[Pagina precedente]... ti par di vederlo con una mano occupato a dare dei pugni e con l'altra a lisciarsi e ammirarsi. Ti solletica, ti diverte, ti riscalda. Pensa, dunque, quanti dovranno essere i seguaci, soprattutto in Italia, dove questa volta non potranno ripetere la vecchia canzone delle nebbie germaniche. Questa filosofia è cosa solida, tutta carne ed ossa.
A. E che è piú, nemica dell'idea. Sarebbe un gran bene a tradurla fra noi. Ma son curioso di sapere in che modo ha potuto formare il mondo senza l'idea; perché l'idea mi fa paura, e ben vorrei cacciarla via, e non so.
D. Schopenhauer l'ha cacciata via con un tratto di penna: cosa facilissima. Senti un po'. Kant avea detto che tutto è ideale, un fenomeno del cervello. Il mondo è la mia immagine: io non conosco il sole, né la terra, ma solo un occhio che vede il sole, una mano che sente la terra; tutto quello che io conosco, l'intero mondo, non è per sé, ma per un altro; è un oggetto per il soggetto, la visione di colui che vede; in una parola, immagine, fenomeno. È il diventare di Eraclito, le ombre di Platone, l'accidente di Spinoza, il velo ingannevole di Maia degl'indiani, simile ad un sogno, o a quella luce di sole sull'arena che di lontano si scambia per acqua. Togliete il soggetto, colui che vede, e il mondo non esisterebbe piú.
A. A questo modo noi siamo de' burattini, ed il mondo è una commedia.
D. Certo; ma dietro le scene c'è il vero reale, la cosa in sé, fuori de' nostri occhi. Ora, come gli uomini non si contentano d'essere chiamati burattini, anche quelli che sono, e vanno pescando la scienza da molti secoli, era cosa troppo crudele dir loro:- La scienza è dietro le scene, e non la vedrete mai; ciò che vedete è apparenza. I tre sofisti, volendo contentare il genere umano, dissero:- Consolatevi; l'apparenza è il medesimo che l'essenza; dietro le scene non c'è nulla -. E andarono scribacchiando volumi, quando dopo Kant non restava a fare che la cosa piú semplice del mondo.
A. Cosa?
D. Spingere un'occhiatina dietro le scene. Ecco la gloria di Schopenhauer. Ha schiusa la porta e ci ha trovato il reale, la cosa in sé, il "Wille".
A. Cosa vuol dir "Wille"?
D. Il volere.
A. Ci volea molto a trovar questa!
D. È l'uovo di Colombo. Ora pare cosa facile; e ciascuno dice:- Anch'io l'avrei trovato -. La scoperta di Schopenhauer è piú importante ancora che la scoperta dell'America, perché, come dice con giusto orgoglio l'inventore, è la veritá delle veritá, l'ultima scoperta, la sola cosa che restava a fare in filosofia. Eppure, da tanto tempo s'era intravveduta questa veritá. I Cinesi e gl'Indiani l'avevano alzata a principio religioso; il cristianesimo non ha voluto intendere che questo con la sua storia del peccato originale; la troviamo in bocca al popolo, quando dice che il tempo non vuol piovere, attribuendo in tutte le lingue la volontá non solo agli uomini, ma alle universe cose: il che dice non per figura poetica, ma per un sentimento confuso del vero. Anche i filosofi greci, che stavano piú vicini all'antica sapienza braminica e buddistica, vi s'accostano: sicché ci hai proprio il "consensus gentium". Tra gli altri Empedocle si può chiamar proprio il precursore di Schopenhauer: perché il filosofo agrigentino, che Arturo chiama "ein ganzer Mann", un uomo compiuto, mette a capo del mondo non l'intelletto, ma amore e odio, vale a dire il volere, l'attrazione e la repulsione, la simpatia e l'antipatia(8). E poiché Empedocle è tenuto da molti un pitagorico, si dee credere che questa veritá l'abbia rubata a Pitagora; e se Gioberti avesse saputo questo, tenero com'era della filosofia pitagorica, si sarebbe fatto il piú caldo propugnatore di questa dottrina, nata, come filosofia, in Italia, e avrebbe accresciuto con un altro ingrediente il nostro primato. Ma Gioberti non ci ha pensato, e la gloria rimane intera a Schopenhauer; perché il vero inventore non è colui che trova una veritá, ma colui che la feconda, l'applica, ne cava le conseguenze, come dice non so più qual francese citato da Schopenhauer, un momento che temeva gli si contrastasse il brevetto d'invenzione.
A. La mia maraviglia è che Kant, a due dita dalla scoperta, non l'abbia veduta.
D. Kant, mio caro, una volta caduto nel fenomeno, non ne potea piú uscire. E la mia maraviglia è piuttosto, come non abbia conchiuso a rigor di logica, che tutto è fenomeno. Poiché se è vero che il fenomeno suppone il noumeno o la cosa in sé, è vero anche che, secondo il suo sistema, questa necessitá è tutta subbiettiva, fondata sulla legge di causalitá, anch'essa forma dell'intelletto. E credo non gli mancasse la logica, ma il coraggio. Perché, cominciato a filosofare per fondare la scienza, e trovatosi da ultimo nel vuoto, come si afferrò per la morale al categorico imperativo, cosà per la metafisica salà alla cosa in sé. Ma era un infliggere agli uomini il castigo di Tantalo, un dir loro:- La cosa in sé c'è, ma non la conoscerete mai, perché trascende l'esperienza -. Ora Schopenhauer ha fatto un miracolone, ha detto all'esperienza:- Dammi la cosa in sé -; e l'esperienza glie l'ha data. I filosofi si sono tanto assottigliato il cervello intorno a questa faccenda, e non c'era che da farsi una piccola interrogazione. Cosa son io? Io sono un fenomeno, come tutto il resto, perché mi considero nello spazio e nel tempo, forme necessarie del mio intelletto; il mio corpo è un oggetto tra gli oggetti; i suoi moti, le sue azioni mi sono cosà inesplicabili, come i mutamenti di tutti gli altri oggetti. Kant s'è fermato qui, e per questa via non si va a Roma, voglio dire non si va al reale. Dovea replicar la dimanda:- Cosa son io?-. Ed avrebbe avuto la risposta:- Io sono il "Wille" -. Mi muovo, parlo, opero, perché voglio. Né tra il mio corpo e il mio volere ci è giá relazione di causa e di effetto, perché cosà cadremmo nella legge di causalitá: l'atto della volontá e il moto corrispondente del corpo non sono due stati obbiettivamente diversi, ma la stessa cosa in due modi diversi, una volta come immediata, e un'altra come immagine offerta all'intelletto. Cosà il moto del corpo non è altro che l'atto della volontá obbiettivato, fatto immagine, come dice Arturo; il volere è la conoscenza "a priori" del corpo, e il corpo è la conoscenza "a posteriori" del volere(9).
A. Conoscenza! conoscenza! Adunque anche il volere cade sotto la conoscenza; e tutto ciò che si conosce abbiamo pur detto che è un fenomeno del cervello. Conosco cosÃ, perché il cervello è fatto cosÃ.
D. Ma il volere è una conoscenza immediata, indimostrabile, fuori delle forme dell'intelletto, non logica, non empirica, non metafisica, e non metalogica, che sono le quattro classi a cui Schopenhauer riduce tutte le veritá; è una conoscenza di un genere proprio, e si potrebbe chiamare per eccellenza la veritá filosofica.
A. Mi pare una sottigliezza. Immediata o mediata, è sempre una conoscenza; e mi pare che quel maledetto cervello ci entri un po' anche qui.
D. Mi pare e non mi pare! Tu stai col parere, e qui si tratta di una veritá, che anche i fanciulli la veggono. Ora, quello che vale del tuo corpo, vale di tutti gli altri; sicché il "Wille" è il reale o la cosa in sé dell'universo, e la materia è lo stesso "Wille" fatto visibile.
A. M'immagino che, una volta oltrepassato il fenomeno e afferrato il vero reale, Schopenhauer debba navigare a vele gonfie nel mare dell'essere.
D. T'inganni; Schopenhauer apre un po' la porticina di Kant, e guarda il "Wille". Kant avea detto:- Niente si sa -. A questo i tre impostori risposero:- Tutto si sa -. Schopenhauer ha piantato le tende tra quell'ignoranza assoluta e quell'assoluto sapere, e ha conchiuso:- Una sola cosa si sa e si può sapere, il "Wille" -. Ma non appena saputo il venerato nome, s'è affrettato a chiuder la porta. Cosa è il "Wille" in sé stesso, fuori del mondo? Cosa fa? Come se la passa? C'è un altro ordine di cose diverso dal nostro? Altri mondi? E questo mondo, qual è la sua origine? Quale la sua destinazione? Quale il suo perché? Non domandare, mio caro; ché la porta è chiusa. Schopenhauer non l'hai da confondere con quei ciarlatani, che pare si facciano ogni giorno una conversazione con Domeneddio, e ne scoprano tutti i segreti. Ti dá una filosofia modesta e seria.
A. Una filosofia che non è filosofia, perché ti lascia in bianco tutt'i problemi che la costituiscono.
D. È giá un gran merito l'aver dimostrato l'insolubilitá di questi problemi, l'impossibilitá della metafisica. Finora s'è creduto che l'intelletto c'è stato dato per conoscere; e quando un dabben filosofo ti ammonisce che la natura è inconoscibile, si suole replicare:- Perché dunque abbiamo la ragione? A che serve l'intelletto?-. Serve a mangiare e bere, a far danari, agli usi pratici della vita, risponde Schopenhauer. La natura dá a ciascun essere quello che gli è bisogno a vivere, e niente di piú. L'intelletto può attingere le relazioni, e non la sostanza delle cose(10).-
A. Bravo! Non possiamo noi vivere senza la metafisica? Anzi la metafisica è stata sempre nemica dello stomaco, lasciando stare i conti che ti tocca a fare con Campagna, se la prendi sul serio.
D. L'intelletto può intendere ciò che è nella natura, ma non essa natura.
A. Mi pare che a poco a poco ti stai dimenticando del "Wille", e ti stai innamorando della natura.
D. È vero. Succede anche a Schopenhauer. Volevo dire che l'intelletto non può conoscere il "Wille", la cosa in sé, e tanto meno quello che ci sta piú su...
A. Roba da lasciarla a' teologi. Mi par di udir predicare un santo Padre sull'insufficienza della ragione, e quindi sulla necessitá della rivelazione. Ma ti confesso che piú parli e meno ti capisco. Dici che non possiamo conoscere il "Wille", e prima hai detto che Schopenhauer l'ha conosciuto, senza però l'intervenzione del cervello, a quel che pare.
D. Con un distinguo tutto si chiarisce. Ci è "Wille" e "Wille". Il "Wille", assoluto è inconoscibile; perché conoscere l'assoluto è una contraddizione ne' termini. Tutto ciò che si conosce, come conosciuto, cade sotto la forma del nostro intelletto, e quindi è un relativo. Il "Wille", come libero, può stare in riposo, e può prendere tutte le forme che gli piace, oltre della nostra; e fin qui sappiamo che c'è, ma non sappiamo cosa è. Il "Wille" che conosciamo è il "Wille", in noi, un "Wille" relativo sottoposto alle forme dello spazio e del tempo, e alle leggi di causalitá, perciò accessibile all'intelletto(11).
A. Vale a dire, è un fenomeno come tutti gli altri.
D. Il primo fenomeno che ci può dar ragione degli altri.
A. Ma allora non mi stare a predicare che Schopenhauer ha scoperta la cosa in sé! Gran cosa in sé codesta che è un relativo! Ci sento un odore di ciarlataneria.
D. Schopenhauer non è ciarlatano, perché ti ha limitata egli stesso la conoscenza del "Wille".
A. Ma allora questo "Wille" potrebbe essere non il primo, ma un prodotto egli medesimo di qualcos'altro che non sappiamo e che sarebbe la vera cosa in sé.
D. Potrebbe. Ma che importa a noi? Quello che c'importa è che il "Wille" si trova al di sotto di tutti i fenomeni, ed è la cosa in sé per noi: cosà è spiegato il mondo.
A. Ma neppur questo mi entra. Non è strano il dire che nella pietra ci stia il "Wille"? Concepirei piú che ci stesse l'idea, se Campagna non fosse lÃ.
D. Gli è che sei avezzo a vedere il "Wille" o il volere con l'occhio volgare. I filosofi plebei non sanno concepire il volere che a' servigi dell'intelligenza. Ora tu devi con uno sforzo d'astrazione scindere dall'intelletto il volere; e cosa rimane? Uno stimolo cieco, inconscio, che sforza a operare. Ecco il "Wille" di Schopenhauer.
A. Dunque il principio di tutte le cose è uno stimolo cieco, inintelligente? Non mi va.
D. Altrimenti dái di muso nell'idea, o piuttosto in Campagna.
A.. Dunque...
D. Dunque guarda un po' intorno, e dimmi se non trovi dappertutto il "Wille". In un mondo dove tutto è fenomeno, è lui il vero reale che dá alle cose la forza di esistere e di operare. E non solo gli atti volontarii degli animali, ma l'intero organismo, la sua forma e condizi...
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