I MALCONTENTI, di Carlo Goldoni - pagina 1
Carlo Goldoni
I MALCONTENTI
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta
in Verona nell'Estate dell'anno 1755
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
GIOVANNI MURRAY
RESIDENTE PER SUA MAESTÀ BRITANNICA
PRESSO LA SERENISSIMA REPUBBLICA
DI VENEZIA
Prima che io mi determinassi a dedicare una mia Commedia a V.E., ci ho pensato moltissimo.
Conosco il genio della Nazione, conosco il vostro precisamente, e so che per l'originario costume, e per il vostro particolare sistema, solete abborrir quegli'incensi, che al vero merito giustamente si danno.
Non vorrei che da questa mia proposizione si avanzasse taluno a creder Voi nemico del vero merito, giudicando colla corrente del popolo inseparabili i segni estremi della venerazione dall'interna stima di un bene.
Anzi per lo contrario niuno più di Voi ama e conosce il merito, ed in se medesimo lo coltiva; ma coi principii della buona filosofia sostenete per massima che il vero merito debba esser contento di se medesimo.
Questo ragionevole pensamento non deriva soltanto da quella moderazione che nelle anime grandi tenta di porre un velo dinnanzi alle virtù luminose, ma il zelo stesso con cui codesto merito si sublima, consiglia gli uomini valorosi sottrarlo da quegli equivoci, che lo possono coll'adulazione adombrare.
Pur troppo vedesi tutto giorno ergere altari all'idolo della vanità; odesi frequentemente pur troppo confondere dall'interesse il merito coll'ignoranza, e colmare di finte lodi i prediletti della fortuna.
Un uomo saggio sdegna di accomunarsi con queste immagini pitturate; gli basta essere conosciuto da pochi, contento di poter soddisfare a se stesso.
Conosciuto adunque di V.
E.
il carattere, sperai potervi dare un testimonio della mia sincera venerazione, senza dir cosa che vi potesse spiacere.
Fondai maggiormente la mia speranza sul mio costume medesimo, nemico di quell'arte screditata e servile, con cui al suono di pompose laudi comprasi da taluno la protezione de' Mecenati.
L'unico pregio di cui mi vanto, è la semplice verità.
Niuno ha potuto di me dolersi ch'io l'abbia fatto arrossire, caricandolo di quegli encomi che sa di non meritare, o che abbia offesa la sua modestia, svelando quelle virtù che ama di coltivare nascostamente.
Questa rigorosa osservanza l'userò con Voi, più di quelli che con altri finora ho fatto.
Non farò parola del vero merito che possedete; non parlerò della vostra illustre Famiglia passata dalla Moravia in Iscozia sino dal primo secolo dell'Era Cristiana, imparentata col Regio sangue di più Sovrani Scozzesi, valorosa nell'armi e memorabile nei governi, ben che di questo potrei parlare senza sdegnarvi, non potendosi da Voi nascondere quelle verità luminose, che sono rese pubbliche dall'istoria.
Il grado che Voi sostenete di Regio Ministro in questa Eccelsa Repubblica, dimostra bastantemente che il Monarca Britannico apprezza, egualmente che il vostro sangue, il vostro esimio talento.
Queste sono cose assai note, ch'io posso dire liberamente, perché compariscono da per sé stesse agli occhi del pubblico, senza ch'io vi aggiunga parola.
Tacerò tutto quello che potrei dire di Voi medesimo.
I vostri amici vi conoscono bastantemente, senza che io mi affatichi per darvi loro a conoscere, e fuori dei vostri amici, Voi non curate di essere vanamente esaltato.
Supplito valorosamente alle vostre Regie incombenze, Voi amate di vivere tranquillamente in società piacevole, trattando con cuore aperto e sincero quelle persone che vi degnate di ammettere alla vostra amabile conversazione.
Io pure, per mia fortuna e per vostra parzialissima degnazione, ho l'onore talvolta di essere della vostra partita.
Le mie Commedie mi procacciarono questo bene; Voi vi compiaceste di loro, e voleste onorar me medesimo della vostra liberalissima protezione.
Ne riconosco il vantaggio, e spero di essere compatito, se procuro di profittarmene.
La vostra approvazione qualifica la mia intrapresa; Voi conoscete il gusto fino della Commedia; l'avete appreso dai buoni Autori, e quelli precisamente dell'Inghilterra vi hanno della forza comica illuminato.
Anch'io, quantunque ignaro di cotal lingua, coll'aiuto delle traduzioni migliori, ho studiato di profittare colle osservazioni più serie di tai valorosi Maestri, e tutta quella forza di politica e di morale che ho sparsa ne' scritti miei, è opera dell'imitazione studiata sugli originali dell'Inghilterra, Il vostro celebre Shakespeare, venerabile non meno sui Teatri Britannici, che presso le nazioni estere ancora, ha unito perfettamente in sé stesso la Tragica e la Comica facoltà.
Egli è alla testa degl'innumerabili Autori Inglesi che hanno illustrate le Scene, e al giorno d'oggi lo preferiscono a tutti gli altri.
Infatti nelle opere sue trovasi tale artificio nella condotta, tal verità nei caratteri, e tale robustezza nei sentimenti, che può servire di scuola a chiunque vuole intraprendere una sì faticosa carriera.
Egli non ha osservato nelle opere sue quella scrupolosa unità di tempo e di luogo, che mette in angustia la fantasia de' Poeti, seguendo in questo la libertà dei Spagnuoli, che malgrado anch'essi al precettore Aristotile, hanno empiuto per tanti secoli i loro Teatri di opere maravigliose, istruttive e piacevoli.
Per me tengo per sicurissimo, che Aristotile colla sua poetica, e Orazio suo imitatore, ci abbiano recato assai più danno che utile.
Prima di loro Euripide avea composto delle buone Tragedie colla traccia soltanto della ragione e del costume de' tempi suoi, e se non avessero gl'idolatrati maestri imposto il giogo servile alla posterità, sarebbesi l'ingegno dell'uomo da sé diretto nella mutazione de' secoli, a seconda del genio delle nazioni e dei costumi del Mondo.
Gl'Inglesi e gli Spagnuoli, com'io diceva, sciolti si sono dall'ingiurioso legame, e seriamente pensando non essere la Rappresentazione Teatrale se non se un'imitazione ragionevole delle azioni umane, o Tragiche, o Comiche, a tenore delle persone, o dell'argomento che prendesi a maneggiar dall'Autore, si mantennero in libertà di dilatare l'azione al tempo necessario all'intiera consumazione de' fatti storici, o favolosi, e si valsero della mutazion delle Scene alla condotta loro opportune.
È ridicola la ragione di quelli che sostengono necessaria l'unità del tempo e del luogo: dicon essi non essere verisimile che si consumi in tre ore l'orditura di un fatto, al di cui compimento furono necessari degli anni, ed essere altresì contro i precetti della verosimiglianza far passar l'uditore da una camera ad una piazza, dalla città alla campagna, e da un paese ad un altro.
Se i spettatori di una Tragedia, o di una Commedia, presumessero di vedere in Teatro il verisimile perfettamente eseguito, partirebbero malcontenti da qualunque scenica Rappresentazione, poiché per quanto l'arte s'ingegni d ingannare chi ascolta, non sarà mai vero che nel periodo di tre ore possano accadere quei fatti che sul Teatro si rappresentano, e che in un luogo solo possano combinarsi tante azioni diverse.
Aristotile istesso accorda che in tre ore di tempo si possano raffigurare dei fatti possibili in un giro di sole, e perché dunque non si potranno raffigurare quelli di un anno, di un lustro, e dell'età di un uomo se occorre? Se necessaria è l'immaginazione dell'uomo per appagarsi dell'apparenza, codesta immaginazione può estendersi senza misura, e il verisimile che vanamente si cerca nell'angustia del tempo, nella ristrettezza del luogo, basterebbe si riconoscesse nei caratteri, nelle passioni e nella combinazione artifiziosa degli accidenti.
Ma pur troppo si veggono questi rigorosi seguaci di Orazio e di Aristotile osservare con stento i precetti delle unità, e trascurare le regole della ragione dettate dalla natura, ed approvate dall'universale dei popoli.
Ecco il perché (Signore) ho io nella presente Commedia introdotto per episodio un giovane male iniziato in quest'arte.
Volendo egli, per segnalarsi, imitare il celeberrimo Shakespeare, senza averlo prima studiato bene, e senza quei principii di natura che sono al Comico necessari, non può riuscire che una ridicola caricatura.
Mi sono valso altresì di una simile congiuntura, per render pubblica la mia venerazione inverso un così rispettabile Autore, e rendere il di lui nome palese a chi per avventura non lo avesse ancor conosciuto.
Posto ch'io mi era determinato di dedicare all'E.
V.
una mia Commedia, parvemi che toccar dovesse una tal fortuna a questa precisamente, che di un vostro compatriota ragiona, e spero che in grazia sua mi accorderete quella protezione che io non merito, e di potermi dire ossequiosamente
Di V.E.
Umiliss.
Devotiss.
Obblig.
Servidore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Questa Commedia si è una sol volta recitata in Verona, e dopo non si è più altrove rappresentata.
Eppure l'argomento de' Malcontenti potrebbe essere utile molto alla società, prendendo di mira un pregiudizio che tanto si è dilatato.
Il villeggiare, che fu introdotto per l'utile e per il comodo de' Cittadini, è arrivato oggidì all'eccesso del lusso, del dispendio e dell'incomoda soggezione.
E quali conseguenze poi ne derivano? Lettori umanissimi, una parte di queste nella mia Commedia vengono rimarcate.
A questo solo fine l'ho io formata, e molto da essa mi volea compromettere; ma il destino non ha voluto che fosse in Venezia rappresentata, mancati improvvisamente due Personaggi, ai quali addossate erano le prime parti.
Se taluno s'immaginasse che col Personaggio di Grisologo avessi avuto animo di criticar qualcheduno, protesto che certamente s'inganna; ho troppo rispetto per tutti quelli che scrivono, e molto più per chi ha dato saggio per molti anni del suo talento.
Il mio Grisologo è un principiante che vuol imitare un Poeta Inglese, locché a' dì nostri non si verifica di nessuno di quelli che conosciamo.
Lo dico, perché pur troppo dilettasi il Mondo far scena sopra di noi che al pubblico ci esponiamo, e Dio mi guardi dal fare ad altri quello che non vorrei che fosse fatto a me stesso.
PERSONAGGI
POLICASTRO vecchio dappoco
GERONIMO di lui fratello
FELICITA figliuola del signor Policastro
GRISOLOGO figliuolo del signor Policastro
LEONIDE fanciulla da marito
RIDOLFO fratello della signora Leonide
MARIO
ROCCOLINO
GRILLETTA cameriera della signora Felicita
CRICCA servitore
Un SARTO
Un PROCURATORE
Un SERVITORE di casa del signor Geronimo
Un Servitore del signor Roccolino, che non parla
La Scena si rappresenta in Milano.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa della signora Felicita.
La signora FELICITA e GRILLETTA
FELIC.
Lasciatemi stare, Grilletta; sono arrabbiata quanto mai posso essere.
GRILL.
Questo è fuori del solito; ella suol essere pazientissima per costume, ed ora per così poco vuol dar nelle smanie?
FELIC.
Ma se mi ci tirano per i capelli! Mi tocca fare una vita la più sciagurata di questo mondo.
Ecco qui, ora siamo all'autunno.
Tutti vanno in campagna, ed a me tocca star qui.
GRILL.
Le piace tanto l'aria di villa? So pure che una volta diceva il di lei zio voler trasportare l'abitazione quotidiana della famiglia in villa, ed ella si pose a piangere per paura che lo facesse.
FELIC.
Certo, che per sempre in villa non ci starei; ma a' suoi tempi, quando la stagion lo richiede, quando ci vanno gli altri, piacerebbe anche a me di potervi andare.
Star in villa quando non c'è nessuno, è cosa da pazzi: ma in tempo d'autunno, in tempo che vi è tanto mondo, tanta conversazione, è una cosa deliziosissima.
Ci andava una volta, quando viveva la povera signora madre.
Sono tre anni che non si va più; e quando siamo da questi giorni, quando sento persone che vanno in villa, mi salgono i fumi al capo, mi si destano le convulsioni.
GRILL.
Credo appunto, che oggi o domani vadano a villeggiare anche questi signori che abitano sopra di noi.
...
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