SCHOPENHAUER E LEOPARDI, di Francesco De Sanctis - pagina 7
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D.
Se non esistesse il torto, non esisterebbe il diritto.
Il diritto è la negazione del torto.
Lo Stato è il custode del diritto, perché mi difende da chi mi vuol far torto.
Perciò è un commissario di polizia, e non un medico.
Non può guarirci da' nostri mali; e non sarebbe neppur desiderabile che ci guarisse.
A.
Questa è una vera scoperta: ché nessuno l'ha detto ancora.
Fin qui dicevo tra me e me:- Anche Leopardi l'ha detto -.
Perché Leopardi non crede al progresso, si ride della filosofia della storia, e reputa insanabili i nostri mali.
Solo quella faccenda del diritto e del torto non ce la trovo; ma me la ricordo nel padre Bartoli.
Ma né in Leopardi, né in Bartoli, né in nessuno trovo che la nostra guarigione sia cosa poco desiderabile.
D.
Perché, se sei guarito dal dolore, ti rimane non il piacere, che è una negazione, ma un nemico ancor piú molesto, la noia; e perché, ove tutti fossimo felici, ne verrebbe un accrescimento di popolazione, le cui spaventevoli conseguenze atterriscono ogni piú ardita immaginazione(24).
A.
Perdona, Gioberti.
Bisogna concedere il primato al cervello di Schopenhauer.
Il tuo cervello non avrebbe saputo trovar questa: e sì che ne ha trovate tante.
E che razza di mondo è dunque cotesto? La patria è un'astrazione; l'umanitá è una finzione; la storia è un giochetto di nuvole; l'individuo è condannato immedicabilmente al dolore ed alla noia.
Perché viviamo dunque? uccidiamoci.
Bella, adorabile, pietosa morte.
Chiudi alla luce omai
Questi occhi tristi, o dell'età reina.
D.
Leopardi si è troppo affrettato a tirar la conseguenza.
Schopenhauer da questo inferno, che chiamasi vita, ha saputo cavar fuori il paradiso: e qui è veramente che spicca un volo d'aquila.
A.
Sfido Schopenhauer a tirare altra conseguenza che il suicidio.
D.
Valga.
Senti ed impara.
Gl'indiani ed i cristiani hanno trovata la vera medicina.
Bisogna morire, ma senza cessar di vivere.
A.
Che è il mezzo più comodo a contentare la vita e la morte.
D.
Il "Wille" desidera di vivere, corre sempre alla vita; la vita è il suo eterno presente.
E vivere significa abbandonarsi alla satisfazione di tutt'i desiderii ed i bisogni.
Dapprima opera come cieco stimolo, senza conoscenza, e dice:- Voglio vivere -.
Poi si dá un cervello dotato d'intelletto, riconosce sé stesso nella immagine cosmica, e dice ancora:- Voglio vivere -.
Nell'uomo si dá non solo un intelletto, come negli animali, ma una ragione; e dice sempre:- Voglio vivere -.
E come la vita, cioè a dire la satisfazione de' bisogni e de' desiderii, gli è più difficile nella forma d'uomo, si è costruito un cervello piú artificioso, sí che l'intelletto è più acuto e rapido, e vi ha aggiunta la ragione, la facoltá dell'assoluto secondo i tre ciarlatani, e che in sostanza è stata dal "Wille" messa in compagnia dell'intelletto per i suoi bisogni.
Perché l'intelletto provvede solo al presente; laddove la ragione, facoltá dei concetti, astrae, generalizza, coordina, subordina, lega il presente al passato e predice l'avvenire.
Armato di queste due arme potentissime, il "Wille" sotto forma d'uomo s'abbandona al piacere di vivere; ed è qui la fonte della sua infelicitá: perché di desiderio pullula desiderio, bisogno genera bisogno, e non ci è verso che si appaghi e vive agitato.
A.
Bisogna trovargli un calmante.
D.
E questo sedativo glielo dá la ragione.
Perché, fatta dolorosa esperienza della vita, in qualche uomo di giudizio la ragione parla così:- Non t'accorgi che gli individui sono sogni fuggevoli, che tutto passa, che il piacere è un'apparenza, che il voglio vivere, l'amore della vita è la radice de' tuoi mali? -.
E non puoi uscirne altrimenti che facendo guerra al "Wille", cioè a' desiderii, alle passioni, considerando tutte le cose a cui gli uomini tengon dietro, piaceri, onori, ricchezze, come vuoti fantasmi, uccidendo in te la volontá di vivere o di godere.
"Sustine et abstine": segui questo principio, e ricovererai la pace dell'anima.
A.
La pace della sepoltura.
D.
Capisci ora cosa vuol dir morire senza cessar di vivere.
Vivi, ma rinunziando a' godimenti della vita, come cosa vana; il che è dato di fare solo all'uomo fornito di ragione.
Gli animali e tutte le cose vogliono vivere; tu solo ti puoi mettere al di sopra della vita; perché, fatto esperto dalla ragione, che non si arresta agl'individui, ma con la memoria del passato e l'anticipazione dell'avvenire ti dá come in uno specchio la conoscenza universale, puoi farti questa domanda:- A che serve la vita? e da tanto affannarsi e correrle appresso qual guadagno se ne cava? "le jeu vaut-il bien la chandelle?".
E quando ti persuaderai che la vita non vale la pena che un galantuomo si dá per lei...-.
A.
Cosa farò?
D.
Ucciderai il "Wille" che t'alletta alla vita.
A.
Cioè il "Wille" uccide sé stesso.
D.
Certo.
Il "WiIle" si afferma e si nega, come libero ed onnipotente.
Per mezzo della ragione arriva alla sua negazione.
E come l'atto generativo è il centro del "Wille" quando vuol vivere, hai per prima cosa ad astenerti da' piaceri carnali, e poi castigare la carne con digiuni, cilizii, astinenze.
A.
Come sant'Antonio nel deserto.
D.
I bramini ed i santi saranno il tuo esemplare; e la ricetta si può ridurre in queste tre celebri parole: castitá, povertá, ubbidienza.
Cosí vivere è morire, senza che debba aver ricorso al suicidio, rifugio degli animi deboli.
A.
E questo mentre gli altri si divertono, e mi danno la baia?
D.
Anzi tu a loro.
Perché da tutta l'altezza della tua calma guarderai come da sicuro porto gli uomini in tempesta.
E farai come Schopenhauer, il quale, mentre nel quarantotto gli uomini correvano come impazzati gli uni contro gli altri, se ne stava osservandoli con un cannocchiale, e se la rideva sotto i baffi, e diceva:- Fatevi ammazzare voi, ch'io me ne sto qui a contemplare il "Wille" -.
In effetti, se gli uomini si rendessero persuasi che la libertá, l'umanitá, la nazionalitá, la patria e tutte le altre cose per le quali si appassionano, sono astrazioni ed apparenze, ciascuno se ne starebbe quieto a casa sua, si appiglierebbe alla vita contemplativa cosí in privato, come in pubblico, ed in luogo di correre in piazza e affaticarsi e tormentare sé e gli altri, sdraiato su di un canapé e fumando saporitamente a modo di un turco, vedrebbe a poco a poco evaporare tra' vortici del fumo la sua individualitá e si sentirebbe puro "Wille".
A.
Il canapé e la pipa ci è di soverchio: ché, chi vuol morire vivendo, dovrebbe far senza anche di questo.
M'immagino il povero Schopenhauer come un monaco della Trappa, martire della castitá, della povertá, della ubbidienza, dolce come un agnello, e il corpo tutto piaghe per i cilizii.
D.
Schopenhauer mangia divinamente, si prende tutt'i piaceri che gli sono ancora possibili, e grida e schiamazza sempre, tiranneggiato dal "Wille".
Se gli nomini Hegel, diviene una tempesta, e per calmarlo gli devi fare un elogio della sua chiarezza e della sua originalità.
A.
A che serve dunque la filosofia?
D.
La filosofia è una conoscenza teoretica, che non ha niente a fare con la pratica.
È la ragione cosí poco atta a renderti virtuoso, come è l'estetica a renderti artista.
Ciascuno fa secondo sua natura; né puoi essere santo, se non ci hai vocazione, vale a dire se il "Wille" non ti ha dato carattere da ciò.
Come si nasce poeta, cosí si nasce santo: "Velle non discitur"; perciò Schopenhauer non ti dá un precetto, non dice:- Tu devi uccidere in te il desiderio di vivere -.
Nessun divieto, nessun categorico imperativo.
Descrive le azioni degli uomini, non le impone.
La conoscenza del mondo come fenomeno opera qual motivo, e ti lega alla vita; la conoscenza del mondo come essenza opera qual sedativo, e ti distacca dalla vita.
La quale conoscenza non è necessario che te la dia la filosofia; basta che la sia immediata.
Quello che è necessario, è che tu abbi la predisposizione a santitá, la grazia(25).
A.
Abbiamo cominciato con Kant e terminiamo con s.
Agostino.
A me credo che mi manca la grazia; perché quella faccenda della castitá, della povertá e dell'ubbidienza non mi entra.
Io voglio vivere allegramente; e quando si dee crepare, creperemo.
O se caso incontra, per il quale la vita mi torni incomportabile, amo meglio ritornare in grembo al "Wille" tutto a un tratto, che avvicinarmici lentamente con una lunga morte sotto nome di vita.
Preferisco Leopardi a Schopenhauer.
D.
Hai torto.
Leopardi s'incontra ne' punti sostanziali della sua dottrina con Schopenhauer; ma gli sta di sotto per molti rispetti.
Primamente Leopardi è poeta; e gli uomini comunemente non prestano fede ad una dottrina esposta in versi; ché i poeti hanno voce di mentitori.
A.
Ma Leopardi ha filosofato anche in prosa.
D.
Non propriamente filosofato; ché a filosofare si richiede metodo.
E questo è una delle glorie di Schopenhauer.
Si sono tenute tante controversie sull'analisi e sulla sintesi, sulla psicologia e sulla ontologia.
Non si era letto Schopenhauer, la cui opera sarebbe stata nella bilancia la spada di Brenno.
Analisi e sintesi, dice Arturo, sono vocaboli improprii, e dovrebbe dirsi induzione e deduzione.
Ora, il metodo filosofico non è per niente diverso da quello di tutte le scienze empiriche, e dee essere analitico, che è quanto dire induttivo, prendere a fondamento l'esperienza e da quella cavare i giudizi: al che si richiede una facoltá apposita, ch'egli chiama la facoltá del giudizio, posta di mezzo fra l'intelletto e la ragione, l'intelletto che vede e la ragione che forma i concetti.
Il filosofo vede e non dimostra.
E te lo prova la stessa parola evidenza, la quale è derivata manifestamente dal verbo vedere.
Ma per un antico pregiudizio è invalso che la filosofia debba partire dal generale e scendere al particolare; il che si chiama dedurre, e si fa per via di dimostrazione.
E ne è nata l'opinione che senza dimostrazione non ci è vera veritá.
Ma dimostrare è cosa facilissima, e non vi si richiede che il senso comune; laddove per cavare la veritá dagli oggetti si richiede quella tal facoltá del giudizio, che è conceduta a pochissimi.
Perché a questa operazione è necessario conoscere bene i due procedimenti di cui parla Platone e Kant, l'omogeneitá e la specificazione, cioè a dire, cogliere negli oggetti quello che hanno di simile e quello che hanno di proprio, coordinare e subordinare, non andare a salti, non lasciar lacune, rispettare ogni differenza ed ogni somiglianza.
Aggiungi che il metodo dimostrativo è noiosissimo, perché, come nel generale sono contenuti tutt'i particolari, alla prima pagina sai giá quello che viene appresso, e gli è come un aggirarti ogni dí nella piazza S.
Marco; laddove ne' libri di Schopenhauer trovi una varietá infinita che solletica la curiositá e ti fa come viaggiare di una cittá in un'altra.
Oltre a questo, una filosofia fondata sopra concetti generali, come assoluta sostanza, Dio, infinito, finito, identitá assoluta, essere, essenza, è come campata in aria e non può mai cogliere la realtá.
E qui, pieno il petto di santo sdegno, Arturo fa fuoco addosso a Schelling, ad Hegel ed a tutt'i moderni fabbricatori di concetti(26).
Costoro ti danno una filosofia di parole, dove egli ti dá una filosofia di cose.
Perché dal suo osservatorio guarda ben bene gli oggetti, vede il simile ed il diverso, e con la sua potentissima facoltá del giudizio ne sa tirare delle verità così nuove, che tu ne rimani muto di maraviglia.
E come si arrabatta a ficcartele in capo! Come sa maneggiarle in guisa che ciascuna prenda la forma di paradosso e alletti la tua attenzione! E se ti addormenti, è lui che ti sveglia e ti dice:- Guarda che erudizione! E ve' questo che è un paradosso! Attendi e vedrai con quanta chiarezza ti spiegherò Kant! Sappi che io non leggo storie di filosofia, ma sempre le opere originali! e t'assicuro che penso sempre col capo mio! -.
A.
È vero almeno?
D.
Lasciamo da banda lo scherzo.
È vero.
Schopenhauer è un ingegno fuori del comune; lucido, rapido, caldo e spesso acuto; aggiungi una non ordinaria dottrina.
E se non puoi approvare tutt'i suoi giudizii, ti abbatti qua e lá in molte cose peregrine, acquisti svariate conoscenze, e passi il tempo con tuo grande diletto: ché è piacevolissimo a leggere.
Leopardi ragiona col senso comune, dimostra cosí alla buona come gli viene, non pensa a fare effetto, è troppo modesto, troppo sobrio.
Lo squallore della vita che volea rappresentare si riflette come in uno specchio in quella scarna prosa; il suo stile è come il suo mondo, un deserto inamabile dove invano cerchi un fiore.
Schopenhauer, al contrario, quando se gli scioglie lo scilinguagnolo, non sa tenersi; è copioso, fiorito, vivace, allegro; gode annunziarti veritá amarissime, perché ci è sotto il pensiero:- La scoperta è mia -; distrae e si distrae; e quando ragiona, ti pare alcuna volta che si trovi in una conversazione piacevole, dove, tra una tazza di thé ed un bicchier di champagne, declami sulla vanitá e la miseria della vita.
Sicché leggi con piacere Schopenhauer e stimi Leopardi.
A.
Capisco.
Leopardi morí giovine, martire delle sue idee; Schopenhauer continua ancora a morire senza cessar di vivere.
D.
Tu fai come i fanciulli, co' quali si è fatto troppo a fidanza; ché questo è un'insolenza bella è buona.
A.
Tu vuoi il monopolio dello scherzo.
Viva Schopenhauer molti e molti anni ancora, e ci regali un nuovo trattato sul "Wille".
Anzi ti prometto che mi porrò a studiare davvero, e voglio fare una traduzione della sua opera principale e propagarla nel regno di Napoli.
Perché penso che dee piacere molto a Campagna che i fedelissimi sudditi si dedichino alla vita contemplativa, facciano voto di castitá, di povertà e di ubbidienza, e lasciando lui vittima della vita, passino il tempo a fare una meditazione sulla morte.
D.
Ma se vuoi che la tua edizione faccia frutto, hai da bruciare innanzi tutti gli esemplari del Leopardi.
A.
Mi pare che Schopenhauer ti abbia inoculata la malattia del paradosso.
Abbiamo detto che tutt'e due pensano allo stesso modo.
D.
Perché Leopardi produce l'effetto contrario a quello che si propone.
Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertá, e te la fa amare.
Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtú, e te ne accende in petto un desiderio inesausto.
E non puoi lasciarlo, che non ti senta migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di raccoglierti e purificarti, perché non abbi ad arrossire al suo cospetto.
È scettico, e ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti.
Ha cosí basso concetto dell'umanitá, e la sua anima alta, gentile e pura l'onora e la nobilita.
E se il destino gli avesse prolungata la vita infino al quarantotto, senti che te l'avresti trovato accanto, confortatore e combattitore.
Pessimista od anticosmico, come Schopenhauer, non predica l'assurda negazione del "Wille", l'innaturale astensione e mortificazione del cenobita: filosofia dell'ozio che avrebbe ridotta l'Europa all'evirata immobilitá orientale, se la libertá e l'attività del pensiero non avesse vinto la ferocia domenicana e la scaltrezza gesuitica.
Ben contrasta Leopardi alle passioni, ma solo alle cattive; e mentre chiama larva ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere piú saldamente a tutto ciò che nella vita è nobile e grande.
L'ozio per Leopardi è un'abdicazione dell'umana dignitá, una vigliaccheria; Schopenhauer richiede l'occupazione come un mezzo di conservarsi in buona salute.
E se vuoi con un solo esempio misurare l'abisso che divide queste due anime, pensa che per Schopenhauer tra lo schiavo e l'uomo libero corre una differenza piuttosto di nome che di fatto; perché se l'uomo libero può andare da un luogo in un altro, lo schiavo ha il vantaggio di dormire tranquillo e vivere senza pensiero, avendo il padrone che provvede a' suoi bisogni(27); la qual sentenza se avesse letta Leopardi, avrebbe arrossito di essere come "Wille" della stessa natura di Schopenhauer.
A.
Finora abbiamo scherzato.
Ora mi fai una faccia tragica.
D.
Aggiungi che la profonda tristezza con la quale Leopardi spiega la vita, non ti ci fa acquietare, e desíderi e cerchi il conforto di un'altra spiegazione.
Sicché se caso, o fortuna, o destino volesse che Schopenhauer facesse capolino in Italia, troverebbe Leopardi che gli si attaccherebbe a' piedi come una palla di piombo, e gl'impedirebbe di andare innanzi.
A.
L'ora è tarda; e Schopenhauer mi ha fatto venire un grande appetito; e come non ho la grazia, non posso vincere il "Wille".
Addio.
D.
E mi lasci così? Tutto questo discorso rimarrá senza conclusione?
A.
La conclusione la tirerò io.
Se leggi Leopardi, t'hai da ammazzare; se leggi Schopenhauer, t'hai da far monaco; se leggi tutti questi altri filosofi moderni, t'hai da fare impiccare per amor dell'idea.
D.
Intendo.
Una giovine dicea a Rousseau:- Giacomo, lascia le donne e studia le matematiche -.
A.
Vuoi dire che per me è il contrario.
Lascio le matematiche e studio le donne.
Voglio tornarmene in Napoli, bruciare tutt'i libri di filosofia, amicarmi Campagna; l'inviterò a pranzo, e faremo una conversazione filosofica sulle belle ragazze.
Addio.
D.
Ed io mi metto a scrivere l'articolo per la "Rivista contemporanea".
Note:
(1) Tutto quello che D.
dice di Schopenhauer, opinioni, invettive, argomenti, paragoni, fino nei piú minuti particolari, è tolto scrupolosamente dalle sue opere: per brevitá si appongono citazioni solo nei punti piú importanti.
(2) Famoso birro del governo borbonico.
Il dialogo è scritto a Zurigo il 1858.
D.
l'autore.
A.
è un suo antico discepolo che viene da Napoli.
(3) Custode del carcere dove fu rinchiuso l'autore.
(4) Die Welt als Wille und Vorstellung.
(5) Appendice al suo Schizzo di una storia della teoria del reale e dell'ideale.
(6) Altre spiegazioni sulla filosofia di Kant.
(7) Parerga und Paralipomena, capitolo sulle donne, e l'altro sulla politica.
(8) Ueber den Willen in der Natur; Fragmente zur Geschichte der Philosophie.
(9) Die Welt als Wille und Vorstellung, vol.
I, par.
18.
(10) Sull'intelletto vedi l'opera principale, II, 287-89.
(11) Sull'intelletto vedi l'opera principale, II, 634-36.
(12) Ueber den Willen in der Natur, prefaz.
(13) Sulle idee vedi l'opera principale, I, libro terzo, dove trovi un'esagerata teoria estetica.
(14) Parerga, II, cap.
V.
(15) Die beiden Grundprobleme der Ethik, p.
212.
(16) Die Welt als Wille und Vorstellung, 1, par.
63.
(17) Die Welt als Wille und Vorstellung, I, 586.
- Die beiden Grundprobleme der Ethik, pp.
119-26.
(18) Die beiden Grundprobleme der Ethik, pp.
91 sgg.
- Parerga und Paralipomena, I, par.
9.
(19) Parerga und Paralipomena, vol.
XI, cap.
IX.
- Die Welt als Wille und Vorstellung, vol.
II, cap.
XVII.
(20) La parte politica è tolta quasi a parola dal cap.
IX.
Parerga und Paralipomena.
(21) Parerga und Paralipomena, cap.
XXIX.
(22) Die Welt als Wille und Vorstellung, XI, 422.
(23) Die Welt als Wille und Vorstellung, I, par.
62.
(24) Die Welt als Wille und Vorstellung, I, par.
395.
(25) Die Welt als Wille und Vorstellung, I, 321.
(26) Parerga und Paralipomena, I, 122.
- Die Welt als Wille und Vorstellung, II 121; II, 83.
(27) Parerga und Paralipomena, par.
125.
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