I DUE GEMELLI VENEZIANI, di Carlo Goldoni - pagina 1
I DUE GEMELLI VENEZIANI
di Carlo Goldoni
ANTONIO CONDULMER
PATRIZIO VENETO
E SENATORE AMPLISSIMO
Era in concetto di scandaloso il Comico Teatro, e sebbene sin dal principio che mi diedi a scriver Commedie, mi fossi già posto in animo di voler sopratutto la modestia osservare, pur tuttavia mi affliggeva internamente il dolore di vedere il Mondo così malamente preoccupato, e non mi lasciava in pace il timore d'esser posto a fascio cogli altri tutti; per la qual cosa, nell'atto stesso che il genio comico a sé mi rapiva, sentivami dal zelo della mia propria riputazione tirar addietro.
Ma quando ho veduto che le persone nobili, di dottrina, di senno, di esemplari costumi e di grado cospicuo, hanno creduto degno di sé l'onesto divertimento delle mie Commedie, e frequentar pressoché tutte le sere il Teatro nel qual recitavansi, allora fu che ho preso animo e lena, e che, liberatomi da ogni sorta di scrupolo, mi sono intieramente, e con animo quieto e tranquillo, alla intrapresa mia professione abbandonato.
È indicibile la consolazione ch'io ho avuto, quando venni a sapere che V.
E., Cavaliere tanto pio, tanto saggio, onorava sovente le mie Commedie.
Erami nota per fama la virtù grande di V.
E., la quale per lo innanzi tollerar non sapeva in verun conto le sciocche e molto meno scostumate sceniche Rappresentazioni, per la qual cosa o di rado, o non mai, soleva intervenirvi; onde veggendo con quanta bontà, con quanto generoso compiacimento favoriva le mie, non solo le riputai fortunate, ma giunsi a crederle qualche cosa di buono.
So che V.
E., per naturale soavissima benignità, tutto sa compatire, tutto aggradir si compiace, ma ciò può verificarsi negli Uomini in quelle cose le quali si trovano essi per una tal quale necessità come costretti a soffrire, non già in quelle che liberamente si eleggono.
Lo deggio dire, e lo dirò a mia gloria, la di lei presenza, la di lei benignissima approvazione, mi ha dato spirito, Mi ha somministrato valore e coraggio, e scrivendo alcuna Commedia, il solo pensiero che dovesse ella servir di spettacolo anche all'E.
V., mi metteva in dovere di esaminarla con maggior diligenza e di renderla, per quanto mi fosse possibile, castigata e corretta.
V.
E., dopo di essersi dichiarata Protettore umanissimo delle mie Commedie, degnossi benignamente di manifestarsi anche Protettore della mia stessa persona; e questo è il grand'obbligo che avrò sempre al Teatro, d'essermi per tal mezzo acquistato il patrocinio di un Cavaliere rispettabile per la sua Nobiltà, per il suo Grado, e ammirabile per tante belle virtù che lo adornano.
Un libro di Commedie non è luogo veramente adattato per esaltare le glorie di una Famiglia sì illustre, di un Senatore sì ragguardevole.
Adoro il Sacro Triregno, venero le Mitre che hanno accresciuti i fregi al vostro antichissimo nobil Casato; applaudisco all'affetto distinto e ben giusto, che in ogni tempo ha manifestata la gloriosa vostra Serenissima Patria verso i chiari vostri Progenitori, ornandoli de' più luminosi fregi ond'ella suol contrassegnar e premiar il merito de' Figli suoi valorosi; e con mio sommo compiacimento lo veggo continuato ne' dignissimi Senatori Vostri Fratelli, e in Voi medesimo, meritamente quant'altro mai esser lo possa, collocato fra i Padri Coscritti di quell'augusto Senato.
Ma altri di me più valenti Scrittori decantino codeste glorie, che largo campo avranno di spaziare per esse, quando la vostra modestia si accomodi a prestar loro l'orecchio; io, contentandomi di ammirar con silenzio e le grandezze della vostra Famiglia, e tante vostre personali pregevolissime virtù, non posso a meno di non far parola di quella singolar umanità, che vi rende così liberale verso i poveri, così affabile verso gli inferiori, così adorabile a tutti; effetti questi non solo d'indole naturalmente benigna, ma di quella Cristianità di massime e di costumi, che vi rende affatto in tutte le vostre azioni ammirabile.
Crederò che del molto che potrei dirne, il poco che ho detto possa bastare ad eccitar in altri l'emulazione di così rare prerogative; ma non lo sia per dimostrare al mondo ch'io vaglia a conoscerne tutto il pregio, sebben ne sperimenti tutto l'effetto.
Ora che altro potrei mai fare io miserabil che sono, per dare una pubblica testimonianza dell'umilissima mia riconoscenza per le tante grazie da V.
E.
ricevute, e per il solenne benefizio dell'autorevole vostra protezione impartita a me e alle cose mie, sennon offerirvi una delle Commedie, che mi si è voluto far dare alle stampe?
Una Commedia a un Cavaliere sì grande è dono, a dir vero, troppo sproporzionato.
Io lo conosco; ma se l'accompagnarla coll'offerta di un umilissimo cuore può di qualche grado accrescerne il prezzo, eccolo riverentemente a V.
E.
consagrato, insieme con questa mia Commedia dei Due Gemelli, che mi prendo l'ardire di dedicarvi.
Degnatevi di benignamente aggradirlo, mentr'egli perfettamente conosce che niuna cosa lo può render felice, più che la benignissima protezione di V.
E.
a cui profondamente m'inchino.
Di V.
E.
Mantova, li Giugno 1750.
Umiliss.
Devotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
Convien dire che io ami la Patria mia veramente, poiché, lontano da essa, tre anni dopo ch'io n'era partito, dovendo scrivere una Commedia, sul gusto della mia Nazione ho voluto scriverla.
In mezzo alla Toscana, in Pisa, dove la professione legale mi obbligava a parlare almeno nei Tribunali, comecché sia, la lingua Tosca, non mi sono dimenticato del mio dolce nativo linguaggio, e poiché non mi riusciva di poterlo continuamente parlare, mi ricreavo scrivendolo di quando in quando.
Dopo la Commedia della Donna di garbo, tre anni stetti in trattenimento con Bartolo, Baldo, il Farinaccio, il Claro, ecc.
senza più addimesticarmi con la Comica Musa.
Ma finalmente la lusinghiera che ella è, ha saputo tirarmi a sé nuovamente, e frutto fu della riaperta pratica nostra la Commedia dei Due Gemelli, da me scritta in quel tempo pel valorosissimo Cesare d'Arbes, che solito a recitare colla maschera di Pantalone, sostenne questa mirabilmente a viso scoperto.
Quella di Plauto, intitolata i Menecmi, è la fonte universale donde tutti gli altri, che vennero poi, cavaron le loro.
L'illustre Gio.
Giorgio Trissino vicentino, gloria e splendor della Italia, per aver egli condotto il primo a calcare le nostre Scene il tragico coturno colla famosa sua Sofonisba, ha voluto ricondurvi anche il socco, trattando questo stesso argomento nella Commedia de' Simillimi, nella quale imitò il gran latino scrittore, come se ne dichiara egli stesso al Cardinal Farnese scrivendo: laonde, dic'egli, avendo tolto una festiva invenzione da Plauto, vi ho mutati nomi, ed aggiuntevi persone, ed in qualche parte cambiato l'ordine, ed appresso introdottovi il Coro, e così avendola al modo mio racconcia, voglio mandarla con questo abito nuovo in luce.
Molto più del Trissino attaccato stette al maestro il facetissimo Firenzuola, che nella sua bella Commedia de' Lucidi espresse appuntino di scena in iscena i sentimenti tutti e pensieri di Plauto, conservando della Commedia antica persino l'ordine stesso, cosicché se cambiati non vi avesse egli i nomi degli attori, e non vi avesse aggiunto un personaggio in carattere di servo, ed adornatala in alcuni luoghi di giocondi sali e motti equivoci, la si potrebbe piuttosto denominare una semplice traduzione de' Menecmi di Plauto, di quel che sia una nuova produzione del lepidissimo Fiorentino scrittore, il quale in qualche modo lo confessa nella licenza, con queste parole: Spettatori, non vi partite ancora.
Stentate un poco, di grazia, che or ne viene il buono.
La Commedia non è fornita, che i nostri Lucidi si voglion portare più da gentiluomini che i Menecmi di Plauto, e mostrare ch'egli hanno avuto molto miglior coscienza i giovani del dì d'oggi, che quelli del tempo antico, ecc.
Dopo di così illustri Scrittori dell'aureo secolo decimosesto, altri vari Italiani trattaron lo stesso soggetto nel susseguente; ed introducendo due somigliantissimi Gemelli, piantaron su questa perfetta rassomiglianza la loro azione, diversificandola da quella di Plauto bensì con vari accidenti ed equivoci; ma finalmente il fondo fu sempre lo stesso.
Ne ho veduta una di Bernardino d'Azzi Aretino, intitolata le Due Francesche, stampata in Siena l'anno 1603.
Altre due ne ho pur vedute del famoso Gio.
Battista Andreini Fiorentino, tra' comici detto Lelio, la prima stampata in Venezia nel 1620, e nominata la Turca; l'altra stampata in Parigi nel 1622, chiamata i Due Leli simili.
Nelle quali tutte non è sennon variamente barattato il sesso tra i simili, dacché ne procede varietà di accidenti e di episodi.
Nei tempi a noi più vicini, qual uso poi non è stato fatto sulle nostre scene di questo argomento, e a' nostri giorni medesimi? Dopo quella bellissima delle due Gemelle di Niccolò Amenta, si può quasi asserire non esservi accreditato Comico, il quale non abbia voluto dar saggi del proprio ingegno su questo soggetto; e se molti riusciron con lode, accadde anche sovente che impastricciandosi da' Comici molte di esse Commedie insieme, ne furon formati dei mostri.
Alcuni non si contentaron di introdurre una coppia di gemelli, che ne introdusser due coppie: quindi a' nostri tempi si videro in una istessa Commedia due Leandri fratelli, e due Eularie sorelle simili; in un'altra due fratelli padroni simili e due fratelli servi simili, e si rappresenta ancora una Commedia intitolata i Quattro simili di Plauto, che certamente non si sarebbe mai sognato di farla quel grand'Autore.
Ho voluto farvi questa leggenda, perché veggiate che io so benissimo quanto rancido è l'argomento della mia Commedia presente, e da quante diverse mani è stato trattato.
Potete però coll'incontro delle Commedie allegatevi assicurarvi, che poco mi sono approfittato dell'altrui invenzioni.
Io ho creduto di poter inalzare sul fondamento vecchio una fabbrica affatto nuova, e ciò mi venne in mente sull'osservazione da me fatta che in tutte le antiche pariglie i due Gemelli, oltre al doversi supporre somigliantissimi in tutto l'estrinseco della persona, il che è pur nella mia, sono rappresentati eziandio d'un somigliantissimo carattere, o certamente non guari diverso.
Mi son però voluto provare a farli di carattere affatto differenti l'uno dall'altro, e dar loro nomi distinti.
L'impresa mi venne agevolata dalla certa scienza ch'io aveva della straordinaria abilità del bravo Comico Cesare d'Arbes, nel fare il diverso Personaggio dello spiritoso e dello sciocco; ed ecco quel che mi ha condotto a scrivere questa Commedia.
Se io abbia colto nel punto propostomi, tocca a' Lettori il deciderlo.
Una cosa mi è certamente riuscita in questa Commedia, che non so a qual altro Comico Poeta sia mai riuscita.
Per ben condurre al suo termine la mia azione, mi è convenuto far morire in iscena uno de' due Gemelli, e la di lui morte, che difficilmente tollerata sarebbe in una Tragedia, non che in una Commedia, in questa mia non reca all'uditore tristezza alcuna; ma lo diverte per la sciocchezza ridicola, con cui va morendo il povero sventurato.
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