[Pagina precedente]...prestezza di fare, congiunta con diligenza, quale a noi non dia fastidio o tedio lavorando, e fuggiremo quella cupidità di finire le cose quale ci facci abboracciare il lavoro. E qualche volta si conviene interlassare la fatica del lavorare ricreando l'animo. Né giova fare come alcuni, intraprendere più opere cominciando oggi questa e domani quest'altra, e così lassarle non perfette, ma qual pigli opera, questa renderla da ogni parte compiuta. Fu uno a cui Appelles rispose, quando li mostrava una sua dipintura, dicendo: «oggi feci questo»; disseli: «non me ne maraviglio se bene avessi più altre simili fatte». Vidi io alcuni pittori, scultori, ancora rettorici e poeti, - se in questa età si truovano rettorici o poeti, - con ardentissimo studio darsi a qualche opera, poi freddato quello ardore d'ingegno, lassano l'opera cominciata e rozza e con nuova cupidità si danno a nuove cose. Io certo vitupero così fatti uomini, però che qualunque vuole le sue cose essere, a chi dopo viene, grate e acette, conviene prima bene pensi quello che egli ha a fare, e poi con molta diligenza il renda bene perfetto. Né in poche cose più si pregia la diligenza che l'ingegno; ma conviensi fuggire quella decimaggine di coloro, i quali volendo ad ogni cosa manchi ogni vizio e tutto essere troppo pulito, prima in loro mani diventa l'opera vecchia e sucida che finita. Biasimavano gli antiqui Protogene pittore che non sapesse levare la mano d'in sulla tavola. Meritamente questo, però che, benché si convenga sforzare, quanto in noi sia ingegno, che le cose con nostra diligenza sieno ben fatte, pure volere in tutte le cose più che a te non sia possibile, mi pare atto di pertinace e bizzarro, non d'uomo diligente.
62. Adunque alle cose si dia diligenza moderata, e abbisi consiglio degli amici, e dipignendo s'apra a chiunque viene e odasi ciascuno. L'opera del pittore cerca essere grata a tutta la moltitudine. Adunque non si spregi il giudicio e sentenza della moltitudine, quando ancora sia licito satisfare a loro oppenione. Dicono che Appelles, nascoso drieto alla tavola, acciò che ciascuno potesse più libero biasimarlo e lui più onesto udirlo, udiva quanto ciascuno biasimava o lodava. Così io voglio i nostri pittori apertamente domandino o odano ciascuno quello che giudichi, e gioveralli questo ad acquistar grazia. Niuno si truova il quale non estimi onore porre sua sentenza nella fatica altrui. E ancora poco mi pare da dubitare che gli invidi e detrattori nuocano alle lode del pittore. Sempre fu al pittore ogni sua lode palese, e sono alle sue lode testimoni cose quale bene arà dipinte. Adunque oda ciascuno, e imprima tutto bene pensi e bene seco gastighi; e quando arà udito ciascuno, creda ai più periti.
63. Ebbi da dire queste cose della pittura, quali se sono commode e utili a' pittori, solo questo domando in premio delle mie fatiche, che nelle sue istorie dipingano il viso mio, acciò dimostrino sé essere grati e me essere stato studioso dell'arte. E se meno satisfeci alle loro aspettazioni, non però vituperino me se ebbi animo traprendere matera sì grande. E se il nostro ingegno non ha potuto finire quello che fu laude tentare, pure solo il volere ne' grandi e difficili fatti suole essere lode. Forse dopo me sarà chi emenderà e' nostri scritti errori, e in questa dignissima e prestantissima arte saranno più che noi in aiuto e utile ad i pittori, quale io, - se mai alcuno sarà , - priego e molto ripriego piglino questa fatica con animo lieto e pronto in quale essercitino suo ingegno e rendano questa arte nobilissima ben governata. Noi però ci reputeremo a voluttà primi aver presa questa palma d'avere ardito commendare alle lettere questa arte sottilissima e nobilissima. In quale impresa difficilissima se poco abbiamo potuto satisfare alla espettazione di chi ci ha letto, incolpino la natura non meno che noi, quale impose questa legge alle cose, che niuna si truovi arte quale non abbia avuto suoi inizi da cose mendose: nulla si truova insieme nato e perfetto. Chi noi seguirà , se forse sarà alcuno di studio e d'ingegno più prestante che noi, costui, quanto mi stimo, farà la pittura assoluta e perfetta.
(1) È questa la traduzione, fatta dallo stesso Leon Battista Alberti nel 1436, del testo latino scritto l'anno precedente. [nota per l'edizione elettronica Manuzio]