[Pagina precedente]...ora Pedani è grande ammiratrice del barone. Lei dovrebbe andar a prendere il ritratto e portarglielo. Che ne dice? Vedrà che farà colpo. Ma badi: non basta regalar le fotografie; bisogna emulare i fotografati. Faccia una corsa di resistenza da Torino a Moncalieri, e che ne parli la «Gazzetta del Popolo»: avrà fatto di più che con dieci anni di sospiri.
Don Celzani non disse né sà né no; ma la sera aveva già comprato e rimesso la fotografia alla donna di servizio delle maestre. Egli sperava ben poca cosa da quell'atto. Nondimeno, aspettò la mattina dopo la Pedani, non foss'altro che per ricevere un freddo ringraziamento. Essa discendeva con la Zibelli. Questa, vedendo lui, tirò dritto senza salutare. La Pedani si fermò, e gli disse con vivacità insolita, facendogli il più bel sorriso ch'ei le avesse mai visto: - Ah! Signor segretario, com'è stato gentile! Come ha fatto a indovinare il mio desiderio?.
Don Celzani gongolò.
E la maestra gli disse ancora allegramente, andandosene: - Non so come sdebitarmi. Mi comandi, se la posso servire in qualche cosa.
Ah! barbara! Ma don Celzani andò al terzo cielo, e, beato, allucinato, parendogli d'aver fatto un passo gigantesco, giudicò venuto il buon momento. Zio o non zio, informazioni o non informazioni, egli non ci poteva più reggere, doveva far la sua domanda formale al più presto, fin che il ferro era caldo. Solamente era in dubbio se la dovesse fare a voce o per iscritto, e tenne in sospeso la decisione. Frattanto, si mise a elaborare con profonda cura la formola, di cui si sarebbe servito nei due casi... Ma mentre la stava elaborando, fu prevenuto.
Da vari giorni la Zibelli aveva rifatto la pace con l'amica, ed era seguito nella sua vita un mutamento nuovo. Aveva trovato un giorno sotto il portone un giovane maestro di ginnastica, ex sergente del Genio biondo e elegante, ch'essa aveva sentito parlare una volta con molto garbo a un'adunanza della Società della Cassa degl'insegnanti. Egli andava dal maestro Fassi, di cui era amico. Le aveva fatto una grande scappellata e le si era accompagnato su per la scala, parlandole con una particolare espressione di rispetto e di simpatia. S'eran poi ritrovati due giorni dopo in casa del Fassi assente, dove la moglie, visto che si conoscevano, non aveva fatto presentazioni; e come il giovane era maestro all'ergastolo La Generala, la loro conversazione aveva preso un certo colore sentimentale, spiegando egli in che maniera fossero cessate in quella casa le risse sanguinose, le ribellioni e altre violenze, per virtù della istituzione della ginnastica, la quale serviva di sfogo all'esuberanza di vita ed all'orgoglio dei forti, diventati sdegnosi, dopo la vittoria pubblica degli esercizi, di opprimere i deboli riconosciuti. E continuando il discorso, le aveva chiesto spiegazioni e consigli, e l'aveva ascoltata con cosà viva e gentile attenzione, ch'essa n'era rimasta commossa. Da questo, con l'usata prontezza, le era rinata l'illusione d'un amore, e insieme l'allegrezza, la cordialità , l'amicizia; s'era rappattumata con la Pedani, soffocando anche l'invidia, che la incominciava a mordere, delle sue glorie ginnastiche; s'era rifatta buona alla scuola, aveva buttato la cappa nera della pedagogia, nella quale stava rinchiusa da un pezzo, e ricominciato a leggere libri di letteratura e a scrivere perfino dei versi di nascosto, trascurando l'amministrazione della casa, di cui soleva addossarsi tutte le cure. A questa nuova disposizione d'animo dovette la Pedani di esser incaricata, il primo giorno del mese, di portare essa medesima i denari della pigione al segretario; ciò che entrava nelle incombenze della sua amica. Essa ne rimase un po' stupita, appunto perché si trattava d'andare da don Celzani. Ma la Zibelli, benché l'avesse sempre amara con lui, non n'era più gelosa, - Va', - le disse anzi scherzando, dopo averle dato i denari nella busta, - lo farai felice.
La Pedani prese nello scaffale la Ginnastica medica dello Schreber, che aveva promesso al cavalier Padalocchi, ed usci. Sonò all'uscio di questo: il quale la ricevette con molti complimenti, e, preso il libro, le disse di risentire qualche miglioramento dopo che faceva le inspirazioni e le espirazioni, e allora la maestra gli consigliò di provare la rotazione delle braccia, spiegandogli anatomicamente l'azione speciale dell'esercizio ginnastico delle estremità superiori sulle funzioni degli organi del petto.
Mentre ella dava queste spiegazioni, il segretario, solo in casa, seduto a tavolino nello scrittoio del commendatore, stava cercando da un pezzo, con la penna in mano, le frasi più importanti della sua domanda solenne, parlata o scritta che dovesse essere. E dava del capo in difficoltà serie, poiché si trattava di armonizzare bellamente una dichiarazione d'amore appassionato con la gravità d'una richiesta di matrimonio, la quale dimostrasse d'esser stata preceduta da una lunga meditazione e decisa con intera e tranquilla coscienza; e occorreva pure di farci entrare, con molta delicatezza, un cenno delle sue condizioni di fortuna, non dispregevoli, e balenar la speranza d'una futura eredità dello zio, benché questi avesse a Genova e a Milano una falange di nipotini. Egli cercava, scriveva, cancellava, non mai soddisfatto, turbato anche un poco dal pensiero che, essendo il primo del trimestre, sarebbe venuta da lui la Zibelli, ch'era la factotum, a portar la pigione: visita che lo avrebbe messo nell'impiccio, dopo che quella gli aveva levato il saluto. Nondimeno, la prima frase era assicurata oramai, ed immutabile.
Cominciava: «Signorina, vengo a fare un passo decisivo nella vita d'un uomo...», ed egli finiva appunto di arrotondare il primo periodo, quando il campanello sonò. «Ecco la Zibelli», disse tra sé, con dispetto, e preparò un viso contegnoso per riceverla.
In quel momento s'affacciò all'uscio la vecchia serva, e disse: - Signor segretario, c'e la maestra Pedani per la pigione.
Don Celzani saltò in piedi, con le fiamme al viso. Non gli riuscà di dire: «Fate entrare»; non poté fare che un gesto.
La Pedani entrò, e la serva richiuse l'uscio.
L'apparizione della maestra gli produsse l'effetto come d'un mutamento improvviso d'ogni cosa intorno a sé: la stanza cambiò luce, i mobili si spostarono, i contorni degli oggetti si confusero, tutto s'alterò ai suoi occhi, come segue ai paurosi nei duelli. Corse qua e là in cerca d'una seggiola, balbettando: - S'accomodi, s'accomodi, - e andò a pigliare la più lontana: la mise accanto al tavolo, gli parve troppo vicina, la scostò, gli parve messa di sbieco, la voltò, accennò a lei di sedersi senza guardarla, sedette lui di traverso, e, presa la busta dalla sua mano, non trovò altro di meglio, per avere il tempo di ricomporsi, che prendere a contare i biglietti con grandissima attenzione, come se sospettasse d'esser truffato.
Poi disse con le labbra tremanti: - Va bene, - e prese un foglio di carta bollata per scrivere la ricevuta.
Ma nel cominciare a scrivere, gli cozzarono con una tal tempesta nel capo la tentazione di coglier quel momento per far la domanda, e il timore che il momento fosse inopportuno e pericoloso, che invece di scriver sul foglio le parole solite, scrisse: «Signorina, vengo a fare un passo decisivo...»
Se n'accorse, arrossÃ, stracciò il foglio, ne prese un altro, ricominciò a scrivere, sempre con quella tempesta nel capo; la vista gli si velava, la mano gli ballava, le parole gli sfuggivano, la fronte gli si bagnava di sudore. La maestra lo guardava, tranquilla e seria. Essa non rideva di nulla; non aveva senso comico. S'egli l'avesse osservata in quel punto, non le avrebbe visto negli occhi che una leggera espressione di curiosità compassionevole, come quella con cui si guarda un malato d'alienazione mentale. Quando alla fine riuscà a metter la firma, la sua risoluzione era già presa.
Piegò il foglio, e ritenendolo in mano per trattener lei, s'alzò in piedi, e di rosso si fece pallido. Poi cominciò: - Signorina!...
Che cosa seguà allora nella sua mente? Forse una sincope improvvisa del coraggio, forse il pensiero improvviso che sarebbe stato meglio avviar prima il dialogo sopra un altro argomento, perché la dichiarazione non paresse troppo repentina ed ardita. Fatto sta che invece di dire quello che aveva preparato, mutato tuono tutt'a un tratto, mandando giù la saliva per la gola secca, mormorò umilmente: - Signorina...se ha bisogno di qualche riparazione...
Questa volta alla ragazza sfuggà un sorriso. Rispose di no, tutto era in ordine nel suo quartierino; lo ringraziò della cortesia. E, alzandosi, tese la mano per prendere la ricevuta.
Il momento era giunto: o subito o non più. Il segretario tirò indietro il foglio, e rinunziando a dir le parole preparate perché la confusione non gliele lasciava ritrovare, si slanciò con disperato coraggio contro al pericolo.
- Signorina! - ripeté...
Accade qualche volta anche ai non timidi, quando parlan dominati da una forte commozione, e tanto più se in una lingua che non hanno familiare, che il loro linguaggio, il tuono, il gesto, tutto devia involontariamente dal sentimento che vogliono esprimere, in modo che mentre questo è sincero, semplice, umile, l'espressione esce enfatica, tormentata, predicatoria, stonata, falsa, come se un altro parlasse in luogo loro, senza comprenderli, e quasi col proposito di farli fallire al loro scopo. Questo avvenne al povero don Celzani.
Battendosi una mano sul petto, gonfiando troppo la voce, facendo la ruota con lo sguardo intorno alla maestra come per seguire il volo circolare d'una farfalla, e movendo in cento modi strani le grosse labbra come se le avesse intorpidite dal freddo:
- Signorina! - declamò. - Io ho una cosa da dirle. Mi permetta. Mi perdoni. So che questo non è il luogo. Ma vi sono dei momenti, vi sono dei sentimenti, nei quali l'uomo onesto, quando è un affetto onesto, sia pure davanti a Dio, è impossibile, tutto si deve dire, tutto si può scusare, è un dovere lasciar dire. Io già mi sono spiegato. Lei conosce il mio sentimento. Mai, mai fu leggerezza, fin dal primo giorno. Mai. Sempre ho coltivato quel pensiero. Giammai nella mia coscienza, se ho ardito, Dio m'é testimonio, la più pura intenzione, il più sacrosanto scopo, l'affezione di tutta la vita, se anche non l'ho scritto, eccomi a dirlo, signorina. La sua mano!... Forse non è il modo; ma parlo a un'anima bella. Il frutto è maturo. Meditai. È un galantuomo che parla. Concorde è lo zio. Creda a questo cuore. Non è più vita la mia. Non domando che la sua mano. Una sola parola! Pronuncia la mia sentenza.
(«Pronuncia» fu un lapsus linguae).
Detto questo, ansando, piantò gli occhi dilatati in viso alla maestra, con un'espressione quasi di terrore. La maestra, che aveva sorriso alle prime parole e ascoltato con serietà le ultime, corrugò la fronte quando egli ebbe finito, suffusa d'un leggero rossore, che sparve subito. Poi, fissando lo sguardo sopra un almanacco appeso alla parete, con una intonazione naturalissima che faceva un curioso contrasto a quella del segretario, e con una voce che, abbassandosi, diventava baritonale: - Veda, signor segretario, - rispose, - Io non so trovar giri di parole per dir certe cose... come si dovrebbero dire. Dico franco il mio pensiero. Lei perdonerà . Non ho che a ringraziarla delle sue buone intenzioni. Anzi, mi tengo onorata. Ma...se avessi avuto un'idea, l'avrei manifestata subito, dopo la sua lettera, perché avevo capito quel che c'era sottinteso. Le dico che mi tengo onorata, sinceramente. Però, ecco la cosa: davvero io non ho vocazione pel matrimonio. Per le mie occupazioni ho bisogno d'esser libera; ho deciso d'esser libera. E poi.... ho ventisette anni: se avessi avuto altre inclinazioni, le avrei secondate da un pezzo. CosÃcché... Insomma, io non so trovar delle frasi. Mi rincresce, la ringrazio: ecco tutto. Favorisca la ricevuta.
A quelle parole l'amore trafitto urlò, e la naturalezza gli venne.
- Ah no, signorina, no! - esclamò don Celzani agitandosi. - Lei dice cosà perché non sa. N...
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