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ecco ogni eroe contro un eroe si slancia:
lottano in mezzo alle rosate schiume
del lago, e il molle becco è la lor lancia,
e non ferisce sul brocchier di piume.
Guarda le innocue gralle irrequiete,
là , con lo scudo ombelicato e il casco!
negli acquitrini dove voi mietete
lanuginose canne di falasco,
per tetto della casa alta, d'abete.
V
Ei piange, e vede la mia mano ch'apre
rosea, di monte in monte, uscì e cancelli;
apre, toccando lieve i chiavistelli,
alle belanti pecore, alle capre;
anche al fanciullo che la verga toglie,
curva, e si lima i cari occhi col dosso
dell'altra mano: anche al villano scosso
di mezzo ai sogni dall'industre moglie;
anche all'auriga che i cavalli aggioga
al carro asperso ancor del sangue d'ieri,
mentre l'eroe, già stretti gli stinieri,
prende lo scudo per l'argentea soga:
scudo rotondo, di lucente elettro,
grande, con le città , con le capanne,
e greggi e mandre, e corbe d'uva e manne
di spighe, e un re pei solchi, con lo scettro.
VI
Ma te non più porterò via, divino
eroe, sul carro, col rotondo scudo
ch'ha suon di tibie, e dolce canta, AI LINO:
dall'altra parte tornerò del cielo,
a sera, e te con altri ignudi ignudo
io parerò tenendo un aureo stelo;
un aureo stelo con in cima un astro;
e parerò le vostre esili vite,
come un pastore, con quel mio vincastro:
un gregge d'ombre, senza i folti velli
color viola. E per le vie muffite
v'udrò stridire come vipistrelli.
La bianca Rupe tu vedrai, dov'ogni
luce tramonta, tu vedrai le Porte
del Sole e il muto popolo dei Sogni.
E giunto alfine sosterai nel Prato
sparso dei gialli fiori della morte,
immortalmente, Achille, affaticato.
VII
Dove dirai: Fossi lassù garzone,
in terra altrui, di povero padrone;
ma pur godessi, al sole ed alla luna,
la dolce vita che ad ognuno è una;
e i miei cavalli fossero giovenchi,
che lustro il pelo, i passi hanno sbilenchi;
e ritrovassi, nell'uscir dal tetto,
per asta dalla lunga ombra, il pungetto;
e rimirassi, nell'uscir dal clatro,
per carro dal sonante asse, l'aratro:
l'aratro pio che cigola e lavora
nella penombra della nuova aurora! -
Diceva, e già nel cielo era appassita:
venne il Sole, e s'alzò l'urlo di guerra.
ANTÃŒCLO
E con un urlo rispondeva Antìclo,
dentro il cavallo, a quell'aerea voce;
se a lui la bocca non empìa col pugno
Odisseo, pronto, gli altri eroi salvando;
e ognun chiamando tuttavia per nome
la voce alata dileguò lontano;
fin ch'all'orecchio degli eroi non giunse
che il loro corto anelito nel buio;
come già prima, quando già lì fuori
impallidiva il vasto urlìo del giorno,
l'urlìo venato da virginei cori,
che udian dietro una nera ombra di sonno;
nel lungo giorno; e poi languì, ché forse
era già sera, e forse già sul mare
tremolava la stella Espero, e forse
la luna piena già sorgea dai monti;
ed allora una voce ecco al cavallo
girare attorno, che sonava al cuore
come la voce dolce più che niuna,
come ad ognuno suona al cuor sol una
II
Era la donna amata, era la donna
lontana, accorsa, in quella ora di morte,
da molta ombra di monti, onda di mari:
sbalzò ciascuno quasi a porre il piede
su l'inverdita soglia della casa.
Ma tutti un cenno di Odisseo contenne:
Antìclo, no. Poi ch'era forte Antìclo,
sì, ma per forza; e non avea la gloria
loquace a cuore, ma la casa e l'orto
d'alberi lunghi e il solatìo vigneto
e la sua donna. E come udì la voce
della sua donna, egli sbalzò d'un tratto
su molta onda di mari, ombra di monti;
udì lei nelle stanze alte il telaio
spinger da sé, scendere l'ardue scale;
e schiuso il luminoso uscio chiamare
lui che la bocca aprì, tutta, e vi strinse
il grave pugno di Odisseo Cent'arte;
e sentì nella conca dell'orecchio
sibilar come raffica marina:
Helena! Helena! è la Morte, infante!
III
Ma quella voce gli restò nel cuore:;
e quando uscì con gli altri eroi - la luna
piena pendeva in mezzo della notte -
gli nereggiava di grande ira il cuore;
e per tutto egli uccise, arse, distrusse.
Gittò nel fuoco i tripodi di bronzo,
spinse nel seno alle fanciulle il ferro;
ché non prede voleva; egli voleva
udir, tra grida e gemiti e singulti,
la voce della sua donna lontana.
Ma era nella sacra Ilio il nemico
di gloria Antìclo, non in Arne ancora,
fertile d'uva, o in Aliarto erboso:
e in un vortice rosso Ilio vaniva
a' piè del plenilunïo sereno.
Morti i guerrieri, giù nelle macerie
fumide i Danai ne battean gl'infanti,
alle lor navi ne rapian le donne:
e d'Ilio in fiamme al cilestrino mare,
dalle Porte al Sigeo bianco di luna,
passavano con lunghi ululi i carri.
IV
Ma non ancora alle Sinistre Porte
Antìclo eroe dalla città giungeva.
Lì l'auriga attendeva il suo guerriero
insanguinato; e oro e bronzo, il carro,
e la giovane schiava alto gemente.
Voto era il carro, solo era l'auriga:
legati con le briglie abili al tronco
del caprifico, in cui fischiava il vento,
i due cavalli battean l'ugne a terra,
fiutando il sangue, sbalzando alle vampe.
Ma non giungeva Antìclo: egli giaceva
sul nero sangue, presso l'alta casa
di Deifobo. E dentro eravi ancora
fremere d'ira, strepere di ferro:
poi che, intorno all'amante ultimo, ancora
gli eroi venuti con le mille navi,
Locri, Etoli, Focei, Dolopi, Abanti,
contendean ai Troiani Helena Argiva;
tutti per lei si percotean con l'aste
i vestiti di bronzo e i domatori
di cavalli; e le loro aste, stridendo,
rigavano di lunghe ombre le fiamme.
V
Ma pensava alla sua donna morendo
Antìclo, presso l'atrïo sonoro
dell'alta casa. E divampò la casa
come un gran pino; ed al bagliore Antìclo
vide Lèito eroe sul limitare.
Rapido a nome lo chiamò: gli disse:
Lèito figlio d'Alectryone, trova
nell'alta casa il vincitore Atride,
di cui s'ode il feroce urlo di guerra.
Digli che fugge alle mie vene il sangue
sì come il vino ad un cratere infranto.
E digli che per lui muoio e che muoio
per la sua donna, ed ho la mia nel cuore.
Che venga la divina Helena, e parli
a me la voce della mia lontana:
parli la voce dolce più che niuna,
come ad ognuno suona al cuor sol una.
VI
Disse, e la casa entrò Lèito, e seguiva
tra le fiamme il feroce urlo di guerra,
che come tacque, egli trovò l'Atride
poggiato all'asta dalla rossa punta,
dritto, col piede sopra il suo nemico.
E contro gli sedeva Helena Argiva,
tacita, sopra l'alto trono d'oro;
e lo sgabello aveva sotto i piedi.
E Lèito disse al vincitore Atride:
Uno mi manda, da cui fugge il sangue
sì come il vino da cratere infranto:
Antìclo, che muore per te, che muore
per la tua donna, ed ha la sua nel cuore.
Oh! vada la divina Helena, e parli
a lui la voce della sua lontana,
la voce dolce forse più che niuna,
e come suona forse al cuor sol una.
VII
E così, mentre già moriva Antìclo,
veniva a lui con mute orme di sogno
Helena. Ardeva intorno a lei l'incendio,
su l'incendio brillava il plenilunio.
Ella passava tacita e serena,
come la luna, sopra il fuoco e il sangue.
Le fiamme, un guizzo, al suo passar, più alto;
spremeano un rivo più sottil le vene.
E scrosciavano l'ultime muraglie,
e sonavano gli ultimi singulti.
Stette sul capo al moribondo Antìclo
pensoso della sua donna lontana.
Tacquero allora intorno a lei gli eroi
rauchi di strage, e le discinte schiave.
E già la bocca apriva ella a chiamarlo
con la voce lontana, con la voce
della sua donna, che per sempre seco
egli nell'infinito Hade portasse;
la rosea bocca apriva già ; quand'egli
- No - disse: - voglio ricordar te sola. -
IL SONNO DI ODISSEO
I
Per nove giorni, e notte e dì, la nave
nera filò, ché la portava il vento
e il timoniere, e ne reggeva accorta
la grande mano d'Odisseo le scotte;
né, lasso, ad altri le cedea, ché verso
la cara patria lo portava il vento.
Per nove giorni, e notte e dì, la nera
nave filò, né l'occhio mai distolse
l'eroe, cercando l'isola rupestre
tra il cilestrino tremolìo del mare;
pago se prima di morir vedesse
balzarne in aria i vortici del fumo.
Nel decimo, là dove era vanito
il nono sole in un barbaglio d'oro,
ora gli apparse non sapea che nero:
nuvola o terra? E gli balenò vinto
dall'alba dolce il grave occhio: e lontano
s'immerse il cuore d'Odisseo nel sonno.
II
E venne incontro al volo della nave,
ecco, una terra, e veleggiava azzurra
tra il cilestrino tremolìo del mare;
e con un monte ella prendea del cielo,
e giù dal monte spumeggiando i botri
scendean tra i ciuffi dell'irsute stipe;
e ne' suoi poggi apparvero i filari
lunghi di viti, ed a' suoi piedi i campi
vellosi della nuova erba del grano:
e tutta apparve un'isola rupestre,
dura, non buona a pascere polledri,
ma sì di capre e sì di buoi nutrice:
e qua e là sopra gli aerei picchi
morian nel chiaro dell'aurora i fuochi
de' mandrïani; e qua e là sbalzava
il mattutino vortice del fumo,
d'Itaca, alfine: ma non già lo vide
notando il cuore d'Odisseo nel sonno.
III
Ed ecco a prua dell'incavata nave
volar parole, simili ad uccelli,
con fuggevoli sibili. La nave
radeva allora il picco alto del Corvo
e il ben cerchiato fonte; e se n'udiva
un grufolare fragile di verri;
ed ampio un chiuso si scorgea, di grandi
massi ricinto ed assiepato intorno
di salvatico pero e di prunalbo;
ed il divino mandrïan dei verri,
presso la spiaggia, della nera scorza
spogliava con l'aguzza ascia un querciolo,
e grandi pali a rinforzare il chiuso
poi ne tagliò coi morsi aspri dell'ascia;
e sì e no tra lo sciacquìo dell'onde
giungeva al mare il roco ansar dei colpi,
d'Eumeo fedele: ma non già li udiva
tuffato il cuore d'Odisseo nel sonno.
IV
E già da prua, sopra la nave, a poppa,
simili a freccie, andavano parole
con fuggevoli fremiti. La nave
era di faccia al porto di Forkyne;
e in capo ad esso si vedea l'olivo,
grande, fronzuto, e presso quello un antro:
l'antro d'affaccendate api sonoro,
quando in crateri ed anfore di pietra
filano la soave opra del miele:
e si scorgeva la sassosa strada
della città : si distinguea, tra il verde
d'acquosi ontani, la fontana bianca
e l'ara bianca, ed una eccelsa casa:
l'eccelsa casa d'Odisseo: già forse
stridea la spola fra la trama, e sotto
le stanche dita ricrescea la tela,
ampia, immortale... Oh! non udì né vide
perduto il cuore d'Odisseo nel sonno.
V
E su la nave, nell'entrare il porto,
il peggio vinse: sciolsero i compagni
gli otri, e la furia ne fischiò dei venti:
la vela si svoltò, si sbatté, come
peplo, cui donna abbandonò disteso
ad inasprire sopra aereo picco:
ecco, e la nave lontanò dal porto;
e un giovinetto stava già nel porto,
poggiato all'asta dalla bronzea punta:
e il giovinetto sotto il glauco olivo
stava pensoso; ed un veloce cane
correva intorno a lui scodinzolando:
e il cane dalle volte irrequïete
sostò, con gli occhi all'infinito mare;
e com'ebbe le salse orme fiutate,
ululò dietro la fuggente nave:
Argo, il suo cane: ma non già l'udiva
tuffato il cuore d'Odisseo nel sonno.
VI
E la nave radeva ora una punta
d'Itaca scabra. E tra due poggi un campo
era, ben culto; il campo di Laerte;
del vecchio re; col fertile pometo;
coi peri e meli che Laerte aveva
donati al figlio tuttavia fanciullo;
ché lo seguiva per la vigna, e questo
chiedeva degli snelli alberi e quello:
tredici peri e dieci meli in fila
stavano, bianchi della lor fiorita:
all'ombra d'uno, all'ombra del più bianco,
era un vecchio, poggiato su la marra:
il vecchio, volto all'infinito mare
dove mugghiava il subito tumulto,
limando ai faticati occhi la luce,
riguardò dietro la fuggente nave:
era suo padre: ma non già lo vide
notando il cuore d'Odisseo nel sonno.
VII
Ed i venti portarono la nave
nera più lungi. E subito aprì gli occhi
l'eroe, rapidi aprì gli occhi a vedere
sbalzar dalla sognata Itaca il fumo;
e scoprir forse il fido Eumeo nel chiuso
ben cinto, e forse il padre suo nel campo
ben culto: il padre che sopra la marra
appoggiato guardasse la sua nave;
e forse il figlio che poggiato all'asta
la sua nave guardasse: e lo seguiva,
certo, e intorno correa scodinzolando
Argo, il suo cane; e forse la sua casa,
la dolce casa ove la fida moglie
già percorreva il garrulo telaio:
guardò: ma vide non sapea che nero
fuggire per il violaceo mare,
nuvola o terra? e dileguar lontano,
emerso il cuore d'Odisseo dal son...
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