[Pagina precedente]...ssimi da i cerchi e moti di quell'altre, ma le medesime stelle andranno variando suoi cerchi e sue velocità (e sarà il quinto inconveniente), avvengaché quelle che due mil'anni fa erano nell'equinoziale, ed in conseguenza descrivevano col moto cerchi massimi, trovandosene a i tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte piú tarde di moto e ridottesi a muoversi in minori cerchi; e non è lontano dal poter accader che venga tempo nel quale alcuna di loro, che per l'addietro si sia mossa sempre, si riduca, congiugnendosi col polo, a star ferma, e poi ancora, dopo la quiete di qualche tempo, torni a muoversi: dove che l'altre stelle, che si muovono sicuramente, tutte descrivono, come si è detto, il cerchio massimo dell'orbe loro, ed in quello immutabilmente si mantengono. Accresce l'inverisimile (e sia il sesto inconveniente), a chi piú saldamente discorre, l'essere inescogitabile qual deva esser la solidità di quella vastissima sfera, nella cui profondità sieno cosà tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con sà gran disparità di moti portate in volta: o se pure il cielo è fluido, come assai piú ragionevolmente convien credere, sà che ogni stella per se stessa per quello vadia vagando, qual legge regolerà i moti loro ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? A me pare che per conseguir ciò, sia tanto piú agevole ed accomodata maniera il costituirle immobili che 'l farle vaganti, quanto piú facilmente si tengono a segno molte pietre murate in una piazza, che le schiere de' fanciulli che sopra vi corrono. E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiamo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virtú, che seco porti l'innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi e maggiori assai della Terra, e di piú tutte le sfere de i pianeti, ancorché e questi e quelle per lor natura si muovano in contrario; ed oltre a questo è forza concedere che anco l'elemento del fuoco e la maggior parte dell'aria siano parimente rapiti, e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virtú: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, né saprei intender come la Terra, corpo pensile e librato sopra 'l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido, non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far muover la Terra, corpo minimo ed insensibile in comparazione dell'universo, e perciò inabile al fargli violenza alcuna.
SAGR. Io mi sento raggirar per la fantasia alcuni concetti, cosà in confuso destatimi da i discorsi fatti; che s'io voglio potermi con attenzione applicar alle cose da dirsi, è forza ch'io vegga se mi succedesse meglio ordinargli e trarne quel costrutto che vi è, se però ve ne sarà alcuno: e per avventura il procedere per interrogazioni mi aiuterà a piú agevolmente spiegarmi. Però domando al signor Simplicio, prima, se e' crede che al medesimo corpo semplice mobile possano naturalmente competere diversi movimenti, o pure che un solo convenga, che sia il suo proprio e naturale.
SIMP. D'un mobile semplice un solo, e non piú, può essere il moto che gli convenga naturalmente, e gli altri tutti per accidente e per participazione; in quel modo che a colui che passeggia per la nave, suo moto proprio è quello del passeggio, e per participazione quello che lo conduce in porto, dove egli mai col passeggio non sarebbe arrivato, se la nave col moto suo non ve l'avesse condotto.
SAGR. Ditemi, secondariamente: quel movimento che per participazione vien comunicato a qualche mobile, mentre egli per se stesso si muove di altro moto diverso dal participato, è egli necessario che risegga in qualche suggetto per se stesso, o pur può esser anco in natura senz'altro appoggio?
SIMP. Aristotile vi risponde a tutte queste domande, e vi dice che sà come d'un mobile uno è il moto, cosà di un moto uno è il mobile, ed in conseguenza che senza l'inerenza del suo suggetto non può né essere né anco immaginarsi alcun movimento.
SAGR. Io vorrei che voi mi diceste, nel terzo luogo, se voi credete che la Luna e gli altri pianeti e corpi celesti abbiano lor movimenti proprii, e quali e' siano.
SIMP. Hannogli, e son quelli secondo i quali e' vanno scorrendo il zodiaco: la Luna in un mese, il Sole in un anno, Marte in dua, la sfera stellata in quelle tante migliaia; e questi sono i moti loro proprii e naturali.
SAGR. Ma quel moto col quale io veggo le stelle fisse, e con esse tutti i pianeti, andare unitamente da levante a ponente e ritornare in oriente in ventiquattr'ore, in che modo gli compete?
SIMP. Hannolo per participazione.
SAGR. Questo dunque non risiede in loro; e non risedendo in loro, né potendo esser senza qualche suggetto nel quale e' risegga, è forza farlo proprio e naturale di qualche altra sfera.
SIMP. Per questo rispetto hanno ritrovata gli astronomi ed i filosofi un'altra sfera altissima senza stelle, alla quale naturalmente compete la conversion diurna, e questa hanno chiamata il primo mobile, il quale poi rapisce seco tutte le sfere inferiori, contribuendo e participando loro il movimento suo.
SAGR. Ma quando, senza introdurr'altre sfere incognite e vastissime, senza altri movimenti o rapimenti participati, col lasciare a ciascheduna sfera il suo solo e semplice movimento, senza mescolar movimenti contrarii, ma fargli tutti per il medesimo verso, come è necessario ch'e' sieno dependendo tutti da un sol principio, tutte le cose caminano e rispondono con perfettissima armonia, perché rifiutar questo partito, e dar assenso a quelle cosà strane e laboriose condizioni?
SIMP. Il punto sta in trovar questo modo cosà semplice e spedito.
SAGR. Il modo mi par bell'e trovato. Fate che la Terra sia il primo mobile, cioè fatela rivolgere in se stessa in ventiquattr'ore e per il medesimo verso che tutte le altre sfere, che senza participar tal moto a nessun altro pianeta o stelle, tutte avranno i lor orti, occasi ed in somma tutte l'altre apparenze.
SIMP. L'importanza è il poterla muovere senza mille inconvenienti.
SALV. Tutti gli inconvenienti si torranno via secondo che voi gli andrete proponendo: e le cose dette sin qui sono solamente i primi e piú generali motivi per i quali par che si renda non del tutto improbabile che la diurna conversione sia piú tosto della Terra che di tutto 'l resto dell'universo; li quali io non vi porto come leggi infrangibili, ma come motivi che abbiano qualche apparenza. E perché benissimo intendo che una sola esperienza o concludente dimostrazione che si avesse in contrario, basta a battere in terra questi ed altri centomila argomenti probabili, però non bisogna fermarsi qui, ma procedere avanti e sentire quel che risponde il signor Simplicio, e quali migliori probabilità o piú ferme ragioni egli adduce in contrario.
SIMP. Io dirò prima alcuna cosa in generale sopra tutte queste considerazioni insieme, poi verrò a qualche particolare. Parmi che universalmente voi vi fondiate su la maggior semplicità e facilità di produrre i medesimi effetti, mentre stimate che quanto al causargli tanto sia il muover la Terra sola quanto tutto 'l resto del mondo, trattone la Terra, ma quanto all'operazione voi reputate molto piú facile quella che questa. Al che io vi rispondo che a me ancora par l'istesso, mentre io riguardo alla forza mia, non pur finita, ma debolissima; ma rispetto alla virtú del Motore, che è infinita, non è meno agevole il muover l'universo, che la Terra e che una paglia. E se la virtú è infinita, perché non se ne deve egli esercitare piú tosto una gran parte che una minima? Per tanto parmi che il discorso in generale non sia efficace.
SALV. Se io avessi mai detto che l'universo non si muove per mancamento di virtú del Motore, io avrei errato, e la vostra correzzione sarebbe oportuna; e vi concedo che a una potenza infinita tanto è facile il muover centomila, quanto uno. Ma quello che ho detto io non ha riguardo al Motore, ma solamente a i mobili, ed in essi non solo alla loro resistenza, la quale non è dubbio esser minore nella Terra che nell'universo, ma a i molti altri particolari pur ora considerati. Al dir poi che d'una virtú infinita sia meglio esercitarne una gran parte che una minima, vi rispondo che dell'infinito una parte non è maggior dell'altra, quando amendue sien finite; né si può dire che del numero infinito il centomila sia parte maggiore che 'l due, se ben quello è cinquantamila volte maggior di questo; e quando per muover l'universo ci voglia una virtú finita, benché grandissima in comparazione di quella che basterebbe per muover la Terra sola, non però se n'impiegherebbe maggior parte dell'infinita, né minore sarebbe che infinita quella che resterebbe oziosa; talché l'applicar per un effetto particolare un poco piú o un poco meno virtú non importa niente: oltre che l'operazione di tal virtú non ha per termine e fine il solo movimento diurno, ma sono al mondo altri movimenti assai che noi sappiamo, e molti altri piú ve ne posson essere incogniti a noi. Avendo dunque riguardo a i mobili, e non si dubitando che operazione piú breve e spedita è il muover la Terra che l'universo, e di piú avendo l'occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono, un verissimo assioma d'Aristotile che c'insegna che frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora ci rende piú probabile, il moto diurno esser della Terra sola, che dell'universo, trattone la Terra.
SIMP. Voi nel referir l'assioma avete lasciato una clausola che importa il tutto, e massime nel presente proposito. La particola lasciata è un æque bene; bisogna dunque esaminare se si possa egualmente bene sodisfare al tutto con questo e con quello assunto.
SALV. Il vedere se l'una e l'altra posizione sodisfaccia egualmente bene, si comprenderà da gli esami particolari dell'apparenze alle quali si ha da sodisfare, perché sin ora si è discorso, e si discorrerà , ex hypothesi, supponendo che quanto al sodisfare all'apparenze amendue le posizioni sieno egualmente accomodate. La particola poi, che voi dite essere stata lasciata da me, ho piú tosto sospetto che sia superfluamente aggiunta da voi: perché il dire "egualmente bene" è una relazione, la quale necessariamente ricerca due termini almeno, non potendo una cosa aver relazione a se stessa, e dirsi, verbigrazia, la quiete esser egualmente buona come la quiete; e perché quando si dice "invano si fa con piú mezi quello che si può fare con manco mezi", s'intende che quel che si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, e perché la medesima cosa non può dirsi egualmente ben fatta come se medesima, adunque l'aggiunta della particola "egualmente bene" è superflua ed una relazione che ha un termine solo.
SAGR. Se noi non vogliamo che ci intervenga come ieri, ritornisi, di grazia, nella materia, ed il signor Simplicio cominci a produr quelle difficultà che gli paiono contrarianti a questa nuova disposizione del mondo.
SIMP. La disposizione non è nuova, anzi antichissima, e che ciò sia vero, Aristotile la confuta, e le sue confutazioni son queste. "Prima, se la Terra si movesse o in se stessa, stando nel centro, o in cerchio, essendo fuor del centro, è necessario che violentemente ella si movesse di tal moto, imperò che e' non è suo naturale; ché s'e' fusse suo, l'avrebbe ancora ogni sua particella; ma ognuna di loro si muove per linea retta al centro: essendo dunque violento e preternaturale, non potrebbe essere sempiterno: ma l'ordine del mondo è sempiterno: adunque etc. Secondariamente, tutti gli altri mobili di moto circolare par che restino indietro e si muovano di piú di un moto, trattone però il primo mobile: per lo che sarebbe necessario che la Terra ancora si movesse di due moti; e quando ciò fosse, bisognerebbe di necessità che si facessero mutazioni nelle stelle fisse: il che non si vede, anzi...
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