[Pagina precedente]...bbia, e fanno quanto si dice quella pirramide visiva. Adunque mi pare da dire che cosa sia pirramide, e a che modo sia da questi razzi construtta. Noi la discriveremo a nostro modo. La pirramide sarà figura d'uno corpo dalla cui base tutte le linee diritte tirate su terminano ad uno solo punto. La basa di questa pirramide sarà una superficie che si vede. I lati della pirramide sono quelli razzi i quali io chiamai estrinsici. La cuspide, cioè la punta della pirramide, sta drento all'occhio quivi dov'è l'angulo delle quantità . Sino a qui dicemmo dei razzi estrinsici dai quali sia conceputa la pirramide, e parmi provato quanto differenzi una più che un'altra distanza tra l'occhio e quello che si vegga. Seguita a dire dei razzi mediani quali sono quella moltitudine nella pirramide dentro ai razzi estrinsici; e questi fanno quanto si dice il cameleone, animale che piglia d'ogni a sé prossima cosa colore, imperò che da dove toccano le superficie perfino all'occhio, così pigliano colori e lume qual sia alla superficie, che dovunque li rompesse, per tutto li troveresti per uno modo luminati e colorati. E di questo si pruova che per molta distanza indebiliscono. Credo ne sia ragione che, carichi di lume e di colore, trapassano l'aere quale, umido di certa grassezza, stracca i carichi razzi. Onde traemmo regola: quanto maggiore sarà la distanza, tanto la veduta superficie parrà più fusca.
8. Restaci a dire del razzo centrico. Sarà centrico razzo quello uno solo, quale sì cozza la quantità che di qua e di qua ciascuno angolo sia all'altro equale. Questo uno razzo, fra tutti gli altri gagliardissimo e vivacissimo, fa che niuna quantità mai pare maggiore che quando la ferisce. Potrebbesi di questo razzo dire più cose, ma basti che questo uno, stivato dagli altri razzi, ultimo abandona la cosa veduta; onde
merito si può dire prencipe de' razzi. Parmi avere dimostrato assai che, mutato la distanza e mutato il porre del razzo centrico, subito la superficie parrà alterata. Adunque la distanza e la posizione del centrico razzo molto vale alla certezza del vedere. Ecci ancora una terza qual facci parere la superficie variata. Questo viene dal ricevere il lume. Vedesi nelle superficie speriche e concave, sendo ad uno lume, hanno questa parte oscura e quella chiara; e bene che sia quella medesima distanza e posizione di centrica linea, ponendo il lume altrove vedrai quelle parti, quali prima erano chiare, ora essere oscure, e quelle chiare quali erano oscure; e dove attorno fussino più lumi, secondo loro numero e forza vedresti più macole di chiarore e di oscuro.
9. Questo luogo m'amonisce a dire de' colori insieme e de' lumi. Parmi manifesto che i colori pigliano variazione dai lumi, poi che ogni colore posto in ombra pare non quello che è nel chiarore. Fa l'ombra il colore fusco, e il lume fa chiaro ove percuote. Dicono i filosafi nulla potersi vedere quale non sia luminato e colorato. Adunque tengono gran parentado i colori coi lumi a farsi vedere, e quanto sia grande vedilo, che mancando il lume mancano i colori, e ritornando il lume tornano i colori. Adunque parmi da dire prima de' colori, poi investigheremo come sotto il lume si varino. Parliamo come pittore. Dico per la permistione de' colori nascere infiniti altri colori, ma veri colori solo essere quanto gli elementi, quattro, dai quali più e più altre spezie d colori nascono. Fia colore di fuoco il rosso, dell'aere celestrino, dell'acqua il verde, e la terra bigia e cenericcia. Gli altri colori, come diaspri e porfidi, sono permistione di questi. Adunque quattro sono generi di colori, e fanno spezie sue secondo se gli agiunga oscuro o chiarore, nero o bianco, e sono quasi innumerabili. Veggiamo le fronde verzose di grado in grado perdere la verdura per insino che divengono scialbe; simile in aere circa all'orizzonte non raro essere vapore bianchiccio, e a poco a poco seguirsi perdendo. E nelle rose veggiamo ad alcune molta porpora, alcune simigliarsi alle gote delle fanciulle, alcune allo avorio. E così la terra secondo il bianco e 'l nero fa suo spezie di colore.
10. Adunque la permistione del bianco non muta e' generi de' colori, ma ben fa spezie. Così il nero colore tiene simile forza con sua permistione fare quasi infinite spezie di colori. Vedesi dall'ombra i colori alterati: crescendo l'ombra s'empiono i colori, e crescendo il lume diventano i colori più aperti e chiari. Per questo assai si può persuadere al pittore che 'l bianco e 'l nero non sono veri colori, ma sono alterazione degli altri colori, però che il pittore truova cosa niuna con la quale egli ripresenti l'ultimo lustro de' lumi, altro che il bianco, e così solo il nero a dimostrare le tenebre. Aggiugni che mai troverai bianco o nero, il quale non sia sotto qualcuno di quelli quattro colori.
11. Seguita de' lumi. Dico de' lumi alcuno essere dalle stelle, come dal sole, dalla luna e da quell'altra bella stella Venere. Altri lumi sono dai fuochi. Ma tra questi si vede molta differenza. Il lume delle stelle fa l'ombra pari al corpo, ma il fuoco le fa maggiori. Rimane ombra dove i razzi de' lumi sono interrotti. I razzi interrotti o ritornano onde vennono, o s'adirizzano altrove. Vedilo' adiritti altrove quando, aggiunti alla superficie dell'acqua, feriscono i travi della casa. Circa a queste reflessioni si potre' dire più cose, quali apartengono a quelli miracoli della pittura, quali più miei compagni videro da me fatti altra volta in Roma. Ma basti qui che questi razzi flessi seco portano quel colore quale essi truovano alla superficie. Vedilo che chi passeggia su pe' prati al sole pare nel viso verzoso.
12. Dicemmo sino a qui delle superficie; dicemmo de' razzi; dicemmo in che modo vedendo si facci pirramide; provammo quanto facci la distanza e posizione del razzo centrico, insieme e ricevere de' lumi. Ora, poi che ad uno solo guardare non solo una superficie si vede ma più, investigheremo in che modo molte insieme giunte si veggano. Vedesti che ciascuna superficie in sé tiene sua pirramide, colori e lumi. Ma poi che i corpi sono coperti dalle superficie, tutte le vedute insieme superficie d'uno corpo faranno una pirramide di tante minori pirramide gravida quanto in quello guardare si vedranno superficie. Ma dirà qui alcuno: «Che giova al pittore cotanto investigare?» Estimi ogni pittore ivi sé essere ottimo maestro, ove bene intende le proporzioni e agiugnimenti delle superficie; qual cosa pochissimi conoscono, e domandando in su quella quale e' tingono superficie che cosa essi cercano di fare, diranti ogni altra cosa più a proposito di quello di che tu domandi. Adunque priego gli studiosi pittori non si vergognino d'udirci. Mai fu sozzo imparare da chi si sia cosa quale giovi sapere. E sappiano che
con sue linee circuiscono la superficie, e quando empiono di colori e' luoghi descritti, niun'altra cosa cercarsi se non che in questa superficia si representino le forme delle cose vedute, non altrimenti che se essa fusse di vetro tralucente tale che la pirramide visiva indi trapassasse, posto una certa distanza, con certi lumi e certa posizione di centro in aere e ne' suoi luoghi altrove. Qual cosa così essere, dimostra ciascuno pittore quando sé stessi da quello dipigne sé pone a lunge, dutto dalla natura, quasi come ivi cerchi la punta e angolo della pirramide, onde intende le cose dipinte meglio remirarsi. Ma ove questa sola veggiamo essere una sola superficie, o di muro o di tavola, nella quale il pittore studia figurare più superficie comprese nella pirramide visiva, converralli in qualche luogo segare a traverso questa pirramide, a ciò che simili orli e colori con sue linee il pittore possa dipignendo espriemere. Qual cosa se così è quanto dissi, adunque chi mira una pittura vede certa intersegazione d'una pirramide. Sarà adunque pittura non altro che intersegazione della pirramide visiva, sicondo data distanza, posto il centro e constituiti i lumi, in una certa superficie con linee e colori artificiose representata.
13. Ora poi che dicemmo la pittura essere intercisione della pirramide, convienci investigare qualunque cosa a noi faccia questa intersegazione conosciuta. Convienci avere nuovo principio a ragionare delle superficie, dalle quali dicemmo che la pirramide usciva. Dico delle superficie alcuna essere in terra riversa e giacere, come i pavimenti e i solari degli edifici e ciascuna superficia quale equalmente da questa sia distante. Altre stanno apoggiate in lato, come i pareti e l'altre superficie collineari ad i pareti. Le superficie equalmente fra sé distanti saranno, quando la distanza fra l'una e l'altra in ciascuna sua parte sarà equale. Collineari superficie saranno quelle, quali una diritta linea in ogni parte equalmente toccherà , come sono le faccie de' pilastri quadri posti ad ordine in uno portico. E sono queste cose da essere aggiunte a quelle quali di sopra dicemmo alle superficie. E a quelle cose quali dicemmo de' razzi intrinsici, estrinsici e centrici, e a quelle dicemmo della pirammide, aggiugni la sentenza de' matematici, onde si pruova che, se una dritta linea taglia due lati d'uno triangolo, e sia questa linea, qualora fa triangolo, equidistante alla linea del primo e maggiore triangolo, certo sarà questo minore triangolo a quel maggiore proporzionale. Tanto dicono i matematici.
14. Ma noi, per fare più chiaro il nostro dire, parleremo in questo più largo. Conviensi intendere qui che cosa sia proporzionale. Diconsi proporzionali quelli triangoli quali con suo lati e angoli abbiano fra sé una ragione che, se uno lato di questo triangolo sarà in lunghezza due volte più che la base e l'altro tre, ogni triangolo simile, o sia maggiore o sia minore, avendo una medesima convenienza alla sua base, sarà a quello proporzionale: imperò che quale ragione sta da parte a parte nel minore triangolo, quella ancora sta medesima nel maggiore. Adunque tutti i triangoli così fatti saranno fra sé proporzionali. E per meglio intendere questo, useremo una similitudine. Vedi uno picciolo uomo certo proporzionale ad uno grande; imperò che medesima proporzione, dal palmo al passo e dal piè all'altre sue parti del corpo, fu in Evandro qual fu in Ercole, quale Aulo Gelio conietturava essere stato grande sopra agli altri uomini. Né simile fu nel corpo di Ercole proporzione altra che nei membri d'Anteo gigante, ove all'uno e all'altro si congiugneva con pari ragioni e ordini dalla mano al cubito e dal cubito al capo, e così poi ogni suo membro. Simile truovi ne' triangoli misura, per la quale il minore al maggiore sia, eccetto che nella grandezza, equale. E se qui bene sono inteso, istatuirò coi matematici quanto a noi s'apertenga, che ogni intercesione di qual sia triangolo, pure che sia equidistante dalla base, fa nuovo triangolo proporzionale a quello maggiore. E quelle cose quali fra sé sieno proporzionali, in queste ciascune parti corrispondono; ma dove siene diverse e poco corrispondano le parti, questi sono certo non proporzionali.
15. E sono parte del triangolo visivo, quanto ti dissi, i razzi, i quali certo saranno nelle quantità proporzionali, quanto al numero, pari, e in le non proporzionali, non pari; imperò che una di queste non proporzionali quantità occuperà razzi o più o meno. Vedesti adunque come uno minore triangolo sia proporzionale ad uno maggiore, e imparasti dai triangoli farsi la pirramide visiva. Pertanto traduchiamo il nostro ragionare a questa pirramide. Ma sia persuaso che niuna quantità equidistante dalla intercesione potere nella pittura fare alcuna alterazione: imperò che esse sono in ogni equedistante intersegazione pari alle sue proporzionali. Quali cose sendo così, ne seguita che, non alterate le quantità onde se ne fa l'orlo, sarà del medesimo orlo in pittura niuna alterazione. E così resta manifesto che ogni intersegazione della pirramide visiva, qual sia alla veduta superficie equedistante, sarà a quella guardata superficie proporzionale.
16. Dicemmo delle superficie proporzionali alla interces...
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