[Pagina precedente]...lia l'arte di menar pel naso i gonzi, che sono i piú; laddove l'amico della veritá è modesto, semplice e non ha fortuna.
D. È proprio il caso. Senti in che modo Schopenhauer stesso spiega il perché del lungo obblio in che lo hanno tenuto i contemporanei Si sono scritte tante storie di filosofia, ed in tutte trovi fatta menzione di mediocrissimi, e di Schopenhauer non una parola: diresti che ne abbiano paura. E ti vien sospetto che sotto ci giaccia una cospirazione, la più formidabile che possa uccidere un uomo, quella del silenzio. D'altra parte in tutte si fa molto strepito intorno a Fichte, Schelling, Hegel vantati come gli educatori del genere umano.
A. O piuttosto i carnefici. Perché sono loro la causa prima per la quale tanta gente si è ita a fare ammazzare. Ed io, mentre parlavo dell'assoluto, ci ho perduta la barba.
D. Ciarlatani e sofisti, dice Schopenhauer(5), e "non filosofi, perché volevano parere, non essere", e cercavano non il vero, ma impieghi da' governi e quattrini dagli studenti e da' librai: eccellenti nell'arte di burlare il pubblico e far valere la loro merce: il che è senza dubbio un merito, ma non filosofico. Ora si danno l'aria della passione, ora della persuasione, ora della severitá, oscuri, irti di formole, vendevano parole che si battezzavano per pensieri. Invano cerchi in loro quella tranquilla e chiara esposizione che è la bellezza del filosofo. Guardano all'effetto; voglion sedurre, trascinare, prendon tuono da oracolo per darla ad intendere. Kant avea mostrato che il mondo è un fenomeno del cervello, ma che sotto al fenomeno ci è pure una cosa in sé, fuori della conoscenza. Qui fu il suo torto; se avesse battezzato questa cosa in sé, avrebbe posta l'ultima pietra al tempio della filosofia.
A. Diavolo! Non rimane dunque che battezzare questa cosa in sé?
D. Certo; e quest'ultima pietra l'ha posta Schopenhauer. Ma senti. Poiché Kant chiuse la porta, ed ebbe l'imprudenza di annunziare che al di dentro ci stava la cosa in sé, il trascendente, l'inconoscibile, tutti si posero attorno a quella porta col desiderio in gola del frutto proibito. Ed eccoti ora i ciarlatani. Fichte, non discepolo, ma caricatura di Kant, si fa per il primo innanzi, e dice:- Sciocchi! Lasciate stare quella porta; Kant ha scherzato; dentro non ci è nulla. La cosa in sé, il vero reale, non esiste; tutto è prodotto del cervello, dell'io -. E fu Fichte che introdusse nella filosofia le formole, gli oracoli, tutto l'apparato della ciarlataneria, condotto a perfezione da Hegel. Ma il nocciolo era troppo grosso, e non si poteva ingozzare. Ed ecco la gente da capo a picchiare a quella porta e a dire:- Dateci il reale-. Allora Schelling, piú furbo, disse:- È inutile che picchiate, lá dentro non ci è nulla. Il reale c'è, e non è bisogno di andar lá entro a cercarlo. Il reale sta innanzi a voi, e non lo vedete, e fate come chi ha il cappello in capo e lo va cercando a casa. Ma quello che voi chiamate l'ideale, è quello appunto che cercate, il reale; il pensiero e l'essere sono una cosa -.
A. Eccoci con l'identitá del pensiero e dell'essere, la mala pianta. E fosse a]meno cosa nuova! Il mio maestro mi citava queste parole di Spinoza: "Substantia cogitans et substantia extensa una eademque est substantia; ... mens et corpus una eademque est res".
D. Ma vedi il furbo, dice Schopenhauer. Kant oppone il fenomeno alla cosa in sé; ed egli per disviare il pubblico dalla cosa in sé vi sostituisce a poco a poco il pensiero e l'essere; e ti cambia le carte in mano. Ma la gente se ne accorse, ed andavano cercando il reale nell'ideale, e non lo trovavano. - Io lo veggo, io, diceva egli, perché io ho un buon cannocchiale, che si chiama l'intuizione intellettuale; e se voi non lo vedete, strofinatevi gli occhi. - Hegel ebbe pietá di quei poveri occhi, e disse:- Aspettate, ve lo voglio far vedere anche ad occhi chiusi -. E propose il processo dialettico. Vale a dire tolse il pensiero dal cervello, e ne fece la cosa in sé, l'assoluto, l'idea, dotata di una irrequietezza interna, che non le lascia mai requie, un essere vero e vivo, che per proprio impulso e secondo le sue leggi evolutive cammina, cammina attraverso i secoli. Cosà predicata con isfacciataggine, creduta con melensaggine, fu accreditata la dottrina dell'idea. Hegel diede al mondo tutte le qualitá, compresa l'onniscienza, che si attribuivano a Dio; e, confondendo la metafisica con la logica, fece dell'universo una logica animata.
A. Che i governi hanno dispersa a colpi di bombe, di fucili, di forbici.
D. Fichte fu la caricatura di Kant; Hegel fu il buffone di Schelling, e lo ha fatto ridicolo con quell'idea che si move da sé, con quei concetti che diventano, con quelle contraddizioni che generano. Volete istupidire un giovane, renderlo per sempre inetto a pensare? Mettetegli in mano un libro di Hegel. E quando leggerá che l'essere è il nulla, che l'infinito è il finito, che il generale è il particolare, che la storia è un sillogismo, finirá con l'andare nello spedale dei pazzi...
A. O nella Vicaria a fare un sillogismo co' ladri; che per poco non ci capitai io. Dagli, dagli, Schopenhauer.
D. Hegel è il gran peccatore, e Schopenhauer ce l'ha con lui principalmente. Il peccato di Fichte(6) è di essersi spacciato discepolo di Kant, ed Arturo se la piglia col pubblico, che non può pronunziare mai Kant senza appiccargli sul dosso Fichte, pubblico dalle orecchie di Mida, indegno di Kant, inetto a mai comprenderlo, che gli pone allato, anzi al di sopra, Fichte, come colui che ha non pur continuato, ma recato a perfezione quello che Kant ha cominciato. Cosà è avvenuto che oggi si dice Kant e Fichte, e si dovrebbe dire Kant e Schopenhauer: il primo gran peccato del secolo. Il secondo peccato lo ha fatto Schelling. La filosofia avea trovate le sue fondamenta, grazie a Locke e Kant, riposando sull'assoluta differenza del reale e dell'ideale; ed eccoti Schelling che ti fa proprio il rovescio, e confonde bianco e nero, e ti gitta reale e ideale nell'abisso della sua assoluta identitá. Di qui errori sopra errori; sparsa la mala semenza, n'è nata la corruzione, il pervertimento della filosofia. Il peccato di Schelling è grosso, ma, come ti dicevo, Hegel è il gran peccatore, perché l'intuizione intellettuale difficilmente sarebbe andata in capo al pubblico; dove Hegel col suo processo dialettico ha dato un'apparenza di armonia a questo mostro filosofico, ne è stato l'ordinatore e l'architetto, ha reso curabile il peccato. E Schopenhauer te lo concia per le feste. Ciarlatano, insipido, stupido, stomachevole, ignorante, la cui sfacciataggine è stata gridata saggezza da' suoi codardi seguaci, vero autore della corruzione intellettuale del secolo. E qui Schopenhauer non può contenere la sua indignazione: "O ammiratori di questa filosofia...". Come ti dirò? Non ti posso tradurre l'energico epiteto che Arturo appicca a questa filosofia; la lingua italiana è pudica...
A. Ma pure!
D. Poiché sei curioso, ricordati l'epiteto che Dante appicca alle unghie di Taide, ed avrai un equivalente. "Oh ammiratori, grida Schopenhauer, il disprezzo dei posteri vi attende, e giá ne sento il preludio! E tu, pubblico, tu hai potuto per trent'anni tener le mie opere per niente, e per meno che niente, mentre onoravi, divinizzavi una filosofia malvagia, assurda, stupida, vigliacca! L'uno degno dell'altra. Andate dagli imbecilli e fatevi lodare. Furbi, stupidi venduti, ignoranti ciarlatani, senza spirito e senza merito, ecco quello che è tedesco; non uomini come me. Questa è la testimonianza che innanzi di morire vi lascio. È una disgrazia, dice Wieland, l'esser nato tedesco; Bürger, Mozart, Beethoven ed altri avrebbero detto lo stesso; anche io: "Il n'y a que l'esprit, qui sent l'esprit'". Il che significa:- Voi siete degli imbecilli, e non potete comprendere me, Arturo Schopenhauer -.
A. Per Dio, mi sento far piccolo, mi sento divenir imbecille.
D. Comprendi ora perché nessuno ha pensato a lui per lo spazio di trent'anni: i contemporanei non erano "à sa hauteur". Preferivano i sofisti e i ciarlatani. La nuova generazione, piú intelligente, ha gittato via Hegel come un cencio, e si fa intorno ad Arturo. Se vai a Francfort, entra nel grande albergo, e vedrai quanti uffiziali austriaci stanno li con la bocca aperta a sentire: è Arturo che predica.
A. Schopenhauer dev'essere un testone; ha capito una gran veritá, che a propagare una dottrina bisogna innanzi tutto render filosofica la spada. Ha operato piú conversioni la sciabola di Maometto, che il nostro gridacchiare in piazza. Una buana piattonata mi farebbe subito gridar:- Viva Schopenhauer! -.
D. Ma Schopenhauer ha ancora altri seguaci. In prima tutti gli uomini dell'avvenire, i malcontenti, gl'incompresi, gli insoddisfatti, che si tengono fratelli carnali del grand'uomo, e dicono:- Anche verrá il tempo nostro -.
A. Seguaci formidabili, perché costoro, impazienti del silenzio che li circonda, parlano essi per cento.
D. Aggiungi le donne, soprattutto dopo che Arturo le ha chiamate de' fanciulloni miopi, privi di memoria e di previdenza, viventi solo nel presente, dotate dell'intelletto comune agli animali, con appena appena un po' di ragione, bugiarde per eccellenza, e nate a rimaner sotto perpetua tutela(7).
A. Non sono mica confetti.
D. Ma oggi, caro mio, la donna non vuole essere piú trattata a confetti: la galanteria è uscita di moda. Vuol sentire la forza; e piú gliene dici e gliene fai, e piú ti vuol bene. E se te le stai innanzi timido e rispettoso, in cuor suo ti battezza subito per imbecille e comincia a farti la lezione. Hai da far la bocca rotonda, atteggiarti a grand'uomo, animare il gesto e la voce, tenerti in serbo tre o quattro paradossi, il piú efficace solletico dell'attenzione, e sputarli fuori a tempo in modi brevi e imperatorii. Poi, oggi la donna vuol esser tenuta una persona di spirito, anzi uno spirito forte, e ti fa l'atea, come un tempo faceva la divota. Vuol anche lei poter filosofare e teologizzare; e come si fa? Mettile avanti Hegel e gli altri sofisti, ed errando tra quelle formole e quelle astrazioni, si vede mancar sotto i piè il terreno e le viene il capogiro. Vuole la scienza, ma la vuole a buon mercato, e ci vuol mettere del suo il meno che si possa.
A. Ed ha ragione. E credo che anche per noi uomini sarebbe meglio cosÃ. Ti par egli che un povero galantuomo debba sudar mezza la vita con questi filosofi? E ci fosse almeno certezza di cavarne qualcosa! Ne leggi uno, e quando cacci un grosso sospiro e dici:- finito -, ne prendi un altro, e ti trovi da capo: nuovo linguaggio, nuove formole, nuovo metodo, nuove opinioni; sicché ti par d'avanzare e stai sempre lÃ. Una filosofia dovrebbe farsi leggere volentieri fino dalle donne.
D. Che è il caso di Schopenhauer. Il quale, avendo fatti frequenti viaggi, e tenutosi lontano dall'insegnamento, non ha niente di professorale e scolastico. Scrive alla buona, bandite le formole ed ogni apparato scientifico, con linguaggio corrente e popolare. Come vi è di quelli che hanno l'intendimento duro, ti ripete la stessa cosa a sazietá. Dopo d'aver filosofato un poco, per non ti stancare, varia lo spettacolo, come se volesse dirti:- Andiamo ora a prendere il thè -. Allora, in luogo di ragionare, ti fa un po' di conversazione, ed esce in contumelie, invettive, paragoni, aneddoti, citazioni spagnuole, greche, latine, italiane, inglesi, francesi, che sono come la salsa della scienza. Sicché è un piacere a leggere, soprattutto per i dilettanti e le dilettanti di filosofia. Si vanta di chiarezza e di originalitá, e, se non te ne accorgi, te lo annunzia lui a suon di tromba. Non si contenta d'esser chiaro, ma vuole che tu lo sappia, e perciò ha la civetteria della chiarezza, girando e rigirando la stessa cosa in molti modi. Dice delle cose spesso piú vecchie di Adamo, ma le pensa col suo capo, le dice alla sua maniera; l'originalitá è nell'abbigliamento. Di sotto al mantello del filosofo trasparisce l'uomo bilioso, appassionato, sicuro di sé, provocatore, dispettoso, sicché...
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