[Pagina precedente]...ione, cioè equedistante dalla dipinta superficie. Ma poi che molte superficie si truovano non equedistanti, conviensi di queste avere diligente investigazione, acciò che tutta la ragione della intersegazione sia manifesta. Sarebbe cosa lunga, difficile e oscura in queste intersegazione di triangoli e di pirramide seguire ogni cosa con la regola de' matematici. Seguiremo dicendo pure come pittore.
17. Recitiamo delle quantità non equedistanti brevissime, quali conosciute, facile conosceremo le superficie non equedistante. Delle quantità non equedistante alcune sono ad i razzi visivi collineari, altre sono ad alcuni razzi visivi equedistanti. Le quantità ad i razzi visivi collineari, perché non fanno triangolo né occupano numero di razzi, adunque niuno luogo hanno alla intersegazione. Ma le quantità ad i razzi visivi equedistanti, quanto l'angolo quale è maggiore nel triangolo alla base sarà più ottuso, tanto quella quantità meno occuperà dei razzi e per questo alla intersegazione meno spazio. Dicemmo a torno coprirsi la superficie dalle quantità ; ma ove non raro avviene che in una superficie sarà qualche quantità equedistante dalla intersegazione, quella così fatta quantità certo nella pittura farà niuna alterazione. Quelle vero quantità non equedistante, quanto aranno l'angolo alla base maggiore, tanto più faranno alterazione.
18. E conviensi a queste dette cose agiugnere quella oppinione de' filosafi, e' quali affermano, se il cielo, le stelle, il mare e i monti, e tutti gli animali e tutti i corpi divenissono, così volendo Iddio, la metà minori, sarebbe che a noi nulla parrebbe da parte alcuna diminuta. Imperò che grande, picciolo, lungo, brieve, alto, basso, largo, stretto, chiaro, oscuro, luminoso, tenebroso, e ogni simile cosa, quale perché può essere e non essere agiunta alle cose, però quelle sogliono i filosafi appellarle accidenti, sono sì fatte che ogni loro cognizione si fa per comperazione. Disse Virgilio Enea vedersi sopra gli uomini tutte le spalle, quale posto presso a Polifemo parrebbe uno piccinacolo. Niso e Eurialo furono bellissimi, quali comparati a Ganimede ratto dagli iddii, forse parrebbono sozzi. Appresso degl'Ispani molte fanciulle paiono biancose, che appresso a' Germani sarebbono fusche e brune. L'avorio e l'argento sono bianchi, quali posti presso al cigno o alla neve parrebbono palidi. Per questa ragione nella pittura paiono cose splendidissime ove sia quivi buona proporzione di bianco a nero, simile a quella sia nelle cose dal luminoso all'ombroso. Così queste cose tutte si conoscono per comperazione. In sé tiene questa forza la comperazione, che subito dimostra in le cose qual sia più, qual meno o equale. Onde si dice grande quello che sia maggiore che questo picciolo, e grandissimo quello che sia maggiore che questo grande; lucido qual sia più chiaro che questo oscuro, lucidissimo quale sia più chiaro che questo chiaro. E fassi comperazione in prima alle cose molto notissime. E dove a noi sia l'uomo fra tutte le cose notissimo, forse Protagora, dicendo che l'uomo era modo e misura di tutte le cose, intendea che tutti gli accidenti delle cose, comparati fra gli accidenti dell'uomo si conoscessero. Questo che io dico appartiene a dare ad intendere che, quanto bene i piccioli corpi sieno dipinti nella pittura, questi parranno grandi e piccioli a comparazione di quale ivi sia dipinto uomo. E parmi che Timantes pittore fra gli altri antiqui gustasse questa forza di comparazione, il quale in una picciola tavoletta dipingendo uno Ciclope gigante adormentato, fece ivi alcuni satiri iddii quali a lui misuravano il dito grosso, tale che comparando colui che giacea a questi satiri parea grandissimo.
19. Persino a qui dicemmo tutto quanto apartenga alla forza del vedere, e quanto s'apartenga alla intersegazione. Ma poi che non solo giova sapere che cosa sia intersegazione, ma conviene al pittore sapere intersegare, di ciò diremo. Qui solo, lassato l'altre cose, dirò quello fo io quando dipingo.
Principio, dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto; e quivi ditermino quanto mi piaccino nella mia pittura uomini grandi; e divido la lunghezza di questo uomo in tre parti, quali a me ciascuna sia proporzionale a quella misura si chiama braccio, però che commisurando uno comune uomo si vede essere quasi braccia tre; e con queste braccia segno la linea di sotto qual giace nel quadrangolo in tante parti quanto ne riceva; ed èmmi questa linea medesima proporzionale a quella ultima quantità quale prima mi si traversò inanzi. Poi dentro a questo quadrangolo, dove a me paia, fermo uno punto il quale occupi quello luogo dove il razzo centrico ferisce, e per questo il chiamo punto centrico. Sarà bene posto questo punto alto dalla linea che sotto giace nel quadrangolo non più che sia l'altezza dell'uomo quale ivi io abbia a dipignere, però che così e chi vede e le dipinte cose vedute paiono medesimo in suo uno piano. Adunque posto il punto centrico, come dissi, segno diritte linee da esso a ciascuna divisione posta nella linea del quadrangolo che giace, quali segnate linee a me dimostrino in che modo, quasi persino in infinito, ciascuna traversa quantità segua alterandosi. Qui sarebbono alcuni i quali segnerebbono una linea a traverso equedistante dalla linea che giace nel quadrangolo, e quella distanza, quale ora fusse tra queste due linee, dividerebbono in tre parti; e presone le due, a tanta distanza sopracignerebbono un'altra linea, e così a questa agiugnerebbono un'altra e poi un'altra, sempre così misurando che quello spazio diviso in tre, qual fusse tra la prima e la seconda, sempre una parte avanzi lo spazio che sia fra la seconda e la terza; e così seguendo farebbe che sempre sarebbono li spazi superbipartienti, come dicono i matematici, ad i suoi seguenti. Questi forse così farebbono, quali bene che seguissero a loro ditto buona via
da dipignere, pure dico errerebbono; però che ponendo la prima linea a caso, benché l'altre seguano a ragione, non però sanno ove sia certo luogo alla cuspide della pirramide visiva, onde loro succedono errori alla pittura non piccioli. Aggiugni a questo quanto la loro ragione sia viziosa, ove il punto centrico sia più alto o più basso che la lunghezza del dipinto uomo. E sappi che cosa niuna dipinta mai parrà pari alle vere, dove non sia certa distanza a vederle. Ma di questo diremone sue ragioni, se mai scriveremo di quelle dimostrazioni quali, fatte da noi, gli amici, veggendole e maravigliandosi, chiamavano miracoli. Ivi ciò che sino a qui dissi molto s'apartiene. Adunque torniamo al nostro proposito.
20. Trovai adunque io questo modo ottimo così in tutte le cose seguendo quanto dissi, ponendo il punto centrico, traendo indi linee alle divisioni della giacente linea del quadrangolo. Ma nelle quantità trasverse, come l'una seguiti l'altra così conosco. Prendo uno picciolo spazio nel quale scrivo una diritta linea, e questa divido in simile parte in quale divisi la linea che giace nel quadrangolo. Poi pongo di sopra uno punto alto da questa linea quanto nel quadrangolo posi el punto centrico alto dalla linea che giace nel quadrangolo, e da questo punto tiro linee a ciascuna divisione segnata in quella prima linea. Poi constituisco quanto io voglia distanza dall'occhio alla pittura, e ivi segno, quanto dicono i matematici, una perpendiculare linea tagliando qualunque truovi linea. Dicesi linea perpendiculare quella linea dritta, quale tagliando un'altra linea diritta fa appresso di sé di qua e di qua angoli retti. Questa così perpendiculare linea dove dall'altra sarà tagliata, così mi darà la successione di tutte le trasverse quantità . E a questo modo mi truovo descritto tutti e' paraleli, cioè le braccia quadrate del pavimento nella dipintura, quali quanto sieno dirittamente descritti a me ne sarà indizio se una medesima ritta linea continoverà diamitro di più quadrangoli descritti alla pittura. Dicono i matematici diamitro d'uno quadrangolo quella retta linea da uno angolo ad un altro angolo, quale divida in due parti il quadrangolo per modo che d'uno quadrangolo solo sia due triangoli. Fatto questo, io descrivo nel quadrangolo della pittura attraverso una dritta linea dalle inferiori equedistante, quale dall'uno lato all'altro passando
super 'l centrico punto divida il quadrangolo. Questa linea a me tiene uno termine quale niuna veduta quantità , non più alta che l'occhio che vede, può sopragiudicare. E questa, perché passa per 'l punto centrico, dicasi linea centrica. Di qui interviene che gli uomini dipinti posti nell'ultimo braccio quadro della dipintura sono minori che gli altri. Qual cosa così essere, la natura medesima a noi dimostra. Veggiamo ne' tempî i capi degli uomini quasi tutti ad una quantità , ma i piedi de' più lontani quasi corrispondere ad i ginocchi de' più presso.
21. Ma questa ragione di dividere il pavimento s'apartiene a quella parte quale al suo luogo chiameremo composizione. E sono tali che io dubito sì per la novità della matera, sì
etiam per questa brevità del nostro comentare, sarà non molto forse intesa da chi leggerà . E quanto sia difficile veggasi nell'opere degli antiqui scultori e pittori. Forse perché era oscura, loro fu ascosa e incognita. Appena vedrai alcuna storia antiqua attamente composta.
22. Da me sino a qui sono dette cose utili ma brieve e, come estimo, non in tutto oscure. Ma bene intendo quali sieno che, dove in esse io posso acquistare laude niuna di eloquenza, ivi ancora chi non le comprende al primo aspetto, costui appena mai con quanta sia fatica le apprenderà . Ma ad i sottili ingegni e atti alla pittura queste nostre cose in qualunque modo dette saranno facili e bellissime; e a chi altri sia rozzo e da natura poco dato a queste arti nobilissime, saranno queste cose, benché da eloquentissimi scritte, ingrate. Da noi forse perché sono sanza eloquenza scritte, si leggeranno con fastidio. Ma priego mi perdonino, se dove io in prima volli essere inteso, ebbi riguardo a fare il nostro dire chiaro molto più che ornato. Quello che seguirà , credo, sarà meno tedioso a chi leggerà .
23. Dicemmo de' triangoli, della pirramide, della intercesione quanto parea da dire; quale cose, mia usanza, soglio appresso de' miei amici prolisso con certe dimostrazioni ieometrice esplicare, quali in questi comentari per brevità mi parve da lassare. Qui solo raccontai i primi dirozzamenti dell'arte, e per questo così li chiamo dirozzamenti, quali ad i pittori non eruditi dieno i primi fondamenti a ben dipignere. Ma sono sì fatti che chi bene li conoscerà , costui come allo ingegno, così a conoscere la difinizione della pittura intenderà quanto li giovi. Né sia chi dubiti quanto mai sarà buono alcuno pittore colui, il quale non molto intenda qualunque cosa si sforzi di fare. Indarno si tira l'arco ove non hai da dirizzare la saetta. E voglio sia persuaso apresso di noi che solo colui sarà ottimo artefice, el quale arà imparato conoscere gli orli delle superficie e ogni sua qualità . Così contrario mai sarà buon artefice chi non sarà diligentissimo a conoscere quanto abbiamo sino a qui detto.
24. Furono adunque cose necessarie queste intersegazioni e superficie. Seguita ad istituire il pittore in che modo possa seguire colla mano quanto arà coll'ingegno compreso.
LIBRO SECONDO
25. Ma perché forse questo imparare ad i giovani può parere cosa faticosa, parmi qui da dimostrare quanto la pittura sia non indegna da consumarvi ogni nostra opera e studio. Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell'amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell'artefice e con molta voluttà si riconoscono. Dice Plutarco, Cassandro uno de' capitani di Allessandro, perché vide l'immagine d'Allessandro re tremò con tutto il corpo; Agesilao Lacedemo...
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