[Pagina precedente]...irio dell'incertezza, aspettarla all'uscita delle otto e mezzo, e domandarle una risposta.
L'aspettò, infatti, e, per sua fortuna, essa scese sola.
Egli le andò incontro, la salutò e le domandò con voce tremante: - Non ha nulla da dirmi?
La maestra rispose, tranquilla: - SÃ, una cosa sola. Ho da ringraziarla dei suoi buoni sentimenti.
- Null'altro?
- No, signor segretario, - rispose essa con garbo, - null'altro.
E discese.
Allora incominciò per lui una sequela di giorni tristissimi; perché aveva bensà deciso di ritentare la prova con una domanda formale di matrimonio; ma capiva che il farlo subito dopo quello smacco, senza prepararsi il terreno, sarebbe stata una follia. E intanto gli piovvero dispiaceri su dispiaceri.
Il primo fu che la maestra Zibelli, di punto in bianco, gli tolse il saluto. Se ne sarebbe afflitto meno se avesse saputo ch'essa era entrata allora in una delle sue fasi, in cui, delusa dal mondo, si chiudeva tutta in una specie d'entusiasmo forzato pel suo ufficio di maestra, leggendo libri di scuola anche per la strada, per non vedere la gioventù e l'amore che le passavan d'accanto, pedantemente zelante dei suoi doveri, rigida con le alunne, coi parenti, con le colleghe, col mondo intero,
Ma don Celzani, che non sapeva questo, e ignorava la vera cagione dello sgarbo, buono e gentile com'era con tutti, non supponendo in lei che un moto improvviso di antipatia, ne fu punto nel più vivo del cuore.
Poi trovò strana la condotta del maestro Fassi.
Costui, incontratolo per la scala, gli mostrò le bozze d'un articolo intitolato Berlino spende mezzo milione all'anno per la ginnastica, nel quale faceva un confronto con l'Italia intera, che spendeva la metà ; e poi, voltando bruscamente il discorso sulla Pedani: - Gran bel pezzo di donna! - esclamò, - Quella sarebbe degna di sposare il più bell'uomo d'Italia. Scommetto che lei non regge con le braccia tese i due manubri che quella tiene con una mano sola. Chi avrà da sposarla, farà bene a far prima i suoi conti.
Che discorsi eran quelli? Egli non si sentiva offeso dal paragone delle forze: il suo solo pensiero era la disparità della bellezza: pel resto, aveva la coscienza tranquilla. Ma lo inquietava il sospetto che il maestro conoscesse le sue intenzioni.
Un altro giorno gli ritoccò quel medesimo tasto - Ho lasciato su la Pedani, che sta studiando una nuova combinazione col bastone Jager, per le ragazze. È tutta allo studio, lei; non ha distrazioni amorose. Anche perché non trova chi le convenga, forse. Già , anche nell'amore, similia cum similibus, lei che sa il latino. Ma dove pescare chi le faccia il paio? Essa disprezza gli uomini di mezza tacca. E se avrà la sbadataggine di legarsi a un di questi... povero lui!
E guardò fisso il segretario. Ma anche questa volta egli si turbò pel timore che il maestro gli leggesse nell'animo, non per le parole che gli disse; le quali, al contrario, acuivano tutti i suoi desideri, e le rimasticava poi, quasi con un senso di voluttà .
Ci fu di peggio, però. Due o tre volte, mentre seguitava la Pedani giù per le scale, egli vide uscir sul pianerottolo lo studente Ginoni, con un viso su cui si leggeva il proposito d'un assalto; e ogni volta, al veder lui, quegli fece un atto di stizza e rientrò in casa. Una mattina lo vide che pedinava alla lontana la maestra, in via San Francesco d'Assisi. E n'ebbe un vero dolore. La gioventù, la grazia e la sfacciataggine di quel biondino gli mettevano lo sgomento nell'anima. E prese a invigilarlo ogni giorno.
Ma il dispiacere più grave l'ebbe dalla moglie del maestro Fassi. Costei lo cercava da vari giorni: lo incontrò una sera sotto il portone, e lo fermò. - Come va il signor Fassi? - domandò lui.
Con la sua voce piagnucolosa, come uscente da un petto oppresso dal peso delle appendici, essa rispose glorificando, secondo il solito, le grandi occupazioni di suo marito. - È su che lavora, che fa un confronto fra gli stipendi dei maestri di ginnastica della Svezia e quelli dell'Italia. Perché è una vergogna che deve finire. Dire che con gli studi che ci vogliono, i maestri di ginnastica son pagati come impiegatucci, e nemmeno il titolo di professori, che hanno tutti quei che insegnano a scarabocchiare. Quando ci penso, col suo ingegno e con la sua presenza, che altra carriera avrebbe potuto fare! Perché lei non ha un'idea degli studi di quell'uomo. E ancora, che è disturbato in tutte le maniere, da faccende, da visite. C'è quella maestra Pedani che ogni momento è li, a domandar aiuti e consigli. Mi dica lei, una ragazza giovane, con un uomo ancor nel fiore, se è decente quella libertà ; e notando che ci son io: si figuri se non ci fossi! Vada a giudicar le ragazze dall'aria che si dà nno. Quella parrebbe la dignità in persona. Già , una signorina che in piena scuola, come fece l'anno passato al corso d'anatomia, col pretesto di non aver inteso, s'alza per domandare al professore: «Signor professore, dov'è il nervo della simpatia?...» è giudicata.
E visto con un rapido sguardo l'effetto che produceva in don Celzani, tirò avanti con l'aria di dir delle cose che non lo riguardassero: - Del resto, ci sarebbe ben altro da dire. Queste maestre giovani che prima di venire a Torino hanno girato per mezza dozzina di comuni... Si sa le avventure delle maestre nei villaggi. C'è una certa storia di una compagnia di bersaglieri, che ha fatto del chiasso. Quello che mi stupisce è che l'abbiano accettata a Torino. Ma certo è che in città la conoscono, e che è iscritta sul libro nero. Basta, il mio parere è che non andrà molto tempo che ne vedremo, o ne sapremo, delle belle.
Dopo di questo, disse male d'altri vicini; ma il segretario non udà altro, e benché diffidasse della sua lingua, quando quella lo lasciò, rimase tutto sconvolto. L'idea d'un brutto passato di quella ragazza gli dava un'amarezza indicibile, una gelosia feroce, una tortura che lo straziava. Quella compagnia di bersaglieri, soprattutto, lo incalzò con le baionette ai fianchi per una settimana. E soffriva di più perché da vari giorni non gli riusciva di vederla, e, smanioso di sapere, di liberarsi da quell'orribile dubbio, non vedeva a chi si potesse rivolgere, non sapeva da che parte battere il capo. Una mattina, finalmente, la incontrò, e una gran parte dei suoi sospetti svanà al primo vederla. No, Dio grande, non era possibile: tutta quanta la sua persona, dalla fronte ai piedi, smentiva la calunnia; tutto quel bel corpo spirava l'alterezza d'una verginità vigorosa, uscita intatta e trionfante da ogni battaglia, come un'armatura fatata. Ma un'ora dopo i sospetti rinacquero, e lo riprese l'affanno di prima.
Ma intervenne un fatto, in quei giorni, che lo spinse a una risoluzione improvvisa.
Incontrato una mattina il maestro Fassi, questi gli disse ex abrupto, come continuando un discorso avviato: - Quella Pedani, che spartana! Ho visto dal mio camerino: ci ha là una povera diavola che va a imparare i passi ritmici, e lei le fa lezione con tanto di finestra spalancata, con questa grazia di temperatura! È una sua idea fissa, che bisogna far la ginnastica all'aria viva.
Il segretario fece tra sé un ragionamento rapidissimo: se dal camerino del maestro si vedeva nella camera della Pedani, tanto meglio vi si doveva vedere dall'abbaino del soppalco, posto sopra la finestra del camerino. Appena fu solo, rientrò in fretta in casa, prese la chiave del soppalco, salà a lunghi passi le scale, aperse l'uscio, s'avanzò curvo sotto alle travi basse del tetto, in mezzo alle legna, ai rottami di mobili, ai mucchi di formelle, andò fino all'abbaino, s'arrampicò e si distese quant'era lungo sopra una catasta di fascinotti, sporse il viso nel vuoto, e mise un'esclamazione di piacere. La finestra della camera, che restava nell'altro muro della casa, era spalancata; la Pedani stava col fianco verso la finestra, volta di fronte all'alunna; che non si vedeva. La sua voce sonora di contralto arrivava distintissima fin sul tetto.
- Ma no, - diceva, - in questo modo lei non mi fa il mezzo passo semplice saltellando; mi fa un lungo passo saltellato. Non c'intendiamo. Rifaccia.
Il segretario sentà il passo dell'alunna invisibile.
- No, - ripete la maestra, - è ancora troppo esagerato,
Oh la bella voce profonda, calda, vibrante, che avrebbe fatto immaginare un corpo ammirabile anche a chi l'avesse intesa a occhi chiusi!
La Pedani parve scontenta anche della seconda prova, perché scrollò il capo con vigore. E afferrata impazientemente con le due mani la gonnella nera, per scoprire il movimento dei piedi: - Stia attenta! - disse, ed eseguÃ.
- Dio grande! - gemé il segretario. Egli vide balenare sopra i suoi stivaletti una bianchezza che l'abbarbagliò come un raggio di sole gittatogli negli occhi da uno specchio, e il sangue gli diede un giro come se l'avessero capovolto. Fu un momento solo; ma bastò.
Egli non sentà più gli altri comandi, saltò giù dai fascinotti, si scosse di dosso con le mani tremanti le foglie secche e i fuscelli, e sempre con quella visione biancheggiante negli occhi, riattraversò quasi correndo il soppalco, scese le scale a passi risoluti, e, rientrato in casa e sedutosi a tavolino, si prese il capo fra le mani e raccolse i suoi pensieri. Aveva irrevocabilmente deciso di tentare il colpo supremo con una aperta ed esplicita domanda di matrimonio.
Senonché egli aveva un dovere, a cui sentiva di non poter mancare: quello di rivolgersi prima allo zio, per chiedere la sua approvazione e i suoi consigli; anche per questa ragione, che la domanda fatta col suo consenso, e forse da lui stesso in persona, avrebbe avuto tutt'altra efficacia. La passione lo accecava a tal segno in quel momento, che il consenso di lui non gli si presentava nemmen più come dubbioso. Alla peggio, egli non avrebbe detto un no risoluto, avrebbe titubato, ci avrebbe pensato, gli avrebbe, insomma, dato una speranza, che poi non gli sarebbe più bastato il cuore di togliergli. Preparò dunque il suo discorso, e quando n'ebbe bene in mente il primo periodo e l'orditura generale, in aspetto grave, con una mano nell'altra strette sul petto, si recò nella stanza del commendatore, gli sedette davanti, e, chiesto il permesso di parlare, lentamente, con la voce tremolante, fissando gli occhi sulle ginocchia di lui, gli spiattellò il suo segreto.
Il commendator Celzani era un uomo che non si stupiva di nulla perché dava pochissima importanza alle cose di questo mondo. Ma quando sentà di che si trattava, non poté a meno di alzare dalla poltrona la maestosa testa bianca, per guardar negli occhi il nipote: poi si riabbandonò sulla spalliera, rinvoltandosi nella veste da camera, e stette a sentire il resto, con lo sguardo errante sulle pitture a fresco della volta. Il segretario aveva avuto la fortuna di coglierlo in un momento di ottima disposizione d'animo perché doveva andare quel giorno con un ispettore di Milano a vedere un saggio di ginnastica femminile all'Istituto del Soccorso. D'altra parte, rapito come era quasi sempre nelle delizie d'un mondo fantastico, nel quale era impaziente di rientrare ogni volta ch'era forzato ad uscirne, egli non contradiceva mai nessuno, e riserbandosi a non far nulla poi o tutto il contrario di ciò che gli altri aspettavano, non rifiutava mai né un consenso né una promessa. Quando suo nipote ebbe finito, si guardò prima le unghie nitidissime e poi le pantofole ricamate, e mormorò qualche parola vaga che non era un consentimento esplicito, ma nemmeno una disapprovazione. Voleva dire soltanto che si doveva procedere con cautela. Senza dubbio, la signorina ispirava simpatia e aveva tutto l'aspetto e il contegno d'una persona degna di stima. Ma (e questa era la meta del suo giro di frasi) prima di fare un passo, egli credeva conveniente di procedere alla ricerca d'altre informazioni. E mentre il nipote lo guardava in aria interrogativa ed inquieta, egli, masticando le parole e guardando per aria, buttò là il consiglio di ricorrere al suo amico cavalier Pruzzi, direttore generale delle scuole municipali, il quale, certo, dov...
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