[Pagina precedente]...arsi, ebbe l'idea arrischiata di confidarsi all'ingegnere Ginoni: l'andò a trovare e gli espose il caso suo, chiedendo consigli. L'ingegnere si maravigliò. Che bisogno c'era d'informazioni? Non si vedevano scritte, e le migliori, sul viso di lei? Per parte sua, egli avrebbe messo la mano sul fuoco. Del resto, sapeva qualche cosa: era bresciana, orfana, figliuola d'un medico militare, morto da molti anni; aveva un fratello, onesto negoziante, stabilito nella Nuova Granata. Queste notizie fecero piacere a don Celzani, - E che altre informazioni vuol chiedere? continuò il Ginoni. - Vuol mandare una circolare a tutti i sindaci dei comuni dov'è stata maestra? Cose da ridere. Una ragazza è sempre un mistero; non c'è che fidarsi al suo viso e all'ispirazione del proprio cuore. Piuttosto... mi dica un po'.. segretario amato, a che punto siamo quanto a corrispondenza?
Don Celzani fece un viso cosí sconfortato, abbassando gli occhi a modo del prete davanti all'altare, che l'ingegnere ne dovette ridere, e n'ebbe pietà ad un tempo. E gli disse: - Senta... e se io mettessi una parolina in suo favore!... Eh?.. Che ne dice?... Si può dare una miglior prova d'amicizia? Se io scrutassi un poco il cuore di lei?
- Scruti... - rispose mestamente il segretario.
- Scruteremo, - disse l'ingegnere, - Chi sa mai! Nel cuore delle donne non ci vede chiaro che l'esaminatore disinteressato. Lasci fare a me e viva allegro.
E si propose di far davvero quel che aveva promesso, non solo per curiosità del caso psicologico, cosí singolare per la singolarità delle due persone, ma perché da alcuni giorni sospettava che il suo figliuolo, con quella faccia che egli sapeva, fermasse per le scale la maestra; la quale si doveva essere astenuta fino allora dal farne lagnanza a lui, non per altro che per non dargli un dispiacere: gli pareva atto di buona politica paterna il mettere tra il figliuolo e lei un impedimento.
La mattina seguente, uscendo casa, trovò sul pianerottolo la Pedani, ferma con la sua cameriera, alla quale suggeriva certi esercizi ginnastici per curare i geloni. Il Baumann era stato il primo a trovare che la ginnastica fra i banchi poteva prevenire questo malanno. Essa la sapeva lunga sull'argomento.
Alla vista del padrone, la cameriera rientrò, e quegli fece alla maestra il solito saluto scherzoso: - Abbasso la ginnastica!
Essa rispose con lo stesso tuono: - Abbasso i fautori del linfatismo e della rachitide!
L'ingegnere rise, e s'avviò con lei giù per le scale. Poi le domandò a bassa voce, soffermandosi: - Ma come mai lei può esser cosí tranquilla mentre c'è dei disgraziati che soffrono morte e passione per causa sua?
Essa lo guardò fisso, e gli domandò: - Chi gliel'ha detto?
- Colui che gliel'ha scritto.
- In tal caso, - disse con indifferenza la maestra, - discorriamo d'altro,
- Come! Nemmeno ne può sentir parlare? - domandò l'ingegnere. - Neppure un senso di pietà? A tal segno indurisce i cuori la ginnastica?
No, essa rispose, non aveva il cuor duro: l'aveva occupato. Era dominata da una sola passione e aveva deciso di consacrarvi tutta la sua gioventù. In ogni caso, non avrebbe legato la sua vita se non ad un uomo che volesse dedicar la propria allo stesso scopo. E disse con semplicità: - Quello che sposerà me, farà della gran ginnastica.
L'ingegnere rise sotto i baffi, e, squadrando la maestra con un'occhiata, disse: - Lo credo. - Poi domandò: - Dunque, il destino dello sventurato è irrevocabilmente deciso?
- Da me, - riprese quella, - non dipende il destino di nessuno. E basta cosí.
- Amen! - mormorò il Ginoni.
Scesero in silenzio gli ultimi scalini,
- Eppure, - disse l'ingegnere, sotto il portone, - lei ci pensa ancora.
- Oh giusto! - rispose la Pedani, - pensavo a tutt'altra cosa. Pensavo che alle bambine sono concessi troppo pochi movimenti degli arti inferiori. Guardi!
L'ingegnere diede in una risata, e, lasciandola, esclamò: - Abbasso Sparta!
E quella, voltandosi: - Abbasso Sibari! - e infilò il marciapiedi a grandi passi.
Don Celzani fu ferito all'anima dalla risposta, pure un po' raddolcita, che gli riferí l'ingegnere; e non lo confortò punto l'esortazione che questi gli fece a non desistere, ripetendogli il paragone della mina con la miccia lunga, che sarebbe scoppiata più tardi, indubitabilmente. Ricadde allora in uno stato tormentoso e compassionevole. Continuò a spiar la maestra quando scendeva o rientrava, per incontrarla o seguirla, e la disperazione dandogli ora maggior coraggio, le lanciava ogni volta un lungo sguardo indagatore e supplichevole accompagnato da una scappellata di mendicante, che chiedeva un sorriso per amor di Dio. Ella si manteneva sempre la stessa con lui, salutando con garbo, indifferente senza ostentazione, non mostrando d'avvedersi ch'egli s'appostava dietro l'uscio, dietro i pilastri, agli angoli dei muri, in portieria, e che stava fermo un pezzo a contemplarla, dopo ch'era passata. Capiva, peraltro, che la passione del pover'uomo si veniva infiammando ogni giorno di più. Ma v'era a questo una cagione nuova, ch'ella non sospettava. La riputazione di lei andava crescendo. Un suo articolo su Pier Enrico Ling, il fondatore della ginnastica svedese, pubblicato nel «Nuovo Agone», curioso per l'argomento e per una certa vivacità evidente e brusca di stile, specie nella descrizione degli esercizi sulla scala a ondulazione e sulla spalliera, era stato riprodotto da un giornale politico di Torino e aveva fatto un certo rumore. Una sera essa tenne una conferenza alla Filotecnica sulla istituzione d'una speciale ginnastica curativa per certe deformità dei ragazzi, spiegando, senza presunzione pedantesca, una assai rara conoscenza dell'anatomia; e i giornali ne parlarono, accennando con parole di simpatia alla sua persona, alla sua voce bella e strana, e al suo modo singolare di porgere, con dei gesti vigorosi e composti insieme, che strappavan gli applausi. Tutto questo la faceva molto ricercare per lezioni private, e le venivano a casa delle maestre aspiranti a far dei corsi di ginnastica, non c'essendo corsi aperti alla Palestra in quei mesi, delle ragazze che, avendo dei difetti, non volevano far gli esercizi con l'altre, delle insegnanti già patentate che cercavano spiegazioni ed aiuti. E don Celzani ne incontrava ogni momento per le scale, e sentiva ripetere quel nome con ammirazione da loro e da altri, dentro e fuori di casa. Ora questa celebrità nascente di lei dava un'esca nuova al suo amore, un nuovo stimolo mordente e squisito ai suoi desideri. Egli sentiva una più raffinata voluttà a immaginarsi possessore sicuro di una donna conosciuta e ammirata, pensava che sarebbe stato doppiamente felice nell'oscurità sua, d'averla quando tornava da una conferenza applaudita, di impadronirsi di quelle forme che tanti altri avrebbero carezzate con gli occhi e desiderate; gli pareva anzi che quella felicità gli sarebbe stata tanto più dolce e profonda quanto più egli fosse rimasto piccolo e nullo accanto a lei, nient'altro che marito, a cert'ore, anche dimenticato per tutto il resto della giornata, tenuto come un servitore, uno strumento, un sollazzo, un buon bestione di casa. Ah! Dio grande. E questo gl'infocava il cuore anche più forte: che colla sua zucca soda d'uomo meditativo, non privo di certa finezza pretina, egli aveva letto a fondo nell'indole di lei, e capiva che, quando ella avesse fatto il passo, era donna da rimanergli rigidamente fedele, non foss'altro che pel sentimento della dignità propria e per forza di ragione, per quanto l'avesse tenuto al di sotto di sé in ogni cosa. Ch'egli ci fosse arrivato, soltanto; e poi, che gli sarebbe importato delle canzonature e delle insidie! Sarebbe stato sicuro del fatto suo, avrebbe ben saputo custodire il suo tesoro alla barba del mondo intiero. Se ne rideva delle satire del maestro Fassi!
Giusto, costui continuava a dargli delle bottate ogni volta che l'incontrava, ma con un sentimento nuovo di acrimonia contro la Pedani, la quale, diventando chiara, lasciava lui nell'ombra; oltrediché, occupata in altro, gli restringeva sempre più la collaborazione, di cui aveva bisogno. Egli s'era in quei giorni tirato addosso con gli articoli provocanti dell'«Agone» un nuvolo di nemici. Assalendo tutti gli avversari della ginnastica, aveva detto che i ballerini, non esercitando che gli arti inferiori, avevan delle gambe atletiche ma dei petti di pollo; aveva accusato i maestri di scherma di far ingrossare l'anca e la spalla destra a scapito delle giuste proporzioni di tutto il corpo; se l'era presa coi maestri di pianoforte, dicendoli causa principale della vita troppo sedentaria delle ragazze, e coi bendaggisti, che osteggiavan la ginnastica perché screditava i loro istrumenti di tortura; aveva perfino stuzzicato gli speziali e i droghieri scrivendo che calunniavano «la nuova scienza» perché aveva fatto scemar la vendita dell'olio di merluzzo; e da tutte le parti gli eran venute acerbe risposte, a cui, da sé solo, si trovava imbarazzato a rispondere, e appunto in quella congiuntura difficile la Pedani quasi l'abbandonava. Il Fassi sfogava il suo dispetto col segretario, senza dirne il vero perché, tacciando la maestra d'ambiziosa e d'ingrata, quantunque, per interesse, serbasse ancora con lei le migliori relazioni, e il segretario difendendola, egli diceva peggio. Un giorno, finalmente, vennero a parole secche. Spingendo il maestro la maldicenza più in là del solito, don Celzani gli rispose risentito: - La signorina Pedani è un'onesta ragazza.
- Poh! - disse il Fassi, - se avessi voluto!
- Ah! non è vero! - esclamò don Celzani indignato.
Quegli stette per rispondere una grossa insolenza; ma il pensiero della pigione ridotta gliene ritenne mezza fra i denti. - Le auguro, - si contentò di dirgli, - di non farne l'esperimento a sue spese.
Il segretario ribatté, si separarono di mal garbo, e d'allora in poi non si salutarono più che freddamente.
Ma anche quella disputa crebbe fuoco al suo amore. Eran dunque tutti d'accordo per calunniarla e per contrastargliela; lo zio, il maestro, sua moglie, il direttore, la Zibelli, mentivano tutti; ebbene, e lui l'avrebbe amata a dispetto di tutti. E l'amava più che mai, di fatti, trovando anzi nella severa eguaglianza della sua condotta verso di lui e perfino in ogni suo atteggiamento o movenza nuova ch'egli scoprisse, una riprova dell'onestà della sua vita. Un altro eccitamento gli si aggiunse. Avendo dei muratori, che rifacevan l'ammattonato del pianerottolo, disteso un'asse sulla parte smossa per servir di ponte agl'inquilini, era per lui una vera voluttà, uscendo di casa a tempo, veder passare su quell'asse la Pedani, e misurar l'incurvatura del legno sotto il suo passo, la quale gli dava, in certo modo, la sensazione indiretta e pure dolcissima del suo peso. E una mattina gli toccò una gran fortuna. L'asse era stata buttata da parte: egli uscí in tempo dall'uscio per rimetterla al posto mentre la maestra stava per passare, e lo fece con un atto violento per far vedere la sua forza. Ella non ne approfittò, superando il passo d'un salto, ma, nel saltare, strisciò col vestito la sua faccia china, producendogli l'effetto d'una sferzata voluttuosa, e lo ringraziò con un sorriso, che lo rese felice per più giorni. Fu una realtà o un'illusione?
Dopo quel giorno, egli credette di veder nei suoi occhi qualche cosa di nuovo, un barlume di benevolenza, che gli parve il principio di un mutamento durevole; e cominciò a scrutar quel viso con ardore insolito, come un astronomo la faccia del sole, ora accertandosi, ora dubitando, tanto il mutamento era leggero. Poteva arrischiarsi a far la sua domanda? Era troppo presto? Ma che altro incoraggiamento c'era da sperare?
Gli venne allora in aiuto l'ingegner Ginoni con una idea luminosa. Incontrandolo una sera in Via San Francesco: - Segretario amato, - gli disse, - se lei è un uomo fino, deve fare una cosa. C'è nelle vetrine del Berry una fotografia del barone Maignolt, quello che vinse a piedi, da Parigi a Versailles, un velocipedista famoso. La sign...
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