[Pagina precedente]...i ottengono anche con quel poco che ci è permesso. Lei non può credere il mutamento che si nota dopo un mese di ginnastica nelle ragazze dai dodici anni in su, e tanto più in quelle che son magre e anemiche per malattie sofferte nell'infanzia o per linfatismo acquisito. In un mese, si allarga il rossore delle guance, che era soltanto un cerchietto, le braccia s'arrotondano, il dorso si raddrizza, i muscoli si rilevano... Alle volte, a guardarle di dietro, non si riconoscono più, paiono donnine fatte, hanno acquistato quella eleganza e sveltezza dei movimenti, che formano la vera bellezza estetica; specialmente negli arti inferiori... uno sviluppo da far rimanere sbalorditi. È veramente una cosa consolante.
SÃ, era consolante anche per il commendatore, che seguitava il corso dei suoi pensieri. E fece una domanda che parve scaturire da una profonda meditazione.
- Oltre a questo, - disse, - ella avrà anche delle particolari soddisfazioni da quelle poche che hanno per la ginnastica un'attitudine fisica eccezionale e un ardore eguale al suo; perché, sopra un gran numero, ce n'ha da essere, sicuramente. - E, socchiusi gli occhi, tornò a fissarli in alto, come per assaporar la risposta.
- Ah, questo si! - rispose la maestra eccitandosi. Ce ne sono! Ed io, oramai, le conosco alla prima occhiata, la prima volta che si presentano, che non è poi tanto facile. Perché non son mica sempre quelle più asciutte e d'apparenza più svelte, che hanno le migliori attitudini. Queste derivano dalla struttura più o meno armonica delle membra. Ci sono delle grasse, per esempio, che si crederebbero pesanti e impacciate, e hanno invece una agilità , un'elasticità da fare stupire. Bisognerebbe che il signor commendatore potesse vedere, nelle ore di ricreazione, alle Figlie dei militari...
Il commendatore chiuse gli occhi.
- Perchè, - seguitò la maestra, - il regolamento della ginnastica può restringere i movimenti fin che vuole; ma poi, fuor della lezione, le più brave fanno quello che vogliono. Ce n'ho una dozzina, a San Domenico, tra i quattordici e i diciotto anni, che potrebbero dar spettacolo in un teatro, delle vere acrobate, che fanno dei giri sulla sbarra fissa, da dar le vertigini, dei salti con la pedana d'un metro e mezzo d'altezza dei volteggi... - E soggiunse con un sorriso: - Fortuna che non c'è spettatori. Ma le dico delle braccia e delle gambe d'acciaio, dei vitini che scattano come molle: una bellezza, le assicuro. E dire che si potrebbero ridurre tutte cosÃ!... Sarebbe una benedizione!
SÃ, sarebbe stata una benedizione; il commendatore n'era persuaso più di chi che sia. E dopo una breve meditazione, riscotendosi tutt'a un tratto, disse il suo pensiero: - Speriamo, signora maestra, che a poco a poco ci si verrà . Le buone idee finiscono sempre con vincere. Intanto, le resistenze cedono da tutte le parti. E lei prosegua con costanza il suo apostolato, che fa un'opera santa per il bene delle nostre povere bambine: gliene dobbiamo tutti esser grati.
La maestra s'alzò, ringraziando; s'alzò egli pure, e, prevenendo il nipote, l'accompagnò garbatamente fino all'uscio, dove le fece un inchino profondo.
Il segretario, che per tutto quel tempo era rimasto in piedi in disparte, immobile, non perdendo una sillaba della conversazione, e spiando a vicenda i due visi, gongolava al pensiero che la maestra doveva aver fatto allo zio un'eccellente impressione.
Questi, ritornato indietro, si fermò in mezzo alla stanza, e passandosi una mano sulla canizie maestosa, disse con accento paterno, quasi parlando tra sè: - Una simpatica signorina!
E rimase come assorto nel suo pensiero.
- Dunque, - domandò trepidando don Celzani, - lei non avrebbe più da fare alcuna obiezione?
Lo zio parve che non capisse subito quello che voleva dire. Poi, quando capÃ, rispose trascuratamente:
- Per me... nessuna. Solamente, - soggiunse, guardando il nipote da capo a piedi, - hai il suo consenso?
Questi prese il suo atteggiamento di chierico, con una mano nell'altra, e abbassando gli occhi sfavillanti, rispose con voluta umiltà : - Lo spero.
- Vedremo, - disse lo zio, squadrandolo ancora una volta, e risedutosi sulla poltrona, colla nuca alla spalliera e gli occhi socchiusi, si sprofondò da capo nei suoi pensieri,
Don Celzani fu felice. La via, dunque, era interamente libera, e dopo quella visita la maestra doveva essere anche meglio disposta di prima. Egli contava di far avanti una domanda di prova, con le debite cautele, e poi la mossa suprema, quando la prima fosse stata bene accolta. Questa la poteva far dove si fosse. Cercò dunque l'occasione per le scale. Ma fu sfortunato. La Zibelli aveva rifatto con l'amica la sua centesima riconciliazione, provocata da una delle cause solite. Lo studente Ginoni, visto respinti i suoi assalti successivi dalla Pedani, in parte per far rappresaglia, in parte per certa grossa malizia di ragazzone, con la quale credeva di spremer l'amore dal dispetto, s'era messo a far delle piccole cortesie alla Zibelli: non una corte spiegata, ma una specie di «asineggiamento», semiserio, delle conversazioni amichevoli, qualche mazzetto, delle strette di mano espressive, quando la incontrava sola. E pur senza dar gran peso a quelle dimostrazioni, la Zibelli, non sospettandone il perchè, le gradiva come una carezza al suo amor proprio, una ricreazione, un pascolo piacevole dato alla sua fantasia. Per questo, ritornata in buona con la Pedani, ogni volta che sapeva di non incontrare il giovane, le si riaccompagnava uscendo e rientrando, come per l'addietro. Don Celzani fallà dunque per cagion sua varie appostature.
Una volta, mentre egli stava per cogliere la bella tutta sola, uscà di casa il professor Padalocchi e la fermò, per lagnarsi della solita difficoltà di respiro, e dirle che la rotazione delle braccia suggeritagli da lei lo affaticava troppo. Dopo aver un po' pensato, la maestra gli consigliò la lettura ad alta voce, dicendogli che l'acceleramento della respirazione in questo esercizio era calcolato in 1,26: badasse però di leggere con una cravatta larga: ne avrebbe risentito un vantaggio. Il segretario sperò che fosse finita; ma il terribile vecchio chiese degli schiarimenti sui movimenti di flessione della ginnastica Schreber, e allora egli rinunciò al suo proposito.
L'aveva un'altra volta quasi raggiunta, sola, a piè della scala, rientrando in casa, quand'eccoti dietro l'ingegner Ginoni, che rientrava pure. Dopo che don Celzani era ricascato nella sua passione, quegli aveva ripreso a far con lui la sua parte di protettore, tra benevolo e canzonatorio. Ma questa volta gli diede un dispiacere.
- Signorina Pedani, - disse con la maggior serietà , mettendo una mano sulla spalla al segretario, - le faccio la presentazione d'uno dei più assidui e valenti acrobatici della Palestra di Torino.
Don Celzani fremè, negò, arrossendo, acceso di dispetto; si sarebbe voluto nascondere, e augurò il malanno in cuor suo all'impertinente. Ma la maestra fece un'esclamazione di lieta maraviglia, guardandolo, come per cercare i cambiamenti che la ginnastica aveva prodotti nella sua persona. In quel momento, appunto, egli stava nel solito atteggiamento pretesco; ma a lei parve di vedergli un che di più vivo negli occhi.
Nondimeno, dubitò d'uno scherzo.
- Vede che non lo può negare due volte, - disse l'ingegnere, - Creda, signora maestra, che il fatto d'aver mandato don Celzani alla Palestra sarà la più maravigliosa delle sue prodezze!
Quel don ferà un'altra volta nel vivo il Celzani. Ma egli vide in viso della ragazza un sorriso cosà sincero di compiacenza, senz'ombra di canzonatura, che si racconsolò. SÃ, il momento era giunto, egli avrebbe fatto bene a non tardare nemmen più d'un giorno. E la sera stessa, infatti, prima di notte, all'ora in cui sapeva che la Zibelli era fuori, preso il pretesto d'andar a vedere se s'era fatto un certo guasto nel tubo dell'acqua potabile, salà in casa della Pedani.
Sperava d'esser ricevuto nella sua camera. Essa lo ricevette invece nel salotto, in piedi. Vestiva la «blusa» da ginnastica, di rigatino turchino, che le disegnava mirabilmente le spalle, e una gonnella bianca, con una macchietta d'inchiostro sopra il ginocchio. Aveva per la prima volta l'aspetto un po'imbarazzato, ciò che stupà don Celzani; ma l'imbarazzo non derivava tanto dalla visita di lui, della quale indovinava lo scopo, quanto dalla certezza assoluta ch'ella aveva, come se la vedesse, che la donna di servizio, appostata dietro all'uscio, non avrebbe perduto una sillaba dei loro discorsi. Fu quindi costretta a esser breve e quasi dura nelle parole, cercando di temperare quella durezza coll'espressione del viso.
- Signorina, - disse piano don Celzani, tremando, dopo aver parlato ad alta voce del tubo, -... vengo per volta a domandarle... se è sempre della stessa idea.
Essa lo guardò con aria benevola, diede un'occhiata all'uscio, e ripete, con leggero accento di rammarico, le sue stesse parole: - Sempre della stessa idea...
Don Celzani impallidÃ. E domandò più piano: - Ir...removibile?
La maestra tornò a guardar verso l'uscio, e chinando un poco il viso in atto di pietà , rispose: - SÃ.
Il segretario si passò una mano sulla fronte e sbarrò gli occhi. Quella risposta l'aveva paralizzato: non trovava parole. Il silenzio si prolungava. Non si poteva restar cosÃ. La maestra, che neppure sapeva che cosa dire, fece un atto d'inquietudine, che egli notò.
-... Allora, - disse, - me ne vado...
Essa non rispose. Egli si mosse, e quando fu vicino all'uscio, voltando indietro il viso stravolto, con un accento disperato che avrebbe fatto scoppiar dal ridere uno spettatore indifferente: - Dunque, - disse, - nel tubo dell'acqua potabile non c'è niente da fare!
Quel contrasto ridicolo tra la voce e la parola toccò nel cuore la ragazza più di qualunque supplicazione: ella fu tentata di dirgli qualche cosa per consolarlo. Ma la coscienza le vietò d'illuderlo, E disse soltanto, con un sorriso affettuoso e pietoso ch'egli non vide: - No, signor Celzani... non c'è nulla da fare.
Quegli rispose con un singhiozzo nella gola: - Tanti rispetti! - ed uscÃ.
E allora si disperò, perché allora l'amava con tutta l'anima, con un misto di sensualità ardente e di tenerezza infantile, avvivate continuamente dal pensiero di quell'abbraccio che l'aveva inebriato, dal ricordo dei loro colloqui familiari, di tante trepidazioni, di tante speranze, di tanti disinganni, che gli parevan la storia di metà della sua vita. E non sognò nemmeno di ribellarsi alla propria passione, come l'altra volta, perché sentiva che non era più possibile. No, a prezzo di qualunque tormento, doveva continuare a vederla, a parlarle, a strisciarle intorno come un cane, a mettersele tra i piedi a ogni passo, a sentire il suo profumo di gioventù e la sua voce profonda, a godere almeno della sua pietà , a torturarsi l'immaginazione, il cuore e la carne sotto i suoi occhi. E i tormenti s'inasprirono, ed egli se li cercò. Coll'avvicinarsi dell'estate, ella alleggerà ancora il suo abbigliamento, mettendo le sue forme in una evidenza che lo facea delirare. Egli risalà sul soppalco, a inginocchiarsi tra la polvere e le foglie secche, col viso all'abbaino, e la vista di lei, che dava allora le sue lezioni col busto scoperto, mostrando nude le larghe spalle e le braccia stupende, lo martoriava; e anche quando non la potea vedere, stava alle volte un'ora a sentir la sua voce, e quei comandi: «Prona, supina, palme in avanti, palme indietro, slancio simultaneo delle braccia» gli risonavan nell'anima come esclamazioni d'amore. Egli non dormiva più, la notte, per raccogliere tutti i rumori di sopra, al più lieve dei quali sussultava come se si fosse sentito i suoi piedini sul corpo. E s'affaticava il cervello, in quel dormiveglia febbrile, a immaginare astuzie e industrie temerarie per poterla vedere: dei buchi nel solaio, dei traforamenti di muri, delle combinazioni di specchi, dei nascondimenti impossibili. E al punto d'eccitamento a cui era arrivato, non si guardava più dai vicini per app...
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