LA SERVA AMOROSA, di Carlo Goldoni - pagina 3
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Pantalone si vuol impacciare ne fatti miei? Lo preverrò.
SCENA QUARTA
LELIO e la suddetta.
LEL.
Signora, il signor padre mi manda a vedere, se siete più in collera.
Cara signora madre, con chi lavete?
BEAT.
Lho con quellimpertinente di Pantalone de Bisognosi.
LEL.
Che vi ha egli fatto?
BEAT.
È venuto a parlare in favor di Florindo, e mi ha detto delle parole insolenti.
LEL.
Mi dispiace assaissimo.
BEAT.
Andate, figliuolo mio, andate a ritrovare quel vecchio.
Ditegli che abbia giudizio; e se persiste, minacciatelo bruscamente.
LEL.
Cara signora madre, mi dispiace chio non potrò riscaldarmi troppo con questo signor Pantalone.
BEAT.
Perché?
LEL.
Perché ha una bella figliuola, che mi piace infinitamente.
BEAT.
Non mancano donne.
Non vimpacciate con quella gente.
LEL.
Ha una grossa dote, suo padre è ricco, è figlia unica, e sarebbe per me il miglior negozio di questo mondo.
BEAT.
Pantalone mi ha provocata: io, provocata, confesso averlo ingiuriato: non vorrà per genero mio figliuolo.
LEL.
In quanto al signor Pantalone, mimpegno io colle mie parole, colle mie maniere, obbligarlo; e poi, se la figlia mi vuol bene, sono a cavallo.
BEAT.
Con qual fondamento potete dire chella vi voglia bene?
LEL.
Se non ne fossi sicuro, non parlerei.
BEAT.
Le avete parlato?
LEL.
Le ho parlato, ed ella ha parlato a me.
Le ho detto, ed ella ha detto a me...
etcetera.
BEAT.
Non vorrei che vingannaste.
Voi, figliuolo mio, facilmente vi lusingate.
Non sarebbe la prima volta che vi foste innamorato solo.
Colle fanciulle avete poca fortuna, e mi avete posto altre volte malamente in impegno.
LEL.
Voglio raccontarvi tutta listoria, e vedrete, signora madre, se ho fondamento di dire quello chio dico.
Sei giorni sono, passando per la Via Nuova, ho veduto una figurina, che per di dietro mi pareva qualche cosa di buono.
Corro per passarle avanti, mi volto indietro, ed ella si copre il viso collo zendale.
Dissi subito: questa è una che mi vuol dare la corda.
Mi fermo: lascio che vada innanzi, e poi corro, corro, e torno a rivoltarmi, ed ella presto si copre.
Io allora, accorgendomi desser preso di mira, mi fermai, e quando mi fu vicina, gettai un sospiro.
Indovinate? Si è messa a ridere.
Allora mi sono assicurato, che aveva qualche inclinazione per me.
Le sono andato dietro bel bello dieci o dodici passi lontano, sempre esitando fra il sì ed il no; dicendo: mi vuol bene, o non mi vuol bene? Ma sì! Me ne sono poi assicurato.
La serva si è rivoltata due volte a vedere sio la seguitava; lo ha detto alla padrona, e tutte due ridevano per la consolazione.
Io non sapeva chi fosse; finalmente, arrivata a casa, la serva aprì luscio.
Mi accorsi chi era, accelerai il passo, e giunsi in tempo che mi serrarono luscio in faccia.
Gran modestia! dissi fra me medesimo.
Ma lamore non si può tenere nascosto.
Corse subito alla finestra per riverirmi.
La vidi, mi cavai il cappello, ed ella si pose a ridere così forte, che fece ridere ancora me.
Si ritirò per allora; ma sette o otto volte il giorno passo di lì.
La vedo una o due volte, e quando mi vede, sempre ride, e mi fa de vezzi, e mi fa de gesti, e dimena il capo, e guardandomi, parla colla serva, e mi mostra alle sue vicine; in somma è innamorata morta de fatti miei.
BEAT.
Bel fondamento per dire che è innamorata di voi! Io credo più tosto...
SCENA QUINTA
Un SERVITORE e detti.
SERV.
Signora, che cosha il padrone che piange e si dà dei pugni pel capo?
BEAT.
(Povera me! È disperato, perché io sono in collera seco.
È vecchio, la passione lo potrebbe far morire.
Non ha fatto ancor testamento...
Presto, presto...) (da sé; va per partire)
LEL.
Vi assicuro, signora, che mi vuol bene...
BEAT.
Sì, sì, pazzo, ne parleremo.
(parte)
SERV.
(Dopo che il mio padrone si è rimaritato, ha perso affatto il giudizio).
(da sé, parte)
LEL.
Se quel giorno chio lincontrai per la strada, lavessi conosciuta, la cosa era fatta.
Con quattro parole di quelle che so dir io, con un testoncello alla serva, il negozio sincamminava a dovere.
Maledetti i zendali! Sono la mia disperazione: non si sa mai, se una donna sia bella o brutta.
Le belle si coprono per modestia, le brutte per vergogna; le giovani per vezzo, e le vecchie per disperazione.
(parte)
SCENA SESTA
Camera in casa di Florindo.
CORALLINA terminando una calzetta.
COR.
Anche questa è fatta.
Non aveva calzette da mutarmi: manco male che mi è rimasto questo poco di refe, donatomi dalla buona memoria della mia padrona.
Dove sono andati quei tempi! Ma! Son nellimpegno, conviene starci, e non me ne pento.
Povero signor Florindo! Gli voglio bene, come se fosse mio fratello.
Ha succhiato del latte che ho succhiato io; lo ha allattato mia madre; siamo stati allevati insieme, e poi son di buon cuore: quando prendo a voler bene ad una persona, mi disfarei, farei di tutto per aiutarla.
Poverino! Lhanno cacciato di casa.
E perché? Per causa della matrigna.
Già tutte le matrigne sogliono perseguitare i figliastri; ma questa poi, che ha un figlio grande e grosso come un asino, vorrebbe potere scorticar il figliastro per raddoppiar la pelle al figliuolo.
Poverino! Lhanno cacciato di casa con sei scudi il mese.
Dopo venti giorni, era ridotto che non si riconosceva più: lacero, sporco, malandato.
Se non veniva io a star con lui, si dava affatto alla miseria, alla disperazione.
Pazienza! Mi contento patire per non vederlo perire; e se congiurano contro di lui una matrigna avara, un padre pazzo, un fratello balordo, lo assiste una vedova onesta, una serva fedele e amorosa.
SCENA SETTIMA
FLORINDO e detta.
FLOR.
Ah Corallina! son disperato.
COR.
Eh, fatevi animo.
Che cosa sono queste disperazioni? Che è stato?
FLOR.
Ho parlato al signor Pantalone, come voi mi avete consigliato.
COR.
E non ha voluto ascoltarvi?
FLOR.
Anzi mi ha compatito moltissimo, e si è impegnato di parlar a mio padre.
COR.
Eh, in casa non vi vorrà; me limmagino.
FLOR.
Per causa di mia matrigna.
Ed io ho da soffrire così?
COR.
Quietatevi, signor Florindo, ci troveremo rimedio.
Queste non sono cose da accomodarsi così ad un tratto.
Per ora io vi aveva detto, che col mezzo del signor Pantalone procuraste aver qualche soccorso di denaro, che ne avete tanto bisogno.
FLOR.
E questo ancora me lha negato.
Oh me infelice! Son disperato.
COR.
Eh via, acchetatevi.
Volete perdere anche la salute?
FLOR.
Ma io non ho un soldo.
Oggi non so come fare a pranzare.
COR.
Cingegneremo.
FLOR.
Ho impegnato tutto; e voi ancora, povera donna, avete impegnato il meglio che avete; non so più come fare.
Alla fine del mese ci sono ancora dieci giorni, e mi nega soccorso? E mi vuol veder disperato?...
COR.
Zitto, zitto, badate a me.
Stiamo allegri, non pensiamo a malinconie.
Ehi, ho finito le calze.
FLOR.
Corallina, voi mi fate pietà.
Oggi non so come ci caveremo la fame.
COR.
Come? Eh, non vi disperate.
Ecco qui, ho terminate le calze; le venderò, e mangeremo.
Non dubitate: mangeremo, staremo allegri.
Sì, ci vuol altro che questo, a farmi perdere di coraggio.
Forti, finché son viva io, non dubitate di niente.
FLOR.
Oh Dio! Corallina, lamor vostro, la vostra bontà mintenerisce a segno, che mi fate piangere.
COR.
Oh, queste son debolezze.
FLOR.
Vedervi priva di tutto per me! (piange)
COR.
Ma se vi dico...
che io...
(singhiozzando) Oh via, stiamo allegri; queste calze mi sono riuscite un poco strette e corte, e poi sono troppo fine; per me non servono.
Già le voleva vendere, le venderò.
Un giorno poi mi pagherete di tutto.
FLOR.
Voglia il cielo...
COR.
Eh, non intendo donarvi niente, sapete? Tengo nota di tutto.
FLOR.
Se muor mio padre...
COR.
E voglio il salario sino ad un quattrino.
FLOR.
Ma intanto, povera Corallina...
(sospirando)
COR.
Eh, intanto, intanto...
Non sapete pagarmi con altro che con dei sospiri, dei lamenti e dei piagnistei.
Voglio che stiate allegro, se volete che non me ne vada da voi; non voglio che mi facciate morir di malinconia.
Lavorerò, venderò, impegnerò, mingegnerò.
Ma allegramente, signor padroncino caro, non siamo morti.
Chi sa! forti, coraggio.
Vado a vendere le calzette; compro qualche cosa di buono; torno a casa, e mangeremo in santa pace, alla barba di chi non vuole.
Il maggior dispetto che possiate fare ai vostri nemici, è il soffrire con costanza, ridere con indifferenza, e far vedere che sapete e potete vivere senza di loro.
(parte)
SCENA OTTAVA
FLORINDO, poi ARLECCHINO
FLOR.
Oh benedetta Corallina! Tu sei la mia unica consolazione.
Il cielo a me ti ha dato per conforto alle mie disgrazie.
Dove mai si è trovato una donna di miglior cuore? Ah padre barbaro! specchiati in questa donna dabbene, e vergognati che una serva abbia in verso del padrone quella pietà, che tu non hai in verso di un figlio.
ARL.
Oh de casa? (di dentro)
FLOR.
Ecco il servo di mio padre.
Che vorrà mai?
ARL.
Se pol vegnir? (di dentro)
FLOR.
Sì, vieni.
ARL.
Servitor umilissimo.
Corallina ghela (11)?
FLOR.
Non cè: che cosa vuoi?
ARL.
Lè un pezz che no la vedo.
Jera vegnù a trovarla.
FLOR.
Che fa mio padre?
ARL.
Poverin! poco fa el pianzeva.
FLOR.
Piangeva? E perché?
ARL.
Perché so muier lera in collera, e no la voleva farghe carezze.
FLOR.
Ah vecchio rimbambito!
ARL.
Adess mo i è là in allegria: i ride, i se coccola (12), i par do sposini de quindesanni.
FLOR.
Colei conosce il suo debole, e lo tiene al laccio.
ARL.
Era in camera, e i mha mandà in tun servizio.
FLOR.
Buono! dove ti hanno mandato?
ARL.
I mha mandà a cercar un beccavivo.
FLOR.
Che è questo beccavivo?
ARL.
Lè el contrario del beccamorto.
FLOR.
Io non ti capisco.
ARL.
El beccamorto vien a beccar quando lomo è morto, e questo el vien a beccar quando lomo lè ancora vivo.
FLOR.
Ma chi è costui?
ARL.
El nodaro.
FLOR.
Come! Ti hanno mandato a cercar un notaro? Per farne che?
ARL.
Mi credo per beccar el patron.
FLOR.
Vogliono forse fargli far testamento?
ARL.
Me par sta parola testamento averla sentida a dir.
FLOR.
Da chi lhai sentita dire?
ARL.
Dalla patrona.
FLOR.
(Oh me infelice! Ella sedurrà mio padre a privarmi).
(da sé) Dimmi, dimmi, che hai tu sentito?
ARL.
Mi veramente no so tutta linfilzadura del discorso.
Ma la patrona lè vegnuda, che el patron pianzeva.
Con quatter carezzine la lha fatt consolar.
El dis el patron: Me fe irrabiar, son vecchio, morirò presto.
La padrona no lho ben intesa, ma ho visto che la lha fatto ingalluzzar.
I ha parlà a pian, pareva che i contendesse, e po tuttin una volta, allegri e contenti, i mha dit che vada a chiamar el beccavivo, cioè el nodar.
FLOR.
(Ho inteso.
Lha colto nel punto, e gli fa far testamento.
Come mai posso io rimediar al disordine?) (da sé)
ARL.
Corallina vegnirala prest a casa?
FLOR.
Lhai ritrovato il notaro?
ARL.
No lho trovà, ma ho lassà lordene, che col vien, i lo manda a beccar.
FLOR.
E chi è il notaro che hai tu ricercato?
ARL.
Lè sior Agapito dai etecetera.
FLOR.
Dove mai sarà Corallina?
ARL.
Dovèla Corallina? Ghho da dar un non so che.
FLOR.
Che cosa le vuoi tu dare?
ARL.
Una cossa...
FLOR.
Via, che cosa?
ARL.
Me vergogno.
FLOR.
Eh, dimmela.
ARL.
Un salame.
FLOR.
Lavrai rubato a mio padre.
ARL.
Tutti becca, becco anca mi.
FLOR.
Ed io peno, ed io non ho il bisogno per vivere.
ARL.
Se la comanda...
(gli offre il salame)
FLOR.
Sei un briccone, non si ruba.
ARL.
Mi, per dirla, no lho manc (13) robà.
FLOR.
Dunque, come lhai avuto?
ARL.
Sior Lelio ghe nha beccà una sporta, e quest el me lha dà, perché ghho fatto lume a beccar.
FLOR.
Quello sciocco, quellindegno, rovina il mio patrimonio.
Ah se sapessi dove rinvenir Corallina!
ARL.
Anca mi la vorria véder.
Ghe vôi ben, e ho ancora in te la testa de far un sproposito.
FLOR.
Che sproposito?
ARL.
De sposarla.
FLOR.
Animalaccio! goffo! ignorante! Felice te, se avessi una tal fortuna! Tu non sei degno.
Corallina merita un partito migliore.
Io la conosco, so quanto vale il suo spirito, il suo bel cuore, la sua bontà.
Vattene, sciocco, che non sei degno daverla.
(parte)
ARL.
Ho inteso.
El la vol per lu; ma la discorreremo.
No digh miga de volerla menar via; la starà con lu: tra servitor e patron no ghe sarà gnente che dir.
(parte)
SCENA NONA
Camera in casa di Pantalone.
CORALLINA e BRIGHELLA
BRIGH.
Oh siora Corallina! Che bon vento?
COR.
La signora Rosaura vostra padrona è in casa?
BRIGH.
La ghè.
Cossa desidereu dalla mia padrona?
COR.
Ho un paio di calze da vendere; vorrei vedere sella le volesse comprare.
BRIGH.
Volentiera, ghe lo dirò: come vala col vostro patron?
COR.
Eh, così, così.
BRIGH.
Mimagino che venderì ste calze per bisogno de magnar.
COR.
Oh, pensate voi! Per grazia del cielo, sto con un padrone che non mi lascia mancare il mio bisogno.
Le vendo, perché non mi stanno bene, e perché il mio padrone me ne ha regalate un paio di seta.
BRIGH.
Un per de seda el ve nha regalà? Stento a crederlo.
COR.
Eccole qui.
Se non fosse vergogna, ve le mostrerei.
BRIGH.
Le sarà vecchie, reppezzade fin da quando viveva so siora madre.
COR.
O vecchie, o nuove, compatitemi, in questo voi non ci dovete entrare.
BRIGH.
Cara siora Corallina, ve domando scusa; ho sempre fatto stima della vostra persona.
Savì, che quando eri putta, aveva qualche speranza sora dei fatti vostri.
Ve sè maridada, i vostri padroni i vha volesto maridar in casa; mho stretto in te le spalle, e non ho parlà.
Quand sì restada vedua, sha tornà a sveiar in mi el desiderio de prima, e no saria stà lontan da proponerve le segonde nozze, se un certo riguardo no me avesse desconseià.
COR.
Messer Brighella, voi mi fate un discorso curioso.
Pare chio sia venuta a pregarvi che mi sposiate.
Son vedova, ma non son vecchia.
Non son bella, ma credetemi, che se ne volessi, ne troverei.
BRIGH.
Son persuaso; e mi alla bona vho dito el me sentimento.
Tra el numero de quelli che ve vorria, ghe son anca mi; e fursi nissun ha più premura de vu, de quella che provo mi.
Ma basta...
no digo altro.
COR.
Via: che riguardo avreste, se fossimo in caso di far da vero?
BRIGH.
È superfluo parlarghene.
De mi no ghe pensè.
COR.
Non occorre dir così.
Voi qua dentro non ci vedete.
BRIGH.
Parleria, ma se parlo, ve rescalderè.
COR.
Non credo che mi conosciate per una donna irragionevole.
Se parlerete, vi risponderò.
BRIGH.
Orsù, mi son un omo che parla schietto.
Ve stimo, ve voio ben, ve brameria per muier; ma quel star vu sola con un patron zovene, no la xe cossa che me piasa, no la xe cossa che para bon.
COR.
Veramente anchio ci sto mal volentieri.
Ma il signor Ottavio me lo ha raccomandato, e per contentare il vecchio, mi sagrifico ancora per qualche tempo.
BRIGH.
Come per contentar el vecchio, sel lha cazzà fora de casa colle brutte?
COR.
Eh giusto! Siete male informato.
Sono daccordo.
È una finzione per mortificar la matrigna.
Anzi adesso vorrebbero che il signor Florindo tornasse in casa, ma egli per puntiglio non ci vuol tornare.
BRIGH.
El mondo no la discorre cussì; ma in ogni maniera, Corallina cara, vu fe una cattiva figura a star con quel zovene in casa, sola.
COR.
Chi conosce quel giovine, non può pensar male.
È innocente come una colomba.
Le donne non le può vedere.
BRIGH.
Brava! Nol pol véder le donne! E tutto el zorno el sta alla finestra a occhiar la mia padrona.
COR.
Dite davvero?
BRIGH.
Me lha confidà la serva.
COR.
Io credo chegli stia alla finestra per tuttaltro; ma pure, che cosa ne dice la vostra padrona?
BRIGH.
Anca ella par che la ghabbia gusto.
Nol ghe despiase.
COR.
Sa il cielo quanti ne avrà la signora Rosaura degli innamorati.
BRIGH.
Oh, no la xe de quelle che fazza lamor.
Anzi me son maraveià, co ho sentido che la parla de sior Florindo con qualche passion.
COR.
Il signor Pantalone la vorrà maritar bene.
BRIGH.
Certo che a quel spiantà nol ghe la daria.
COR.
Perché spiantato? Il mio padrone è di una casa ricca e civile; e non gli manca niente, e mi maraviglio di voi.
BRIGH.
Via, via, patrona, no la vaga in collera.
Sempre più se cognosse, che ghè un pochettin de attacco.
COR.
Sono una donna onorata.
BRIGH.
Così credo.
COR.
Via, o avvisate la signora Rosaura, o me ne vado.
BRIGH.
Subito; la vado a avvisar.
No ve nabbiè per mal, siora Corallina; parlo perché ve voggio ben.
COR.
Portate rispetto al mio padrone.
BRIGH.
Non occorraltro, no parlo più.
(Ghe scommetteria losso del collo, che se no i lha fatta, i la vorrà far).
(da sé, parte)
SCENA DECIMA
CORALLINA, poi ROSAURA
COR.
Questo sarebbe un buon negozio per il mio padrone; ma come posso mai figurarmelo? Nello stato in cui si trova, chi può fidarsi di prenderlo? Procuro di tenerlo in riputazione; ma il mondo parla, e le cose si sanno.
ROS.
Chi mi vuole?
COR.
Serva umilissima.
ROS.
Riverisco quella giovane.
COR.
Sono venuta a vedere, se a caso le piacesse un paio di calze fine di filo.
ROS.
Non mi abbisognano, ma tuttavia, se saranno di mio genio, le comprerò.
COR.
In verità sono buone, e se tali non fossero, non gliele offrirei.
(le dà ad osservare le calze)
ROS.
Quanto ne volete?
COR.
Il filo costa dieci paoli.
Veda quel che può meritar la fattura: mi rimetto in lei.
ROS.
Io non me ne intendo molto.
Vi contentate che le faccia vedere?
COR.
Anzi mi fa piacere.
ROS.
Brighella.
(chiama)
SCENA UNDICESIMA
BRIGHELLA e dette.
BRIGH.
Signora.
ROS.
Andate qui dalla sposa.
Ditele che mi faccia il piacere di osservar bene questo paio di calze, e dica ella che cosa possono valere.
BRIGH.
La servo subito.
Per mi le stimeria...
COR.
Via, quanto?
BRIGH.
Diese zecchini.
ROS.
Uh che sproposito!
BRIGH.
No considero le calze; stimo el merito de quelle man che le ha fatte.
(parte)
COR.
Brighella è un uomo burlevole.
ROS.
Di voi me ne ha parlato sempre bene.
Sedete.
(siede Rosaura)
COR.
Oh illustrissima...
ROS.
Sedete, senza cirimonie.
COR.
Per obbedirla.
(siede)
ROS.
Voi siete la serva del signor Florindo.
COR.
Sì signora, di quella pasta di zucchero.
Le giuro da donna onorata, che una creatura simile non credo al mondo si sia mai data.
ROS.
In che consiste la sua bontà?
COR.
In tutto.
Egli non grida mai.
Sia ben fatto, non sia ben fatto, egli si contenta di tutto.
Non ha un vizio immaginabile: non giuoca, non va allosteria, non pratica con gioventù.
Eh! le dico che è un portento.
Se ce nè un altro, mi contento che mi taglino il naso.
Felice quella donna, a cui toccherà un tal marito!
ROS.
Vuol prender moglie?
COR.
Converrà chei la prenda per forza.
È figlio unico, suo padre è vecchio e ricco; la casa non sha da estinguere.
ROS.
È ricco dunque suo padre?
COR.
Capperi! Il signor Ottavio Panzoni?
ROS.
Ma perché ha cacciato il suo figliuolo fuori di casa?
COR.
Oh, non si può dire chei labbia cacciato.
Il giovine vorrebbe ammogliarsi; la matrigna vorrebbe esser sola.
Dice egli: Se sto in casa, non faccio niente.
Mintende, illustrissima signora? Alle volte si fissano dei puntigli, e si fanno delle risoluzioni; per altro? Corbezzoli! il signor Florindo è locchio dritto di suo padre.
ROS.
Eppure mi vien detto che il signor Ottavio gli passi pochissimo pel suo mantenimento.
COR.
Sì, signora, è vero, lo fa apposta perché torni in casa.
ROS.
E perché non ci torna? Se è tanto buono, come dite voi, dovrebbe rassegnarsi al voler di suo padre.
COR.
Ah! lo farebbe, ma...
ROS.
Vi sarà qualche imbroglio.
COR.
Non vè imbroglio, se vogliamo.
È un non so che, che lo trattiene...
Ma finalmente...
basta, per ora non posso dir davvantaggio.
ROS.
E che sì che lindovino?
COR.
Niuno meglio di lei lo potrebbe indovinare.
ROS.
Sta volentieri in questa casa, non è vero?
COR.
Oh! brava.
Quelle finestre sono la sua delizia.
ROS.
No, no, le finestre; le camere.
COR.
Le camere? Ho timore che non cintendiamo, signora.
ROS.
Venite qua: già nessuno ci sente.
(si accostano) È innamorato?
COR.
Sì; ma, zitto!
ROS.
E sta qui per godere la sua libertà.
COR.
Ci sta per il comodo.
ROS.
Già me ne sono accorta.
COR.
Voleva dirglielo, e non ha coraggio.
ROS.
Dirlo a me?
COR.
Sì, signora, e non passerà molto, che forse glielo dirà.
ROS.
Ma voi mi dite cose, che non sono da dire.
Se fa allamore con voi, come centro io?
COR.
Con me? Oh pensi lei! Con me? (si scosta un poco)
ROS.
Con chi dunque?
COR.
Ma non dice...
che se nè accorta?
ROS.
Di che?
COR.
Oh! non vorrei aver parlato per tutto loro del mondo.
ROS.
Ma spiegatevi.
COR.
Cara signora Rosaura, mi faccia la finezza di dispensarmi.
ROS.
Ora mi ponete in maggiore curiosità.
COR.
Sia maledetta la mia ignoranza.
ROS.
Che mi dite voi delle finestre?
COR.
Dico delle finestre di casa.
ROS.
Il signor Florindo sta alla finestra?
COR.
Non lo vede tutto il giorno?
ROS.
E per qual motivo ci sta?
COR.
Oh, è meglio chio me ne vada.
Or ora mi crepa il gozzo.
ROS.
Cara Corallina, non mi lasciate con questa curiosità.
Sentite, se dubitate chio parli, non vi è pericolo.
COR.
Ma se il padrone sa che ho parlato, meschina di me!
ROS.
Se è tanto buono, non griderà.
COR.
Non griderà, è vero.
Ma si vergognerà, poverino! Se sapeste come è fatto! pare una ragazza allevata in ritiro.
Oh che buone viscere! che costumi! che bella semplicità! Beata quella, a cui toccherà questa gioja!
ROS.
In verità, lo voleva dire chera un giovine savio e buono.
Lo vedeva sempre in casa, sempre modesto.
Sempre lì...
COR.
Sempre lì a quelle finestre.
(con un poco di caricatura)
ROS.
Sì, è vero.
COR.
Specchiandosi, consolandosi...
ROS.
In che?
COR.
Eh furba, furba!
ROS.
Eh via!
COR.
Sia maledetto! Mi avete fatto cascare.
ROS.
Oh! fate così, per farmi dire.
(vergognandosi)
COR.
Grande oscurità veramente! Non si vede chiaro che sta ad adorarvi, che non batte occhio, che muore lì, muore?
ROS.
Io vi parlo schietto.
Ho sempre creduto chei facesse allamore con voi.
COR.
Sì; se facesse allamore con me, starebbe a prendere il fresco! Prima, egli è un giovine di prudenza, stima lonore della sua casa, e non si abbasserebbe a pigliare una serva.
E poi, ve lo dico liberamente, è innamorato morto di voi.
ROS.
Io rimango sorpresa.
Non mi ha mai dato un segno di avere della premura per me.
COR.
È timido.
Non si arrischia.
ROS.
E che pretende dai fatti miei?
COR.
Far quello per cui è uscito di casa di suo padre.
Maritarsi, e tirar avanti la casa.
ROS.
E sua matrigna?
COR.
Il signor Ottavio è vecchio, e mezzo insensato.
Quando il figlio sarà maritato, la signora Beatrice o se nanderà di casa, o rinuncierà il maneggio.
ROS.
Se ciò fosse, converrebbe chei ne parlasse a mio padre.
COR.
Ha principiato a dirgli qualche cosa questa mattina.
ROS.
Gli ha parlato di me?
COR.
Non gli ha parlato precisamente di voi, perché così di balzo non dovea nemmen farlo; ma sentite con che bella politica si è introdotto.
Sa che il signor Pantalone è amico del signor Ottavio.
Ha finto aver bisogno di danari, e lo ha pregato interporsi per fargliene aver da suo padre.
Naturalmente gli porterà la risposta, ed egli con quelloccasione glintrodurrà il discorso a proposito, e forse forse concluderanno.
ROS.
Sarà difficile che mio padre laccordi, segli non torna in casa.
COR.
E sarà difficile chei torni in casa, se non ha qualche sicurezza di essere consolato.
ROS.
Come si potrebbe condurre questa faccenda?
COR.
In quanto a questo poi, de ripieghi non ne mancano.
Qui batte il punto, signora Rosaura; in confidenza: vi aggrada il signor Florindo? Lo prendereste per marito? (saccosta)
ROS.
Se le cose camminassero con buon ordine...
per dirla...
non mi dispiace.
COR.
Non occorraltro.
Facciamo così.
Sentite sio parlo bene.
Convien procurare...
SCENA DODICESIMA
BRIGHELLA e dette.
BRIGH.
Son qua colla risposta.
ROS.
Che cosa ha detto?
BRIGH.
La le ha stimade vintiquattro paoli.
ROS.
Bene: ventiquattro paoli vi darò.
Siete contenta? (a Corallina)
COR.
Contentissima.
ROS.
Torniamo al nostro discorso.
Andate, non occorraltro.
(a Brighella)
BRIGH.
El padron la domanda.
(a Rosaura)
ROS.
Mio padre? Non vorrei...
Che cosa vuole?
BRIGH.
El la cerca, e ghe preme parlarghe.
ROS.
Bisogna chio vada.
Corallina, ci rivedremo.
Tornate oggi, quando non cè mio padre.
COR.
Sì signora, ritornerò.
ROS.
Vi pagherò le calze.
COR.
Come comanda.
(freddamente)
BRIGH.
Signora padrona, la perdoni.
La ghe le paga subito le calze.
ROS.
Se vi preme...
(a Corallina)
COR.
Eh, non importa.
(come sopra)
BRIGH.
La l dise per modestia.
Ma chi sa che no la ghe nabbia bisogno? (a Rosaura)
COR.
Che credete? Chio abbia da comprarmi il pane con questi danari? Mi maraviglio di voi.
In casa del mio padrone non manca niente.
ROS.
Tenete.
Li aveva nella borsa, e non ci aveva pensato.
Eccovi uno zecchino e quattro paoli.
COR.
Non ci erano queste premure; li prendo per obbedirla.
ROS.
A rivederci.
Oggi discorreremo.
(Florindo mi è sempre piaciuto; e costei ha finito dinnamorarmi).
(da sé, parte)
SCENA TREDICESIMA
BRIGHELLA e CORALLINA
BRIGH.
Cara siora Corallina, mi parlo per ben, e vu andè in collera.
COR.
Avete un gran cattivo concetto di me e del mio padrone; e vi assicuro che cè per voi da parte una borsetta, con sei zecchini ruspi di padella.
BRIGH.
Per che rason?
COR.
Se nasce un certo non so che.
BRIGH.
Cossa, cara vu?
COR.
Avete da sapere che il mio padrone...
BRIGH.
Son qua.
I me chiama.
Se parleremo.
COR.
Venite da me, che vi dirò tutto.
BRIGH.
Non occorraltro.
A revéderse.
(Vardè quando i dis: i denari i è dove no se crede).
(da sé, parte)
SCENA QUATTORDICESIMA
CORALLINA sola.
COR.
Così, a caso, mi è riuscito piantare una bella macchina.
Se la cosa va bene, spero far la fortuna del mio padrone.
Egli è di buona nascita, è figlio di padre ricco, è di buoni costumi, onde non può essere che un buon partito per la signora Rosaura.
Resta a superare la disgrazia che egli ha con suo padre per causa della matrigna.
E questo è quello che mi fa lavorar col cervello.
Sio potessi arrivare a parlare col signor Ottavio, forse forse mi comprometterei assaissimo.
Egli mi voleva gran bene e mi ascoltava, prima che si pigliasse codesto diavolo in casa.
Basta, chi sa? Intanto vo tenendo il signor Florindo in riputazione, e per ciò fare, mi sforzo di dire qualche bugia.
Ne diciamo tante per far del male; non saprei: mi farò lecito dirne quattro per far del bene.
Oh, se mi riesce il colpo, la signora Beatrice vuol restar brutta! Niuno vorrà credere chio ami tanto il signor Florindo, e lo ami senza interesse; poiché le donne sono presso degli uomini in mal concetto.
Ma io farò vedere che anche noi sappiamo essere amorose e disinteressate, e che il mio cuore è di una pasta sì dolce, che chi ne assaggia una volta, non se ne scorda mai più.
(parte)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Strada.
FLORINDO, poi CORALLINA
FLOR.
Misero me! Perfida donna! Fargli far testamento? Perdermi, rovinarmi per sempre?
COR.
Allegri, signor Florindo.
FLOR.
Non ho mai avuto maggior motivo di piangere.
COR.
Ho delle buone nuove.
FLOR.
Ed io ne ho delle pessime.
COR.
Ma voi siete il padre degli spasimi.
Che cosa è stato? Che cè di nuovo?
FLOR.
La signora Beatrice ha indotto mio padre a far il suo testamento.
Figuratevi come sarò io trattato.
COR.
Lo sapete di certo?
FLOR.
Arlecchino è venuto in casa nostra due ore sono, e mi ha narrato lordine avuto di ricercare il notaio.
COR.
Questa cosa mi dispiace assaissimo.
Come mai si è indotto a far testamento? Egli non ne voleva sentir parlare.
FLOR.
A forza di lusinghe e di studiate finzioni, lo ha tirato a in tal passo.
Questa è lultima mia rovina.
COR.
Finalmente non potrà privarvi di tutto.
FLOR.
Se non di tutto, potrà privarmi di molto.
I nostri beni sono tutti liberi, la maggior parte da mio padre acquistati.
Sa il cielo che cosa gli faranno fare.
Fra la moglie e il figliastro mi spogliano, mi rovinano.
COR.
Conviene ritrovarci qualche rimedio.
Arlecchino lha ritrovato il notaio?
FLOR.
Lo ricercava, ed ha lasciato lordine al di lui studio.
COR.
Chi è egli? Come chiamasi?
FLOR.
Un certo Agapito, detto per soprannome degli etcetera.
COR.
So benissimo.
È il notaio di casa.
Lasciate fare a me.
Procurerò di vederlo.
Lo conosco da molti anni; può essere che mi riesca di guadagnarlo.
FLOR.
Eh Corallina mia, senza danaro non si fa niente.
COR.
Belle promesse, e uno zecchino a conto, può fare sperar qualche cosa.
FLOR.
Circa alle promesse si può abbondare, anche con animo di mantenerle: ma la difficoltà maggiore consiste nello zecchino.
COR.
Voi non lavete?
FLOR.
Oh Dio! Non ho un soldo.
COR.
Io nemmeno.
FLOR.
Dunque lo sperarlo è vano.
COR.
Presto; in virtù della mia polvere, comparisca uno zecchino.
Eccolo.
(fa vedere a Florindo lo zecchino)
FLOR.
Dove lavete avuto? (con allegria)
COR.
Non sapete chio faccio venir li zecchini di sotterra?
FLOR.
Ditelo, cara Corallina, dove lavete avuto? Lha mandato forse mio padre?
COR.
Sì, vostro padre! Le mie povere mani.
Le mie calze vendute.
FLOR.
Ah Corallina mia, il cielo vi benedica.
COR.
Con questo zecchino a conto, può essere che facciamo qualche cosa di buono.
FLOR.
E non vi comprerete un pane?
COR.
Presto, in virtù della mia polvere...
(mette la mano in tasca)
FLOR.
Un altro zecchino?
COR.
No, quattro paoli.
Con questi oggi si mangerà.
FLOR.
Ma che provvidenza è mai questa?
COR.
Andate subito a ritrovar ser Agapito.
Procurate condurlo a casa nostra, senza chegli sappia il perché; indi lasciate operare a me.
FLOR.
Vado subito...
Ma qual felice nuova dovevate voi darmi?
COR.
Ne parleremo.
Or non cè tempo.
FLOR.
Datemene un picciol cenno.
COR.
Vi voglio ammogliare.
FLOR.
Oh Dio? Con chi?
COR.
Con una che vi piacerà.
FLOR.
Così miserabile?
COR.
Non importa: lasciate fare a me.
FLOR.
Corallina...
COR.
Andate, prima che il notaio si porti da vostro padre.
FLOR.
Ah, se avessi da maritarmi...
Se fossi in istato..
COR.
Chi prendereste?
FLOR.
Non voglio dirvelo.
COR.
Via, non perdiamo tempo.
FLOR.
(Se non fossi sì misero, vorrei sposar Corallina).
(da sé)
COR.
Presto, camminate.
FLOR.
(La sua bontà lo merita: la mia gratitudine lo vorrebbe).
(da sé, parte)
SCENA SECONDA
CORALLINA sola.
COR.
Io credo benissimo chegli sia innamorato un poco della signora Rosaura; lo vedo spesso alla finestra, ma il povero giovine si avvilisce, e non ha coraggio nemmeno di parlare.
Lamore è una gran passione; ma la fame la supera.
SCENA TERZA
PANTALONE e detta.
PANT.
Oh! quella zovene, giusto vu ve cercava.
COR.
Mi comandi, signor Pantalone.
PANT.
No seu vu, che ha vendù un per de calze a mia fia?
COR.
Sì, signore.
Le ha forse pagate troppo?
PANT.
No digo che la le abbia pagae né troppo, né poco.
No son omo che varda a ste minuzie, e lasso che in ste cosse mia fia se sodisfa.
Ve digo ben, che in casa mia me farè servizio a no ghe vegnir.
COR.
Perché, signor Pantalone? Ho commesso qualche mala creanza?
PANT.
No ve nabbiè per mal.
In casa mia no ghho gusto che ghe vegnì.
COR.
Benissimo: sarà servito.
Ella è padrone di casa sua.
Può ricever chi vuole; può cacciar via chi comanda: è un signore tutto prudenza, non è capace di operar senza fondamento, non è capace di lasciarsi acciecare dalla passione; avrà i suoi giusti motivi, le sue giuste ragioni.
Non mi vuole in casa sua? Pazienza, non ne son degna, e non ci verrò mai più.
Non lo disgusterei per tutto loro del mondo.
Il signor Pantalone de Bisognosi, che con tanto amore, con tanta carità, sè interessato a favore del mio padrone, disgustarlo? Il cielo me ne guardi! No, signor Pantalone, non dubiti, lassicuro: in casa sua non ci verrò mai più.
PANT.
Piuttosto, se ve bisogna qualcossa, comandeme, mandeme a chiamar, vegnì al negozio: vegnì dove che pratico, che ve servirò volentiera.
COR.
Giacché ella ha tanta bontà per me, vorrei supplicarla di una grazia.
PANT.
Disè pur.
In quel che posso, ve servirò.
COR.
Perdoni, se troppo ardisco...
PANT.
Parlè, cara fia; disè cossa che volè.
COR.
Vorrei che per finezza, per grazia, mi dicesse il motivo, perché non vuole chio venga nella sua casa.
PANT.
Ve lo dirò liberamente.
Ho avudo tanto poco gusto, tanta mala fortuna per aver parlà a favor de sior Florindo, che no voggio più intrigarmene né poco, né assae; e no vôi aver da far co nissun, che dependa da quella casa.
COR.
Benissimo; son persuasa; lodo la sua condotta, e non ho motivo di lamentarmi.
Dubitava quasi chella avesse mal concetto di me.
PANT.
Oh no, fia (14).
COR.
Ella saprà benissimo, chio sono una donna onorata.
PANT.
No digo al contrario...
COR.
Che in casa del signor Ottavio, dove sono nata, cresciuta, maritata e rimasta vedova, non ho mai dato motivo di mormorare de fatti miei.
PANT.
Xe verissimo...
COR.
E se sono venuta a stare col signor Florindo, lho fatto per amicizia, per compassione, per carità.
PANT.
Qua mo, qua mo tutti no crede che la sia cussì.
COR.
E che credono? Chio sia una sfacciata, una donna scorretta, una poco di buono? So che il signor Pantalone non lo crede, so che un uomo onesto, un galantuomo, non è capace di pensar male degli altri.
Ma giuro al cielo, se vi fosse persona che ardisse macchiar in un picciol neo la mia reputazione, benché sia donna, avrei coraggio di saltargli alla vita, graffiargli il viso, strappargli la lingua, cavargli il cuore.
PANT.
(Aseo! (15)) Fia mia, per mi digo che sè una donna onoratissima, e non ho mai dito gnente dei fatti vostri.
COR.
Ma in casa sua non mi vuole.
PANT.
No voggio dito el perché?
COR.
Mi fa questo smacco di non volermi.
PANT.
Vavè pur persuaso anca vu.
COR.
Giuoco io, che questo non volermi in casa, deriva dal credermi una donna cattiva.
Signor Pantalone...
(irata)
PANT.
Mo se ve digo de no.
Mo se vho dito el perché.
(Custia xe una bestia, la fa la gatta morta, e po tutto in tuna volta la dà fogo al pezzo).
(da sé)
COR.
Come centro io, come centra il signor Florindo, se dal signor Ottavio e dalla signora Beatrice ha ricevuti degli sgarbi e dei dispiaceri?
PANT.
No vôi dar motivo a siora Beatrice de perderme unaltra volta el respetto, e obbligarme a far de quelle ressoluzion, che son capace de far.
COR.
Anzi, mi perdoni, signor Pantalone ella è un uomo di virtù, di prudenza, ma questa volta singanna.
Una vendetta onesta è lodabile qualche volta.
Per rifarsi delle impertinenze della signora Beatrice, dovrebbe anzi assistere e favorire il povero signor Florindo.
In questa maniera farebbe unopera di pietà; e questopera di pietà tornerebbe in profitto dellinnocente, in danno della matrigna, e in gloria del signor Pantalone, il quale sendo uomo di mente e di cuore, avrebbe ritrovata la maniera di vendicarsi da uomo grande, da uomo celebre, da par suo.
PANT.
Vu disè ben, e me piase la massima, e ghaveva pensà anca mi.
Ma cossa possio far per sto putto? Mi no son so parente, mi no ghho titolo de agir per ello.
Lu el ghha poco spirito, quella donna xe un diavolo; no ghe trovo remedio.
COR.
Eh! ve lo troverei ben io il rimedio, sio fossi ne piedi del signor Pantalone.
PANT.
Via mo, come?
COR.
È un dar acqua al mare, voler dar consigli ad un uomo della sua qualità.
PANT.
Parlè, che me fe servizio.
COR.
Per obbedirla, dirò: vuol ella acquistare un titolo sopra il signor Florindo, e potere a faccia scoperta operar per lui, e far che stieno a dovere il padre, la matrigna, il fratellastro, e tutti li suoi nemici?
PANT.
Via mo, come?
COR.
Lo prenda in casa, gli dia per moglie la signora Rosaura...
PANT.
Mo adasio, adasio.
No la xe miga una bagattella...
COR.
Sa ella che il signor Florindo è figlio unico? Che ha suo padre quattro o cinque mila scudi dentrata? Che se non casca il mondo, hanno ad essere tutti suoi?
PANT.
Xe vero; ma...
COR.
Non vede che il signor Ottavio è vecchio, indisposto, imperfetto; che poco può vivere, e che presto il figlio sarà padrone?
PANT.
Ma intanto...
COR.
E poi quel temperamento adorabile del signor Florindo non è una gioja, non è un tesoro? non è adorabile?
PANT.
Tutto va ben.
Ma mia fia anca ella xe unica, anca ella ghha el so bisogno, e no voggio maridarla co sti pastizzi.
COR.
Favorisca.
Già facciamo così per discorrere, per passare il tempo.
Se il signor Florindo fosse in casa, fosse erede, fosse come dovrebbe essere, avrebbe difficoltà di dargli la sua figliuola?
PANT.
Mi no.
La casa xe bona, el putto me piase.
COR.
Orsù; vede vossignoria questa donnetta? Quanto vale, che non passa domani che il signor Florindo è in casa, è padrone, e la signora Beatrice colle trombe nel sacco batte la ritirata?
PANT.
Magari! Ghaverave gusto da galantomo.
COR.
Allora gliela darebb
...
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