PRIMI POEMETTI, di Giovanni Pascoli - pagina 1
PRIMI POEMETTI
[1897]
A MARIA PASCOLI
Din don don...
Non fu quel prete smunto e cereo, che viene su per la viottola col breviario in mano, non fu esso il rettore che ci battezzò? non era Mère il buon contadino che ci rallegrava fanciulli col suo parlare a scatti, coi suoi motti e proverbi curiosi? "Il cane fa ir la coda, perché non ha cappello da cavarsi": ecco una sua osservazione sottile a proposito del nostro Gulì.
Parlano romagnolo? Dicono magnè, magnè, magnè!...
Sentono cantare i vespri e le litanie da una parte; dall'altra frusciare il Rio dell'Orso.
Io non so che cosa succede stamane.
Ho sorpreso una viva conversazione familiare dentro un nido.
C'erano pigolìi e strilli.
Qualcuno alzava la voce.
E ne siete usciti in tre o quattro.
E buona caccia! Le mosche abbondano quest'anno, come sempre.
Chiaro, che a nutrir le rondini.
La prima capanna che uomo costruì, di terra seccata al sole, alla sua donna, gli insegnò una coppia di rondini a costruirla.
Ciò fu al tempo dei nomadi.
E gli dettero il modellino della casa.
Solo, l'uomo lo capovolse.
Ma questa voce che è? un rotolìo che mai non finisce, come d'un treno che non arriva mai.
È il Fiume, cioè il Serchio.
Ma no, pensiamoci anzi.
Sappiate che la dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno nell'intima cavità del dolore passato.
Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero.
Sappiate che non godrei tanto di così tenue (per altri!) materia di gioia, se il martòro non fosse stato così duro e così durevole e non fosse venuto da tutte le possibili fonti di dolore, dalla natura e dalla società, e non ne avesse ferito tutte le possibili sedi, l'anima e il corpo, l'intelligenza e il sentimento.
Io dico: O madre Natura, siano grazie a te che anche dal male ricavi per noi il bene.
Noi, mansueta Maria, abbiamo a lungo camminato per l'erta viottola del dolore, e ci siamo anche stancati, o Maria, molto; ma la passeggiata ci ha dato un giovanile appetito di gioia.
Sì, che anche una crosta ammuffita e una scodella di legumi sono buon cibo alla nostra fame.
Il ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo.
Quindi noi di poesia ne abbiamo a dovizia.
Potrò significarla altrui? Aspettando i «Canti di Castelvecchio» e i «Canti di San Mauro», il presente e il passato, la consolazione e il rimpianto, aspettando questi canti che echeggiano già così soave nelle nostre due anime sole; leggi, o Maria, anzi rileggi questi poemetti.
E leggeteli voi, anime candide, cui li affido.
Leggeteli candidamente.
Vorrei che voi osservaste con me, che a vivere discretamente, in questo mondo, non è necessario che un po' di discrezione...
Vorrei che pensaste con me che il mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura.
Appunto oggi è arrivata gente di fuori, di lontano.
I rondoni.
Strillano in gruppi di quattro o cinque: in corse disperate, come pazzi.
Fanno il nido nei buchi lasciati dalle travi.
Ecco che io ho intorno casa anche i rondoni, popolo bellicoso e straniero, vestito di nero opaco.
Io vi racconto, per finire, un fatto di cui sono stato testimonio or ora.
Un rondone (è forse una femmina: certe bontà si suppongono meglio in una che fu o è per essere madre), un rondone viene e rinviene, col suo volo di saetta, a uno de' miei nidini di balestruccio.
Vuol forse impadronirsene? cacciarne la famiglia che c'è già? No: egli porta ogni volta qualche cosa da mangiare; sta arrampicato un poco alla porticella o finestrella del nido, ed è subito sbarazzato della sua piccola preda.
Carità...
internazionale! O caso più pietoso ancora, si tratta d'orfanelli? e un altro povero li nutre e tira su alla meglio?
Uomini, insomma contentatevi del poco («assai» vuol dire sì abbastanza e sì molto: filosofia della lingua!), e amatevi tra voi nell'ambito della famiglia, della nazione e dell'umanità.
Ma io non parlo più a te, dolce Maria.
Eccomi a te di nuovo...
Ma c'è da fare il pane.
Oggi è sabato.
Lasciamo la penna, e andiamo.
Andiamo dunque a fare opera...
indovina, di che?...
di emancipazione, figliuola mia!
Castelvecchio di Barga, 5 giugno 1897.
Giovanni
L'ALBA
I
Allor che Rosa dalle bianche braccia
aprì le imposte, piccola e lontana
Dalla Pieve a' Cipressi la campana
sonava l'alba: in alto, sul Mongiglio
erano bianchi bioccoli di lana.
Raspava una gallina sopra il ciglio
d'un fosso.
Po s'alzò, scosse la brina,
scodinzolando, con uno sbadiglio.
Ed al frizzar dell'aria mattutina,
nel comun letto si svegliò Viola,
all'improvviso, e mormorò: «Rosina!
Rosina!».
E già taceva la chiesuola
lasciando udire un canto di fringuello,
e, per i campi ombrati di viola,
II
E Rosa in tanto, al davanzale, i semi
e mondava dal secco i crisantemi.
Si sfumò d'oro un bioccolo argentino:
oh! una mandra, tutta oro, tranquilla
pasceva in alto in mezzo al cilestrino.
Corsero come guizzi di pupilla;
tutto via via razzava: un fil di paglia
nel concio nero, un ciottolo, una stilla.
Ma il sole entrava come in una maglia
sottil di nubi d'un color d'opale,
e traspariva dalla nuvolaglia.
Rosa si ravviava al davanzale:
or luce, or ombra si sentìa sul viso;
ché il sol montando per il cielo a scale
appariva e spariva all'improvviso.
III
Appariva e spariva; e venìa meno
la terra all'occhio, e poi, come in un fiato,
tutto balzava su verso il sereno.
A monte, a mare, ella guardò: guardato
ch'ebbe, ella disse (udiva sui marrelli
a quando a quando battere il pennato):
«Aria a scalelli, acqua a pozzatelli».
NEI CAMPI
I
Il capoccio avea detto: «Odimi, moglie.
Senti le rare tremule tirate
che fanno i grilli? Cadono le foglie;
e tristi i grilli piangono l'estate.
L'altra notte non chiusi occhio, tanto era
quel gridìo! - Seminate! Seminate! -
credei sentire.
Poi, sentii ier sera
passar su casa un lungo rombo d'ale:
l'anatre vanno per la notte nera.
C'è sopra il verno.
Il primo temporale
cova nell'aria.
Sai che, per il grano,
Domani voglio il mio marrello in mano;
ché chi con l'acqua semina, raccoglie
poi col paniere; e cuoce fare in vano
più che non fare.
Incalciniamo, o moglie».
II
E per due giorni consegnava il grano
alle soffici porche.
Seminare
volle la costa, seminare il piano.
E per due giorni non uscì da mare
pure una nube; e il garrulo vicino,
«Il tempo è in filo,» gli dicea, «compare!»
Ma egli arava tutto il giorno, chino
sopra le porche.
Il terzo dì, cantava
al buio il gallo, prima di mattino.
Ed egli al buio sorse, ed aggiogava
le brune vacche (uscirono mugliando
e rugumando la lor verde bava),
e seminava.
Dore al giogo, Nando
era alla coda: Nando, il suo maggiore,
che ammoniva le bestie a quando a quando,
tarde, e la forza pargola di Dore.
III
Forza di Dore, le divincolanti
pulverulento si gettava avanti.
altri via via copriva la sementa.
L'aratro andava, nell'ombrìa, pian piano:
qualche stella vedea l'opera lenta.
PER CASA
I
Vedea nell'ombra qualche muta stella
gli uomini arare.
Nella mattinata
ci fu lo spruzzo d'una scosserella.
...
[Pagina successiva]