[Pagina precedente]...estra del suo popolo, seguito dal corteo dei grandi ginnasiarchi tedeschi, benefattori di milioni di fanciulli e benemeriti della potenza e della gloria della Germania, scoppiò un'altra acclamazione fragorosa, che scosse lei e tutta l'assemblea, e la interruppe per un po' di tempo; durante il quale le sue compagne le si strinsero intorno afferrandole i panni e le mani, e affollandola di rallegramenti.
E allora essa corse fino alla fine, con crescente fortuna. Ritornando sull'argomento fondamentale del suo discorso, insistette sulla necessità che tutti gl'insegnanti s'adoprassero a persuadere le famiglie altrettanto che ad ammaestrare gli alunni. Alle maestre più che ad altri spettava quell'ufficio, perché, esercitata dalle donne, avrebbe avuto maggior efficacia la propaganda in favore d'una disciplina in cui esse non potevano eccellere, e che rimoveva il sospetto dell'ambizione.
- Rivolgiamoci alle madri, - disse, - facciamo loro vedere, toccar con mano gli effetti meravigliosi della educazione fisica, che sono evidenti e infallibili come i resultati d'una scienza esatta; persuadiamo loro che la ginnastica è la forza e la salute, e che salute e forza sono serenità , bontà , coraggio e grandezza d'animo! E se non bastano il ragionamento e l'esempio, preghiamole, leviamo loro di mano, con amorosa violenza, i fanciulli e le fanciulle deboli ed esangui, supplichiamole perché ce li lascino salvare dalle malattie, dalla infelicità , dalla morte. Oh! se potessimo trasfondere in tutte l'indomabile ardore che è in noi! E prima d'ogni cosa, abbiamo fede in noi stessi, una fede ardente e invincibile che la nostra idea sarà un giorno l'idea di tutti, e che un nuovo sistema d'educazione rifarà il mondo, SÃ, io lo credo come credo nell'esistenza del sole che ci illumina. Una nuova educazione, fondata sopra un esercizio perfezionato delle forze fisiche dell'infanzia e della gioventù, preverrà innumerevoli miserie, risparmierà all'umanità innumerevoli dolori, falcerà mille vizi alla radice, agevolerà alle generazioni che saranno più buone perché più forti, e più giuste perché più buone, la soluzione dei grandi problemi attorno a cui s'affannano inutilmente ora le nostre menti malate e le nostre forze esaurite. Io credo, o colleghi, in questa umanità nuova, che innalzerà ai grandi apostoli della ginnastica delle colonne di bronzo; ci credo, la vedo, la saluto, l'adoro, e vorrei che tutti considerassero come la più santa gloria umana quella di vivere e di morire per essa!
A quella chiusa si scatenò una tempesta; tutti balzarono in piedi, battendo le mani e gridando; la Pedani, pallida e trafelata, si dovette alzar tre volte per ringraziare. Le ultime parole erano state dette veramente con vigore d'entusiasmo apostolico e avevano scosso le fibre di tutti. Quando l'acclamazione pareva finita, ricominciò; tutti i filoginnici dell'assemblea e delle tribune erano in visibilio. Due o tre oratori che sorsero dopo di lei non furono quasi più intesi. Quando la seduta fu chiusa, scoppiò un nuovo applauso, e la Pedani discese dal suo banco fra due ali di visi sorridenti e di mani tese, in mezzo a un gridio assordante di congratulazioni e di evviva.
L'immagine d'una creatura umana che godesse l'ultima ora d'ebbrezza sulla soglia d'un palazzo incantato, prima d'esser precipitata per un trabocchetto in carcere eterna, basta a mala pena a dare un'idea dello stato d'animo in cui il povero segretario aveva udito quel discorso e quegli applausi, e visto accendersi a poco a poco e quasi grandeggiare la figura della maestra.
Quando ella ebbe finito, egli si guardò intorno, come se si riavesse da un sogno, e sentà tutto a un tratto una cosà violenta stretta di tristezza e di pietà per se stesso, che dovette fare uno sforzo per trattenere il pianto. In quel punto si sentà chiamare da una voce conosciuta:
- Signor Celzani! - e voltatosi, vide le mille rughe sorridenti del cavalier Pruzzi, ancora tutto vibrante d'entusiasmo, sotto la sua parrucca messa di sbieco. - Ha sentito, eh, - gli disse questi, sporgendo innanzi la pancia tonda, - che maestre abbiamo a Torino? Non si può dire che il Municipio spenda male i suoi denari! - E fosse per puro effetto d'entusiasmo, o c'entrasse anche il pentimento delle reticenze meditate, con le quali, in quell'occasione memorabile, aveva tenuto sulle corde il segretario e gettato un velo misterioso sulla ragazza, fatto è che vuotò il sacco delle lodi, trattenendo per il bavero don Celzani, che voleva uscire. Non era informato che da poco tempo, - diceva, - del passato della maestra Pedani. Essa aveva un lungo ordine di benemerenze. Aveva reso un servigio al provveditor degli studi di Milano, resistendo intrepidamente alla popolazione d'un villaggio che non la voleva perchè gliel'avevan mandata d'ufficio, e, costretta ad andarsene, v'era ritornata con la scorta di una compagnia di bersaglieri, e v'era rimasta, partita questa, con fermezza ammirabile. S'era fatta onore nell'estizione di un incendio, nel comune di Camina. Aveva, nello stesso comune, salvato un ragazzo da un torrente, guadagnandosi la menzione onorevole del valor civile. - Che gliene pare? - disse in fine, dopo ripreso il fiato, - Ora ha fatto onore a Torino, perdiana, in faccia a tutta l'Italia. Abbiamo dei fastidi, è vero, abbiamo delle grandi responsabilità ; ma, qualche volta almeno, si è ricompensati! - E soggiunse, rivolto verso l'aula già quasi vuota: - Ma brava, ma brava, ma brava.
Ma il segretario non gli badò quasi, e lo lasciò subito. Discese le scale mezzo rintontito. Nell'atrio trovò una folla in cerchio, e indovinando che c'era nel mezzo la Pedani, s'avvicinò. Era lei, in fatti, circondata e festeggiata; egli riconobbe le penne verdi del suo cappellino.
Mentre s'alzava in punta di piedi per vedere il suo viso, sentà dietro alle spalle la voce del maestro Fassi, e, voltandosi, lo vide che declamava in un crocchio, col viso livido, torcendosi rabbiosamente i lunghi baffi. - In conclusione, - diceva, - non ha fatto altro che battere la campagna. Grandi citazioni, grande rettorica; ma in materia di scienza? - E l'accusava di plagio.
- Vada per le idee, - gridava; - ma le frasi, ma le parole m'ha portato via, senza degnarsi di pronunciare il mio nome; ma vi dico le parole una per una, come se le avesse stenografate. Accidenti, che disinvoltura! Fidatevi un po'delle conversazioni familiari, Ora si farà strada di sicuro. Sentirete che chiasso quei cretini di giornalisti! Oh che bel mondo di ciarlatani!
La Pedani, intanto, stentava ad aprirsi il passo. Quando la folla degli ammiratori si fu un po' diradata, l'ingegnere Ginoni si fece avanti con impeto, e le disse, stringendole le mani: - Sublime! M'ha quasi convertito, non le dico altro! - Poi s'avanzò per complimentarla, strascicando i piedi, il professor Padalocchi. Poi venne il direttore. Non finivan più. Finalmente non le rimasero intorno che una ventina di maestre, mentre molti altri la guardavano di lontano; e allora, non visto, il segretario la poté vedere. Non gli era parsa mai cosà bella, cosÃ, risplendente, cosà superba! Pareva che tutto il suo corpo vibrasse dentro a quel semplice e succinto vestito nero, come se le corresse un fremito continuo da capo a piedi; il rossore le era tornato, quel bel rossore delicato e diffuso che succede alla pallidezza delle grandi commozioni gradevoli, e che è come il pudore gioioso della gloria; il suo viso aveva un'espressione di gentile bontà femminea, che il Celzani non le aveva mai veduta, e che dava ai suoi occhi e alla sua bocca e a tutta la sua persona una nuova forza di seduzione. Ed egli la guardò, estatico, preso da un sentimento strano e doloroso, come se fosse già lontanissima da lui, di là da un immenso fiume, sul culmine d'una collina, dietro alla quale dovesse sparire per sempre.
Quando ella si mosse col suo drappello di maestre, il segretario si nascose dietro un pilastro. E di là vide una scena inaspettata. Mentre la Pedani stava per metter piede fuor del portone, le comparve davanti la maestra Zibelli e le gittò le braccia al collo piangendo, e la baciò più volte con ardore. Don Celzani non udì le sue parole, ma comprese cosà per nebbia che era stata vinta, e che veniva, mossa da un impulso del cuore, a render le armi, e a chieder perdono di qualche cosa. La Pedani l'abbracciò e quella s'allontanò subito, voltandosi a mandarle un saluto appassionato con la mano.
La Pedani uscà sulla strada, ed egli la seguitò, a molta distanza.
Andava innanzi lentamente, preceduta, fiancheggiata, seguita da uno stuolo di maestre giovani, i satelliti consueti dei trionfatori, che le facevano intorno un cicaleccio festoso, avvertendola di scansar le carrozze e lanciando occhiate qua e là , come per attirar su di lei l'attenzione dei passanti. Tratto tratto una di esse s'accomiatava, un'altra sopraggiungeva e s'univa al gruppo. Svoltarono in via Santa Teresa, e tirarono avanti, a destra; il povero Celzani sempre dietro.
SÃ, la voleva vedere fin che avesse potuto: poi sarebbe andato a prender la sua roba e partito da Torino. Per dove? Non sapeva. Per Genova, forse, per imbarcarsi. Dio l'avrebbe guidato. Purché andasse lontano, a soffocare la sua passione in una dura vita di lavoro, a dimenticare, se fosse stato possibile, o, se non altro, a soffrir meno. Poiché, veramente, alla disperata vita cui era ridotto non gli bastavan più le forze dell'anima. E dopo quel trionfo, egli si sentiva più miseramente, e per cosà dire, più bassamente infelice che non fosse stato mai, poiché non aveva sentito per l'addietro che la differenza esteriore ch'era fra lei e lui; ma la riconosceva ora troppo superiore a sè anche per lo spirito: ella non aveva soltanto innalzato sé stessa alla gloria, aveva precipitato lui nella polvere. La vedeva tra pochi anni celebre, cercata da tutti, amata, sposata forse da un uomo bello, illustre e potente. Gli pareva allora un'insensatezza ridicola quella di aver osato di chiederle la mano, d'importunarla, d'inginocchiarsi davanti a lei e d'abbracciarle i ginocchi. E questo ricordo appunto, la sensazione che gli si ridestava di quell'abbraccio gli bruciava il sangue e il cervello. E intanto la divorava con gli occhi, di lontano. Ora una carrozza, ora un gruppo di gente gliela nascondeva, e poi essa riappariva, e gli riappariva ogni volta più grande, più formosa, più trionfante, per fargli entrar più addentro nel cuore lacerato la punta della disperazione.
Le amiche l'accompagnarono fino al portone. Egli si arrestò all'angolo di via San Francesco. Di là aspettava di vederla sparire per sempre, come in un abisso.
Ma quando vide le amiche lasciarla e lei entrare in casa, una risoluzione improvvisa lo spinse, un bisogno irrefrenabile di dirle addio ancora una volta. Fece la strada di corsa, entrò nel cortile, si mise dietro a un pilastro, e la vide avviarsi verso la porta interna e salire a passi lenti, voltandosi ogni tanto a guardare indietro, come se le paresse d'avere smarrito qualche cosa o rimpiangesse la compagnia che l'aveva lasciata, e sentisse ripugnanza, dopo quel trionfo clamoroso fra tanta gente, a ritornare in casa cosà sola per quella scala nera e solitaria.
Le andò dietro in punta di piedi, adagio adagio. Quando fu al secondo pianerottolo, non poté più reggere, si slanciò su, la raggiunse. Essa si voltò, si trovaron di fronte l'una all'altro nel buio, lei sopra uno scalino più alto.
- Il signor Celzani? - domandò la maestra.
Egli ruppe in un singhiozzo, e mormorò: - Son venuto a dirle addio!
Ma non aveva finito di dirlo, che si sentà una mano vigorosa sulla nuca e due labbra infocate sulla bocca, e nella gioia delirante che lo invase in quell'immenso paradiso oscuro dove si sentà sollevato come da un turbine, non poté cacciar fuori che un grido strozzato:
- Oh!... Dio grande!
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