LA SERVA AMOROSA, di Carlo Goldoni - pagina 7
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Morto voi, maspetto che Florindo ci cacci villanamente fuori di casa, ci prenda tutto, e in premio davervi servito, davervi amato, davervi fatto vivere tanti anni di più, vedermi strapazzata, vilipesa, scacciata, e in istato forse di dover mendicare il pane.
OTT.
Non vi ho assegnato seimila scudi di dote?
BEAT.
Sì mi avete fatto quella carta, ma non è autenticata.
OTT.
Mi hanno detto che è valida; ma ciò non ostante, per compiacervi, la farò autenticare.
Ricordatemelo domani.
La tengo apposta nel mio scrittoio.
BEAT.
E poi a che servono seimila scudi? Se io restassi vedova con quel figliuolo, come viveremmo con un capitale di seimila scudi? Eh signor Ottavio, prevedo le mie disgrazie, prevedo di dover piangere per troppa mia dabbenaggine.
(piange)
OTT.
Via, cara, non piangete; ci penso, vi provvederò.
BEAT.
Eh sì: lo dite, ma non lo fate.
Il tempo passa, ogni giorno passa un giorno, e se aspettate lultima malattia, avrete altro in capo che pensare alla povera moglie, al povero Lelio, che non ha altro padre che voi.
OTT.
Non dubitate.
Uno di questi giorni farò testamento.
Ho pensato a tutto.
Vi voglio bene.
BEAT.
Ma, caro signor Ottavio, il testamento non accelera già la morte.
Farlo oggi, farlo domani, farlo da qui a un anno, da qui a due, per chi lo fa, è lo stesso.
Anzi, quando un uomo ha fatto testamento, si pone in calma, non ci pensa più, si è sgravato dun peso, e gode tranquillamente i suoi giorni, e vive probabilmente di più.
OTT.
Sapete che non dite male? In fatti tante volte mi sveglio la notte, e penso a questa cosa.
Sovente a tavola ancora ci penso.
Fatto chio labbia, non ci penserò più.
BEAT.
Voi mi benedirete, signor Ottavio, quando lo avrete fatto.
Vi contentate che venga questa sera il notaio?
OTT.
Fate quel che vi piace.
BEAT.
Domani vi parrà desser rinato.
OTT.
Mi fa un poco di ribrezzo questo far testamento, ma procurerò superarlo.
BEAT.
Sarebbe bella, che chiamando il medico per far purga, fosse un motivo per ammalarsi! Così del testamento; si fa per precauzione, e non per necessità.
OTT.
Voi parlate da quella donna che siete.
Oh, se mi foste capitata ventanni addietro! Cara la mia Beatrice, se maveste veduto da giovine!
BEAT.
Non sareste stato tutto mio.
OTT.
Oh, oh! Ventanni sono, trentanni sono...
Basta, ora potete viver sicura; non vi è pericolo.
BEAT.
Mimmagino che avrete preparata la vostra disposizione.
OTT.
Sì; appresso a poco lho divisato il mio testamento.
BEAT.
Ricordatevi che avete un figlio legittimo e naturale, il quale, benché per sua disgrazia sia scellerato, pure è vostro sangue, e non lo dovete privare delleredità.
OTT.
Brava! siete una donna savia e prudente: ammiro la vostra bontà.
Benché colui vabbia offesa, non gli volete male.
BEAT.
Anzi vi prego fargli del bene.
Io vi consiglierei lasciargli almeno almeno trecento scudi lanno.
OTT.
Quanti ne abbiamo ora dentrata? Una volta erano quattromila.
BEAT.
Oh, adesso le cose vanno malissimo.
Dopo che avete tralasciato di negoziare, ognanno si sono intaccati i capitali.
Levando ognanno trecento scudi netti, non vi restano ricchezze nel patrimonio.
OTT.
Basta; lascierò a voi tutte le mie facoltà col titolo di erede universale, con lobbligo di dare a Florindo trecento scudi lanno, e il testamento sarà presto fatto.
BEAT.
Con facoltà chio possa col mio testamento beneficar chi voglio.
OTT.
Ci sintende.
BEAT.
Questa sera lo fate, e domani non ci pensate più.
OTT.
Non vedo lora daverlo fatto.
SCENA OTTAVA
ARLECCHINO e detti.
ARL.
Signori...
(forte)
BEAT.
Zitto con quella voce, che fai stordire il signor Ottavio.
(Hai trovato il notaio?) (piano)
ARL.
(El vegnirà stassera).
(piano) Siori, ghè una novità.
BEAT.
Che cè?
ARL.
Se tratta matrimonio tra la fiola de sior Pantalon...
BEAT.
E Lelio mio figlio.
Lo sappiamo.
ARL.
Siora no.
Co sior Florindo.
BEAT.
Eh via, pazzo.
ARL.
Me lha dit Brighella, e chi tratta sto matrimonio, lè Corallina.
BEAT.
Ah indegna!
OTT.
Non andate in collera.
(a Beatrice) Ma come può essere? (ad Arlecchino)
ARL.
Lè cussì de siguro.
Brighella me lha confidà.
BEAT.
(Ah, questa è una cosa che sconcerta tutti i miei disegni.
Se ciò succede, Pantalone farà valere le ragioni del genero).
(da sé)
OTT.
Quietatevi, per carità.
Sia maledetto quando sei qui venuto! (ad Arlecchino)
ARL.
Mi ho fatt per ben.
OTT.
Va via di qua; non sarà vero.
ARL.
Se no lè vero, prego el ciel che possì (16) crepar.
OTT.
Maledetto! (gli dà una bastonata)
ARL.
Tolì, lera mei che me lassasse vegnir el gosso.
(parte)
SCENA NONA
OTTAVIO e BEATRICE
BEAT.
Perfida Corallina! me la pagherai.
OTT.
Cuor mio, non andate in collera.
BEAT.
Sentite la vostra cara Corallina? la vostra serva fedele?
OTT.
Via, siate buonina.
BEAT.
Le farò fare uno sfregio.
OTT.
Sì, cara, sì, quietatevi.
BEAT.
Lasciatemi stare, non mi seccate.
OTT.
Via, che farò testamento.
BEAT.
Quando?
OTT.
Questa sera.
BEAT.
Ah! tutti mi vogliono male.
OTT.
Ma io vi voglio bene.
BEAT.
Lo vedremo.
OTT.
Vi lascierò erede di tutto.
BEAT.
Me lo sarò guadagnato questo poco di bene.
OTT.
Ma non intendo già di morire per ora.
BEAT.
Corallina indegna!
OTT.
Siamo da capo.
BEAT.
Voglio farla pentire de suoi maneggi; e se non giovano le minacce, metterò in opra i fatti.
(parte)
SCENA DECIMA
OTTAVIO solo.
OTT.
Beatrice cara, sentite.
Uh povero me! sempre in collera, sempre grida.
Dopo chio lho, non è stata un giorno senza gridare; ed io non parlo mai.
Le voglio bene, mi piace, in questa età mè dun gran comodo, e non so disgustarla.
Questa sera mi converrà far testamento.
Non ne ho veramente gran volontà, ma per contentarla, lo farò.
Oh, quando siamo vecchi, bisogna pur soffrir le gran cose! Se siam poveri: quando crepa? Se siam ricchi: quando fa testamento? Ah misera umanità! Sarebbe ora chio pensassi a morire! Eh, un altro poco.
(parte)
SCENA UNDICESIMA
Camera in casa di Florindo.
CORALLINA e poi BRIGHELLA
COR.
A buon conto il notaio è dalla mia.
Conosce lingiustizia che si vuol fare a questo giovine, e mi darà campo di rimediarvi.
Non ha nemmeno voluto lo zecchino.
È galantuomo, è disinteressato.
Ma se a negozio finito gliene darò dieci, li prenderà.
BRIGH.
O de casa.
(di dentro)
COR.
Oh! Messer Brighella! Venite avanti.
BRIGH.
El vostro padron ghèlo?
COR.
No, non cè.
Che volete da lui?
BRIGH.
Da lu gnente.
Anzi ho gusto che nol ghe sia.
La mia padrona la vorria far un contrabando.
COR.
In che genere?
BRIGH.
La vorria vegnir qua da vu segretamente, per dirve una cossa che ghe preme.
COR.
Se vuol venire, è padrona.
Ma se comanda, verrò da lei.
BRIGH.
No, la ghha gusto de vegnir da vu per parlar con più libertà.
Ma no la vorria che ghe fusse sior Florindo.
COR.
Non cè, e non verrà per adesso.
BRIGH.
Vago donca a dirghelo.
COR.
Il signor Pantalone è in casa?
BRIGH.
El dorme, e per un per de ore nol se desmissia (17).
COR.
A questora calda può venire senza che nessuno la veda.
BRIGH.
E po, serrada in tel zendà (18), nissun la cognosse.
Avì savudo la nova?
COR.
Di che?
BRIGH.
Sior Lelio ha domandà la putta al patron.
COR.
Oh diavolo! Ed egli che cosa gli ha detto?
BRIGH.
I dise chel ghabbia dito de sì.
COR.
Possibile?
BRIGH.
Vado a darghe sta risposta a siora Rosaura, e po parleremo.
COR.
Io resto attonita!
BRIGH.
Ghho po un altro discorsetto da farve.
COR.
In materia di che?
BRIGH.
Tra vu e mi, a quattrocchi.
COR.
In che proposito?
BRIGH.
Basta...
So che tra vu e sior Florindo no ghe xe gnente de mal...
COR.
Eh, sì sì, caro.
Quando il sasso è tratto, non si ritira indietro.
BRIGH.
La giusteremo.
Schiavo, schiavo, la giusteremo.
(parte)
SCENA DODICESIMA
CORALLINA, poi FLORINDO
COR.
In fatti, se dovessi rimaritarmi, Brighella sarebbe per me un buon partito.
È uomo di garbo, ha qualche cosa del suo...
Ma chi sa come anderanno le cose del signor Florindo? Spero bene, ma possono anche andar male.
Questa novità sconcerta, e bisogna sollecitare il rimedio.
FLOR.
E bene, Corallina?
COR.
Oh siete qui? Avete veduto Brighella?
FLOR.
Io no, vengo ora da dormire.
COR.
Ed io credeva che foste fuori di casa.
Presto, presto prendete la spada ed il cappello, e andate a fare una passeggiata.
FLOR.
Perché?
COR.
Vi dirò.
La signora Rosaura vuol venire da me, e non ha piacere che ci siate voi.
FLOR.
Che vorrà mai la signora Rosaura?
COR.
Non vho detto chella vi vuol bene? Che spero di concludere questo buon negozio per voi?
FLOR.
Se non saggiustano le cose mie, è superfluo trattarne.
COR.
Non dubitate, anderà tutto bene.
FLOR.
E se saggiustano, Corallina mia, ho qualche altra idea per il capo.
COR.
Come, signor Florindo, avete voi qualche altro amoretto?
FLOR.
Damoretti non mi diletto, ma sono un uomo onesto, un galantuomo; povero sì, ma grato.
COR.
Tutte queste cose vi fanno meritevole di un buon partito, e quello della signora Rosaura non è fortuna da trascurarsi.
FLOR.
Per ora sospendete il parlar di ciò.
COR.
Ma capperi! Ella or ora verrà da me, e ripigliando il discorso della mattina, mi porrà forse in necessità di dirle qualche cosa di positivo.
FLOR.
Al vostro spirito non mancheranno pretesti per disimpegnarvi.
COR.
Ditemi, in grazia.
Che cosa vi dispiace nella signora Rosaura? Non è bella?
FLOR.
Sì, bellissima.
COR.
Non è di buon parentado?
FLOR.
È vero.
COR.
Non è ricca?
FLOR.
Non dico il contrario.
COR.
Dunque che difficoltà ci avete?
FLOR.
Corallina, per ora non mi obbligate a dirvi di più.
COR.
Bravo! Bella gratitudine che dimostrate dellamor che ho per voi! Mi negate, perfido, la confidenza del vostro cuore.
Pazienza! Ho fatto tanto, e non ho fatto nulla.
Già maspetto vedervi amante di una fraschetta, e andar in fumo que bei disegni, che ho con tanto studio in vostro pro divisati.
FLOR.
Ah Corallina, non sono di ciò capace.
Conosco il bene che voi mi fate, non sono ingrato...
lo vederete...
Non sono ingrato.
COR.
Dunque, se grato siete, parlatemi con sincerità, e sia una ricompensa allamor che ho per voi, la confessione dei vostri occulti pensieri.
FLOR.
Voi mi obbligate, ed io parlerò.
Corallina mia, se vorrà il cielo che mi sia fatta giustizia, se andrò al possesso de beni miei, sarà giusto chio mi mariti, ma sarà giusto altresì, che premiando il merito dellamor vostro, scelga voi per mia sposa.
COR.
Me, signore, per vostra sposa?
FLOR.
Sì, voi, che per tanti titoli ne siete degna.
COR.
Ci avete voi pensato?
FLOR.
Anzi questè il maggiore de miei pensieri.
Volea sospendere a dirvelo, sin tanto che il dirlo e il farlo stesse in mia mano; ma poiché mi violentate a spiegarmi, sì, ve lo replico, voi, e non altra sarà mia sposa.
COR.
Eh! via!
FLOR.
Ve lo giuro per quanto di più sacro...
COR.
Zitto: prima dimpegnarvi col giuramento, pensate meglio a ciò che siete per fare.
Lasciate chio vi parli da madre, piucché da serva, e che spogliandomi affatto dellamor proprio, vi apra gli occhi a meglio conoscere voi medesimo.
Vi ho amato, signor Florindo, posso dir dalle fasce, perché ambi in quelle rivolti, siamo insieme cresciuti.
Ebbi compassione di voi, scacciato dal padre, maltrattato dalla matrigna, oppresso dalla fortuna; e abbandonando il mio pane, il mio stato e le mie convenienze, venni ad assistervi, e soffrite chio il dica, colle mie sostanze ad alimentarvi.
Superai ogni riguardo, dissimulai le mormorazioni, soffersi deglincomodi, degli stenti, e talora perfino la privazione del pane.
Tutto ciò merita qualche cosa, e la vostra gratitudine è impegnata a ricompensarmi.
Non facciamo però che la ricompensa in voi oscuri il lume della ragione, e in me distrugga il merito della servitù.
Se mi premiaste col matrimonio, comparirebbe troppo interessato linnocente amor mio, e direbbesi che fu scorretta la nostra amicizia, e che per tirarvi io nella rete, avessi contribuito a distaccarvi dal padre.
A me preme lonor mio sopra tutto, e a voi deve premere il vostro.
Figlio unico di casa ricca e civile, vorreste avvilirvi collo sposare una serva? Ah, signor Florindo, non ci pensate nemmeno.
Se mi amate, ascoltatemi; se avete stima di me, arrendetevi ai miei consigli e se volete essermi grato, siatelo per ora col rassegnarvi.
Se il cielo vi renderà più felice, sarete in grado di rendermi ben per bene, amor per amore.
Una piccola dote, che per me estrar vogliate da vostri beni, sarà bastevole ricompensa ai servigi che vi ho prestati; e godendomi, senza rimorsi al cuore, una fortuna che a me convenga, vi sarò sempre amica, vi sarò sempre serva, sarò sempre la vostra amorosissima Corallina.
FLOR.
Ah, voi mintenerite a tal segno...
COR.
Manca il meglio dellopera, signor Florindo; quel che ho fatto finora contasi per nulla, se la macchina non ha il suo fine.
FLOR.
Possibile che non vogliate?...
COR.
Ho parlato col notaio.
Egli è persuaso a favorirci nei limiti dellonesto.
Sapete che è un uomo piuttosto facile, però aveva delle difficoltà.
Siamo rimasti, chei vada questa sera dal signor Ottavio.
FLOR.
Ma farà poi testamento?
COR.
Vi dirò: vuole il notaio parlar con voi.
Cercate anche voi di persuaderlo, ed io questa sera...
Sento gente; ecco la signora Rosaura.
FLOR.
Mi rincresce...
COR.
Nascondetevi.
FLOR.
Perché?
COR.
Fatemi questo piacere.
Nascondetevi.
FLOR.
Lo farò per compiacervi.
COR.
E stateci fino che io vi chiami.
FLOR.
Ma, Corallina, pensateci: non ricusate...
COR.
Se ne parlate più, mi fate montar in bestia.
FLOR.
(Che donna savia! Che donna amorosa!) (si ritira)
SCENA TREDICESIMA
CORALLINA, poi ROSAURA in zendale.
COR.
Povero padrone! Se fossi una di quelle che ambiscono, accetterei il partito.
Mi sposerebbe ora per gratitudine, ma poi, dopo qualche tempo, se ne pentirebbe e in vece di ringraziarmi di quel che ho fatto per lui, maledirebbe la mia pietà interessata.
ROS.
Corallina, cè nessuno?
COR.
Venga, signora, non cè nessuno.
ROS.
Non siete più venuta da me, ed io son venuta da voi...
COR.
Questo è un onore che io non merito.
Se avesse ella comandato, sarei venuta a servirla: saccomodi.
ROS.
Ora mio padre dorme.
Posso pigliarmi questa poca di libertà.
(siede)
COR.
Siamo tanto vicine...
ROS.
Ma con tutto questo vo riguardata.
Via, sedete anche voi.
COR.
Che cosa ha da comandarmi, signora Rosaura? (siede)
ROS.
Avete saputo la bella novità?
COR.
In che proposito?
ROS.
Quello scimunito di Lelio ha avuto ardire di presentarsi a mio padre, e chiedermi a lui in isposa.
COR.
Che cosa gli ha risposto il signor Pantalone?
ROS.
Potete figurarvelo.
Mio padre non mi ama sì poco chio abbia a temere chei mi volesse precipitare.
COR.
In fatti sarebbe un peccato, che una signorina così gentile e garbata andasse in potere di un uomo senza spirito e senza grazia.
ROS.
Mi ricordo ancora un giorno, che ei mi tenne dietro per la strada.
Faceva ridere tutta la gente, e quando passa sotto le mie finestre, è il divertimento del vicinato.
COR.
Anchio qualche volta ho riso alle di lui spalle.
ROS.
Per altro ha egli fatto quello che il signor Florindo non si sente di fare.
Ha parlato egli al mio genitore, cosa che il signor Florindo non ha forse ancora pensato.
COR.
Oggi ha destinato di farlo.
ROS.
Basta, Corallina mia, lasciate chio vi parli con libertà.
Non vorrei che questa cosa fosse promossa da voi per qualche buon genio che abbiate per me, e che il signor Florindo cinclinasse poco, e lo facesse per complimento.
Io lo stimo assaissimo, e accomodate che sieno le cose sue, desidererei che mio padre me lo proponesse: però, segli non mi volesse veramente bene, non sono ancora in istato di non potermelo staccar dal cuore, e non vorrei che facessimo la sua e la mia infelicità.
COR.
Ella parla, signora mia, da donna assennata, non da giovinetta comè.
Gli stessi stessissimi sentimenti li ha il signor Florindo.
Dubita anchegli, che un trattato fatto per via di terze persone, impegni più per convenienza che per affetto.
E in verità, in materia di matrimoni, sarebbe sempre ben fatto, che gli sposi prima di concludere si parlassero una volta almeno, e si assicurassero della loro reciproca inclinazione.
Così i matrimoni riuscirebbero bene.
Altrimenti la distanza inganna; le finestre confondono la verità, e si suol dire per proverbio: non ti conosco, se non ti pratico.
ROS.
Ma! Come mai potrebbe accadere, che il signor Florindo mi vedesse da vicino e mi parlasse? Io lo credo difficile.
In casa mia non verrà, se mio padre non gli dà parola e non la riceve da lui; e data la parola, non cè più rimedio.
COR.
Non potrebbe ella venire una mattina, o un giorno, così segretamente da me; e qui col signor Florindo vedersi?...
ROS.
Oibò, oibò, il cielo me ne guardi.
Se ci fosse il signor Florindo, non ci verrei per tutto loro del mondo.
Per questo ho mandato Brighella innanzi, e segli cera, non ci veniva.
Anzi sarà bene chio parta innanzi chegli ritorni...
(alzandosi)
COR.
Eh, si fermi liberamente, per ora non torna.
ROS.
Dovè andato?
COR.
Credo che sia da suo padre.
ROS.
Si accomodano le cose sue?
COR.
Questa sera le spero accomodate.
ROS.
Ma perché non parla dunque a mio padre?
COR.
Egli, per quel chio credo, vorrebbe prima parlar con lei.
ROS.
Se sapessi come!
COR.
Assolutamente non vè altro rimedio, che venire una mattina da me.
ROS.
E se si vien a sapere?
COR.
Non lo saprà né men laria.
ROS.
Come faremo a saper il quando?
COR.
Lasci fare a me.
Basta che mi dia parola di venir a parlar con lui, quando io lavviserò.
ROS.
Se sarà in mio potere, verrò senzaltro.
COR.
Mi dà parola?
ROS.
Vi do parola.
COR.
Quandè così, linvito adesso.
ROS.
A far che?
COR.
A parlare col signor Florindo.
ROS.
Dove?
COR.
Qui, in questa casa.
ROS.
Non ho tempo per aspettar chei ritorni.
COR.
È ritornato.
ROS.
Come?
COR.
Signora Rosaura, perdoni; non si adiri.
Egli è in quella camera.
ROS.
Questo è un tradimento.
COR.
Tradimento? Lho io mandata a chiamare?
ROS.
Avete detto a Brighella chegli non cera.
COR.
E allora non cera.
ROS.
Ed ora...
COR.
Ed ora cè.
ROS.
Vado via.
COR.
E la vostra parola?
ROS.
Che parola?
COR.
Non avete promesso, che avvisandovi sareste venuta?
ROS.
Ho detto, potendo.
COR.
Oh bella! Come non potete venire, se già ci siete?
ROS.
Corallina, lasciatemi andare.
COR.
Voi mancherete alla vostra parola.
ROS.
Me lavete carpita.
Siete una donna astuta.
COR.
Oh, quandè così, da me non ci venite più.
ROS.
Compatitemi, non vi adirate.
COR.
Vengo, vengo.
(fingendo esser chiamata)
ROS.
Dove, Corallina?
COR.
Non sente? Sono chiamata.
ROS.
Da chi?
COR.
Dal signor Florindo, dal mio padrone.
ROS.
Mi ha veduta?
COR.
Se non è cieco.
ROS.
Che dirà della mia debolezza?
COR.
Vuol dire perché se ne va?
ROS.
No: perché qui son venuta.
COR.
Dirà chella fa il giocolino dei bambini.
ROS.
Che vale a dire?
COR.
Fa capolino e fugge.
ROS.
Oimè!
COR.
Vengo, vengo.
(come sopra)
ROS.
Unaltra volta, se mi avviserete a tempo, verrò.
COR.
Eh! via, che occorre far meco cotanti fichi? Chi sono io? Una sguaiataccia da non fidarsene? Sono una ciarliera, che vada a dirlo al mercato? Non son io quella, in cui diceste di confidarvi? Il rossore, la timidezza, va bene sino ad un certo segno, ma la melensaggine poi non è da una par vostra.
Se avete intenzione di parlare col signor Florindo, che importa oggi o domani? Non è tuttuno? Non sono freddure? Certe cose non le posso soffrire.
Già che ci siete, stateci.
Il signor Florindo è lì, lo meno qui; lo vedete, vi spicciate, e ve nandate con un poco più di proposito e di convenienza.
(va nella camera di Florindo)
ROS.
Oh Dio! Che faccio? Resto o me ne vado? Corallina mi ha confusa, mi ha stordita.
SCENA QUATTORDICESIMA
CORALLINA, FLORINDO e ROSAURA
COR.
Oh via, anche voi fatemi il vergognoso.
(a Florindo, spingendolo verso Rosaura)
FLOR.
Non vorrei che ella credesse...
COR.
Che ha da credere? Quando crede che le vogliate bene, ha finito.
ROS.
Di quelle calze, Corallina, ne avrete delle altre?
COR.
Oh sì signora, delle calze ne avrò quante volete, ma dei padroni non ho altro che questo.
FLOR.
Servo suo, mia signora.
ROS.
La riverisco divotamente.
COR.
Eh via, via, mi contento.
ROS.
Addio, Corallina.
(in atto di partire)
COR.
Andate via? (a Rosaura)
ROS.
Mio padre dorme.
FLOR.
Se dorme, può trattenersi.
(a Rosaura)
ROS.
Sarà svegliato forse.
COR.
Vi è tempo unora.
Quando salza, io lo vedo dalla finestra.
FLOR.
Oggi mi preme di parlare al signor Pantalone.
ROS.
Ha qualche interesse con lui?
FLOR.
Sì, signora, ho un picciolo affare.
ROS.
Affar picciolo?
FLOR.
Voglio dire...
COR.
Così e così.
FLOR.
(Quanto è più bella da vicino, che da lontano!) (da sé)
ROS.
(Sudo da capo a piè).
(da sé)
COR.
Mimmagino, signor Florindo, che vi premerà vedere il signor Pantalone, per parlargli della signora Rosaura.
FLOR.
Per lappunto.
ROS.
Per me, signore? (a Florindo)
FLOR.
Ah, se fossi degno...
ROS.
Mi mortifica.
COR.
Poverini! Parlate poco, ma i vostri occhi dicono molto.
FLOR.
Signora Rosaura, supererò il rossore, e vi dirò chio vi amo.
COR.
Bravo!
ROS.
Non merito le sue grazie...
ma...
COR.
Via, dite su.
ROS.
Ma si assicuri che ho della stima...
COR.
Che volete voi di più? Ella ha della stima per voi.
(a Florindo)
FLOR.
Troppa bontà, signora mia.
ROS.
È il suo merito.
FLOR.
Se il cielo mi assisterà, farò quei passi che sono convenevoli per ottenervi.
ROS.
Mi confonde.
FLOR.
Sarete voi contenta, se il signor Pantalone mi onorerà del suo assenso?
ROS.
Perché no?
FLOR.
Potrò assicurarmi della vostra fede?
ROS.
Sì signore.
FLOR.
Datemene una caparra colla vostra mano.
COR.
Oh, basta così.
Le cirimonie vanno troppo avanti.
Premeva sapere, se il vostro genio è daccordo; ora che ne siete assicurati, shanno a far le cose a dovere, e lha da sapere il signor Pantalone, prima che vi tocchiate la mano.
Sono una donna onesta, e non permetterò che così di nascosto...
ROS.
Zitto, Corallina, non mi fate arrossir davvantaggio.
Serva sua.
(parte)
FLOR.
Dove? (vuol seguitarla)
COR.
Fermatevi.
FLOR.
Lavete disgustata.
COR.
Carino! Vi siete svegliato tutto in una volta.
FLOR.
Oh cieli! Non sono finalmente di sasso.
Sapete quel che vi ho detto.
La mia mano lho esibita a voi di cuore; ma se voi la ricusate, se voi mi ponete al cimento, torno a dirvi, non sono di sasso.
(parte)
COR.
Ed io ho piacere che si vadano a genio.
Spero che in breve saranno consolati, se il mio disegno non va fallito.
Se alcuno mi avesse in tal incontro veduta, mi avrebbe onorato del titolo di mezzana; ma tali si direbbono egualmente tutti quelli che trattano e che procurano un lecito matrimonio.
Alfine si saprà dal mondo chi sono.
Si saprà che ho avuto cuore di rinunziare uno sposo civile, unoccasione invidiabile, una grandissima fortuna, per delicatezza donore, per zelo di fedeltà, per impegno di vera onestà e disinteressata amicizia.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera di Ottavio, con tavolino da scrivere, lumi, sedie e porta segreta da un lato.
BEATRICE ed un SERVITORE
BEAT.
Sta attento quando viene il notaio; fallo passare per la scala segreta, e avvisami, che lo faremo entrar per di qui.
(accenna una porticina)
SERV.
Sarà servita.
BEAT.
Che cosa fa in sala il signor Ottavio?
SERV.
Passeggia, e sospira.
BEAT.
Digli che venga in camera, che gli voglio parlare.
SERV.
Sì, signora.
(parte)
BEAT.
E pur è vero, questo testamento gli fa paura.
Dubito anche, che qualche volta gli vengano delle tenerezze per il suo figliuolo.
E per questo fo bene a non fidarmi, fo bene a sollecitare la sua disposizione.
È vero che il testamento lo potrebbe disfare, ma sino che vivo io sarà difficile.
Non gli lascierò campo di farlo.
Eccolo; convien divertirlo.
SCENA SECONDA
OTTAVIO e detta.
OTT.
Che mi comanda la signora Beatrice?
BEAT.
Venite qui, il mio caro consorte.
Che cosa mai avete, che passeggiate così da voi solo?
OTT.
Ho un flato che mi tormenta.
Il moto mi fa bene.
BEAT.
Via, avete passeggiato abbastanza: sedete.
OTT.
Sì signora; me lo dite voi, lo farò volentieri.
BEAT.
Eh! io penso sempre alla vostra salute, al vostro comodo, al vostro piacere.
OTT.
Che siate benedetta! Lora si va avanzando.
Può essere che il notaio non venga altrimenti.
BEAT.
Oh, non istate ora a pensare al notaio.
Se verrà, verrà; se non verrà, buon viaggio.
Se non si farà stassera, si farà unaltra volta: non ci sono queste premure.
OTT.
È vero, così diceva anchio.
BEAT.
Che cosa volete questa sera da cena?
OTT.
Un poco di zuppa; e se vi pare, due polpettine.
BEAT.
Vi ho preparato una buona cosa.
OTT.
Davvero!
BEAT.
Fatta colle mie mani.
OTT.
Eh via!
BEAT.
Una torta derbe col latte.
OTT.
Oh buona! Lavete fatta voi?
BEAT.
Io.
OTT.
Oh, sarà pur buona!
BEAT.
La mangeremo insieme.
OTT.
Meglio! Ma spicciamoci presto.
Ceniamo, e andiamocene a letto.
BEAT.
La torta si cucina.
OTT.
Intanto facciamo qualche cosa.
BEAT.
Che cosa vorreste fare?
OTT.
Giuochiamo un poco alle carte.
BEAT.
Da noi due?
OTT.
Sì, da noi due.
Voi ed io.
BEAT.
A che giuoco?
OTT.
A viva lamore.
BEAT.
In due non si può.
OTT.
Voglio giuocare a viva lamore, a viva lamore.
BEAT.
Piuttosto giuochiamo a bazzica (19).
OTT.
Sì cara, a quel che volete voi.
BEAT.
(Che pazienza con questo vecchiaccio!) (da sé) Ecco, faccio io le carte.
OTT.
Di quanto volete che giuochiamo?
BEAT.
Per giuocare di qualche cosa, giuochiamo dun soldo la partita.
OTT.
Sì, dun soldo.
E se guadagno, voglio esser pagato.
BEAT.
Ci sintende.
(dà le carte)
OTT.
Scarto.
BEAT.
Anchio.
OTT.
Oh, aspettate.
Ho bazzica, e non laveva veduta.
BEAT.
Signor no; avete detto scarto, avete da scartare.
OTT.
Ma se ho la bazzica.
BEAT.
Non importa.
OTT.
Non laveva veduta.
BEAT.
Se siete cieco, vostro danno.
OTT.
Le butterò via tutte.
(getta le carte in tavola e si ammutisce)
BEAT.
Schiavo.
(Un tedio di meno).
(da sé; le getta anche ella.
Stanno un pezzo mutoli tutti e due senza parlare e senza guardarsi; poi Ottavio tira fuori gli occhiali, se li mette al naso, e mescola le carte)
OTT.
Alzate.
BEAT.
(Alza, senza parlare)
OTT.
(Dà le carte)
BEAT.
Bazzica.
OTT.
Buona...
No, no.
Bazzicotto, bazzicotto (20).
BEAT.
Non è più tempo: bazzica.
OTT.
Non aveva conosciuto il comodino.
BEAT.
Via, vi meno buono il bazzicotto.
OTT.
Segno sette punti.
Fate voi: vi ringrazio, carina.
BEAT.
(Non posso più!) (da sé; fa le carte e le dà fuori)
OTT.
Bazzica!
SCENA TERZA
Il SERVITORE e detti.
SERV.
(Signora, è qui il notaio).
(piano a Beatrice)
OTT.
Che cè? Bazzica.
BEAT.
(Apri quella porta, e fallo passare) (piano al Servitore)
OTT.
Bazzica.
È buona?
BEAT.
Buona.
OTT.
Eccola: di sei.
Carte.
(chiede altre carte)
BEAT.
(Gli dà una carta)
OTT.
Carte.
(come sopra)
SCENA QUARTA
Ser AGAPITO dalla porta segreta, e CORALLINA vestita da notaio, che resta indietro; e detti.
AGAP.
Servo di lor signori.
OTT.
Schiavo suo.
Carte.
(a Beatrice)
BEAT.
Ben venuto, signore Agapito.
OTT.
(Maledetto!) Carte.
(come sopra)
BEAT.
(Mette giù il mazzo)
OTT.
Finiremo dopo.
Ho sette punti.
Ho bazzica, e mi avete dato una carta.
BEAT.
Signor Agapito.
Chi è quel signore? (accennando Corallina)
AGAP.
Un mio giovine, che soglio condurre con me.
Fa le minute sotto la mia dettatura; copia, mi serve per testimonio, e impara la professione.
BEAT.
Fatelo venire avanti.
AGAP.
Perdoni: non gli do tanta confidenza.
Verrà innanzi, quando bisognerà.
BEAT.
Ecco qui il signor Ottavio; egli ha desiderio di fare il suo testamento.
OTT.
Eh! Non ho poi questo gran desiderio.
Grazie al cielo, non sono ancora decrepito.
Sto bene di salute, e posso ancora pensarci.
AGAP.
Vossignoria si accomodi.
Io non sono venuto per consigliarla a far testamento.
Mi hanno chiamato, ed io per obbedire sono comparso.
OTT.
Che nuove abbiamo, signor Agapito?
AGAP.
Non saprei...
OTT.
Volete giuocare a bazzica? (ad Agapito)
BEAT.
Ma signore Ottavio, voi diventate peggio assai di un bambino.
Ogni momento vi cambiate di opinione.
Ora sì, ora no.
Ora voglio, ora non voglio.
Volete che ve la dica? Sono scandalezzata di voi, e credo che lo facciate o per farmi disperare, o per burlarmi ben bene, e far ridere i miei nemici.
OTT.
Guardate che pensieracci vi vengono per il capo! Signore Agapito, son qui, voglio far testamento.
AGAP.
Benissimo, io la servirò.
Ha fatto niente da sé? Ha preparato la sua disposizione in iscritto?
OTT.
Non ho fatto niente.
Faremo fra voi e me.
AGAP.
La signora Beatrice favorirà di lasciarci in libertà.
BEAT.
Perché? Io non ci posso essere?
AGAP.
Chi fa testamento, non ha daver soggezione.
Perdoni, io costumo così.
BEAT.
Ditemi, signor Ottavio, vi ricordate voi di tutte le cose vostre? Di tutto quello che possedete? Delle disposizioni che avete detto di voler fare?
OTT.
In verità, ora ho la testa confusa.
Non mi ricordo di niente.
BEAT.
Faremo così, se vi contentate.
Andremo in camera mia col signor Agapito, faremo un sommarietto di tutto: poi egli ve lo leggerà; vedrete se va bene, e circa alla disposizione, vi consiglierete con lui, e farete tutto quello che il cielo vinspirerà.
Siete contento?
OTT.
Contentissimo.
BEAT.
Anderà bene così, signor Agapito?
AGAP.
Benissimo.
BEAT.
Dunque andiamo.
AGAP.
Sono a servirla.
Signor Narciso, restate a far compagnia al signor Ottavio, sino chio torno.
(a Corallina)
COR.
(Fa una riverenza dal luogo indietro dove si trova)
BEAT.
Non ha parole? (a ser Agapito)
AGAP.
È timido.
BEAT.
Fra il signor Ottavio e lui dormiranno.
(Ed io veglierò per il mio interesse.
Il signor Agapito farà un testamento a mio modo).
(da sé, parte)
AGAP.
(Corallina farà da sé quello che insieme dovevamo fare).
(da sé, parte)
SCENA QUINTA
OTTAVIO e CORALLINA
OTT.
(Non vedo lora desser fuori da questimpiccio.
Mi par davere una montagna addosso.) (da sé)
COR.
(Si viene avanzando)
OTT.
Signore, accomodatevi.
(a Corallina)
COR.
Ricevo le sue grazie.
OTT.
Anche voi volete fare il notaio?
COR.
Sì signore.
OTT.
Quanti anni avete?
COR.
Venti passati.
OTT.
Oh! quando io era della vostra età!
COR.
(Ancora non mi conosce).
(da sé)
OTT.
Di che paese siete?
COR.
Di questa città.
OTT.
Di chi siete figlio?
COR.
Signore, non mi conosce?
OTT.
No davvero.
Voi mi conoscete?
COR.
E come!
OTT.
Dove mi avete veduto?
COR.
In questa casa.
OTT.
(Si mette gli occhiali) Eppure non vi conosco.
COR.
Mi pare assai.
OTT.
Avete una fisonomia, che non mi par nuova ai miei occhi, ma non mi ricordo chi siate.
COR.
Guardatemi meglio, e mi conoscerete.
OTT.
Anche questa voce mi par di conoscerla...
Oh benedetta vecchiaia! Capisco che sono un pezzo in là! Vado perdendo anche la memoria.
COR.
Signore, laria di quella porta gli farà male: permette che io la chiuda?
OTT.
Sì, caro, chiudetela.
(Bel ragazzetto!) (da sé)
COR.
(Salza e va chiuder luscio per dove è andata Beatrice) (Ci vuol coraggio.
Ora son nellimpegno).
(da sé; torna a sedere)
OTT.
E così, ditemi: chi siete?
COR.
Ma possibile che non mi conosciate?
OTT.
Sono degli anni che non pratico nessuno.
Non vi conosco.
COR.
Non sentite la voce femminile?
OTT.
Compatitemi...
Siete musico?
COR.
Non signore, sono musica.
OTT.
Come! donna?
COR.
Ancora non mi conoscete?
OTT.
Avete serrata la porta?
COR.
Sì signore.
OTT.
Avete bisogno di qualche cosa? Comandate.
COR.
Il cielo vi benedica.
Comparite sempre più giovine.
OTT.
Mi governo.
Non fo strapazzi: dite, cara figlia, come avete nome?
COR.
Ho nome Corallina.
OTT.
Che?...
Oh diamine!...
Corallina?...
(con gli occhiali)
COR.
Si vede che vi siete affatto dimenticato di me.
OTT.
Ih! io era lontano da voi mille miglia.
In questabito, a questora, chi se lo poteva sognare? E poi, sapete che ci vedo poco.
Come qui? Qual motivo?
COR.
Eccomi qui, in pericolo di perder anche la vita per amor vostro.
OTT.
Oimè! Che è stato?
COR.
Signor padrone, siete assassinato.
OTT.
Da chi?
COR.
Da vostra moglie.
OTT.
Oh via! Siete qui colle vostre solite canzonette.
Tutti contro quella povera donna.
COR.
Ma ora si tratta di tutto...
OTT.
Non mi venite ad inquietare.
COR.
Volete precipitare...
OTT.
Chiamerò la signora Beatrice.
COR.
Chetatevi, signor padrone; per amor del cielo, non vi alterate.
Sono venuta per desiderio di vedervi, dopo tanto tempo che sono priva della vostra cara presenza.
Questi preziosi momenti non li voglio perdere in cose odiose.
Siete uomo prudente, non avete bisogno de miei consigli.
Parliamo daltro.
State bene? Siete sano? Vi ricordate più della vostra Corallina? Caro signor padrone, io vi amo teneramente.
Lasciate che vi baci la mano.
OTT.
Cara la mia Corallina, vho sempre voluto bene, e voi in mia vecchiezza mi avete abbandonato.
COR.
Lho fatto per compassione di un vostro figliuolo.
OTT.
Che fa colui?
COR.
Poverino! Ve lo potete immaginare.
OTT.
Suo danno.
Doveva essere meno altiero.
COR.
Ma! In sua gioventù gli tocca a soffrire delle gran cose!
OTT.
Che cosa soffre?
COR.
Scarsezza di pane, necessità di tutto, il rossore di vedersi fuori di casa sua, e sopratutto piange amaramente la privazione della vista del suo caro padre...
OTT.
Oh via! non mi venite a rattristare.
In questa età non ho bisogno di piangere.
(alterato)
COR.
È vero, sono una bestia.
Compatitemi, e parliamo di cose allegre.
Signor padrone, io mi vorrei rimaritare.
OTT.
Sarà ben fatto.
Sei ancor giovine; e per dirtela, a star con Florindo non fai buona figura.
COR.
È vero; lo diceva ancor io; mi preme la mia riputazione, e non ci voglio star più.
Finalmente non è niente del mio.
Vada lacero, vada pezzente, consumi in un giorno quello che gli date voi per un mese, che cosa ha da premere a me? Faccia delle male pratiche, a me che cosa deve importare? Io non sono sua madre; finora ho procurato di assisterlo, di governarlo, di soccorrerlo colle mie fatiche, coi miei lavori.
Sono stanca di farlo, voglio pensare a me.
Vada in rovina, vada in precipizio.
Suo danno.
Signor padrone, parliamo di cose allegre.
OTT.
Ma! Perché ha dandare in rovina? Non gli bastano sei scudi il mese? Non gli bastano per mangiare due paoli il giorno?
COR.
Sì, gli basteranno.
E poi, che singegni.
Per vestirsi ci pensi da sé.
Che vada a giuocare, che faccia quello che fanno tanti altri disperati suoi pari.
OTT.
Come! Vorresti chegli si gettasse coi vagabondi?
COR.
Sentite: un giovine ozioso, fuori di casa sua, con pochi assegnamenti, e bisognoso di tutto, non può fare a meno di non gettarsi alla mala vita.
Io sinora lho tenuto in freno.
Ma sono stanca di farlo; voglio maritarmi, signor padrone, voglio goder il mondo, voglio stare allegra, non voglio pensar a guai.
Voglio far come fate voi.
Allegramente, allegramente.
OTT.
Voi mi dite delle gran cose di questo mio figliuolo.
COR.
Oh bella! Procuro divertirvi, e voi badate a rattristarvi.
Io non ne ho colpa.
Parliamo di cose allegre.
OTT.
Non so che cosa sia questa smania che mi sento di dentro.
Le vostre parole mi hanno rattristato.
COR.
Eh signor padrone, non sono state le mie parole, che vi hanno sconcertato.
OTT.
Ma che dunque?
COR.
La vostra coscienza.
OTT.
Che male ho fatto io? In che ho mancato?
COR.
Vi par poco eh, aver rovinato un figlio per secondare lavarizia della matrigna? Non sapete che linnocenza oppressa del povero signor Florindo grida vendetta al cielo contro lei, contro voi? Se egli si getterà per disperazione alla vita trista, chi sarà causa del suo precipizio? Chi sarà colpevole de suoi vizi? Chi meriterà la pena delle sue colpe? Voi, signor padrone, voi.
E dopo essere vissuto per tanti anni uomo onorato, uomo savio e dabbene, per causa di vostra moglie morirete pieno di rimorsi, pieno di rossore e di pentimento.
Ma non voglio più affliggervi; parliamo di cose allegre.
OTT.
Eh! ora non cerco allegria.
Cara Corallina, sento una spina al cuore.
Son vecchio, son vicino alla morte.
Oimè! Tremo.
Illuminatemi per carità.
COR.
Conoscete voi la signora Beatrice?
OTT.
La conosco.
COR.
Quanto vale, che non la conoscete?
OTT.
È mia moglie, la conosco.
COR.
Quantè che è vostra moglie?
OTT.
Non lo sai? Un anno.
COR.
A conoscere una donna non bastano dieci anni.
Voi non la conoscete.
OTT.
Ma perché?
COR.
Perché, se la conosceste, non vi lascereste da lei menar per il naso.
OTT.
Oh via: sapete che le voglio bene, son contento di lei, non minquietate.
COR.
Avete ragione.
Parliamo di cose allegre.
Finalmente io non ci devo entrare.
È vero che sono nata in casa vostra, che vi ho amato e vi amo come padre; ma finalmente sono una povera serva.
Che ha da importare a me, che il mio padrone si lasci ingannare da una donna finta? Chella gli faccia le belline sul viso, e lo maledica dietro le spalle? Che mostri damarlo, e non veda lora chei crepi? Che gli faccia scacciare il proprio figliuolo, per arricchire il figliastro? Che gli voglia far far testamento, per assicurare la sua fortuna, e dopo accelerar la morte del povero vecchio benefattore? Finalmente queste cose a me non faranno né male, né bene; non ci voglio pensare, non ne voglio discorrere.
Signor padrone, parliamo di cose allegre.
OTT.
Ah Corallina...
Non più cose allegre; cose tetre, cose miserabili...
Come! Si vuol chio faccia testamento per farmi poscia morire?
COR.
Pur troppo è la verità.
Ma non voglio infastidirvi.
Mutiamo discorso.
OTT.
Ah se potessi di ciò assicurarmi; vorrei prima di morire far una bella risoluzione.
COR.
Signor padrone, parliamo quietamente, senza che vi conturbiate; che torto fate voi alla signora Beatrice, a dubitar di lei per un poco?
OTT.
Niente affatto.
COR.
Dunque fate così.
Dubitate di lei per unora, ed io mimpegno di farvi toccar con mano la verità.
O sarà ella una buona donna, e voi fate tutto a suo modo; o sarà una finta, una bugiarda, e voi farete quello che più vi tornerà a conto.
OTT.
Tu di bene...
Ma come posso io far questa prova?
COR.
Sentite: fate così...
Ma non vorrei, parlando di cose tetre, venirvi a noia.
Volete che mutiamo discorso?
OTT.
No, no, seguitiamo questo.
Mi preme assai.
COR.
Bisogna farsi animo, e far così...
(si batte alla porta chiusa) Oimè! battono.
OTT.
Chi sarà mai?
COR.
Conviene aprire.
OTT.
Ma...
Il nostro discorso...
COR.
Unaltra volta.
(tornano a battere)
OTT.
Nascondetevi.
Entrate nella mia camera.
Colà non verrà nessuno.
COR.
Avvisatemi, se vi è pericolo.
(Voglia il cielo chio possa condurre a fine il disegno).
(da sé; entra in una camera in fondo alla scena)
SCENA SESTA
OTTAVIO, poi ARLECCHINO
OTT.
Oh, sono pure nel grandimbroglio! Povero me! Se fosse vero...
Ah, spero che non sarà.
(apre) Che vuoi? (ad Arlecchino, che si presenta alla porta)
ARL.
El sior nodaro el dis cussì, che vussioria ghe manda...
OTT.
Che cosa?
ARL.
Ghe manda...
OTT.
Ma che? Spicciati.
ARL.
Ah sì! El contrasto dei novizzi (21).
OTT.
Che diavolo dici? Io non ti capisco.
ARL.
Me par certo che labbia dit cussì.
OTT.
Sei un balordo; non avrà detto così.
ARL.
Adess marrecordo: la creatura del matrimonio (22).
OTT.
Eh, va al diavolo, pappagallo.
ARL.
Mo se el mha dit cussì.
OTT.
Ma se non può stare.
ARL.
Ha dit la padrona, che ghe mandè quella carta da notte, che avi mess in tel cantaro (23).
OTT.
Testa di legno! Vorrai tu dire quella carta di dote, che ho messo nel canterale.
ARL.
Circumcirca.
OTT.
Ho capito; è nella camera dove dormo.
Vattene, che ora la mando al signor notaio.
ARL.
I mha dit che la porta...
OTT.
Va in sala, aspetta, e la porterai.
ARL.
Vado in sala, e la porterai (24).
(parte)
OTT.
Presto, sentiamo che cosa sa dirmi quella buona donna di Corallina.
(in atto di partire)
SCENA SETTIMA
CORALLINA e detto.
COR.
È andato via? (dalla camera, incontrandola Ottavio)
OTT.
Sì, ma per maggior sicurezza entriamo nella mia camera.
Parlatemi pure liberamente, che son disposto a far tutto per chiarirmi della verità.
COR.
Andate innanzi; permettetemi chio dica una parola ad un uomo chè qui sulla scala segreta.
OTT.
E chi è questuomo?
COR.
È il servitore del notaio.
OTT.
Vi conosce?
COR.
Signor no.
OTT.
Via, spicciatevi, che vi aspetto.
Mi sento un ardor nello stomaco, che mi par di morire.
Ah, se scoprissi un inganno...
Ma non sarà vero; mi pare impossibile.
(entra per la porta di fondo)
SCENA OTTAVA
CORALLINA, poi BRIGHELLA travestito.
COR.
Sinora la cosa va bene.
(apre la porta segreta) Brighella, entrate.
BRIGH.
Son qua...
Come vala?
COR.
Andate dal signor Florindo, e ditegli che si consoli, che le cose vanno bene, che ho tirato il signor Ottavio ad ascoltarmi, e a dubitar della moglie.
Ora tento unaltra cosa, e se mi riesce, siamo a segno di tutto.
Avvisatelo che si trovi in queste vicinanze, per venir qui ad ogni cenno.
Avvisate anche il vostro padrone e la vostra padrona, e che tutti stieno pronti per aiutarmi se occorre, per profittar se bisogna.
(entra dove Ottavio è entrato)
SCENA NONA
BRIGHELLA, poi OTTAVIO
BRIGH.
Gran testa ha sta Corallina! Gran belle viscere! Gran bel cuor! Oh, se posso, la vôi per mi sta zoggia! Se tanto la fa per amor damicizia, figureve quel che la farà per affetto matrimonial.
(in atto di partire)
OTT.
Galantuomo.
BRIGH.
Signor (alterando la voce)
OTT.
Tenete.
Fatemi il piacere di portar questa carta al vostro padrone.
(Corro a sentir Corallina).
(entra, e chiude la porta)
BRIGH.
Cossèla mo sta carta? Lho da portar al me patron? Chel mabbia cognossù? Mi no la so capir.
Basta, la porterò al me patron.
(parte)
SCENA DECIMA
ARLECCHINO, poi BEATRICE
ARL.
Adess; tornerò unaltra volta.
(mostrando di parlare in sala) Sior padron...
Dovèlo? Sior padron...
El contrasto...
La creatura...
(25) Sior padron.
Lè andà in fumo.
(va alla porta) Siora padrona, el padron lè andà in tel cantaro co la creatura (26).
BEAT.
Che cosa vai tu dicendo?
ARL.
Digo cussì...
BEAT.
Dovè il signor Ottavio?
ARL.
Dovèlo el sior Ottavi?
BEAT.
Sarà nellaltra camera a cercar la scrittura.
ARL.
Senzalter el sarà in camera a revéder le scritture.
BEAT.
È chiusa la porta.
(picchia) Signor Ottavio, signor Ottavio.
Diamine! che è mai questa novità? Non chiude mai.
Signor Ottavio.
Che sia andato giù della scala? Non crederei.
Le scale sono mesi che non le fa.
ARL.
El pol esser andà zoso da la fenestra.
BEAT.
Che gli sia venuto qualche accidente?
ARL.
Pol esser, per amor della creatura.
BEAT.
Arlecchino, va giù nel pian terreno.
Guarda se mai fosse disceso; se fosse venuto il suo figliuolo, se mi ordissero qualche tradimento.
Quel giovine non vi è più.
Temo di qualche inganno.
Va presto, spicciati.
ARL.
Vado subito.
(parte per la porta segreta)
BEAT.
Io entrerò in quella camera per laltra porta, di cui ho le chiavi.
Misera me! Sono in angustie.
Non vorrei chegli fosse pericolato.
Faccia testamento, e poi crepi, se vuol crepare.
(parte)
SCENA UNDICESIMA
CORALLINA dalla camera di Ottavio, poi ARLECCHINO
COR.
Manco male che se nè andata.
Posso uscire liberamente.
Povero padrone! Ma! Questi vecchi imparino a rimaritarsi.
(va per la porta segreta, ed incontra Arlecchino)
ARL.
Chi va là?
COR.
Oimè!
ARL.
Chi sive vu (27)?
COR.
Sono il giovine del notaio.
ARL.
Il giovine del notaio? (contraffacendo la voce di Corallina) Saldi.
(la prende per un braccio)
COR.
Lasciatemi andare.
ARL.
(Sta vose la cognosso).
(da sé) Vegnì con mi.
COR.
No, lasciatemi.
ARL.
Eh sangue de mi! (la vuol tirare innanzi) Griderò, farò vegnir zente.
COR.
No, per carità.
ARL.
Oh corpo del diavolo! Corallina?
COR.
Zitto, per amor del cielo.
ARL.
Oh, no vôi che me vegna el gosso.
Vôi gridar.
Cora...
COR.
Senti, senti; prendi questo zecchino, e sta zitto.
ARL.
Loro èlo un bon remedi contra el gosso?
COR.
Sì, te lo dono, lasciami andare, e non lo dire a nessuno.
ARL.
Va là; farò sto atto de cavalleria.
COR.
Cielo, aiutami.
(parte)
ARL.
Qualche imbroio ghè sotto: ma a mi me basta che sto zecchin sia de peso.
(parte)
SCENA DODICESIMA
Altra camera con letto chiuso dal cortinaggio, tavolino e lume.
OTTAVIO sul letto chiuso, che non si vede; BEATRICE apre luscio, ed entra.
BEAT.
Signor Ottavio.
Signor Ottavio.
Qui non cè nemmeno.
Povera me! Che me labbiano condotto via? Parmi vedere...
(saccosta al letto da una parte) Eccolo nel letto bello e vestito.
Si sarà addormentato.
Voglio destarlo, ritrovar questa carta, e concludere il testamento.
Signor Ottavio; ehi, signor Ottavio, signor Ottavio...
(scuotendolo) Oh me infelice! Che sia morto? Signor Ottavio, signor Ottavio; pare morto senzaltro.
Un accidente lavrà colpito.
Oh che colpo! Oh che caso! Oh mia disgrazia! È morto prima di far testamento.
SCENA TREDICESIMA
Il NOTAIO e detti.
NOT.
Ebbene, signora, lha ritrovata questa scrittura?
BEAT.
Non la trovo...
Ma, non si può far senza?
NOT.
Se non si trova, faremo senza.
Si ricorda ella precisamente la somma della sua dote?
BEAT.
Sì signore...
seimila scudi.
NOT.
Bene, metteremo seimila scudi; giacché ella ha piacere che col testamento si confermi questa sua dote, lo faremo; basta che il signor Ottavio me lo dica in voce.
BEAT.
Il signor Ottavio è nel letto.
NOT.
Che fa? Dorme?
BEAT.
Ho paura chegli abbia male.
NOT.
Mal grave?
BEAT.
Piuttosto; ma per far testamento saremo a tempo.
NOT.
Non gli sarebbe già venuto qualche accidente?
BEAT.
Io credo di no.
Ma se ciò fosse, il testamento non si farebbe più?
NOT.
Oh bella! Si avrebbe a far parlare un morto?
BEAT.
Non sarebbe la prima volta.
NOT.
Singanna, signora...
BEAT.
Via, via, il signor Ottavio è vivo.
Aspetti, che gli andrò a domandare, se vuole che ora vossignoria gli legga la sua minuta, e che si concluda.
(saccosta al letto)
NOT.
Benissimo.
(Costei la sa lunga).
(da sé)
BEAT.
Ha detto così che si sente male, e vuole spicciarsi per timor di morire.
Anzi colle sue mani mi ha dati questi trenta zecchini, acciò vossignoria beva la cioccolata per amor suo.
NOT.
Non occorraltro.
Troviamo li testimoni, e faccia portar da scrivere.
BEAT.
Dove li troveremo? I miei servitori non vorrei che in ciò sintrigassero.
NOT.
Andrò io a ritrovarli.
BEAT.
Non vorrei che fossero di quelli che vogliono parlare collammalato, e disturbarlo.
NOT.
Lasci fare a me.
Ho io de testimoni a proposito.
Conosco il bisogno suo e del signor Ottavio; mi lasci andare alla piazza, e torno in un momento.
BEAT.
Bravo, signor Agapito! Facciamo le cose come vanno fatte.
Mi ha detto il signor Ottavio, che per voi ci sarà un piccolo legato di mille scudi.
NOT.
Si lasci servire, e sarà contenta.
(parte)
SCENA QUATTORDICESIMA
BEATRICE, poi LELIO
BEAT.
Manco male che ho dato in un uomo facile, pratico del mestiere, e pronto a ripieghi.
Mi ha inteso bastantemente, e rimedierà egli al disordine.
Per altro, o sia morto, o stia per morire, mi aveva ben corbellato.
La scrittura della dote, chegli mi ha fatto dopo il matrimonio, ho paura non sia fatta a dovere, e mi preme di confermarla col testamento.
LEL.
Buona sera, signora madre.
BEAT.
Figliuolo mio, dove siete stato sinora?
LEL.
A fare allamore colla signora Rosaura.
BEAT.
Con lei veramente?
LEL.
Sì signora, con lei.
BEAT.
Dove?
LEL.
Sotto le sue finestre.
BEAT.
Vi ha ella parlato dalla finestra?
LEL.
Non era alla finestra, ma passeggiava per camera.
La serva mi ha veduto, e lha avvertita chio sospirava.
BEAT.
Eh scioccherello! Con quella non vi è da sperare: vi mariterò io.
LEL.
Ho veduto entrare Florindo in casa del signor Pantalone.
BEAT.
Peggio!
LEL.
Sarei rimasto lì ancora; ma laccidente ha fatto che dando lacqua ai fiori, mi hanno bagnato da capo a piedi.
BEAT.
Non ve ne accorgete che vi disprezzano, che si burlano di voi?
LEL.
Eh! giusto! Vorrei dar la buona sera al signor padre, e andarmene a letto.
BEAT.
Avete finito di dargli la buona sera.
LEL.
Perché?
BEAT.
Perché il vecchio sta per morire.
LEL.
Signora madre, quando muore qualcheduno, non si piange?
BEAT.
Sicuro.
E bisognerà che anche noi ci mettiamo a piangere.
LEL.
Quando?
BEAT.
Quando verranno le visite a condolersi.
LEL.
Quando ho da piangere, avvisatemi.
SCENA QUINDICESIMA
SERVITORE e detti.
SERV.
È qui il signor notaio con alcune altre persone, che non so chi siano.
BEAT.
Che passino, e porta da scrivere.
(il Servitore parte)
LEL.
Che cosa vuole il notaio?
BEAT.
Finir il testamento del signor Ottavio.
LEL.
Se è moribondo!
BEAT.
Zitto.
Badate a voi, e non parlate.
(a Lelio)
LEL.
(Questa domani la racconto al caffè).
(da sé)
SCENA SEDICESIMA
Il NOTAIO con alcuni testimoni.
Il SERVITORE di Ottavio che porta da scrivere, e detti.
BEAT.
Bravo, signor Agapito.
NOT.
Sono di parola?
BEAT.
Bravo.
NOT.
Ecco li testimoni.
Signori, saranno testimoni di questo testamento, che fa il signore Ottavio Panzoni.
BEAT.
Li supplico, e saprò il mio dovere.
(verso li testimoni)
NOT.
Signora Beatrice, signor Lelio, favoriscano ritirarsi, acciò possa io interrogare con libertà e confidenza il signor testatore, per leggere poi a testimoni la sua volontà.
BEAT.
Volentieri, ritiriamoci.
(a Lelio)
LEL.
Oh bella! vuol interrogare un moribondo.
(a Beatrice)
BEAT.
(Vien qui, sciocco).
(lo tira in disparte)
NOT.
(Saccosta al letto di Ottavio)
BEAT.
(Sarebbe meglio che tu fossi morto, che non parleresti).
LEL.
(Oh bella! Se fossi morto, non prenderei moglie).
BEAT.
(Bella razza che tu farai!)
LEL.
(Vedrete che bei figliuoli! La signora Rosaura è bella, io son grazioso).
BEAT.
(Tu sei pazzo.
Eppure, non avendo altri figliuoli, ti voglio bene).
LEL.
(Quando andiamo a cena?)
NOT.
Ecco fatto.
Ecco la volontà del signor Ottavio; ascoltino, signori testimoni.
BEAT.
Posso sentire io?
NOT.
Saccomodi.
Il signor Ottavio Panzoni, sano per grazia del cielo di corpo e di mente...
pensando che luomo è mortale, ha fatto e fa il presente suo ultimo testamento nuncupativo, che dicesi sine scriptis...
LEL.
(Sine scriptis; nuncupativo: queste parole non le capisco) (da sé)
NOT.
Per la sua sepoltura, si rimette allinfrascritto suo erede universale.
LEL.
Che sarò io.
NOT.
Item, per ragion di legato...
BEAT.
Ha detto che non voleva fare legati Sentiamo listituzion dellerede.
NOT.
In tutti i suoi beni presenti e futuri, mobili, stabili e semoventi, azioni, ragioni, nomi di debitori, instituì ed instituisce, nominò e nomina il signor Florindo Panzoni, figlio suo legittimo e naturale...
BEAT.
Come!
NOT.
Non ha inteso? Il signor Florindo Panzoni.
BEAT.
Questa non è la volontà del signor Ottavio.
NOT.
Io le dico di sì, e se non lo crede, linterroghi.
BEAT.
Questo è un tradimento.
Il signor Ottavio ha instituito erede sua moglie, che sono io.
NOT.
Ed io le dico che ha instituito suo figlio.
Ecco i testimoni.
BEAT.
Testimoni falsi! Notaio mendace!
NOT.
Io dico la verità.
BEAT.
Voi dite il falso.
LEL.
Chi potrà decidere la questione?
OTT.
(Esce da piedi del letto) La deciderò io.
BEAT.
Oimè!
LEL.
Bravo! E viva; si è risanato.
(parte)
OTT.
Signora Beatrice, vi ringrazio del bene che mi volete.
BEAT.
Ah marito mio...
OTT.
Bugiarda.
SCENA DICIASSETTESIMA
CORALLINA e detti.
COR.
Alto, alto, signori miei; ora tocca a parlare a me.
Signora Beatrice, mi riconosce?
BEA.
Corallina? Oh cieli! Ah per amor del cielo, abbiate pietà di me.
COR.
Si ricorda di quella pettegola, di quella impertinente, di quella servaccia?
BEA.
Non mi tormentate di piú.
COR.
Si ricorda che ha fatto cacciar di casa il povero signor Florindo?
OTT.
Dovè mio figlio? Dovè il povero mio Florindo?...
COR.
Eccolo, signor padrone.
Eccolo, che vi domanda pietà.
SCENA DICIOTTESIMA
FLORINDO e detti.
FLOR.
Ah caro padre...
(singinocchia)
OTT.
Vieni.
Appressati a me, parte delle mie viscere e del mio sangue.
Tu sei il mio unico erede.
Signor notaio, domani si stipulerà il testamento; e voi, signora moglie bugiarda, signora vedova, che aspetta di piangere quando verranno le visite a condolersi, prima di piangere per la morte di questo vecchiaccio, piangerete la causa del vostro male, e leffetto dei vostri perfidi inganni.
BEAT.
Datemi la mia dote.
OTT.
Che dote!
BEAT.
Seimila scudi.
OTT.
Non è vero.
Ho sottoscritta una carta falsa, e la farò revocare.
SCENA DICIANNOVESIMA
PANTALONE, BRIGHELLA e detti.
PANT.
Sior Ottavio...
OTT.
Oh! signor Pantalone.
PANT.
La compatissa se intro con libertà.
Ho sentio tutto: quante copie ghe nali de sta carta de dota?
OTT.
Una sola.
Laveva io, e il diavolo poco fa mi ha indotto a mandarla alla signora Beatrice.
PANT.
Co ghe ne xe una sola, eccola qua.
La xe capitada in te le mie man, e fazzo cussì.
(la straccia)
BEAT.
Fermatevi...
PANT.
La carta xe revocada, e cussì me vendico delle so impertinenze.
(a Beatrice)
BEAT.
Oh maledetta fortuna!
OTT.
Come vi capitò quella carta? (a Pantalone)
BRIGH.
La me lha dada a mi, e mi lho dada al me padron.
OTT.
Ma io la consegnai al servitor del notaio.
BRIGH.
Ella mha tolto per el servidor del nodaro, e son servidor del sior Pantalon.
BEAT.
Tutti contro di me.
Signor notaio, i miei trenta zecchini.
NOT.
Non me li ha ella dati per parte del signor Ottavio?
BEAT.
Sono miei, e li voglio.
OTT.
So tutto, ho inteso tutto.
Signor notaio, sono miei, ed io ve li dono, in premio della vostra onestà.
NOT.
Sarete persuaso, che quel che ho fatto, lho fatto con una onesta finzione, consigliato e animato da Corallina.
COR.
Tutta opera mia, tutte invenzioni mie, tutta condotta mia, per illuminarvi una volta, per disingannarvi, per farvi conoscere la verità, per assistere un figlio oppresso, per soccorrere un padre assassinato, per correggere una matrigna ingrata.
OTT.
Ah Corallina mia, voi mi date la vita! Voi ora mi fate piangere per tenerezza.
COR.
Orsù: parliamo di cose allegre.
Signor padrone il buono piace a tutti.
Vi siete voi rimaritato? Ci vogliamo maritare anche noi.
Il signor Florindo ed io abbiamo bisogno di matrimonio, e ci raccomandiamo a voi, perché ci facciate generosamente il mezzano.
OTT.
Sì, cari, sì, venite qui.
Tutti due lo meritate.
Florindo, vien qui; vien qui, Corallina.
Non vi è rango, non vi è disparità.
Io vi congiungo, io mi contento.
Siete marito e moglie.
BEAT.
Ecco dove tendeano le mire di questa virtuosa eroina.
COR.
Oh che bei termini! Che bei concetti! Ammiro la sua intrepidezza.
Ella in mezzo alle sue disgrazie è spiritosa e brillante.
(a Beatrice, deridendola)
BEAT.
Ah, non ho più sofferenza...
(vuol partire)
COR.
Si fermi, e sarà meglio per lei.
(a Beatrice)
BEAT.
Come!
COR.
La supplico.
Il signor Ottavio mi vuole sposare al signor Florindo, ed io prima di farlo gli voglio dare la dote.
BEAT.
Che dote?
COR.
Ora lo vedrà.
Con sua licenza, gentildonna.
(parte)
BEAT.
Ed io soffrirò che minsulti, e voi lo soffrirete? Voi che tanto mi amaste? Non vi ricordate più di quelle tenerezze che provaste per me? Caro signor Ottavio, chi avrà cura di voi, chi vi assisterà il giorno, chi vi darà soccorso la notte? (ad Ottavio)
OTT.
Ah! Voi...
voi mi avete tradito.
SCENA ULTIMA
CORALLINA, ROSAURA e detti.
COR.
Signori miei, ecco la mia dote.
Ecco la signora Rosaura, chio presento al signor Florindo.
OTT.
Come!
COR.
Signor padrone, voi in premio della mia buona servitù, mi avete regalato il signor Florindo; il signor Florindo è mio, ne posso far quel chio voglio.
Lo posso vendere, impegnare e donare.
Io lo dono alla signora Rosaura, degna di lui per nascita, per facoltà, per costumi.
A me preme lonore della vostra casa, il bene di vostro figlio, la salvezza del mio decoro; e in questa maniera il padre sarà contento, il figlio sarà consolato, e la povera serva compatita ed amata.
PANT.
Sior Ottavio, se ve degnè de mia fia, sappiè che mi son contento.
OTT.
Adorabile Corallina...
COR.
Parliamo di cose allegre.
Sposini, siete voi contenti?
FLOR.
Io ne son contentissimo; amo la signora Rosaura; confesso che avrei a tutto preferito il debito che ho con voi, ma poiché, generosa mia Corallina...
COR.
Parliamo di cose allegre.
Signora Rosaura, lo fate di buon animo?
ROS.
Sì, cara Corallina, sapete voi la mia inclinazione.
A voi lho confidata.
Voi avete il merito daverla alimentata e resa felice.
Mio padre vi acconsente, il signor Ottavio lapprova, il signor Florindo mi ama, che più desiderare potrei al mondo? Sì, desidero unicamente poter a voi procurar quella ricompensa...
COR.
Sì signora, parliamo un poco di me.
È giusto, che ancor io sia contenta.
Ho bisogno di marito e di dote.
Il marito lo troverò io, la dote me la darà il signor Ottavio.
OTT.
Sì, volentieri.
Trova il marito.
COR.
Eccolo.
(accenna Brighella)
BRIGH.
Oh cara! (saccosta a Corallina)
OTT.
Ed io ti darò mille scudi.
Bastano? (a Corallina)
BRIGH.
Se i fusse do mille...
PANT.
Mille ghe ne farò mi de contradota.
FLOR.
E mille io...
COR.
Basta, basta, non tanta roba, non merito tanto.
BRIGH.
Lassè che i fazza.
(a Corallina)
BEAT.
Tutti allegri, ed io misera sono in pianto.
OTT.
Vostro danno: andate fuori di casa mia, senza nulla, come siete venuta.
BEAT.
Ah pazienza!
COR.
Caro signor Ottavio, la supplico di una grazia.
OTT.
Comandate, la mia cara Corallina.
COR.
Per salvezza del suo decoro, e giacché ha tanta bontà per me, si contenti di fare un assegnamento alla signora Beatrice, che possa vivere.
È ancor giovine, potrebbe fare degli spropositi.
OTT.
Via, in grazia vostra, le assegnerò dugento scudi lanno, ma fuori di casa mia.
BEAT.
Ah Corallina, voi mi fate arrossire...
COR.
Così mi vendico delle sue persecuzioni.
Io non ho mai avuto odio con lei, ma tutto ho fatto per il povero mio padrone.
Se non era io, sarebbe egli precipitato.
Lho soccorso, lho assistito, lho rimesso in casa e in grazia del padre.
Lho ammogliato decentemente, lho assicurato della sua eredità, lho liberato da suoi nemici.
Una serva amorosa cosa poteva mai far di più? Or vengano que saccenti, che dicon male delle donne; vengano que signori poeti, a cui pare di non potere avere applauso, se non ci tagliano i panni addosso.
Io li farò arrossire, e ciò faranno meglio di me tante e tante nobili virtuose donne, le quali superano gli uomini nelle virtù, e non arrivano mai a paragonarli nei vizi.
Viva il nostro sesso, e crepi colui che ne dice male.
Fine della Commedia
(1) S.
E.
la Sig.
Marchesa Donna Eleonora Bentivoglio d'Aragona Albergati, Ferrarese.
(2) La Signora Maddalena Marliani, Veneziana.
(3) Con chi gridava?
(4) Matrigne.
(5) Che si sia cangiata.
(6) Quando.
(7) Da padrone.
(8) Aglio.
(9) Malvagia brusca.
(10) Frase alquanto bizzarra, con cui si spiega di voler una cosa a dispetto di chi non vorrebbe.
(11) C'è?
(12) Si accarezzano.
(13) Nemmeno.
(14) Figlia, detto amorosamente, per gentilezza.
(15) Aseo vuol dire aceto.
Qui è lo stesso che capperi!
(16) Che possiate.
(17) Non si sveglia.
(18) Coperta collo zendale.
(19) Bazzica è un giuoco di carte; si dà tre carte per uno, e si dice aver bazzica, quando numerando i punti delle tre carte, non passano il numero nove.
(20) Si dice aver bazzicotto, quando le tre carte sono simili, o semplicemente, o coll'aiuto di un comodino, a che servono i quattro sette.
(21) Dice spropositi, e qui vuol dir il contratto di nozze.
(22) Vuol dire la scrittura di matrimonio.
(23) Vuol dire quella carta che ha posta nel canterale, cioè nell'armadio.
(24) Sproposito da Arlecchino.
(25) Vuol dire il contratto, la scrittura.
(26) Dice spropositi.
(27) Chi siete voi?
...
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