meglio le fallacie, di questo discorso, fabbricato sopra ipotesi falsissime e sopra un pronunziato del medesimo Copernico preso da i suoi contradittori con una puntualissima strettezza, come fanno quei litiganti che, avendo il torto nel merito principale della causa, si attaccano a una sola paroluzza incidentemente profferita dalla parte, e su quella strepitano senza prender sosta.
E per vostra piú chiara intelligenza, avendo il Copernico dichiarato quelle mirabili conseguenze che derivano dal movimento annuo della Terra ne gli altri pianeti, cioè le direzioni e retrogradazioni de i tre superiori in particolare, soggiunse che questa apparente mutazione (che piú in Marte che in Giove, per esser Giove piú lontano, e meno ancora in Saturno, per esser piú lontano di Giove, si scorgeva) nelle stelle fisse restava insensibile, per la loro immensa lontananza da noi in comparazion della distanza di Giove o di Saturno.
Qui si levano su gli avversarii di questa opinione, e presa quella nominata insensibilità del Copernico come posta da lui per cosa che realmente ed assolutamente sia nulla, e soggiugnendo che una stella fissa anco delle minori è pur sensibile, poiché ella cade sotto il senso della vista, vengono calcolando, con l'intervento di altri falsi assunti, e concludendo, bisognare in dottrina del Copernico ammettere che una stella fissa sia maggiore assai che tutto l'orbe magno.
Ora io, per discoprir la vanità di tutto questo progresso, mostrerò che dal porre che una stella fissa della sesta grandezza non sia maggior del Sole, si conclude con dimostrazion verace che la distanza di esse stelle fisse da noi viene ad esser tanta, che basta per far che in esse non apparisca notabile il movimento annuo della Terra, che ne i pianeti cagiona sí grandi ed osservabili variazioni; ed insieme partitamente mostrerò le gran fallacie ne gli assunti de gli avversarii del Copernico.
E prima, suppongo con l'istesso Copernico, e concordemente con gli avversarii, che il semidiametro dell'orbe magno, ch'è la distanza della Terra al Sole, contenga 1208 semidiametri di essa Terra; secondariamente pongo, con l'assenso de i medesimi e con la verità, il diametro apparente del Sole, nella sua mediocre distanza esser circa un mezo grado, cioè minuti primi 30, che sono 1800 secondi, cioè 108.000 terzi.
E perché il diametro apparente d'una stella fissa della prima grandezza non è piú di 5 secondi, cioè 300 terzi, ed il diametro di una fissa della sesta grandezza 50 terzi (e qui è il massimo errore de gli avversarii del Copernico), adunque il diametro del Sole contiene il diametro d'una fissa della sesta grandezza 2160 volte; e però quando si ponesse, una fissa della sesta grandezza esser realmente eguale al Sole, e non maggiore, che è il medesimo che dire, quando si allontanasse il Sole tanto che il suo diametro si mostrasse una delle 2160 parti di quello che ci si mostra adesso, la distanza sua converrebbe esser 2160 volte maggiore di quello che è ora in effetto; che è quanto dire che la distanza delle fisse della sesta grandezza sia 2160 semidiametri dell'orbe magno.
E perché la distanza del Sole dalla Terra contiene di comune assenso 1208 semidiametri di essa Terra, e la distanza delle fisse (come si è detto) 2160 semidiametri dell'orbe magno, adunque molto maggiore (cioè quasi il doppio) è il semidiametro della Terra in comparazione dell'orbe magno, che 'l semidiametro dell'orbe magno in relazione alla distanza della sfera stellata; e per ciò la diversità di aspetto nelle fisse, cagionata dal diametro dell'orbe magno, poco piú osservabile può esser di quella che si osserva nel Sole, derivante dal semidiametro della Terra.
SAGR.
Questa, per il primo scalino, fa un gran calare.
SALV.
Fallo veramente; poi che una stella fissa della sesta grandezza, che al computo di questo autore bisognava, per mantenimento del detto del Copernico, che fusse grande quanto tutto l'orbe magno, co 'l porla solamente eguale al Sole, il qual Sole è minore assai della diecimilionesima parte di esso orbe magno, rende la sfera stellata tanto grande e alta, che basta per rimuovere l'instanza fatta contro esso Copernico.
SAGR.
Fatemi, di grazia, questo computo.
SALV.
Il computo è facile e brevissimo.
Il diametro del Sole è undici semidiametri della Terra, ed il diametro dell'orbe magno contiene, de i medesimi, 2416, per detto comune delle parti; talché il diametro dell'orbe contiene quel del Sole 220 volte prossimamente: e perché le sfere sono tra di loro come i cubi de i lor diametri, facciamo il cubo di 220, che è 10.648.000, ed averemo l'orbe magno maggior del Sole dieci milioni seicentoquarant'ottomila volte; al qual orbe magno diceva quest'autore dover essere eguale una stella della sesta grandezza.
SAGR.
L'error dunque di costoro consiste nell'ingannarsi sommamente nel prender il diametro apparente delle stelle fisse.
SALV.
Cotesto è l'errore, ma non è solo: e veramente io resto grandemente ammirato come tanti astronomi, e pur di gran nome, quali sono Alfagrano, Albategno, Tebizio, e piú modernamente i Ticoni, i Clavii, ed in somma tutti i predecessori al nostro Accademico, si sien cosí altamente ingannati nel determinar le grandezze di tutte le stelle, tanto fisse quanto mobili, trattine i dua luminarii, né abbiano posto cura alla irradiazione avventizia, che ingannevolmente le mostra cento e piú volte maggiori che quando si veggono senza crini.
E non si può scusare questa loro inavvertenza, perché era in lor potestà il vederle a lor piacimento senza i crini, ché basta guardarle nella lor prima apparizion della sera o ultima occultazion dell'aurora; e se non altro, Venere, che pure spesse volte si vede di mezo giorno cosí piccola che ben bisogna aguzzar la vista, e che pur poi nella seguente notte comparisce una grandissima fiaccola, gli doveva fare accorti della lor fallacia: che non crederò già che eglino stimassero, il vero disco esser quello che si mostra nelle profonde tenebre, e non quello che si scorge nell'ambiente luminoso, perché i nostri lumi, che veduti la notte di lontano appariscon grandi, e da vicino mostrano la lor vera fiammella terminata e piccola, potevano a sufficienza fargli cauti.
Anzi, s'io devo liberamente dire il mio parere, credo assolutamente che nessun di costoro, né anco Ticone stesso, tanto accurato nel maneggiare strumenti astronomici, e che tanto grandi ed esatti, senza rispiarmo di spese grandissime, ne fabbricò, si sieno messi mai a voler prendere e misurare l'apparente diametro d'alcuna stella, trattone il Sole e la Luna; ma penso che arbitrariamente, e come si dice a occhio, uno di loro de i piú antichi pronunziasse la cosa esser cosí, e che i seguaci poi senza altro riscontro se ne sieno stati al primo detto: ché quando alcuno di loro si fusse applicato al farne qualche riprova, si sarebbe senza dubbio accorto dell'inganno.
SAGR.
Ma se eglino mancavano del telescopio, e voi di già avete detto che l'amico nostro con tale strumento è venuto in cognizione della verità, devono gli altri restare scusati, e non accusati di negligenza.
SALV.
Questo seguirebbe, quando senza 'l telescopio non si potesse ottenere l'intento.
È vero che tale strumento, co 'l mostrar il disco della stella nudo ed ingrandito cento e mille volte, rende l'operazione piú facile assai, ma si può anco senza lo strumento conseguir, se ben non cosí esattamente, l'istesso; ed io piú volte l'ho fatto, e 'l modo che ho tenuto è questo.
Ho fatto pendere una cordicella verso qualche stella, ed io mi son servito della Lira, che nasce tra settentrione e greco, e poi con l'appressarmi e slontanarmi da essa corda, traposta tra me e la stella, ho trovato il posto dal quale la grossezza della corda puntualmente mi nasconde la stella; fatto questo, ho preso la lontananza dall'occhio alla corda, che viene a esser un de' lati che comprendon l'angolo che si forma nell'occhio e che insiste sopra la grossezza della corda, e che è simile, anzi l'istesso, che l'angolo che nella sfera stellata insiste sopra il diametro della stella, e dalla proporzione della grossezza della corda alla distanza dall'occhio alla corda, con la tavola de gli archi e corde, ho immediatamente trovata la quantità dell'angolo; usando però la solita cautela che si osserva nel prendere angoli cosí acuti, di non formare il concorso de' raggi visuali nel centro dell'occhio, dove non vanno se non refratti, ma oltre all'occhio, dove realmente la grandezza della pupilla gli manda a concorrere.
SAGR.
Capisco questa cautela, se ben vi ho un non so che di dubbio; ma quel che mi dà piú fastidio è che in questa operazione, quando si faccia nelle tenebre della notte, mi par che si misuri il diametro del disco irraggiato, e non il vero e nudo della stella.
SALV.
Signor no, perché la corda nel coprir il nudo corpicello della stella leva via i capelli, che non son suoi ma del nostro occhio, de i quali riman privo subito che se gli nasconde il vero disco; e voi, nel far l'osservazione, vedrete come inaspettatamente vi si cuopre da una sottil cordicella quella assai gran fiaccola che pareva non doversi nascondere se non doppo ostacolo assai maggiore.
Per misurar poi esattissimamente e ritrovar quante di tali grossezze di corda entrino nella distanza dell'occhio, piglio non un solo diametro della corda, ma accoppiando molti pezzi della medesima sopra una tavola, sí che si tocchino, prendo con un compasso tutto lo spazio occupato da 15 o 20 di loro, e con tal misura misuro la lontananza, già con altro piú sottil filo presa, dalla corda al concorso de' raggi visuali.
E con questa assai esatta operazione trovo, il diametro apparente d'una fissa della prima grandezza, stimato comunemente 2 minuti primi, ed anco 3 minuti prima da Ticone nelle sue Lettere Astronomiche, fac.
167, non esser piú di 5 secondi, che è una delle 24 o delle 36 parti di quello che essi han creduto: or vedete sopra che gravi errori son fondate le lor dottrine.
SAGR.
Veggo e comprendo benissimo; ma prima che passar piú oltre, vorrei proporre il dubbio che mi nasce nel ritrovare il concorso de' raggi visuali oltre all'occhio, quando si rimirano oggetti compresi sotto angoli molto acuti.
E la difficultà mia procede dal parermi che tal concorso possa essere or piú lontano ed or meno, e questo non tanto mediante la maggiore o minor grandezza dell'oggetto che si riguarda, quanto che nel riguardare oggetti dell'istessa grandezza mi pare che 'l concorso de' raggi per certo altro rispetto deva farsi piú e meno remoto dall'occhio.
SALV.
Già veggo dove tende la perspicacità del signor Sagredo, diligentissimo osservatore delle cose della natura: e farei ben qualsivoglia scommessa, che tra mille che hanno osservato ne' gatti strignersi ed allargarsi assaissimo la pupilla dell'occhio, non ve ne sono due, né forse uno, che abbia osservato, un simile effetto farsi dalle pupille de gli uomini nel guardare, mentre il mezo sia molto o poco illuminato, e che nella aperta luce il cerchietto della pupilla si diminuisce assai; sí che nel riguardare il disco del Sole si riduce a una piccolezza minore di un grano di panico, che nel mirare oggetti non risplendenti, e dentro a mezo men chiaro, si allarga alla grandezza di una lente o piú; ed in somma questo allargamento e strignimento si diversifica piú assai che in decupla proporzione: dal che è manifesto che quando la pupilla è dilatata molto, è necessario che l'angolo del concorso de' raggi sia piú remoto dall'occhio; il che accade nel riguardare gli oggetti poco luminosi.
Dottrina somministratami nuovamente dal signor Sagredo: per la quale, quando si abbia a fare un'osservazione esattissima e di gran conseguenza, venghiamo avvertiti a dover fare l'investigazione di tal concorso nell'atto dell'istessa o di molto simile operazione: ma in questa, per manifestar l'errore de gli astronomi, non vi è necessaria tanta accuratezza, perché, quando anco a favor della parte noi supponessimo tal concorso farsi sopra l'istessa pupilla, poco importerebbe, per esser la fallacia loro tanto grande.
Non so, signor Sagredo, se questo voleva essere il vostro motivo.
SAGR.
Quest'è per appunto, ed ho caro che non sia stato irragionevole, come m'assicura l'essermi incontrato con voi; ma ben con questa occasione sentirei volentieri in che modo si possa investigare la distanza del concorso de' raggi visuali.
SALV.
Il modo è assai facile, ed è tale.
Io piglio due strisce di carta, una nera e l'altra bianca, e fo la nera larga per la metà della bianca; attacco poi la bianca in un muro, e lontana da essa fermo l'altra sopra una bacchetta o altro sostegno, in distanza di 15 o 20 braccia: e allontanandomi da questa seconda per altrettanto spazio per la medesima dirittura, chiara cosa è che in tal lontananza concorrerebbono le linee rette che, partendosi da i termini della larghezza della bianca, passassero toccando la larghezza dell'altra striscia posta in mezo: onde ne séguita, che quando in tal concorso si ponesse l'occhio, la striscia nera di mezo asconderebbe precisamente la bianca opposta, quando la vista si facesse in un sol punto; ma se noi troveremo che l'estremità della striscia bianca apparisca scoperta, sarà necessario argomento che non da un punto solo escono i raggi visuali.
E per far che la striscia bianca resti occultata dalla nera, bisognerà avvicinar l'occhio: accostatolo, dunque, tanto che la striscia di mezo occupi la remota, e notato quanto è bisognato avvicinarsi, sarà la quantità di tale avvicinamento misura certa di quanto il vero concorso de' raggi visuali si fa remoto dall'occhio in tale operazione, ed averemo di piú il diametro della pupilla, o vero di quel foro onde escono i raggi visuali; imperocché tal parte sarà egli della larghezza della carta nera, qual è la distanza dal concorso delle linee che si produssero per l'estremità delle carte al luogo dove stette l'occhio quando prima vedde occultarsi la carta remota dall'intermedia, qual è, dico, tal distanza della lontananza tra le due carte.
E però, quando volessimo con esquisitezza misurare il diametro apparente d'una stella, fatta l'osservazione nel modo sopradetto, bisognerebbe far paragone del diametro della corda co 'l diametro della pupilla; e trovato, verbigrazia, il diametro della corda esser quadruplo di quel della pupilla, e la distanza dell'occhio alla corda esser, per esempio, 30 braccia, diremo il vero concorso delle linee prodotte da i termini del diametro della stella per i termini del diametro della corda andare a concorrer lontane dalla corda 40 braccia: ché cosí sarà osservata come si deve la proporzione tra la distanza della corda al concorso delle dette linee e la distanza da tal concorso e 'l luogo dell'occhio, che debbe esser la medesima che cade tra 'l diametro della corda e 'l diametro della pupilla.
SAGR.
Ho inteso benissimo; e però sentiamo quel che adduce il signor Simplicio in difesa de gli avversarii del Copernico.
SIMP.
Ancorché quello inconveniente massimo e del tutto incredibile, indotto da questi avversarii del Copernico, sia per il discorso del signor Salviati modificato assai, non però mi par tolto via in maniera, che non gli rimanga ancora tanto di vigore che basti per atterrar cotal opinione: perché, se ho ben capito la somma ed ultima conclusione, quando si ponesse le stelle della sesta grandezza esser grandi quanto il Sole (che pur mi par gran cosa a credersi), tuttavia resterebbe vero che l'orbe magno avesse a cagionar nella sfera stellata mutazione e diversità tale qual è quella che il semidiametro della Terra produce nel Sole, che pure è osservabile; onde, non si scorgendo né una tale né tampoco una minore nelle fisse, parmi che per questo il movimento annuo della Terra resti pur desolato e distrutto.
SALV.
Voi ben concludereste, signor Simplicio, quando non ci fusse altro da produr per la parte del Copernico; ma molt'altre cose ci restano ancora.
E quanto alla replica fatta da voi, nessuna cosa ci osta che noi non possiamo suppor la lontananza delle fisse esser ancor molto maggiore di quello che si è fatto; e voi stesso, e chi si sia altro che non voglia derogare alle proposizioni ammesse da i seguaci di Tolomeo, bisognerà che ammetta per convenientissima cosa il por la sfera stellata assaissimo maggiore ancora di quello che pur ora abbiamo detto doversi stimare.
Imperocché, convenendo tutti gli astronomi che della maggior tardanza delle conversioni de' pianeti ne sia cagione la maggioranza delle loro sfere, e che per ciò Saturno sia piú tardo di Giove, e Giove del Sole, perché quello ha a descriver cerchio maggiore di questo, e questo di quest'altro, etc.; considerando che Saturno, verbigrazia, l'altezza del cui orbe è nove volte maggiore che quella del Sole, e che per ciò il tempo di una revoluzione di Saturno è 30 volte piú lungo che quello di una conversion del Sole; essendo che nella dottrina di Tolomeo una conversion della sfera stellata si finisca in 36.000 anni, dove quella di Saturno si fornisce in 30, e quella del Sole in uno; argumentando con simile proporzione, e dicendo: Se l'orbe di Saturno, per esser 9 volte maggiore dell'orbe del Sole, si rivolge in tempo 30 volte maggiore, per la ragione eversa quanto doverà esser grande quell'orbe che si rivolge 36.000 volte piú tardo?; si troverà, la distanza della sfera stellata dovere esser 10.800 semidiametri dell'orbe magno, che sarebbe 5 volte appunto maggiore di quello che poco fa la calcolammo dovere esser quando una fissa della sesta grandezza fusse quanto è il Sole.
Or vedete quanto minore ancora dovrebbe, per tal rispetto, esser la diversità cagionata in esse dal movimento annuo della Terra.
E quando con simil relazione noi volessimo argumentar la lontananza della sfera stellata da Giove e da Marte, quello ce la darebbe 15.000, e questo 27.000, semidiametri dell'orbe magno, cioè ancora maggior, quello 7 e questo 12 volte, che non ce la dava la grandezza della fissa supposta eguale al Sole.
SIMP.
Mi par che a questo si potrebbe rispondere che 'l moto della sfera stellata si è doppo Tolomeo osservato non esser cosí tardo come esso lo stimò; anzi mi pare avere inteso che l'istesso Copernico è stato l'osservatore.
SALV.
Voi dite benissimo, ma non producete cosa che favorisca punto la causa de i Tolemaici, li quali non hanno mai recusato il moto de i 36.000 anni nella sfera stellata, perché tanta tardità la facesse troppo vasta ed immensa; ché se tal immensità non era da concedersi in natura, dovevano prima che ora negare una conversione tanto tarda, che non potesse con buona proporzione adattarsi se non ad una sfera di grandezza intollerabile.
SAGR.
Di grazia, signor Salviati, non perdiam piú tempo in proceder per via di tali proporzioni con gente che sono accomodate ad ammetter cose sproporzionatissime, talché assolutamente con loro per questa strada non è possibile guadagnar nulla.
E qual piú sproporzionata proporzione si può immaginare di quella che questi tali trapassano ed ammettono, mentre che, scrivendo non ci esser piú conveniente modo di ordinar le celesti sfere che 'l regolarsi con le diversità de' tempi de' periodi loro, mettendo di grado in grado le piú tarde sopra le piú veloci, costituita che hanno altissima la sfera stellata, come tardissima piú di tutte, glie ne costituiscono una superiore, e per ciò maggiore, e la fanno muovere in ventiquattr'ore, mentre che la sua inferiore si muove in 36.000 anni? Ma di queste sproporzionalità se ne parlò a bastanza il giorno passato.
SALV.
Vorrei, signor Simplicio, che sospesa per un poco l'affezione che voi portate a i seguaci della vostra opinione, mi diceste sinceramente se voi credete che essi nella mente loro comprendano quella grandezza che dipoi giudicano non poter, per la sua immensità, attribuirsi all'universo; perché io, quanto a me, credo di no, e mi pare che, sí come nell'apprension de' numeri, come si comincia a passar quelle migliaia di milioni, l'immaginazion si confonde né può piú formar concetto, cosí avvenga ancora nell'apprender grandezze e distanze immense; sí che intervenga al discorso effetto simile a quello che accade al senso, che mentre nella notte serena io guardo verso le stelle, giudico al senso la lontananza loro esser di poche miglia, né esser le stelle fisse punto piú remote di Giove o di Saturno, anzi pur né della Luna.
Ma, senza piú, considerate le controversie passate tra gli astronomi ed i filosofi peripatetici per cagione della lontananza delle stelle nuove di Cassiopea e del Sagittario, riponendole quelli tra le fisse, e questi credendole piú basse della Luna: tanto è impotente il nostro senso a distinguere le distanze grandi dalle grandissime, ancor che queste in fatto siano molte migliaia di volte maggiori di quelle.
E finalmente io ti domando, oh uomo sciocco: Comprendi tu con l'immaginazione quella grandezza dell'universo, la quale tu giudichi poi essere troppo vasta? se la comprendi, vorrai tu stimar che la tua apprensione si estenda piú che la potenza divina, vorrai tu dir d'immaginarti cose maggiori di quelle che Dio possa operare? ma se non la comprendi, perché vuoi apportar giudizio delle cose da te non capite?
SIMP.
Questi discorsi camminan tutti benissimo, e non si nega che 'l cielo non possa superare di grandezza la nostra immaginazione, come anco l'aver potuto Dio crearlo mille volte maggiore di quello che è: ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell'universo; ora, mentre che noi veggiamo questo bell'ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra l'orbe supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? a che fine? per comodo ed utile di chi?
SALV.
Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l'opera adequata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga: ma io non vorrei che noi abbreviassimo tanto la sua mano, ma ci contentassimo di esser certi che Iddio e la natura talmente si occupa al governo delle cose umane, che piú applicar non ci si potrebbe quando altra cura non avesse che la sola del genere umano; il che mi pare con un accomodatissimo e nobilissimo esempio poter dichiarare, preso dall'operazione del lume del Sole, il quale, mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d'uva, anzi pur quel granello solo, vi si applica che piú efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel grano.
Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, né gli viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell'istesso tempo mille e mill'altri effetti, d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro solamente si impiegasse l'azione de' raggi solari.
Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta al governo delle cose umane; ma che non possano essere altre cose nell'universo dependenti dall'infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo: tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna renitenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da piú alta intelligenza mi venissero addotte.
In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, come anco superflua tanta immensità, per ricetto delle stelle fisse, che superi ogni nostra apprensione, dico che è temerità voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi.
SAGR.
Dite pure, e credo che direte meglio, che noi non sappiamo che serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che introdur si possano, il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura"; mentre che, oh stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata.
Per intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste (già che tu vuoi che ogni loro operazione sia indrizzata a noi), bisognerebbe per qualche tempo rimuover quel tal corpo, e quell'effetto, ch'io sentissi mancare in me, dire che dependeva da quella stella.
Di piú, chi vorrà dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? forse perché non gli vediamo? adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? e cosí le altre innumerabili stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le vedessero? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti, ma poi noi co 'l telescopio l'aviamo fatte diventare drappelli di molte stelle lucide e bellissime? Prosuntuosa, anzi temeraria, ignoranza de gli uomini!
SALV.
Non occorre, signor Sagredo, distendersi piú in queste infruttuose esagerazioni: seguitiamo il nostro instituto, che è di esaminare i momenti delle ragioni portate dall'una e dall'altra parte, senza determinar cosa alcuna, rimettendone poi il giudizio a chi ne sa piú di noi.
E tornando su i nostri discorsi naturali ed umani, dico che questo grande, piccolo, immenso, minimo, etc., son termini non assoluti, ma relativi, sí che la medesima cosa, paragonata a diverse, potrà ora chiamarsi immensa, e tal ora insensibile, non che piccola.
Stante questo, io domando in relazione a chi la sfera stellata del Copernico si può chiamare troppo vasta.
Questa, per mio parere, non può paragonarsi né dirsi tale se non in relazione a qualche altra cosa del medesimo genere: or pigliamo la minima del medesimo genere, che sarà l'orbe lunare; e se l'orbe stellato si deve sentenziare per troppo vasto rispetto a quel della Luna, ogn'altra grandezza che con simile o maggior proporzione ecceda un'altra del medesimo genere, doverà dirsi troppo vasta, ed anco, per questa ragione, negarsi che ella si ritrovi al mondo: e cosí gli elefanti e le balene saranno senz'altro chimere e poetiche immaginazioni, perché quelli, come troppo vasti in relazione alle formiche, le quali sono animali terrestri, e quelle rispetto alle spillancole, che sono pesci, e veggonsi di sicuro essere in rerum natura, sarebbono troppo smisurati, perché assolutamente l'elefante e la balena superano la formica e la spillancola con assai maggior proporzione che non fa la sfera stellata quella della Luna, figurandoci noi detta sfera tanto grande quanto basta per accomodarsi al sistema Copernicano.
Di piú, quanto è grande la sfera di Giove, quanto quella di Saturno, assegnate per recettacolo di una stella sola, e ben piccola, in comparazione di una fissa? certo che se a ciascuna fissa si dovesse consegnar per suo ricetto tal parte dello spazio mondano, bisognerebbe far l'orbe, dove stanzia l'innumerabil moltitudine di quelle, molte e molte migliaia di volte maggiore di quello che basta per il bisogno del Copernico.
In oltre, non chiamate voi una stella fissa, piccolissima, dico anco delle piú apparenti, non che di quelle che fuggono la nostra vista? e le chiamiamo cosí in comparazione dello spazio circonfuso.
Ora, quando tutta la sfera stellata fusse un corpo solo risplendente, chi è che non capisca che nello spazio infinito si può assegnare una distanza tanto grande, dalla quale tale sfera lucida apparisse cosí piccola ed anco minore di questo che dalla Terra ci pare adesso una stella fissa? di lí dunque giudicheremmo allora piccola quella medesima cosa, che ora di qui chiamiamo smisuratamente grande.
SAGR.
Grandissima mi par l'inezzia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l'universo piú proporzionato alla piccola capacità del loro discorso, che all'immensa, anzi infinita, Sua potenza.
SIMP.
Tutto questo che voi dite va bene; ma quello sopra di che la parte fa instanza, è l'avere a concedere che una stella fissa abbia ad esser non pure eguale, ma tanto maggiore del Sole, che pure amendue sono corpi particolari situati dentro all'orbe stellato.
E ben parmi che molto a proposito interroghi quest'autore e domandi: "A che fine ed a benefizio di chi sono macchine tanto vaste? prodotte forse per la Terra, cioè per un piccolissimo punto? e perché tanto remote, acciocché appariscano tantine e niente assolutamente possano operare in Terra? a che proposito una spropositata immensa voragine tra esse e Saturno? frustratorie sono tutte quelle cose che da ragioni probabili non son sostenute".
SALV.
Dall'interrogazioni che fa quest'uomo mi par che si possa raccorre, che quando si lasci stare il cielo, le stelle e le distanze, della quantità e grandezze ch'egli ha sin ora creduto (benché nissuna comprensibil grandezza egli già mai non se ne sia sicuramente figurata), ei penetri benissimo e resti capace de i benefizii che da esse provengano sopra la Terra, la quale non piú sia una cosetta minima, né che esse sien piú tanto remote che appariscano cosí piccoline, ma tanto grandi quanto basta per potere operare in Terra, e che la distanza tra esse e Saturno sia proporzionata benissimo, e che egli di tutte queste cose abbia molto probabili ragioni, delle quali ne averei volentieri sentito qualcuna; ma il vedere che egli in queste poche parole si confonde e si contraddice, mi fa credere ch'e' sia molto penurioso e scarso di queste probabili ragioni, e che quelle che ei chiama ragioni, sieno piú tosto fallacie, anzi ombre di vane immaginazioni.
Imperocché io domando adesso a lui, se questi corpi celesti operano veramente sopra la Terra, e se per tale effetto sono stati prodotti delle tali e tali grandezze, ed in tali e tali distanze disposti, o pure se non hanno che fare con le cose terrene.
Se non han che fare con la Terra, sciocchezza grande è il voler noi terreni esser arbitri delle grandezze, e regolatori delle loro locali disposizioni, mentre siamo ignorantissimi di tutti i loro affari e interessi: ma se dirà che operano e che a questo fine siano indrizzati, viene ad affermare quello che per un altro verso egli medesimo nega ed a laudar quello che pur ora ha dannato, mentre diceva che i corpi celesti, locati in tanta lontananza che dalla Terra appariscan tantini, non possono in lei operar cosa alcuna.
Ma, uomo mio, nella sfera stellata, già stabilita nella distanza che ella si trova e che da voi vien giudicata per ben proporzionata per gl'influssi in queste cose terrene, moltissime stelle appariscono piccolissime, e cento volte tante ve ne sono del tutto a noi invisibili (che è un apparire ancor minori che tantine): adunque bisogna che voi (contradicendo a voi medesimo) neghiate ora la loro operazione in Terra; o vero che (contradicendo pure a voi stesso) concediate che l'apparir tantine non detrae della loro operazione; o sí veramente (e questa sarà piú sincera e modesta concessione) concediate e liberamente confessiate che 'l giudicar nostro circa le loro grandezze e distanze sia una vanità, per non dir prosunzione o temerità.
SIMP.
Veramente veddi ancor io subito, nel legger questo luogo, la contradizion manifesta, nel dir che le stelle, per cosí dire, del Copernico, apparendo tanto piccoline, non potrebbero operare in Terra, e non si accorgere d'aver conceduto l'azione sopra la Terra a quelle di Tolomeo e sue, che appariscono non pur tantine, ma sono la maggior parte invisibili.
SALV.
Ma vengo ad un altro punto.
Sopra che fondamento dice egli che le stelle appariscano cosí piccole? forse perché tali le veggiamo noi? e non sa egli che questo viene dallo strumento che noi adoperiamo in riguardarle, cioè dall'occhio nostro? E che ciò sia vero, mutando strumento le vedremo maggiori e maggiori, quanto ne piacerà: e chi sa che alla Terra, che le rimira senza occhi, elle non si mostrino grandissime e quali realmente elle sono? Ma è tempo che, lasciate queste leggerezze, venghiamo a cose di piú momento: e però, avendo io già dimostrato queste due cose prima, quanto basti por lontano il firmamento sí che in lui il diametro dell'orbe magno non faccia maggior diversità di quella che fa l'orbe terrestre nella lontananza del Sole, e poi dimostrato parimente come per far che una stella del firmamento ci apparisca della grandezza che noi la veggiamo, non è necessario porla maggiore del Sole, vorrei saper se Ticone o alcuno de' suoi aderenti ha tentato mai di investigare in qualche modo se nella sfera stellata si scorga veruna apparenza per la quale si possa piú resolutamente negare o ammettere il moto annuo della Terra.
SAGR.
Io per loro risponderei di no, né tampoco averne avuto bisogno; già che il Copernico stesso è che dice, tal diversità non vi essere, ed essi, argomentando ad hominem, glie l'ammettono, e sopra questo assunto mostrano l'improbabilità che ne segue, cioè che sarebbe necessario far la sfera tanto immensa, che una stella fissa, per apparirci grande come ci apparisce, converrebbe che in realtà fusse una mole cosí immensa che eccedesse la grandezza di tutto l'orbe magno: cosa che è poi, come essi dicono, del tutto incredibile.
SALV.
Io son del medesimo parere, e credo appunto ch'egli argomentino contro all'uomo piú per difesa d'un altro uomo, che per brama di venire in cognizion del vero; e non solamente non credo che alcun di loro si sia applicato al far tal osservazione, ma non son sicuro ancora se alcuno di essi sappia quale diversità dovesse produr nelle fisse il movimento annuo della Terra, quando la sfera stellata non fusse in tanta distanza che in esse tal diversità per la sua piccolezza svanisse: perché il cessare da tal inquisizione e rimettersi al semplice detto del Copernico, può ben bastare a convincer l'uomo, ma non già a chiarirsi del fatto, potendo esser che la diversità ci sia, ma non cercata, o, per la sua piccolezza o per mancamento di strumenti esatti, non compresa dal Copernico; che non sarebbe questa la prima cosa che egli, per mancanza di strumenti o per altro difetto, non ha saputa, e pur, fondato sopra altre saldissime conietture, affermò quello a cui parevano contrariare le cose non comprese da lui: ché, come già si disse, senza il telescopio né Marte poteva comprendersi crescer 60 volte, e Venere 40, piú in quella che in questa positura, anzi le differenze loro appariscono minori assai del vero; tuttavia si è poi venuto in certezza, tali mutazioni esservi a capello quali ricercava il sistema copernicano.
Or cosí sarebbe ben fatto ricercare, con quella esquisitezza che si potesse maggiore, se una tal mutazione che dovrebbe scorgersi nelle fisse, posto il moto annuo della Terra, effettivamente si osservasse; cosa che assolutamente credo non esser sin ora stata fatta da alcuno, e non solamente fatta, ma forse (come ho detto) né anco da molti ben inteso quel che cercar si dovrebbe.
Né mi muovo a caso a dir cosí; perché già veddi certa scrittura a penna di uno di questi anticopernicani, che diceva, necessariamente dover seguire, quando tal opinion fusse vera, un continuo alzamento ed abbassamento del polo di 6 mesi in 6 mesi, secondo che la Terra in tanto tempo, per tanto spazio quant'è il diametro dell'orbe magno, si ritira or verso settentrione or verso austro; e pur gli pareva ragionevole, anzi necessario, che seguendo noi la Terra, quando fussimo verso settentrione, dovessimo avere il polo piú elevato che quando siamo verso il mezo giorno.
In questo medesimo errore incorse uno per altro assai intelligente matematico, pur seguace del Copernico, secondo che riferisce Ticone ne' suoi Proginnasmi a fac.
684, il quale diceva aver osservato mutarsi l'altezza polare ed esser diversa la state dal verno: e perché Ticone nega il merito della causa, ma non danna l'ordine, cioè nega il vedersi mutazione nell'altezza polare, ma non condanna tale inquisizione come non accomodata a conseguir quel che si cerca, viene a dichiararsi che egli ancora stima, l'altezza polare, variata o non variata di 6 mesi in 6 mesi, esser buona riprova per escludere o introdurre il movimento annuo della Terra.
SIMP.
Veramente, signor Salviati, che a me ancora par che dovesse seguir l'istesso.
Imperocché io non credo che voi mi negherete, che se noi camminiamo solamente 60 miglia verso tramontana, il polo ci si alzerà un grado, ed accostandosi parimente per altre 60 miglia al settentrione, ci si alzerà il polo un altro grado, etc.: ora, se l'accostarsi e di scostarsi 60 miglia solamente fa sí notabil mutazione nell'altezze polari, che doverà fare il trasportarvi la Terra, e noi insieme, non dirò 60 miglia, ma 60 migliaia?
SALV.
Doverà fare (se si deve seguir cotesta proporzione) che il polo ci si alzerà mille gradi.
Vedete, signor Simplicio, quanto può un'inveterata impressione! Voi, per esservi fissato nella fantasia per tanti anni che il cielo sia quello che si rivolga in ventiquattr'ore, e non la Terra, e che in conseguenza i poli di tal revoluzione siano nel cielo e non nel globo terrestre, non potete né anco per un'ora spogliarvi quest'abito e mascherarvi del contrario, figurandovi che la Terra sia quella che si muova solamente per tanto tempo quanto basta per concepir quello che ne seguirebbe quando questa bugia fusse vera.
Se la Terra, signor Simplicio, è quella che si muove in se stessa in ventiquattr'ore, in lei sono i poli, in lei è l'asse, in lei è l'equinoziale, cioè il cerchio massimo descritto dal punto egualmente distante da i poli, in lei sono gli infiniti paralleli, maggiori e minori, descritti da i punti della sua superficie piú e meno distanti da i poli; in lei sono tutte queste cose, e non nella sfera stellata, che, per essere immobile, manca di tutte, e solo con l'imaginazione vi si possono figurare, prolungando l'asse della Terra sin là dove terminando segnerà due punti sopraposti a i nostri poli, ed il piano dell'equinoziale disteso figurerà in cielo un cerchio a sé corrispondente.
Ora, se il vero asse, i veri poli, il vero equinoziale terrestri non si mutano in Terra tuttavolta che voi ancora resterete nel medesimo luogo in Terra, trasportate pure la Terra dove vi piace, che voi già mai non cangerete abitudine né a i poli né a i cerchi né ad altra cosa terrena; e questo, per esser cotal trasportamento comune a voi ed a tutte le cose terrestri, ed il moto, dove è comune, è come se non vi fusse: e sí come voi non muterete abitudine a i poli terreni (abitudine, dico, sí che vi si alzino o vi s'abbassino), cosí parimente non la muterete a i poli figurati in cielo, tuttavoltaché per poli celesti intenderemo (come già si è definito) quei due punti che dall'asse terrestre, prolungato sin là, vi vengono segnati.
È vero che si mutano tali punti nel cielo, quando il trasportamento della Terra vien fatto in tal modo, che il suo asse vadia a ferire in altri ed altri punti della sfera celeste immobile; ma non si muta la nostra abitudine ad essi, sí che il secondo ci si elevi piú che il primo.
Chi vuole che de i punti del firmamento, rispondenti a i poli della Terra, l'uno se gli alzi e l'altro se gli abbassi, bisogna camminare in Terra verso l'uno, allontanandosi dall'altro; ché il trasportar la Terra, e con lei noi medesimi (come ho già detto), non opera niente.
SAGR.
Concedetemi in grazia, signor Salviati, ch'io spiani assai chiaramente questo negozio con un esempio, se ben grossolano, altrettanto però accomodato a questo proposito.
Figuratevi, signor Simplicio, d'essere in una galera, e che stando in poppa abbiate drizzato un quadrante o altro strumento astronomico alla sommità dell'albero del trinchetto, come se voi voleste prender la sua elevazione, la quale fusse, verbigrazia, 40 gradi: non è dubbio, che camminando voi per corsía verso l'albero 25 o 30 passi, tornando a drizzare il medesimo strumento alla medesima sommità dell'albero, troverete la sua elevazione esser maggiore, ed esser cresciuta, verbigrazia, 10 gradi; ma se in cambio di camminar i detti 25 o 30 passi verso l'albero, voi, restando fermo in poppa, faceste muover tutta la galera verso quella parte, credereste voi che, mediante il viaggio che ella avesse fatto de i 25 o 30 passi, l'elevazion del trinchetto vi si mostrasse di 10 gradi accresciuta?
SIMP.
Credo ed intendo che ella non si vantaggierebbe né anco un sol capello per il viaggio di mille né di centomila miglia, non che di 30 passi; ma credo bene che, se traguardando la sommità del trinchetto si fusse incontrato una stella fissa ad esser nella medesima dirittura, credo, dico, che tenendo fermo il quadrante, doppo aver navigato verso la stella 60 miglia, la mira batterebbe bene alla punta del trinchetto come prima, ma non già piú alla stella, la quale mi si sarebbe elevata un grado
SAGR.
Ma voi non credete già che 'l traguardo non battesse a quel punto della sfera stellata che risponde alla dirittura della sommità del trinchetto?
SIMP.
Questo no, ma il punto sarebbe variato, e rimarrebbe sotto alla stella prima osservata.
SAGR.
Cosí sta per appunto.
Ma sí come quello che in quest'esempio risponde all'elevazion della sommità dell'albero non è la stella, ma il punto del firmamento che si trova nella dirittura dell'occhio e della cima dell'albero, cosí nel caso esemplificato quello che nel firmamento risponde al polo della Terra, non è una stella o altra cosa fissa del firmamento, ma è quel punto nel quale va a terminar l'asse terrestre dirittamente prolungato sin là, il qual punto non è fisso, ma ubbidisce alle mutazioni che facesse il polo terreno: e però Ticone o altri, che avevano portato questa instanza dovevano dire che a tal movimento della Terra, quando vero fusse, si dovrebbe conoscere ed osservar qualche diversità nell'alzamento ed abbassamento non del polo, ma di alcuna stella fissa verso quella parte che risponde al nostro polo.
SIMP.
Già intendo benissimo l'equivoco preso da costoro, ma non però mi si toglie la forza, che mi par grandissima, dell'argomento portato in contrario, quando si riferisca alla mutazion delle stelle, e non piú del polo: atteso che, se il movimento della galera, di 60 miglia solamente, mi fa alzarsi una stella fissa per un grado, come non potrà molto piú venirmi una simil mutazione, ed anco maggiore assaissimo, quando la galera si trasportasse verso la medesima stella per tanto spazio quant'è il diametro dell'orbe magno, che voi dite esser il doppio di quello che è dalla Terra al Sole?
SAGR.
Qui, signor Simplicio, ci è un altro equivoco, il quale veramente voi intendete, ma non vi sovviene l'intenderlo; ed io cercherò di ricordarvelo.
Però ditemi: Se quando, doppo avere aggiustato il quadrante a una stella fissa, e trovato, verbigrazia, la sua elevazione esser 40 gradi, voi, senza muovervi di luogo inclinaste il lato del quadrante, sí che la stella rimanesse elevata sopra quella dirittura, direte voi perciò la stella aver acquistato maggior elevazione?
SIMP.
Certo no, perché la mutazione si è fatta nello strumento, e non nell'osservatore, che abbia mutato luogo movendosi verso quella.
SAGR.
Ma quando voi navigate o camminate sopra la superficie della Terra, direste voi che nel medesimo quadrante non si facesse mutazione alcuna, ma si conservasse sempre la medesima elevazione rispetto al cielo, tuttavolta che voi stesso non l'inclinaste, ma lo lasciaste stare nella prima costituzione?
SIMP.
Lasciate ch'io ci pensi un poco.
Direi senz'altro che non la conservasse, per esser, il viaggio ch'io fo, non in piano, ma sopra la circunferenza del globo terrestre, la quale di passo in passo muta inclinazione rispetto al cielo, ed in conseguenza la fa mutare allo strumento che sopra di lei la conserva.
SAGR.
Voi benissimo dite; ed anco intendete, che quanto maggiore e maggiore fusse quel cerchio sopra il quale voi vi moveste, tante piú miglia bisognerebbe camminare per far che quella stella vi si alzasse quel grado di piú, e che finalmente, quando il moto verso la stella fusse per linea retta, piú ancora converrebbe muoversi che per la circonferenza di qualsivoglia grandissimo cerchio.
SALV.
Sí, perché finalmente la circonferenza del cerchio infinito e una linea retta sono l'istessa cosa.
SAGR.
Oh questo non intendo io, né credo che l'intenda anco il signor Simplicio; e bisogna che ci sia sotto qualche misterio ascosto, perché sappiamo che il signor Salviati non parla mai a caso, né mette in campo paradosso che non riesca in qualche concetto non punto triviale: però a luogo e tempo vi ricorderò la dichiarazion di questo esser la linea retta l'istesso che la circonferenza del cerchio infinito, ché per adesso non voglio che interrompiamo il discorso che aviam per le mani.
E tornando al caso, metto in considerazione al signor Simplicio come l'accostamento e discostamento che fa la Terra a quella stella fissa che è vicina al polo, si fa come per una linea retta, che è il diametro dell'orbe magno; talché il voler regolare l'alzamento ed abbassamento della stella polare co 'l moto per tal diametro come pe 'l moto sopra il cerchio piccolissimo della Terra, è gran segno di poca intelligenza.
SIMP.
Ma pur restiamo ancora nelle medesime difficultà, già che né anco quella poca diversità che esser vi dovrebbe, si scorge esservi; e se questa è nulla, nullo ancora bisogna confessar che sia il moto annuo per l'orbe magno, attribuito alla Terra.
SAGR.
Or qui lascio seguire al signor Salviati: il quale mi par che non trapassava per nullo l'alzamento o abbassamento della stella polare o di altra delle fisse, ancorché non compreso da alcuno, e dall'istesso Copernico posto non dirò per nullo, ma per inosservabile per la sua piccolezza.
SALV.
Già ho detto di sopra, che non credo che alcuno si sia messo ad osservare se ne i diversi tempi dell'anno si scorga mutazione alcuna nelle fisse, che possa dependere dal movimento annuo della Terra; e soggiunto di piú, che ho dubbio se forse alcuno abbia bene inteso, quali sieno le mutazioni, e tra quali stelle debbano apparire: però è bene che andiamo con diligenza esaminando questo punto.
L'aver trovato scritto solamente in genere, non si dovere ammettere il movimento annuo della Terra nell'orbe magno, perché non ha del verisimile che per esso non si vedesse alcuna apparente mutazione nelle stelle fisse, e il non sentir poi dire quali dovessero esser in particolare cotali apparenti mutazioni ed in quali stelle, mi fa molto ragionevolmente stimare che costoro che su quel generico pronunziato si fermano, non abbiano inteso, né anco forse cercato di intendere, come cammini il negozio di queste mutazioni, né che cose siano quelle che dicono che veder si dovrebbero; ed a cosí giudicare mi muove il sapere, che il movimento annuo attribuito dal Copernico alla Terra quando debba farsi sensibile nella sfera stellata, non rispetto a tutte le stelle egualmente ha da farsi apparente mutazione, ma tale apparenza in alcune deve farsi maggiore, in altre minore, in altre ancor minore, e finalmente in altre assolutamente nulla, per grandissimo che si ponesse il cerchio di questo moto annuo.
Le mutazioni poi, che veder si dovrebbero, sono di due generi: l'uno è il mutar esse stelle l'apparente grandezza, e l'altro il variar altezze nel meridiano; che si tira poi in conseguenza il mutar gli orti e gli occasi, e le distanze dal vertice, etc.
SAGR.
Mi par di vedermi apparecchiare una matassa di questi rivolgimenti, che Dio voglia ch'io me ne sia per poter distrigar mai; perché, a confessare il mio difetto al signor Salviati, io ci ho tal volta pensato, né mai ne ho potuto ritrovare il bandolo, e non dico tanto di questo che appartiene alle stelle fisse, quanto di un'altra piú terribil faccenda, che voi mi avete fatta sovvenire co 'l ricordar queste altezze meridiane, latitudini ortive e distanze dal vertice, etc.: e 'l mio ravvolgimento di cervello nasce da quello ch'io vi dirò adesso.
Il Copernico pone la sfera stellata immobile, ed il Sole nel centro di essa, parimente immobile; adunque ogni mutazione che a noi apparisca farsi nel Sole o nelle stelle fisse, è necessario che sia della Terra, cioè nostra: ma il Sole si alza e si abbassa nel nostro meridiano per un arco grandissimo, quasi di 47 gradi, e per archi ancora maggiori e maggiori varia le sue larghezze ortive ed occidue ne gli orizonti obliqui: or come può mai la Terra inclinarsi e rilevarsi tanto notabilmente al Sole, e nulla alle stelle fisse, o per sí poco che sia cosa impercettibile? Questo è quel nodo che non è possuto mai passare al mio pettine; e se voi me lo scioglierete, vi stimerò piú che un Alessandro.
SALV.
Queste sono difficultà degne dell'ingegno del signor Sagredo: ed è tale il dubbio, che sino l'istesso Copernico diffidò quasi di poterlo dichiarare in maniera che lo rendesse intelligibile, il che si vede sí dal confessare egli stesso la sua oscurità, sí dal rimettersi due volte in due diverse maniere per dichiararlo: ed io ingenuamente confesso di non avere capita la sua spiegatura se non doppo che con altro diverso modo, assai piano e chiaro, lo resi intelligibile, ma non però senza una lunga e laboriosa applicazion di mente.
SIMP.
Aristotile vedde la difficultà medesima e se ne serví per redarguir alcuni antichi i quali volevano che la Terra fusse un pianeta: contro a i quali argomenta, che se ciò fusse, converrebbe che essa parimente, come gli altri pianeti, avesse piú di un movimento, dal che ne seguirebbe questa variazione ne gli orti ed occasi delle stelle fisse, e nell'altezze meridiane parimente.
E poiché ei promosse la difficultà e non la risolvette, è forza che ella sia, se non d'impossibile, almeno di difficile scioglimento.
SALV.
La grandezza e forza dell'annodamento rende lo scioglimento più bello e ammirando; ma io non ve lo prometto per oggi, e vi prego a dispensarmi sino a domani, e per ora andremo considerando e dichiarando quelle mutazioni e diversità che per il movimento annuo dovriano scorgersi nelle stelle fisse, sì come pur ora dicevamo, nell'esplicazion delle quali vengono a proporsi alcuni punti preparatorii per lo scioglimento della massima difficultà.
Ora, ripigliando i due movimenti attribuiti alla Terra (e dico due, perchè il terzo non è altrimenti un moto, come a suo luogo dichiarerò), cioè l'annuo ed il diurno, quello si deve intendere fatto dal centro della Terra nella circonferenza dell'orbe magno, cioè di un cerchio massimo descritto nel piano dell'eclittica, fissa ed immutabile; l'altro, cioè il diurno, è fatto dal globo della Terra in sè stesso circa il proprio centro e proprio asse, non eretto, ma inclinato al piano dell'eclittica, con inclinazione di gradi 23 e mezo in circa, la quale inclinazione si mantiene per tutto l'anno e, quello che sommamente si deve notare, si conserva sempre verso la medesima parte del cielo, talmentechè l'asse del moto diurno si mantien perpetuamente parallelo a sè stesso: sì che, se noi ci immagineremo tale asse prolungato sino alle stelle fisse, mentre che il centro della Terra circonda in un anno tutta l'eclittica, l'istesso asse descrive la superficie di un cilindro obliquo, che ha per una delle sue basi il detto cerchio annuo, e per l'altra un simil cerchio imaginariamente descritto dalla sua estremità, o vogliamo dir polo, tra le stelle fisse; ed è tal cilindro obliquo al piano dell'eclittica secondo l'inclinazion dell'asse che lo descrive, che aviamo detto esser gradi 23 e mezo, la quale, conservandosi perpetuamente l'istessa (se non quanto in molte migliaia di anni fa qualche piccolissima mutazione, che al presente negozio niente importa), fa che 'l globo terrestre nè più s'inclina già mai nè si solleva, ma immutabile si conserva: dal che ne séguita che, per quanto appartiene alle mutazioni da osservarsi nelle fisse, dependenti dal solo movimento annuo, l'istesso accaderà a qualsivoglia punto della superficie terrena, che all'istesso centro della Terra; e però nelle presenti esplicazioni ci serviremo del centro, come di qualsivoglia [vedi figura 25.gif] punto della superficie.
E per più facile intelligenza del tutto, ne disegneremo le figure lineari: e prima segniamo nel piano dell'eclittica il cerchio ANBO, ed intendiamo i punti A, B essere gli estremi verso borea e verso austro, cioè il principio di Cancro e di Capricorno, ed il diametro AB prolunghiamolo indeterminatamente per D e C verso la sfera stellata: dico ora, primieramente, che niuna delle stelle fisse poste nell'eclittica, per qualsivoglia mutazion fatta dalla Terra per esso piano dell'eclittica, varierà mai elevazione, ma sempre si scorgerà nella medesima superficie; ma bene se gli avvicinerà ed allontanerà la Terra per tanto spazio quanto è il diametro dell'orbe magno.
Il che sensatamente si vede nella figura: imperocchè, sia la Terra nel punto A o sia in B, sempre la stella G si vede per la medesima linea ABC; ma bene la lontananza BC si è fatta minore della CA per tutto il diametro BA: il più dunque che si possa scorgere nella stella C, ed in qualsivoglia altra posta nell'eclittica, è la accresciuta o diminuita apparente grandezza, per l'avvicinamento o allontanamento della Terra.
SAGR.
Fermate un poco, in cortesia, perché sento non so che scrupolo che mi dà fastidio, ed è questo.
Che la stella C venga veduta per la medesima linea A B C tanto quando la Terra sia in A quanto se ella sia in B, l'intendo benissimo; come anco di piú capisco che l'istesso avverrebbe da tutti i punti della linea A B, mentre che la Terra passasse da A in B per essa linea; ma passandovi, come si suppone per l'arco A N B, è manifesta cosa che quando ella sarà nel punto N, ed in qualunque altro fuori che li due A, B, non piú per la linea A B, ma per altre ed altre, si scorgerà: talché se il mostrarsi sotto diverse linee deve cagionar apparente mutazione, qualche diversità converrà che si scorga.
Anzi piú dirò, con quella libertà filosofica che tra i filosofi amici debbe esser permessa, parermi che voi, contrariando a voi stesso, neghiate ora quello che pur oggi ci avete, con nostra maraviglia, dichiarato esser cosa verissima e grande: dico di quello che accade ne i pianeti ed in particolare ne i tre superiori, che ritrovandosi continuamente nell'eclittica o a quella vicinissimi, non solamente si mostrano ora a noi propinqui ed ora remotissimi ma tanto, nei regolati lor movimenti, difformi, che talvolta immobili, e tal ora, per molti gradi, retrogradi, ci si rappresentano; e tutto non per altra cagione, che per il movimento annuo della Terra.
SALV.
Ancorché per mille riscontri io sia stato fatto certo dell'accortezza del signor Sagredo, pur ho voluto con quest'altro cimento assicurarmi maggiormente di quanto io possa promettermi dell'ingegno suo; e tutto per util mio, ché quando le mie proposizioni potranno star salde al martello o alla coppella del suo giudizio, potrò star sicuro che elle sien di lega buona a tutto paragone.
Dico per tanto, che a bello studio avevo dissimulata cotesta obiezzione, ma non però con animo di ingannarvi e di persuadervi alcuna falsità, come sarebbe potuto accadere quando l'instanza da me dissimulata, e da voi trapassata, fusse stata tale in effetto quale in apparenza si mostra, cioè veramente gagliarda e concludente; ma ella non è tale, anzi dubito io adesso che voi, per tentar me, finghiate di non conoscer la sua nullità.
Ma voglio in questo particolare esser piú malizioso di voi, co 'l cavarvi a forza di bocca quello che artifiziosamente volevi nasconderci: e però ditemi, che cosa è quella onde voi conoscete la stazione e retrogradazione de' pianeti derivante dal moto annuo, e che è cosí grande che pure almeno qualche vestigio di simile effetto dovrebbe vedersi nelle stelle dell'eclittica.
SAGR.
Due quesiti contien questa vostra domanda, a i quali convien ch'io risponda: il primo riguarda l'imputazione, che mi date, di simulatore; l'altro è di quello che possa apparir nelle stelle, etc.
Quanto al primo, dirò con vostra pace che non è vero ch'io abbia simulato di non intender la nullità di quella instanza; e per assicurarvi di ciò, vi dic'ora che benissimo capisco tal nullità.
SALV.
Ma non capisco già io come possa essere che voi non parlaste simulatamente, quando dicevi di non intender quella tal fallacia, la quale confessate ora di intender benissimo.
SAGR.
La confessione stessa d'intenderla può assicurarvi ch'io non simulavo, mentre dicevo di non l'intendere; perché quando io avessi voluto e volessi simulare, chi potria tenermi ch'io non continuassi nella medesima simulazione, negando tuttavia di intender la fallacia? Dico dunque che non l'intendevo allora, ma che ben la capisco al presente, mercé dell'avermi voi destato l'intelletto, prima co 'l dirmi risolutamente che ella non è nulla, e poi co 'l cominciare a interrogarmi cosí alla larga, che cosa fusse quella per la quale io conosceva la stazione e retrogradazione de' pianeti: e perché questo si conosce dalla conferenza che si fa di essi con le stelle fisse, in relazion delle quali si veggono variare lor movimenti or verso occidente ed or verso oriente e tal ora restar come immobili, e perché sopra la sfera stellata non ve n'è altra immensamente piú remota, ed a noi visibile, con la quale possiamo conferir le nostre stelle fisse, però vestigio niuno possiamo noi scorger nelle fisse, che risponda a quello che ci apparisce ne' pianeti.
Questo penso io che sia quel tanto che voi mi volevi cavar di bocca.
SALV.
Questo è, con la giunta da vantaggio della vostra sottilissima arguzia.
E se io con un piccol motto vi apersi la mente, voi con un altro fate sovvenire a me, non esser del tutto impossibile che qualche cosa in qualche tempo si trovasse osservabile tra le fisse, per la quale comprender si potesse in chi risegga l'annua conversione, talchè esse ancora, non men de i pianeti e del Sole stesso, volesser comparire in giudizio a render testimonianza di tal moto a favor della Terra: perch'io non credo che le stelle siano sparse in una sferica superficie, egualmente distanti da un centro, ma stimo che le loro lontananze da noi siano talmente varie, che alcune ve ne possano esser 2 e 3 volte più remote di alcune altre; talchè, quando si trovasse co 'l telescopio qualche piccolissima stella vicinissima ad alcuna delle maggiori, e che però quella fusse altissima, potrebbe accadere che qualche sensibil mutazione succedesse tra di loro, rispondente a quella de i pianeti superiori.
E tanto sia detto per ora circa il particolare delle stelle poste nell'eclittica: venghiamo ora alle fisse poste fuora dell'eclittica, ed intendiamo un cerchio massimo eretto al piano di quella, e sia, per esempio, un cerchio che nella sfera stellata risponda al coluro de' solstizii, e segniamolo CEH, che verrà insieme ad esser un meridiano, ed in esso pigliamo una stella fuori dell'eclittica, qual sarebbe la E.
Or questa al movimento della Terra varierà bene elevazione; perchè dalla Terra in A sarà veduta secondo il raggio AE, con l'elevazione dell'angolo EAC; ma dalla Terra posta in B si vedrà ella per il raggio BE, con elevazione dell'angolo EBC, maggiore dell'altro EAC, per esser quello esterno, e questo interno ed opposto, nel triangolo EAB: vedrassi dunque mutata la distanza della stella E dall'eclittica; ed anco la sua altezza nel meridiano sarà fatta maggiore nello stato B che nel luogo A, secondo che l'angolo EBC supera l'angolo EAC, che è la quantità dell'angolo AEB: imperocchè, essendo del triangolo EAB prolungato il lato AB in C, l'esteriore angolo EBC (per esser eguale alli due interiori ed opposti E, A) supera esso A per la quantità dell'angolo E.
E se noi piglieremo un'altra stella nel medesimo meridiano, più remota dall'eclittica, qual sarebbe, v.
g., la stella H, maggiore anco sarà in essa la diversità dall'esser vista dalli due luoghi A, B, secondo che l'angolo AHB si fa maggiore dell'altro E il quale angolo anderà sempre crescendo, secondo che la stella osservata più sarà lontana dall'eclittica, sin che finalmente la massima mutazione apparirà in quella stella che fusse posta nell'istesso polo dell'eclittica come, per totale intelligenza, potremo dimostrar [vedi figura 26.gif] così: Sia il diametro dell'orbe magno AB, il cui centro G, ed intendasi prolungato sino alla sfera stellata ne i punti D, C; e sia dal centro G eretto l'asse dell'eclittica GF sino alla medesima sfera, nella quale s'intenda descritto un meridiano DFC, che sarà eretto al piano dell'eclittica; e presi nell'arco FC qualsivoglino punti H, E, come luoghi di stelle fisse, congiungansi le linee FA, FB, AH, HG, HB, AE, GE, BE, sì che l'angolo della diversità o vogliàn dire la parallasse della stella posta nel polo F sia AFB, quello della stella posta in H sia l'angolo AHB, e della stella in E sia l'angolo AEB: dico l'angolo della diversità della stella polare F essere il massimo, e de gli altri il più vicino al massimo esser maggiore del più remoto, cioè l'angolo F esser maggiore dell'angolo H, e questo maggiore dell'angolo E.
Intendasi intorno al triangolo FAB descritto un cerchio; e perchè l'angolo F è acuto (per esser la sua base AB minore del diametro DC del mezo cerchio DFC), sarà posto nella porzione maggiore del circoscritto cerchio tagliata dalla base AB; e perchè essa AB è divisa in mezo ed ad angoli retti dalla FG, sarà il centro del cerchio circoscritto nella linea FG: sia il punto I.
E perchè delle linee tirate dal punto G, che non è centro, sino alla circonferenza del cerchio circoscritto, la massima è quella che passa per il centro, sarà la GF maggiore di ogn'altra che dal punto G si tiri sino alla circonferenza del medesimo cerchio; e però tal circonferenza taglierà la linea GH (che è eguale alla linea GF), e tagliando la GH taglierà ancora la AH: taglila in L, e congiungasi la linea LB: saranno dunque li due angoli AFB, ALB eguali, per esser nella medesima porzione del cerchio circoscritto: ma ALB, esterno, è maggiore dell'interno H: adunque l'angolo F è maggiore dell'angolo H.
E con l'istesso metodo dimostreremo, l'angolo H esser maggiore dell'angolo E, perchè del cerchio descritto intorno al triangolo AHB il centro è nella perpendicolare GF, al quale la linea GH è più vicina della GE, e però la circonferenza di esso taglia la GE ed anco la AE: onde è manifesto il proposito.
Concludiamo per tanto, che la diversità di apparenza (la quale con termine proprio dell'arte potremo chiamar parallasse delle stelle fisse) è maggiore e minore secondo che le stelle osservate sono più o meno vicine al polo dell'eclittica; sì che finalmente delle stelle che sono nell'eclittica stessa, tal diversità si riduce a nulla.
Quanto poi all'avvicinarsi o allontanarsi per tal moto la Terra alle stelle, a quelle che sono nell'eclittica si avvicina ella e si discosta per quanto è tutto il diametro dell'orbe magno, come pur ora vedemmo; ma alle stelle intorno al polo dell'eclittica tale accostamento o allontanamento è quasi nullo, ed all'altre questa diversità si fa maggiore secondo che elle sono più vicine all'eclittica.
Possiamo, nel terzo luogo, intendere, come quella diversità d'aspetto si fa maggiore o minore, secondo che la stella osservata fusse a noi più vicina o più remota; perchè, se noi segneremo un altro meridiano men lontano dalla Terra, qual sarebbe questo DFI, una stella posta in F e veduta per il medesimo raggio AFE, stante la Terra in A, quando poi si osservasse dalla Terra in B, si scorgerebbe secondo il raggio BF, e farebbe l'angolo della diversità, cioè BFA, maggiore dell'altro primo AEB, essendo esteriore del triangolo BFE.
[vedi figura 27.gif]
SAGR.
Con gran gusto, ed anco profitto, ho sentito il vostro discorso; e per assicurarmi s'io ben l'abbia capito, dirò la somma delle conclusioni sotto brevi parole.
Parmi che voi ci abbiate spiegato, due sorte di diverse apparenze esser quelle che mediante il moto annuo della Terra possiamo noi osservare nelle stelle fisse: l'una è delle lor variate grandezze apparenti, secondo che noi, portati dalla Terra, a quelle ci avviciniamo o ci allontaniamo; l'altra (che pur depende dal medesimo allontanamento o avvicinamento) è il mostrarcisi nel medesimo meridiano ora più elevate ed ora meno.
Di più, voi ci dite (ed io benissimo l'intendo) che l'una e l'altra di tali mutazioni non si fa egualmente in tutte le stelle, ma in altre maggiore ed in altre minore ed in altre niente.
L'appressamento e discostamento per il quale la medesima stella ci debba apparire or più grande ed or più piccola, è insensibile e quasi nullo nelle stelle vicine al polo dell'eclittica, ma è massimo nelle stelle poste in essa eclittica, mediocre nelle intermedie; il contrario accade dell'altra diversità, cioè che nullo è l'alzamento o abbassamento nelle stelle poste nell'eclittica, massimo nelle circonvicine al polo di essa eclittica, mediocre nelle intermedie.
Oltre di ciò, amendue queste diversità sono più sensibili nelle stelle che fussero più vicine, nelle più lontane son sensibili meno, e finalmente nelle estremamente lontane svanirebbero.
Questo è quanto alla parte mia; resta ora, per quel ch'io mi avviso, di sodisfare al Sig.
Simplicio, il quale non credo che facilmente si accomoderà a passar come cose insensibili cotali diversità, derivanti da un movimento della Terra tanto vasto e da una mutazione che trasporti la Terra in luoghi tra di loro distanti per due volte tanto quanto è da noi al Sole.
SIMP.
In vero io, liberamente parlando, sento gran repugnanza nell'avere a conceder, la distanza delle fisse dovere esser tanta, che in esse le dichiarate diversità devano esser del tutto impercettibili.
SALV.
Non vi gettate del tutto al disperato, signor Simplicio, ché forse ci è ancora qualche temperamento per le vostre difficultà.
E prima, che l'apparente grandezza delle stelle non si vegga alterar sensibilmente, non vi deve parer punto improbabile, mentre che voi vedete l'estimativa de gli uomini in cotal fatto tanto altamente ingannarsi, e massime nel riguardare oggetti risplendenti: e voi stesso rimirando, verbigrazia, una torcia accesa dalla distanza di 200 passi, nell'appressarvisi ella 3 o 4 braccia, credereste di accorgervene, perché maggiore vi si mostrasse? Io per me non me ne accorgerei sicuramente, quando ben mi se n'avvicinasse 20 o 30: anzi tal volta mi sono incontrato a vedere un simil lume in una tal lontananza, né sapermi risolvere se e' veniva verso me o pur si allontanava, mentre egli realmente mi si avvicinava.
Ma che? se il medesimo appressamento e allontanamento (dico del doppio della distanza dal Sole a noi) nella stella di Saturno è quasi totalmente impercettibile, ed in Giove poco osservabile, che doverà essere nelle stelle fisse, che non credo che voi foste renitente a porle piú lontane il doppio di Saturno? In Marte, che per avvicinarsi a noi...
SIMP.
Vossignoria non si affatichi piú in questo particolare, ché già resto capace, poter benissimo accadere quanto si è detto circa la non alterata apparente grandezza delle stelle fisse; ma che diremo dell'altra difficultà, che nasce da non si scorger variazione alcuna nella mutazion di aspetto?
SALV.
Diremo cosa per avventura da potervi quietare anco in questa parte.
E per venire alle brevi, non sareste voi sodisfatto quando realmente si scorgesser nelle stelle quelle mutazioni che vi par necessario che scorger vi si dovessero quando il movimento annuo fusse della Terra?
SIMP.
Sarei senza dubbio, per quanto appartiene a questo particolare.
SALV.
Vorrei che voi diceste, che quando una tal diversità si scorgesse, niuna cosa resterebbe piú che potesse render dubbia la mobilità della Terra, atteso che a cotal apparenza nissun altro ripiego assegnar si potrebbe.
Ma quando bene anco ciò sensibilmente non apparisse, non però la mobilità si rimuove, né la immobilità necessariamente si conclude, potendo esser (come afferma il Copernico) che l'immensa lontananza della sfera stellata renda inosservabili cotali minime apparenze; le quali, come già si è detto, può esser che sin ora non sieno state né anco ricercate, o, se pur ricercate, non ricercate nella maniera che si deve, cioè con quella esattezza che a cosí minute puntualità sarebbe necessaria; la quale esattezza è difficile a conseguirsi, sí per difetto de gli strumenti astronomici, suggetti a molte alterazioni, sí ancora per colpa di quelli che gli maneggiano con minor diligenza di quello che sarebbe necessario.
Argomento necessariamente concludente di quanto poco sia da fidarsi di tali osservazioni, siane la diversità che noi troviamo tra gli astronomi nell'assegnare i luoghi, non dirò delle stelle nuove e delle comete, ma delle stelle fisse medesime, sino anco all'altezze polari, nelle quali il piú delle volte per molti minuti si trovano tra di loro discordanti.
E per vero dire, chi vuole in un quadrante o sestante, che al piú averà il lato di 3 o 4 braccia di lunghezza, assicurarsi nell'incidenza del perpendicolo o nel taglio della diottra di non si ingannare di dua o tre minuti, che nella sua circonferenza non saranno maggiori della larghezza di un grano di miglio? oltre all'esser quasi impossibile che lo strumento sia con assoluta giustezza fabbricato e conservato.
Tolomeo mostra diffidenza di un strumento armillare fabbricato dall'istesso Archimede per prender l'ingresso del Sole nell'equinoziale.
SIMP.
Ma se gli strumenti son cosí sospetti e le osservazioni tanto dubbiose, come potremo noi già mai costituirci in sicurezza e liberarci dalle fallacie? Io avevo sentito predicare gran cose de gli strumenti di Ticone, fatti con immense spese, e della sua singolar diligenza nelle osservazioni.
SALV Tutto questo vi ammetto; ma né quelli né questa bastano per assicurarci in un negozio di tanta importanza.
Io voglio che ci serviamo di strumenti maggiori assai assai di quelli di Ticone, esattissimi e fatti con pochissima spesa, il lato de i quali sia di 4, 6, 20, 30 e 50 miglia, sì che un grado sia largo un miglio, un minuto primo 50 braccia, un secondo poco meno di un braccio: ed in somma gli potremo avere, senza spender nulla, di qual grandezza piú ci piacerà.
Io, stando in una mia villa vicino a Firenze, osservai manifestamente l'arrivo e la partita del Sole dal solstizio estivo, mentre che una sera nel suo tramontare si addopò a una rupe delle montagne di Pietrapana, lontana circa 60 miglia, lasciando di sé scoperto un sottil filo verso tramontana, la cui larghezza non era la centesima parte del suo diametro, e la seguente sera in simil occaso mostrò pur di sé scoperta una simil parte, ma notabilmente piú sottile, argomento necessario dell'aver egli cominciato a discostarsi dal tropico; ed il regresso del Sole dalla prima alla seconda osservazione non importò sicuramente un minuto secondo nell'orizonte: l'osservazione poi fatta con telescopio esquisito, e che multiplica il disco del Sole piú di mille volte, riesce facile e insieme dilettevole.
Ora, con simili strumenti voglio che facciamo le nostre osservazioni nelle stelle fisse, servendoci di alcuna di quelle nelle quali la mutazione dovrebbe esser piú cospicua, quali sono, come già si è dichiarato, le piú remote dall'eclittica, tra le quali la Lira, stella grandissima e vicina al polo dell'eclittica, sarebbe molto opportuna ne i paesi assai settentrionali, operando nella maniera che dirò appresso, ma co 'l servirmi di altra stella; e già meco medesimo ho appostato un luogo assai accomodato per tale osservazione.
Il luogo è un'aperta pianura, sopra la quale si alza verso tramontana una montagna molto eminente, nel vertice della quale è fabbricata una piccola chiesetta, situata da occidente verso oriente, sí che la schiena del suo coperto può segare ad angoli retti il meridiano di qualche abitazione posta nella pianura.
Voglio fermare una travetta parallela alla detta schiena o colmo del tetto, e da esso distante un braccio in circa: fermata questa, cercherò nel piano il luogo dal quale una delle stelle del Carro, nel passar per il meridiano, venga ascondendosi doppo la trave già collocata; o vero, quando la trave non fusse tanto grossa che bastasse ad occultar la stella, troverò il posto di dove si vegga la medesima trave tagliare in mezo il disco di essa stella, effetto che con telescopio esquisito si discerne esquisitamente: e se nel luogo di dove tale accidente si scorgerà fusse qualche abitazione, sarà tanto piú comodo; quando che no, farò piantare un palo ben fermo in terra, con nota stabile per indice dove si debba ricostituir l'occhio qualunque volta si voglia reiterar l'osservazione: la prima delle quali osservazioni farò intorno al solstizio estivo, per continuar poi di mese in mese, o quando piú mi piacerà, sino all'altro solstizio; con la quale osservazione si potrà scoprir l'alzamento ed abbassamento della stella, per piccolo che egli sia.
E se in tal operazione succederà il poter comprender mutazione alcuna, quale e quanto acquisto si farà in astronomia? poiché con tal mezo, oltre all'assicurarci del moto annuo, potremo venire in cognizione della grandezza e lontananza della medesima stella.
SAGR.
Io comprendo benissimo tutto il progresso, e parmi l'operazione tanto facile e accomodata al bisogno, che molto ragionevolmente si potrebbe credere che dall'istesso Copernico o da altro astronomo fusse stata messa in atto.
SALV.
A me par tutto l'opposito, perché non ha del verisimile che, se alcuno l'avesse sperimentata, non avesse fatto menzione dell'esito, se succedeva in favore di questa o di quella opinione; oltre che né per questo né per altro fine si trova che alcuno si sia valso di tal modo di osservare, il quale anco, senza telescopio esatto, malamente si potrebbe effettuare.
SAGR.
Resto interamente quieto di quanto dite.
Ma già che ci avanza gran tempo a notte, se voi desiderate ch'io possa trapassarla con quiete, non vi sia grave esplicarci quei problemi, la dichiarazione de i quali poco fa domandaste di poter differire a dimane; rendeteci in grazia il già conceduto indulto, e lasciati tutti gli altri ragionamenti da banda, venite dichiarandoci come, posti i movimenti che il Copernico attribuisce alla Terra, e ritenendo immobile il Sole e le stelle fisse, ne possano seguire quei medesimi accidenti circa gli alzamenti ed abbassamenti del Sole, circa le mutazioni delle stagioni e le disequalità de i giorni e delle notti etc., nel medesimo modo appunto che nel sistema Tolemaico assai facilmente si apprendono.
SALV Non si deve né si può negare cosa che sia ricercata dal signor Sagredo: e la proroga da me domandata non era ad altro effetto, che per aver tempo di riordinarmi nella fantasia quelle premesse che servono per una larga ed aperta dichiarazione del modo col quale i nominati accidenti seguono tanto nella posizione copernicana quanto nella tolemaica, anzi con assai maggiore agevolezza e semplicità in quella che in questa; onde manifestamente si comprenda, quella ipotesi altrettanto esser facile ad effettuarsi dalla natura, quanto difficile ad esser compresa dall'intelletto.
Tuttavia spero, con servirmi d'altra spiegatura che dell'usata dal Copernico, rendere anco la sua apprensione assai meno oscura; per lo che fare proporrò alcune supposizioni per sé note e manifeste, e saranno le seguenti:
Prima.
Posto che la Terra, corpo sferico, si volga circa 'l proprio asse e poli, ciaschedun punto segnato nella sua superficie descrive la circonferenza di un cerchio, maggiore o minore secondo che il punto segnato sarà piú o meno lontano da i poli; e di questi cerchi, massimo è quello che vien disegnato da un punto egualmente lontano da essi poli: e tutti questi cerchi sono tra di loro paralleli; e paralleli, li chiameremo.
Seconda.
Essendo la Terra di figura sferica e di sustanza opaca, vien continuamente illuminata dal Sole secondo la metà della sua superficie, restando l'altra metà tenebrosa: ed essendo il termine che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa un cerchio massimo, lo chiameremo cerchio terminator della luce.
Terzo.
Quando il cerchio terminator della luce passasse per i poli della Terra, taglierebbe (essendo cerchio massimo) tutti i paralleli in parti eguali; ma non passando per i poli, gli taglierà tutti in parti diseguali, trattone il solo cerchio di mezo, che, per esser massimo, vien pur segato in parti eguali.
Quarta.
Volgendosi la Terra intorno a i proprii poli, le quantità de i giorni e delle notti vengono determinate da gli archi de i paralleli segati dal cerchio terminator della luce; e l'arco che resta nell'emisferio illuminato prescrive la lunghezza del giorno, e il rimanente è la quantità della notte.
Proposte queste cose, per piú chiara intelligenza di quello che resta da dirsi verremo a descriverne una figura: e prima segneremo la circonferenza di un cerchio, che ci rappresenterà quella dell'orbe magno, descritta nel piano dell'eclittica, e questa divideremo in quattro parti eguali con li due diametri, Capricorno, Granchio, Libra e Ariete, che nell'istesso tempo ci rappresenteranno i quattro punti cardinali, cioè li due solstizii e li due equinozii; e nel centro di tal cerchio noteremo il Sole O, fisso ed immobile.
Segnamo ora circa i quattro punti Capricorno, Granchio, Libra e Ariete, come centri, quattro cerchi eguali, li quali ci rappresentino la Terra, in essi in diversi tempi costituita, la quale co 'l suo centro nello spazio di un anno cammini per tutta la circonferenza Capricorno Ariete Granchio e Libra, muovendosi da occidente verso oriente, cioè secondo l'ordine de' segni.
Già è manifesto che mentre la Terra sia in Capricorno, il Sole apparirà in Granchio, e movendosi la Terra per l'arco Capricorno e Ariete, il Sole apparirà muoversi per l'arco Granchio e Libra, ed in somma scorrere il zodiaco secondo l'ordine de i segni nello spazio di un anno; e con questo primo assunto vien senza controversia sodisfatto all'apparente movimento annuo del Sole sotto l'eclittica.
Ora venendo all'altro movimento, cioè al diurno della Terra in sè stessa, bisogna stabilire i suoi poli ed il suo asse il quale si ha da intendere esser non eretto a perpendicolo sopra il piano [vedi figura 28.gif]
dell'eclittica, cioè non parallelo all'asse dell'orbe magno, ma declinante dall'angolo retto gradi 23 e mezo in circa, co 'l suo polo boreale verso l'asse dell'orbe magno, stante il centro della Terra nel punto solstiziale di Capricorno.
Intendendo dunque il globo terrestre avere il suo centro nel punto Capricorno, segneremo i poli ed il suo asse AB, inclinato dal perpendicolo sopra 'l diametro Capricorno e Granchio gradi 23 e mezo, sì che l'angolo A Capricorno e Granchio venga ad essere il complimento di una quarta, cioè gradi 66 e mezo, e tale inclinazione bisogna intendere esser immutabile; ed il polo superiore A intenderemo essere il boreale, e l'altro B l'australe.
Immaginandoci ora la Terra rivolgersi in sè stessa circa l'asse AB in ore ventiquattro, pur da occidente verso oriente, verranno da tutti i punti notati nella sua superficie descritti cerchi tra di loro paralleli: segneremo, in questo primo posto della Terra, il massimo CD e li due da esso lontani gradi 23 e mezo, EF sopra e GN sotto, e gli altri due estremi IK, LM, lontani per simile intervallo da i poli A, B; e sì come aviamo notati questi cinque, così ne possiamo intendere altri innumerabili, paralleli a questi, descritti da gl'innumerabili punti della terrestre superficie.
Intendiamo ora la Terra co 'l moto annuo del suo centro trasferirsi ne gli altri luoghi già notati, ma passarvi con tal legge: che il proprio asse AB non solamente non muti inclinazione sopra il piano dell'eclittica, ma non varii anco già mai direzzione, sì che, mantenendosi sempre parallelo a sè stesso, riguardi continuamente verso le medesime parti dell'universo o vogliamo dire del firmamento, dove se noi l'intendessimo prolungato, verrebbe co 'l suo altissimo termine a disegnare un cerchio parallelo ed eguale all'orbe magno Libra Capricorno Ariete e Granchio, come base superiore di un cilindro descritto da sè medesimo nel moto annuo sopra l'inferior base Libra Capricorno Ariete e Granchio: e però, stante questa immutabilità d'inclinazione, segneremo quest'altre tre figure intorno a i centri Ariete, Granchio e Libra, simili in tutto e per tutto alla descritta prima intorno al centro Capricorno.
Consideriamo adesso la prima figura della Terra: nella quale, per esser l'asse A B declinante dal perpendicolo sopra il diametro Capricorno Granchio gradi 23 e mezo verso il Sole O, ed essendo l'arco AI pur gradi 23 e mezo, l'illuminazion del Sole illustrerà l'emisferio del globo terrestre esposto verso il Sole (del quale qui se ne vede la metà), diviso dalla parte tenebrosa per il terminator della luce I M; dal quale il parallelo C D, per esser cerchio massimo, verrà diviso in parti eguali, ma gli altri tutti in parti diseguali, essendo che il terminator della luce I M non passa per i lor poli A, B; ed il parallelo I K, insieme con tutti gli altri descritti dentro di esso e piú vicini al polo A, resteranno interi nella parte illuminata, come, all'incontro, gli opposti verso il polo B, contenuti dentro al parallelo L M, resteranno nelle tenebre.
Oltre a ciò, per esser l'arco A I eguale all'arco F D e l'arco A F comune, saranno li due I K F, A F D eguali, e ciascheduno una quarta; e perché tutto l'arco I F M è mezo cerchio, sarà l'arco M F una quarta, ed eguale all'altra F K I: e però il Sole O sarà, in questo stato della Terra, verticale a chi fusse nel punto F.
Ma per la revoluzione diurna intorno all'asse stabile A B tutti i punti del parallelo E F passano per il medesimo punto F; e però in tal giorno il Sole nel mezo dí sarà verticale a tutti gli abitatori del parallelo E F, e gli sembrerà descriver nel suo moto apparente il cerchio che noi chiamiamo il tropico di Cancro; ma a gli abitatori di tutti i paralleli che sono sopra 'l parallelo E F, verso il polo boreale A, il Sole declina dal lor vertice verso austro; ed all'incontro, tutti gli abitatori de i paralleli che sono sotto l'E F, verso l'equinoziale C D e 'l polo austrino B, il Sole meridiano è elevato oltre al lor vertice verso 'l polo boreale A.
Vedesi appresso, come di tutti i paralleli il solo massimo C D è tagliato in parti eguali dal terminator della luce I M; ma gli altri, che sono sotto e sopra il detto massimo, son tutti tagliati in parti diseguali: e de i superiori, gli archi semidiurni, che sono quelli della parte della superficie terrestre illustrata dal Sole, son maggiori de i seminotturni, che restano nelle tenebre; ed il contrario accade de i rimanenti, che sono sotto il massimo C D verso il polo B, de i quali gli archi semidiurni son minori de i seminotturni.
Vedesi ancora manifestamente, che le differenze di essi archi si vanno agumentando secondo che i paralleli son piú vicini a i poli, sin tanto che il parallelo I K resta tutto intero nella parte illuminata, e gli abitatori di esso hanno un giorno di ventiquattr'ore senza notte, ed all'incontro il parallelo L M, restando tutto nelle tenebre, ha una notte di ventiquattr'ore senza giorno.
Venghiamo ora alla terza figura della Terra, posta co 'l suo centro nel punto Granchio, di dove il Sole apparisce essere nel primo punto di Capricorno: già manifestamente si vede, come per non aver l'asse A B mutata inclinazione, ma per essersi conservato parallelo a se stesso, l'aspetto e situazion della Terra è l'istesso a capello che quel della prima figura, salvo che quell'emisferio che nella prima era illuminato dal Sole, in questa resta nelle tenebre, e viene illuminato quello che nel primo posto era tenebroso; onde quello che accadeva prima circa le differenze de i giorni e delle notti, circa l'esser quelli maggiori o minori di queste, ora accade il contrario.
E prima si vede, che dove nella prima figura il cerchio I K era tutto nella luce, ora è tutto nelle tenebre, e l'opposto L M ora è tutto nella luce, che prima era tutto tenebroso: dei paralleli tra 'l cerchio massimo C D e 'l polo A, sono ora gli archi semidiurni minori de i seminotturni, che prima erano il contrario: de gli altri parimente verso il polo B, sono ora gli archi semidiurni maggiori de i seminotturni, l'opposto di che accadeva nell'altro stato della Terra: vedesi ora il Sole fatto verticale a gli abitatori del tropico G N, ed essersi abbassato verso austro a quelli del parallelo E F per tutto l'arco E C G, cioè gradi 47, ed essere in somma passato dall'uno all'altro tropico traversando l'equinoziale, con alzarsi ed abbassarsi ne' meridiani il detto spazio di gradi 47: e tutta questa mutazione deriva non dall'inclinarsi o elevarsi la Terra, ma all'incontro dal non si inclinare o elevar già mai, ed in somma dal conservarsi ella sempre nella medesima costituzione rispetto all'universo, solo co 'l circondare il Sole, situato nel mezo dell'istesso piano nel quale circolarmente se gli muove ella intorno co 'l movimento annuo.
E qui è da notare un accidente maraviglioso, che è, che sí come il conservar l'asse della Terra la medesima direzione verso l'universo, o vogliamo dire verso la sfera altissima delle stelle fisse, fa che il Sole ci appare elevarsi ed inclinarsi per tanto spazio, cioè per gradi 47, e niente inclinarsi o elevarsi le stelle fisse, cosí all'incontro, quando il medesimo asse della Terra si mantenesse continuamente con la medesima inclinazione verso il Sole, o vogliam dire verso l'asse del zodiaco, nissuna mutazione apparirebbe farsi nel Sole circa l'alzarsi e abbassarsi, onde gli abitatori dell'istesso luogo sempre avrebbero le medesime diversità de i giorni e delle notti e la medesima costituzione di stagioni, cioè altri sempre inverno, altri sempre state, altri primavera etc., ma all'incontro grandissima apparirebbe la mutazione nelle stelle fisse circa l'elevarsi ed inclinarsi a noi, che importerebbe i medesimi 47 gradi.
Per intelligenza di che, torniamo a considerar lo stato della Terra nella prima figura, dove si vede l'asse A B co 'l polo superiore A inclinare verso il Sole; ma nella terza figura, avendo il medesimo asse conservata l'istessa direzione verso la sfera altissima, co 'l mantenersi parallelo a se stesso, non piú inclina verso 'l Sole co 'l polo superiore A, ma all'incontro reclina dal primiero stato gradi 47 ed inclina verso la parte opposta: sí che, per restituir la medesima inclinazione dell'istesso polo A verso 'l Sole, bisognerebbe, co 'l girar il globo terrestre secondo la circonferenza A C B D, trasportarlo verso E i medesimi 47 gradi; e per tanti gradi qualsivoglia stella fissa osservata nel meridiano apparirebbe essersi elevata o inclinata.
Venghiamo adesso all'esplicazione di quel che resta, e consideriamo la Terra collocata nella quarta figura, cioè co 'l suo centro nel punto primo della Libra, onde il Sole apparirà nel principio dell'Ariete: e perché l'asse della Terra, che nella prima figura s'intende esser inclinato sopra il diametro Capricorno Granchio, e però esser nel medesimo piano che, segando il piano dell'orbe magno secondo la linea Capricorno Granchio, a quello fusse eretto perpendicolare, trasportato nella quarta figura, e mantenuto, come sempre si è detto, parallelo a se stesso, verrà ad esser in un piano pur eretto alla superficie dell'orbe magno e parallelo al piano che ad angoli retti sega la medesima superficie secondo 'l diametro Capricorno Granchio, e però la linea che dal centro del Sole va al centro della Terra, quale è la O Libra, sarà perpendicolare all'asse B A: ma la medesima linea che dal centro del Sole va al centro della Terra è sempre perpendicolare ancora al cerchio terminator della luce: però questo medesimo cerchio passerà per i poli A, B nella quarta figura, e nel suo piano sarà l'asse A B.
Ma il cerchio massimo passando per i poli de i paralleli, gli divide tutti in parti eguali; adunque gli archi I K, E F, C D, G N, L M saranno tutti mezi cerchi, e l'emisferio illuminato sarà questo che riguarda verso noi e 'l Sole, e 'l terminator della luce sarà l'istesso cerchio A C B D, e stante la Terra in questo luogo, farà l'equinozio a tutti li suoi abitatori.
E 'l medesimo accade nella seconda figura, dove la Terra, avendo l'emisferio suo illuminato verso il Sole, mostra a noi l'altro oscuro con li suoi archi notturni, che pur son tutti mezi cerchi; ed in conseguenza qui ancora si fa l'equinozio.
E finalmente, essendo che la linea prodotta dal centro del Sole al centro della Terra è perpendicolare all'asse A B, al quale è parimente eretto il cerchio massimo de i paralleli C D, passerà la medesima linea O Libra necessariamente per l'istesso piano del parallelo C D, segando la sua circonferenza nel mezo dell'arco diurno C D; e però il Sole sarà verticale a quello che in tal segamento si trovasse: ma vi passano, portati dalla diurna conversion della Terra, tutti gli abitatori di tal parallelo: adunque tutti questi in tal giorno averanno il Sole meridiano sopra il vertice loro, ed il Sole intanto a tutti gli abitatori della Terra apparirà descrivere il massimo parallelo, detto equinoziale.
In oltre, essendo che, stante la Terra in amendue i punti solstiziali, de i cerchi polari I K, L M l'uno resta intero nella luce e l'altro nelle tenebre; ma quando la Terra è ne i punti equinoziali, la metà de i medesimi cerchi polari si trovano nella luce, restando il rimanente nelle tenebre; non doverà esser difficile a intendersi, come passando la Terra, verbigrazia, dal Granchio (dove il parallelo I K è tutto nelle tenebre) nel Leone, cominci una parte del parallelo I K verso il punto I a entrar nella luce, e che il terminator della luce I M cominci a ritirarsi verso i poli A, B, segando il cerchio A C B D non piú in I, M, ma in due altri punti cadenti tra i termini I, A, M, B, de gli archi I A, M B, onde gli abitatori del cerchio I K comincino a goder del lume, e gli altri abitatori del cerchio L M a sentir della notte.
Ed ecco, con due semplicissimi movimenti, fatti dentro a tempi proporzionati alle grandezze loro e tra sé non contrarianti, anzi fatti, come tutti gli altri de' corpi mondani mobili, da occidente verso oriente, assegnati al globo terrestre, rese adequate ragioni di tutte quelle medesime apparenze, per le quali salvare con la stabilità della Terra è necessario (renunziando a quella simmetria che si vede tra le velocità e le grandezze de i mobili) attribuire ad una sfera vastissima sopra tutte le altre una celerità incomprensibile, mentre le altre minori sfere si muovono lentissimamente, e piú far tal moto contrario al movimento di quelle, e, per accrescere l'improbabilità, far che da quella superiore sfera sieno, contro alla propria inclinazione, rapite tutte le inferiori.
E qui rimetto al vostro parere il giudicar quello che abbia piú del verisimile.
SAGR.
A me, per quello che appartiene al mio senso, si rappresenta non piccola differenza tra la semplicità e facilità dell'operare effetti con i mezi assegnati in questa nuova constituzione, e la multiplicità confusione e difficultà che si trova nell'antica e comunemente ricevuta; ché quando secondo questa multiplicità fusse ordinato questo universo, bisognerebbe in filosofia rimuover molti assiomi comunemente ricevuti da tutti i filosofi, come che la natura non multiplica le cose senza necessità, e che ella si serve de' mezi piú facili e semplici nel produrre i suoi effetti, e che ella non fa niente indarno, ed altri simili.
Io confesso non aver sentita cosa piú ammirabile di questa, né posso credere che intelletto umano abbia mai penetrato in piú sottile speculazione.
Non so quello che ne paia al signor Simplicio.
SIMP.
Queste (se io devo dire il parer mio con libertà) mi paiono di quelle sottigliezze geometriche, le quali Aristotile riprende in Platone, mentre l'accusa che per troppo studio della geometria si scostava dal saldo filosofare: ed io ho conosciuti e sentiti grandissimi filosofi peripatetici sconsigliar suoi discepoli dallo studio delle matematiche, come quelle che rendono l'intelletto cavilloso ed inabile al ben filosofare; instituto diametralmente contra a quello di Platone, che non ammetteva alla filosofia se non chi prima [si] fusse impossessato della geometria.
SALV.
Applaudo al consiglio di questi vostri Peripatetici, di distorre i loro scolari dallo studio della geometria, perché non ci è arte alcuna piú accomodata per scoprir le fallacie loro; ma vedete quanto cotesti sien differenti da i filosofi matematici, li quali assai piú volentieri trattano con quelli che ben son informati della comune filosofia peripatetica, che con quelli che mancano di tal notizia, li quali, per tal mancamento, non posson far parallelo tra dottrina e dottrina.
Ma posto questo da banda, ditemi, di grazia, quali stravaganze o troppo sforzate sottigliezze vi rendon meno applausibile questa copernicana costituzione.
SIMP.
Io invero non l'ho interamente capita, forse perché non ho né anco ben in pronto le ragioni che de i medesimi effetti vengon prodotte da Tolomeo, dico di quelle stazioni, retrogradazioni, accostamenti e allontanamenti de' pianeti, accrescimenti e scorciamenti de' giorni, mutazioni delle stagioni, etc.: ma, lasciate le conseguenze che dependono dalle prime supposizioni, sento nelle supposizioni stesse non piccole difficultà: le quali supposizioni quando vengon atterrate, si tiran dietro la rovina di tutta la fabbrica.
Ora, perché tutta la machina del Copernico mi par che si fondi sopra instabili fondamenti, poiché si appoggia su la mobilità della Terra, quando questa sia rimossa, non accade passare ad altre disputazioni; e per rimuover questa parmi che l'assioma d'Aristotile sia sufficientissimo, che di un corpo semplice un solo moto semplice possa esser naturale; ma qui alla Terra, corpo semplice, vengono assegnati 3, se non 4, movimenti, e tra di loro molto differenti; poiché, oltre al moto retto, come grave, verso il centro, che non se gli può negare, se gli attribuisce un moto circolare in un gran cerchio intorno al Sole in un anno, ed una vertigine in se stessa in ventiquattr'ore, e, quello poi che è piú esorbitante e che forse per ciò voi lo tacevi, un'altra vertigine intorno al proprio centro, contraria alla prima delle ventiquattr'ore, e che si compie in un anno.
A questo l'intelletto mio sente repugnanza grandissima.
SALV.
Quanto al moto in giú, già s'è concluso non esser altrimenti del globo terrestre, che mai di tal movimento non s'è mosso né già mai s'è per muovere; ma è (se pure è) delle parti, per riunirsi al suo tutto.
Quanto poi al movimento annuo ed al diurno, questi, essendo fatti per il medesimo verso, sono benissimo compatibili, in quella maniera che se noi lasciassimo andare una palla giú per una superficie declive, ella, nello scendere per quella spontaneamente, girerà in se stessa.
Quanto poi al terzo moto attribuitole dal Copernico in se stessa in un anno, solamente per conservare il suo asse inclinato e diretto verso la medesima parte del firmamento, vi dirò cosa degna di grandissima considerazione; cioè, che tantum abest che (benché fatto al contrario dell'altro annuo) in esso sia repugnanza o difficultà alcuna, che egli naturalissimamente e senza veruna causa motrice compete a qualsivoglia corpo sospeso e librato, il quale, se sarà portato in giro per la circonferenza di un cerchio, immediate per se stesso acquista una conversione circa 'l proprio centro, contraria a quella che lo porta intorno, e tale in velocità, che amendue finiscono una conversione nell'istesso tempo precisamente.
Potrete veder questa mirabile ed accomodata al nostro proposito esperienza, mettendo in un catino d'acqua una palla che vi galleggi, e tenendo il vaso in mano: se vi andrete rivolgendo sopra le piante de' piedi, vedrete immediatamente cominciar la palla a rivolgersi in se stessa con moto contrario a quel del catino, e finir la sua revoluzione quando finirà quella del vaso.
Ora, che altro è la Terra che un globo pensile e librato in aria tenue e cedente, il quale, portato in giro in un anno per la circonferenza di un gran cerchio, ben deve acquistar senz`altro motore una vertigine circa 'l proprio centro, annua e contraria all'altro movimento pur annuo? Voi vedrete quest'effetto; ma se poi andrete piú accuratamente considerando, vi accorgerete quest'esser non cosa reale, ma una semplice apparenza, e quello che vi assembra un rivolgersi in se stesso, essere un non si muovere ed un conservarsi del tutto immutabile rispetto a tutto quello che fuor di voi e del vaso resta immobile: perché, se in quella palla segnerete qualche nota, e considererete verso qual parte del muro della stanza dove sete, o della campagna o del cielo, ella riguarda, vedrete tal nota, nel rivolgimento del vaso e vostro, riguardar sempre verso quella medesima parte; ma paragonandola al vaso ed a voi stesso, che sete mobili, ben apparirà ella andar mutando direzione, e con movimento contrario al vostro e del vaso andar ricercando tutti i punti del giro di quello; talché con maggior verità si può dire che voi ed il vaso giriate intorno alla palla immobile, che ch'essa si volga drento al vaso.
In tal guisa la Terra, sospesa e librata nella circonferenza dell'orbe magno, e situata in tal modo che una delle sue note, qual sarebbe per esempio il suo polo boreale, riguardi verso una tale stella o altra parte del firmamento, verso la medesima si mantien sempre diretta, benché portata co 'l moto annuo per la circonferenza di esso orbe magno.
Questo solo è bastante a far cessare la maraviglia e rimuovere ogni difficultà: ma che dirà il signor Simplicio se a questa non indigenza di causa cooperante aggiugneremo una mirabile virtú intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso determinate parti del firmamento? Parlo della virtú magnetica, participata costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita.
E se ogni minima particella di tal pietra ha in sé tal virtú, chi vorrà dubitare, la medesima piú altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non è che un'immensa mole di calamita?
SIMP.
Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di Guglielmo Gilberto?
SALV.
Sono per certo, e credo d'aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; né sarei fuor di speranza che quello che è intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl'intelletti umani, con liberarvi dalla schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, sí che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non piú sentite.
Ma (siami permesso d'usar questo termine) la pusillanimità de gl'ingegni comuni è giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella prima infanzia de' loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o problema, benché non solamente non sia stato confutato, ma né pure esaminato né considerato, da i loro autori: de' quali uno è questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro globo terrestre; che, benché né ad Aristotile né ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che né Aristotile né altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia; e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n'avesse fatto dono.
SIMP.
Io, che liberamente confesso essere stato uno de gl'ingegni comuni, e solamente da questi pochi giorni in qua, che mi è stato conceduto d'intervenire a i ragionamenti vostri, conosco di essermi alquanto sequestrato dalle strade trite e popolari, non però mi sento per ancora sollevato tanto, che le scabrosità di questa nuova fantastica opinione non mi sembrino molto ardue e difficili da superarsi.
SALV.
Se quello che scrive il Gilberti è vero, non è opinione, ma suggetto di scienza; non è cosa nuova, ma antichissima quanto la Terra stessa; né potrà (essendo vera) esser aspra né difficile, ma piana ed agevolissima; ed io, quando vi piaccia, vi farò toccar con mano come voi da per voi stesso vi fate ombra, ed avete in orrore cosa che nulla tiene in sé di spaventoso, quasi piccolo fanciullo che ha paura della tregenda senza sapere di lei altro che il nome, come quella che oltre al nome non è nulla.
SIMP.
Avrò piacere d'esser illuminato e tratto d'errore.
SALV.
Rispondetemi dunque alle domande ch'io vi farò.
E prima, ditemi se voi credete che questo nostro globo, che noi abitiamo e nominiamo Terra, consti di una sola e semplice materia, o pur sia un aggregato di materie diverse tra di loro.
SIMP.
Io lo veggo composto di sustanze e corpi molto diversi; e prima, per le maggiori parti componenti, veggo l'acqua e la terra, sommamente tra di loro differenti.
SALV.
Lasciamo da parte per ora i mari e l'altr'acque, e consideriamo le parti solide; e ditemi s'elle vi paiono tutte una cosa stessa, o pur cose diverse.
SIMP.
Quanto all'apparenza, io le veggo diverse, trovandosi grandissime campagne di infeconda arena, ed altre di terreni fecondi e fruttiferi; veggonsi infinite montagne sterili ed alpestri, ripiene di duri sassi e pietre di diversissime sorte, come porfidi, alabastri, diaspri e mille e mill'altre sorte di marmi; ci sono le miniere vastissime de i metalli di tante spezie, ed in somma tante diversità di materie, che un giorno intero non basterebbe a numerarle solamente.
SALV.
Ora, di tutte queste diverse materie, credete voi che nel compor questa gran massa concorrano porzioni eguali, o pur che tra tutte ce ne sia una parte che di gran lunga superi le altre e sia come materia e sustanza principale della vasta mole?
SIMP.
Credo che le pietre, i marmi, i metalli, le gemme e l'altre tante materie diverse, sieno appunto come gioie ed ornamenti esteriori e superficiali del primario globo, che in mole penso che smisuratamente superi tutte quest'altre cose.
SALV.
E questa principale e vasta mole, della quale le nominate cose son quasi escrescenze ed ornamenti, di che materia credete che sia composta?
SIMP.
Penso che sia il semplice, o meno impuro, elemento della terra.
SALV.
Ma per terra che cosa intendete voi? forse questa ch'è sparsa per le campagne, la quale si rompe con le vanghe e con gli aratri, dove si seminano i grani e si piantano i frutti, e dove spontaneamente nascono boscaglie grandissime, e che in somma è l'abitazione di tutti gli animali e la matrice di tutti i vegetabili?
SIMP.
Cotesta direi io che fusse la primaria sustanza di questo nostro globo.
SALV.
Oh questo non pare a me che sia ben detto; perché questa terra, che si rompe, si semina, e che è fruttifera, è una parte, e ben sottile, della superficie del globo, la quale non si profonda salvo che per breve spazio, in comparazione della distanza sino al centro: e l'esperienza ci mostra che non molto si cava al basso, che si trovano materie diverse assai da questa esterior corteccia, piú sode e non buone alle produzioni de i vegetabili; oltre che le parti piú interne, come premute da gravissimi pesi che a loro soprastanno, è credibile che siano costipate e dure quanto qualsivoglia durissimo scoglio.
Aggiugnete a questo, che indarno sarebbe stata contribuita la fecondità a quelle materie che già mai non erano per produr frutto, ma per restare eternamente sepolte ne' profondi e tenebrosi abissi della Terra.
SIMP.
E chi ci assicura che le parti piú interne e vicine al centro siano infeconde? forse hanno esse ancora le lor produzioni di cose ignote a noi.
SALV.
Voi, quanto qualsisia altri, potreste di ciò esser certo, come quello che ben potete comprendere, che se i corpi integranti dell'universo son prodotti solo per benefizio del genere umano, questo sopra tutti gli altri deve esser destinato a i soli comodi di noi abitatori suoi: ma qual benefizio potremo ritrarre da materie talmente a noi recondite e remote, che già mai non siamo per farcele trattabili? Non può dunque l'interna sustanza di questo nostro globo essere una materia frangibile dissipabile e nulla coerente, come questa superficiale che noi chiamiamo terra; ma convien che sia corpo densissimo e solidissimo, ed in somma una durissima pietra.
E se ella pur debbe esser tale, qual ragione vi ha da far piú renitente al creder che ella sia una calamita, che un porfido, un diaspro o altro marmo duro? Forse quando il Gilberto avesse scritto che questo globo è interiormente fatto di pietra serena o di calcidonio, il paradosso vi sarebbe parso meno esorbitante?
SIMP.
Che le parti di questo globo piú interne siano piú compresse, e per ciò piú costipate e solide, e piú e piú tali secondo che elle si profondan piú, lo concedo, e lo concede anco Aristotile; ma che elle degenerino, e sieno altro che terra della medesima sorta che questa delle parti superficiali, non sento cosa che mi necessiti a concederlo.
SALV.
Io non ho intrapreso questo ragionamento a fine di concludervi demostrativamente che la primaria e real sustanza di questo nostro globo sia calamita, ma solamente per mostrarvi, niuna ragione ritrovarsi per la quale altri deva esser piú renitente a conceder che ei sia di calamita, che di qualche altra materia.
E voi, se andrete ben considerando, troverete, non esser improbabile che un solo puro ed arbitrario nome abbia mossi gli uomini a creder che ei sia di terra; e questo è l'essersi serviti comunemente da principio di questo nome terra per significar tanto quella materia che si ara e si semina, quanto per nominar questo nostro globo; la denominazion del quale se si fusse presa dalla pietra, come non meno poteva prendersi da quella che dalla terra, il dir che la sustanza primaria di esso fusse pietra non arebbe sicuramente trovato renitenza o contradizione in alcuno: e questo ha tanto piú del probabile, quanto io tengo per fermo, che quando si potesse scortecciar questo gran globo, levandone un suolo grosso mille o duamila braccia, e separar poi le pietre dalla terra, molto e molto maggior sarebbe il cumulo de i sassi, che quello del terreno fecondo.
Delle ragioni poi che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, né questo è tempo di produrle, e massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto; solo, per inanimirvi a leggerlo, vi voglio esporre con certa mia similitudine il progresso che egli tiene nel suo filosofare.
So che voi sapete benissimo quanto la cognizione de gli accidenti conferisca alla investigazione della sustanza ed essenza delle cose: però voglio che usiate diligenza di ben informarvi di molti accidenti e proprietà che singolarmente si trovano nella calamita, e non in altra pietra né in altro corpo, come sarebbe, per esempio, dell'attrarre il ferro, del conferirgli, solo con la sua presenza, la medesima virtú, di comunicargli parimente proprietà di riguardar verso i poli, sí come una tale ritiene ella in se medesima; ed oltre a questa, fate di veder per prova come in lei risiede virtú di conferire all'ago magnetico non solamente il drizzarsi sotto un meridiano verso i poli con moto orizontale (proprietà già piú tempo fa conosciuta), ma un nuovamente osservato accidente di declinare (stando bilanciato sotto il meridiano già segnato sopra una sferetta di calamita), declinar, dico, sino a' determinati segni piú e meno, secondo che tal ago si terrà piú o meno vicino al polo, sin che sopra l'istesso polo si pianta eretto a perpendicolo, dove che sopra le parti di mezo sta parallelo all'asse.
Di piú, proccurate di far prova, come risedendo la virtú di attrarre il ferro vigorosa assai piú verso i poli che circa le parti di mezo, tal forza è notabilmente piú gagliarda nell'uno che nell'altro polo, e questo in tutti i pezzi di calamita, il polo piú gagliardo de' quali è quello che riguarda verso austro.
Notate appresso, che in una piccola calamita questo polo australe, e piú valoroso dell'altro, diventa piú debile qualunque volta e' deva sostenere il ferro alla presenza del polo boreale di un'altra calamita assai maggiore: e per non far lungo discorso, assicuratevi con l'esperienza di queste ed altre molte proprietà descritte dal Gilberto, le quali tutte sono talmente proprie della calamita, che nessuna di loro compete a veruna altra materia.
Ditemi ora, signor Simplicio: quando vi fussero proposti mille pezzi di diverse materie, ma ciascheduno coperto e rinvolto in un panno sotto il quale ei si occultasse, e vi fusse domandato che, senza scoprirgli, voi faceste opera d'indovinare da segni esteriori la materia di ciascheduno, e che, nel tentare, voi vi incontraste in uno il quale mostrasse apertamente di aver tutte le proprietà da voi già conosciute risedere nella sola calamita e non in veruna altra materia, che giudizio fareste voi dell'essenza di tal corpo? direste voi che potesse essere un pezo d'ebano o di alabastro o di stagno?
SIMP.
Direi, senza punto dubitare, che fusse un pezzo di calamita.
SALV.
Quando ciò sia, dite pur risolutamente che sotto questa coverta e scorza, di terra, di pietre, di metalli, di acqua etc., si nasconde una gran calamita, poiché intorno ad essa si riconoscono, da chi di osservargli si prende cura, tutti quei medesimi accidenti che ad un verace e scoperto globo di calamita competer si scorgono: ché quando altro non si vedesse che quello dell'ago declinatorio, che, portato intorno alla Terra, piú e piú s'inclina con l'avvicinarsi al polo boreale, e meno declina verso l'equinoziale, sotto il quale si riduce finalmente all'equilibrio, dovrebbe bastare a persuadere ogni piú renitente giudizio.
Taccio quell'altro mirabile effetto che sensatamente si vede in tutti i pezzi di calamita: de i quali a noi, abitatori dell'emisferio boreale, il polo meridionale di essa calamita è piú gagliardo dell'altro, e la differenza si scorge maggiore quanto piú altri si allontana dall'equinoziale; e sotto l'equinoziale amendue le parti sono di forze eguali, ma notabilmente piú deboli; ma nelle regioni meridionali, lontano dall'equinoziale, si cangia natura, e quella parte che a noi era piú debile, acquista vigore sopra l'altra: e tutto questo confronta con quello che veggiamo farsi da un piccol pezzetto di calamita alla presenza di un grande, la virtú del quale, prevalendo al minore, se lo rende obbediente, e secondo ch'e' si terrà di qua o di là dall'equinoziale della grande, fa le mutazioni medesime che ho detto farsi da ogni calamita portata di qua o di là dall'equinozial della Terra.
SAGR.
Io rimasi persuaso alla prima lettura del libro del Gilberto; ed avendo incontrato un pezzo di calamita eccellentissima, feci per lungo tempo molte osservazioni, e tutte degne d'estrema meraviglia; ma sopra a tutte a me pare stupenda quella dell'accrescergli tanto la facultà del sostenere un ferro, con l'armarla nel modo che 'l medesimo autore insegna: ed io, con armare quel mio pezzo, gli multiplicai la forza in ottupla proporzione, e dove disarmata non sosteneva appena nove once di ferro, armata ne sosteneva piú di sei libbre; e forse voi arete veduto questo medesimo pezzo nella Galleria del Serenissimo Gran Duca vostro (al quale io la cedetti), sostenente due ancorette di ferro.
SALV.
Io molte volte la veddi, e con gran meraviglia, sin che altro assai maggior stupore mi porse un piccolo pezzetto che si ritrova in mano del nostro Accademico; il quale, non essendo piú che once sei di peso, né sostenendo disarmato altro che once dua appena, armato ne sostiene 160, sí che viene a regger 80 volte piú armato che disarmato, ed a regger peso 26 volte maggiore del suo proprio: maraviglia assai maggiore di quello che aveva potuto incontrare il Gilberti, che scrive non aver potuto incontrar calamita che arrivi a sostenere il quadruplo del proprio peso.
SAGR.
Gran campo di filosofare mi par che porga questa pietra a gl'intelletti umani: ed io l'ho ben mille volte meco medesimo specolato, come possa esser che ella porga a quel ferro, che l'arma, forza tanto superiore alla sua propria, e finalmente non trovo cosa che mi quieti; né molto costrutto cavo da quel che circa questo particolare scrive il Gilberto.
Non so se l'istesso avvenga a voi.
SALV.
Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale l'avrebbe reso men risoluto nell'accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch'ei produce per vere cause delle vere conclusioni da sé osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne, si possono addurre: e io non dubito che co 'l progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altre nuove osservazioni, e piú con vere e necessarie dimostrazioni.
Né per ciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore; né io stimo meno, anzi ammiro piú assai, il primo inventor della lira (benché creder si debba che lo strumento fusse rozissimamente fabbricato, e piú rozamente sonato), che cent'altri artisti che nei i conseguenti secoli tal professione ridussero a grand'esquisitezza: e parmi che molto ragionevolmente l'antichità annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell'arti nobili, già che noi veggiamo il comune de gl'ingegni umani esser di tanta poca curiosità, e cosí poco curanti delle cose pellegrine e gentili, che nel vederle e sentirle esercitar da professori esquisitamente non per ciò si muovono a desiderar d'apprenderle; or pensate se cervelli di questa sorta si sariano giamai applicati a volere investigar la fabbrica della lira o all'invenzion della musica, allettati dal sibilo de i nervi secchi di una testuggine o dalle percosse di quattro martelli.
L'applicarsi a grandi invenzioni, mosso da piccolissimi principii, e giudicar sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose, non è da ingegni dozinali, ma son concetti e pensieri, di spiriti sopraumani.
Ora, rispondendo alla vostra domanda, dico che io ancora lungamente ho pensato per ritrovar qual possa essere la cagione di questa cosí tenace e potente congiunzione che noi veggiamo farsi tra l'un ferro, che arma la calamita, e l'altro che a quello si congiugne: e prima mi sono assicurato che la virtú e forza della pietra non si agumenta punto per essere armata, per ciò che né attrae da maggior distanza, né meno sostiene piú validamente un ferro tra 'l quale e l'armadura s'interponga una sottilissima carta, sino a una foglia d'oro battuto; anzi con tale interposizione piú ferro sostiene l'ignuda che l'armata: non ci è dunque mutazione nella virtú, e pure ci è innovazione nell'effetto: e perché è necessario che di nuovo effetto nuova sia la cagione, ricercando qual novità si introduca nell'atto del sostener con l'armadura, altra mutazione non si scorge che nel diverso toccamento, ché dove prima ferro toccava calamita, ora ferro tocca ferro; adunque bisogna necessariamente concludere, i diversi toccamenti esser causa della diversità de gli effetti.
La diversità poi tra i contatti, non veggo che possa derivar da altro che dall'esser la sustanza del ferro di parti piú sottili, piú pure e piú costipate, che quelle della calamita, che son piú grosse, men pure e piú rare; dal che ne segue, che le superficie de' due ferri che s'hanno da toccare, mentre sieno esquisitamente spianate forbite e lustrate, tanto esattamente si congiungono, che tutti gl'infiniti punti dell'una si incontrano con gl'infiniti dell'altra, sí che i filamenti (per cosí dire) che collegano i due ferri, sono molti piú di quelli che collegano calamita con ferro, per esser la sustanza della calamita piú porosa e men sincera, che fa che non tutti i punti e filamenti della superficie del ferro trovino nella superficie della calamita riscontri con chi unirsi.
Che poi la sustanza del ferro (e massimo del ben purificato, qual è l'acciaio finissimo) sia di parti grandemente piú dense sottili e pure che la materia della calamita, si vede dal potersi ridurre il suo taglio ad una sottigliezza estrema, qual è il taglio del rasoio, alla quale mai non si condurrebbe a gran segno quel d'un pezzo di calamita.
L'impurità poi della calamita, e l'esser mescolata con altre qualità di pietre, prima sensatamente si scorge dal colore di alcune macchiette, per lo piú biancheggianti, e poi dal presentargli un ago pendente da un filo, il quale sopra tali pietruzze non si può posare, ma, attratto dalle parti circonfuse, par che sfugga quelle e salti sopra la calamita contigua ad esse; e come alcune di tali parti eterogenee son per la grandezza loro molto visibili, cosí possiamo credere altre in gran copia, per la lor piccolezza incospicue, esserne disseminate per tutta la massa.
Confermasi quanto io dico (cioè che la moltitudine de' toccamenti che si fanno tra ferro e ferro è causa del tanto saldo congiugnimento) da una esperienza: la qual è, che se noi presenteremo l'aguzza punta d'un ago all'armatura della calamita, non piú validamente se gli attaccherà che alla medesima ignuda; il che da altro non può derivare che dall'esser i due toccamenti eguali, cioè amendue di un sol punto.
Ma che piú? prendasi un ago e pongasi sopra la calamita sí che una delle sue estremità sporga alquanto infuori, ed a quella si appresenti un chiodo, al quale subito l'ago si attaccherà, in maniera che ritirando in dietro il chiodo, l'ago si ridurrà sospeso, ed attaccato con le sua estremità alla calamita ed al ferro, e ritirando ancora piú il chiodo, staccherà l'ago dalla calamita, se però la cruna dell'ago sarà unita al chiodo e la punta alla calamita; ma se la cruna sarà verso la calamita, nel rimuovere il chiodo l'ago resterà attaccato con la calamita, e questo (per mio giudizio) non per altro, se non che, per esser l'ago piú grosso verso la cruna, tocca in molti più punti che non fa l'acutissima punta.
SAGR.
Tutto il discorso mi è parso molto concludente, e quest'esperienze dell'ago me lo rendon di poco inferiore a una dimostrazion matematica: ed ingenuamente confesso di non avere in tutta la filosofia magnetica sentito o letto altrettanto, che con simil efficacia renda ragione di alcun altro de' suoi tanti maravigliosi accidenti; de i quali se avessimo le cause con tanta chiarezza spiegate, non so qual piú suave cibo potesse desiderare l'intelletto nostro.
SALV.
Nell'investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bisogna aver ventura d'indirizzar da principio il discorso verso la strada del vero; per la quale quando altri si incammina, agevolmente accade che s'incontrino altre ed altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla certezza delle quali la verità della nostra acquisti forza ed evidenza, come appunto è accaduto a me del presente problema: del quale volendo io con qualche altro riscontro assicurarmi se la ragione da me investigata fusse vera, cioè che la sustanza della calamita fusse veramente assai men continuata che quella del ferro o dell'acciaio, feci, da quei maestri che lavorano nella Galleria del Gran Duca mio Signore, spianare una faccia di quel medesimo pezzo di calamita che già fu vostro, e poi quanto piú fu possibile pulire e lustrare; dove con mio contento toccai con mano quel ch'io cercavo.
Imperocché si scopersero molte macchie di color diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto qualsivoglia piú densa pietra dura; il resto del campo era pulito, ma al tatto solamente, non essendo punto lustrante, anzi come da caligine annebbiato: e questa era la sustanza della calamita; e la splendida, di altre pietre mescolate tra quella, sí come sensatamente si conosceva dall'accostar la faccia spianata sopra limatura di ferro, la quale in gran copia saltava alla calamita, ma né pure una sola stilla alle dette macchie; le quali erano molte; alcune, grandi quanto la quarta parte di un'ugna; altre, alquanto minori; moltissime poi le piccole; e le appena visibili, quasi che innumerabili.
Onde io mi assicurai, verissimo essere stato il mio concetto, quando prima giudicai dover la sustanza della calamita esser non fissa e serrata, ma porosa o per meglio dire spugnosa, ma con questa differenza, che dove la spugna nelle sue cavità e cellule contiene aria o acqua, la calamita ha le sue ripiene di pietra durissima e grave, come ci dimostra l'esquisito lustro che esse ricevono: onde, come da principio dissi, applicando la superficie del ferro alla superficie della calamita, le minime particelle del ferro, benché continuatissime forse piú di quelle di qualsivoglia altro corpo (sí come ci mostra il lustrarsi egli piú di qualsivoglia altra materia), non tutte, anzi poche, incontrano sincera calamita, ed essendo pochi i contatti, debile è l'attaccamento; ma perché l'armadura della calamita, oltre al toccar gran parte della sua superficie, si veste anco della virtú delle parti vicine, ancorché non tocche, essendo esattamente spianata quella sua faccia alla quale si applica l'altra, pur similmente bene spianata, del ferro da esser sostenuto, il toccamento si fa di innumerabili minime particelle, se non forse de gl'infiniti punti di amendue le superficie, per lo che l'attaccamento ne riesce gagliardissimo.
Questa osservazione, di spianar le superficie de i ferri che si hanno a toccare, non fu avvertita dal Gilberti; anzi egli fa i ferri colmi, sí che piccolo è il lor contatto, onde avviene che minor assai sia la tenacità con la quale essi ferri si attaccano.
SAGR.
Resto dall'assegnata ragione, come dissi pur ora, poco meno appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica; e perché si tratta di problema fisico, stimo che anco il signor Simplicio si troverà sodisfatto,
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