[Pagina precedente]...one, la vegetazione delle piante, e nel regno inorganico la cristallizzazione, ed insomma ciascuna forza primitiva che si manifesta ne' fenomeni chimici e fisici, la stessa gravitá, considerata in sé e fuori dell'apparenza è identica con quel volere che troviamo in noi stessi. Egli è vero che negli animali il volere è posto in moto da' motivi, nella vita organica dell'animale e della pianta dallo stimolo, nella vita inorganica da semplici cause nel senso stretto della parola; ma questa differenza riguarda il fenomeno, lascia intatto il "Wille". Apri ora le orecchie, che viene il meglio. L'intelletto è stato generalmente tenuto come il principio della vita, l'essenza delle cose; vedi che ci accostiamo all'idea. Di qui l'ordine e l'armonia universale, il progresso, la libertá, e quel tale divinizzare il mondo. Ma, poiché Schopenhauer ha preso l'umile "Wille", creduto una semplice funzione dell'intelletto, e te lo ha sollevato al primo gradino, l'intelletto è divenuto affatto secondario, un fenomeno che accompagna il "Wille"; ma che gli è inessenziale, che mette il capo fuori solo quando il "Wille" apparisce nella vita organica, quindi un organo del "Wille", un prodotto fisico, un essere non metafisico. L'intelletto può andare a spasso senza che il "Wille" vada via: anzi nella vita vegetale e inorganica non c'è vestigio d'intelletto, e perciò non è il volere condizionato alla conoscenza, come tutti sostengono, ma la conoscenza è condizionata al volere, come sostiene Schopenhauer(12).
A. Capisco, capisco. Finora ti confesso che ridevo tra me e me del "Wille" e dicevo:- È infine una parola, il nome di battesimo della cosa in sé, che Schopenhauer ha aggiunto alla dottrina kantiana -. Ma l'amico è fino, e veggo dove va. Celebriamo i funerali dell'idea.
D. In effetti, il "Wille", operando alla cieca, non è legato da alcuna necessitá come l'idea, o come la sostanza di Spinoza. Assolutamente libero, può starsene con le mani in saccoccia, nella maestá della quiete. Quando sente un prurito, un pizzicore, esce dalla sua immobilitá e genera le idee.
A. E dálli; lui pure con l'idea!
D. Rassicurati. Non è l'idea di Hegel, ma sono le idee di Platone, "species rerum", tipi e generi, fuori ancora dello spazio e del tempo.
A. Sono dunque concetti.
D. Adagio. Le forbici non ti hanno potuto ancora cavar di capo la filosofia. Hai da sapere che per Schopenhauer i concetti sono semplici astrazioni cavate dal mondo fenomenico, come l'essere, la sostanza, la causa, la forza, ecc.; hanno un valore logico, non metafisico; sono un pensato, non un contemplato. Stringi e premi, il concetto non ti può dare che il concetto. E ci volea la sfacciataggine di Hegel per fondare la filosofia sopra i concetti. Le idee al contrario sono il primo prodotto del "Wille"; non generano, anzi sono generate, e sono, per dir cosÃ, l'abbozzo o l'esemplare del mondo, perfettamente contemplabili(13). Cosà in questa teoria trovi raccolte le piú grandi veritá della filosofia, la cosa in sé di Kant, le idee di Platone, e l'unitá o il monismo immanente di Spinoza. Uno è il "Wille", immanente nelle cose, anzi le cose non sono che esso medesimo il "Wille", messo in movimento, la luce è l'apparenza del "Wille".
A. Allora Schopenhauer è panteista.
D. Che importa?
A. Bagattella! Hai dimenticato, debbo tornare in Italia. L'idea puoi avventurarla qualche volta, con certe cautele, perché anche i Governi sanno le loro idee; soprattutto se la pronunzii in plurale, volendo ciascun ministro averne parecchie a suo uso. Ma col panteismo non c'è scappatoia.
D. Consolati dunque. Schopenhauer non è panteista, perché il suo mondo rassomiglia piuttosto al diavolo che a Dio. Panteista, dice Arturo, è colui che divinizza il mondo, trasformando l'idea in sostanza o in assoluto, e facendo della ragione il suo organo. L'idea come sostanza opera fatalmente e ragionevolmente...
A. Credevo che il panteismo consistesse nell'ammettere una sostanza unica, immanente, quale si fosse il suo nome, sostanza, idea, o "Wille"; ma poiché Schopenhauer m'assicura il contrario, come dovrò chiamarlo?
D. Chiamalo monista(14), e ti tirerai d'impaccio. L'idea dunque, come ti dicevo, opera fatalmente, perché opera ragionevolmente; onde l'ottimismo, quell'andar sempre di bene in meglio secondo leggi immutabili, che dicesi progresso. - Ma se è cosÃ, dice Schopenhauer, come spiegare il male e l'errare?-
A. Hai messo il dito nella piaga. Bel Dio è codesto mondo, un misto di follia e di sciocchezza e di birberia. L'idea quando l'ha concepito si doveva trovare nell'ospedale dei pazzi.
D. Schopenhauer perciò ha congedato l'idea, e ci ha messo il "Wille", cieco e libero, che fa bene e male, come porta il caso. Il quale, se se ne stesse quieto, sarebbe un rispettabile "Wille"; ma come ha de' ghiribizzi, gli viene spesso il grillo di uscire dalla sua generalità e farsi individuo. Questo è il suo peccato: di qui scaturisce il male. È il "principium individuationis", quello che i cattolici chiamano la materia o la carne, che genera il male. Potrebbe dire:- Non voglio vivere -, e sarebbe Dio; ma quando gli viene in capo di dire:- Voglio vivere -, diventa Satana. La vita è opera demoniaca.
A. Veggo che questo "Wille" dee essere un asino, un buffone ed un briccone; oh, sà che avevo ragione quando dissi che la vera idea del mondo, colui che lo governa, è Campagna; piú ci accostiamo a questo tipo, e più ci accostiamo alla veritá.
D. Il "Wille" è essenzialmente asino finché non produce il cervello.
A. E come tutt'a un tratto diviene dottore? Voglio dire: se non ha conoscenza, come può produrre la conoscenza?
D. Da padre asino non può nascere un figlio dotto?
A. Lasciamo lo scherzo. Perché?
D. Perché vuole. Il "Wille" può tutto, e quando vuol conoscere, ti forma un cervello. Non l'ho io detto che il "Wille" ama la vita? E finché vuol vivere come pietra o come pianta, non gli viene in capo il cervello, perché può farne senza. Ma quando gli si presenta l'idea dell'animale, e dice:- Voglio essere un animale -, ti forma il cervello, essendo l'intelletto, come ti ho detto, necessario alla vita animale. Ed il "Wille" maritato all'intelletto è quello che dicesi comunemente anima.
A. Un intelletto che nasce da un "Wille" inintelligente è un miracolone piú grosso che quello di san Gennaro.
D. Non piú grande che quello che trovi ne' fatti piú ordinarii. Una pietra che cade in virtú della legge di gravita è un miracolo cosà grosso, come che l'uomo pensi. Tutti queste miracoli li fa il "Wille" perché vuole cosÃ.
A. Cioè a dire, che se la pietra cade, gli è che vuol cadere?
D. Certamente.
A. E s'io ti gittassi dalla finestra, vorresti andar giú a fracassarti il cranio?
D. Io sono un essere complesso. Il mio corpo vorrebbe, perché sottoposto anche lui alla legge di gravitá.
A. Avevo creduto finora che nella vita inorganica il movimento venga dal di fuori; e che se, per esempio, la pietra cade, gli è perché io le do la spinta...
D. Non solo, ma perché ella è pietra e non uccello. Cade perché la sua natura porta cosÃ; e in questo senso diciamo che vuol cadere.
A. Ma allora questo "Wille" non lo capisco piú. Se siegue certe leggi nell'ordine fisico, potrebbe seguirle pure nell'ordine morale; e se opera secondo leggi fisse, non è piú "Wille", ma idea, è un "Wille" intelligente.
D. Pensa a Campagna.
A. Qui non ci sente. Credevo questo "Wille" un asino ed un buffone; ora mi parli di leggi.
D. Il "Wille" è libero finché non vuol niente; ma quando vuole qualche cosa...
A. Fermiamoci qui. Un "Wille" che non vuole è una contraddizione ne' termini; perché l'essenza del "Wille" è il volere.
D. Ma, come libero, può anche volere non volere.
A. È una sottigliezza. Ma lasciamo star questo. Che cosa lo spinge a volere?
D. Un pizzicore interno.
A. È una facezia. Il volere è un desiderio che suppone il bisogno; il bisogno suppone una mancanza; e la mancanza presuppone un'essenza, un essere con certe determinazioni, con una propria natura. Il "Wille" dunque non può essere un primo, perché presuppone l'essere, e quindi l'idea.
D. Pensa a Campagna.
A. Rispondi cosà quando non hai che rispondere.
D. Se m'interrompi sempre, non la finiremo piú. Dicevo che quando vuole qualche cosa, il "Wille" non è piú libero, dovendo adoperare tutti i mezzi che vi conducono: allora è sottoposto a leggi, le quali perciò riguardano il "Wille" fenomenico, non il "Wille" in sé stesso.
A. Ma dunque, volendo qualche cosa, il "Wille" si propone un fine e vi applica i mezzi. E mi vuoi dare a credere che sia un asino, che non adoperi ragionevolmente, che non sia intelligente?
D. Ma questo lo fa inconsapevolmente, a modo di uccello che, volendo sgravarsi delle uova, comincia a raccogliere delle pagliuzze e si costruisce il nido. L'uccello non sa neppure a qual uso è destinato il nido. Fa tutto questo non perché lo pensa, ma perché lo vuole.
A. È un giochetto di parole. Manca la coscienza, non l'intelligenza Non basta volere, bisogna sapere, con coscienza o no, poco importa. Il tuo "Wille", se è cieco, può volere quanto gli piace, che non sará buono a nulla, neppure a formare la pietra. In ogni formazione si suppone convenienza di mezzi col fine; e questo è opera dell'intelligenza. Un "Wille" cieco che ti forma il mondo! Il volere, mio caro, non basta; ci vuole il sapere. Voglio andare a Parigi, e, se non so la via e ci giungo, sará per caso: ma tra le cento, novantanove volte non ci giungerò.
D. Ma il "Wille" è cieco non perché sia propriamente un asino, ma perché non si può dire che pensi e rifletta; opera senza coscienza.
A. Ma chi ti ha detto che l'idea opera con coscienza, e pensi e rifletta? Sappiamo che la Natura opera spontaneamente e inconsapevolmente; se ne dee cavar per conseguenza che operi irragionevolmente? E quando Hegel vede l'idea nella pietra, credi tu che l'idea la rifletta e pensi? Se il "Wille" fa quello che si richiede allo scopo propostosi, è un essere ragionevole, è l'idea. Non m'interrompere. Qui non c'è a rispondere altro che un:- Pensa a Campagna!-.
D. Se vuoi vedere qual differenza corra tra il "Wille" e l'idea, pon mente alle conseguenze. Dall'idea nasce un mondo irragionevole, e perciò pessimo.
A. Il che non prova che il "Wille" non sia un'idea: prova solo che sia un briccone. Chi vuole una cosa cattiva e vi adopera i mezzi, lo chiamiamo malvagio, ma non irragionevole.
D. La vita per l'idea è il suo medesimo svolgersi progressivo secondo le sue leggi costitutive. Per il "Wille" la vita è un peccato; maledetto il momento che dice:- Io voglio vivere!-. Vivendo, cessa di esser libero, s'imprigiona nello spazio e nel tempo, entra nella catena delle cause e degli effetti, diviene un individuo, si condanna al dolore ed alla miseria, scendendo con le proprie gambe in questa valle di lagrime, come Empedocle ed il Salve Regina chiamano il mondo.
A. E perché mo' tutto questo?
D. Perché il "Wille" come infinito non può appagare sé stesso sotto questa o quella forma, dove trova sempre un limite. Prendere dunque una forma è la sua infelicitá; il suo peccato, la sua miseria è nel dire:- Io voglio vivere -.
A. Farebbe dunque meglio a dire:- Io voglio morire -.
D. Certamente. La morte è la fine del male e del dolore, è il "Wille" che ritorna sé stesso, eternamente libero e felice. Vivere per soffrire è la piú grande delle asinitá.
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
La vita è un fenomeno, un'apparenza, "pulvis et umbra", vanitá delle vanitá; dove non ci è altro di reale che il dolore; e se ne togli il dolore, rimane la noia.
A. Mi pare che ti sii distratto; e che da Schopenhauer sii caduto in Leopardi.
D. Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo cosÃ, e non sapeva il perché.
Arcano è tutto
Fuorché il nostro dolor.
Il perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del "Wille".
A. Forseché Leopardi non ti parla di un "brutto poter, che ascoso a comun danno impera", e forse non gli appicca subito dopo "l'infinita vanitá de...
[Pagina successiva]