[Pagina precedente]...a nella diametrale opposizione. Si va per tanto continuamente indebolendo lo splendore della Luna: ma l'effetto suo in Terra procede al contrario imperocché nel tempo della congiunzione l'illuminazione in Terra è minima, anzi pur nulla, e si comincia a far sensibile nel separarsi la Luna dalla congiunzione, né molto si fa ella apparente sino allo aspetto sestile; ma continuando lo allontanamento della Luna dal Sole, passando per il quadrato e trino, sempre il lume di Luna in Terra si fa maggiore e maggiore, sin che diviene massimo nella opposizione. Poiché dunque la mutazione nel lume il fa al contrario di quel che far si dovrebbe quando tal mutazione dependesse dal farsi lo splendore della Luna or più or meno grande e gagliardo; chiara cosa rimane, che né anco il secondo capo ha luogo. In questa operazione del farsi il lume in Terra or più or meno vivace. Adunque non ha la Luna parte alcuna nella mutazione di quel lume in Terra, del quale noi parliamo; e non avendo ella parte in tal mutazione, per la verissima ipotesi del medesimo Filosofo né meno lo stesso lume sarà effetto della Luna: tuttavia egli pure tanto manifestamente depende dalla Luna, che niuno degli uomini si troverà che vi ponga dubbio. E veramente dubbio non vi si può porre, mentre che la causa della mutazione, cioè del farsi di piccolissimo, e di giorno in giorno andar crescendo, sin che grandissimo divenga, a tanto manifesta, che non è uomo che non la comprenda, e non vegga che la Luna nuova poco o niente può illuminar la Terra, non ci mostrando del suo emisferio illuminato dal Sole altro che una sottilissima falce, la quale la sera seguente fatta più larga, e di sera in sera ingrossando le sue corna, allargatasi per buono spazio dal Sole, comincia a rendere osservabile l'effetto del suo splendore, quanto all'illuminar la Terrai ridottasi poi, dopo sette o otto giorni al quadrato, scuopre alla Terra di sè la metà del suo emisiferio splendido; e seguitando di allontanarsi ancor più dal Sole, più e più di sera in sera mostra ampla la sua figura d'intero e perfetto cerchio, grandissima ne produce in Terra la sua illuminazione.
Io veramente mi meraviglio che l'eccellentissimo signore, di ingegno tanto provido in contemplare e penetrare le cause e gli effetti meravigliosi della natura, non so per qual ragione, non abbia fatto reflesso sopra così patente causa della mutazione del lume di Luna in Terra; o perché, avendovela fatta, non l'abbia poi riconosciuta nello splendore della Terra nel produrre simile mutazione nel candor della Luna, mentre che il negozio cammina nell'istessa maniera puntualissimamente. Cioè, perché, stante sempre un intero emisferio della Terra illustrato dal Sole, la Luna non però si trova perpetuamente costituita in sito tale, che continuamente se gli opponga o scuopra o tutto o la medesima parte del detto emisferio terrestre luminoso; ma talora lo vede tutto, talora ne perde una parte, e poi un'altra maggiore, e finalmente ancora ne perde il tutto. L'intero ne vede la Luna posta alla congiunzione col Sole; nel qual tempo, esponendo essa Luna il suo emisferio opaco, non tocco da i raggi solari, alla Terra, sommamente viene incandita dalla piazza immensa luminosa di quella. Partendosi poi dalla congiunzione, comincia a scoprire una particella dell'emisferio tenebroso della Terra, rimanendole però veduta grandissima parte ancora del luminoso; onde il suo candore si debilita alquanto, e va continuamente debilitandosi mentre che, nello allontanarsi dal Sole, va sempre di giorno in giorno perdendo di vista parte maggiore del terrestre emisferio luminoso, sin che, giunta al quadrato, scuopre del terrestre emisferio, esposto alla sua vista, la metà dell'illuminato, e l'altra metà del tenebroso: cresce dunque la causa del diminuirsi il candore. E così, continuando di perdersi di sera in sera maggiore e maggior parte dell'emisferio splendido della Terra, il candore si fa a poco a poco impercettibile, sendo anco di gran pregiudizio a gli occhi del riguardante la presenzia della parte molto lucida della Luna, che confina con quello che di lei resta privo della illuminazione del Sole. Al che possiamo aggiugner ancora (come punto di gran considerazione) la chiarezza che il medesimo lume lunare introduce nel suo ambiente, la qual chiarezza è tanta, che ci offusca e toglie la vista delle stelle fisse, le quali anco per assai grande spazio son lontane dalla Luna; tal che molto meno ci deve restar cospicuo il candore, anco per altro, tenuissimo fatto.
Parmi, Serenissimo signore, d'aver sin qui a bastanza dimostrato come l'opinion mia resta illesa da questa sua prima obbiezzione, ed insieme aver concluso che nella sua instanza è forza che sia qualche fallacia. Séguita ora che io dichiari in quel che a me pare che la fallacia consista: ed è, s'io non m'inganno, che argumentando egli ex suppositione quello che egli suppone è mutilo; e dove egli è almanco di tre membra, ne prende solamente due lasciando indietro il terzo. Del potersi fare il candore, o altra illuminazione, maggiore o minore, ne assegna il signor Liceti due modi solamente: cioè il mutarsi la distanza tra il corpo illuminante e il corpo che si illumina, che è l'uno de i modi; e l'altro, col farsi lo splendore dello illuminante intensivamente più o meno gagliardo. Ma ci è il terzo, il quale è quando non intensivamente, ma estensivamente, si fa maggiore quella luce da cui l'illuminazione deriva: e così il lume di una torcia grande più gagliardamente illuminerà che d'una piccola candela, benché gli splendori di amendue intensivamente siano eguali. Ora qui averei voluto che il signor Liceti avesse considerato, quanto questa terza maniera è più potente in produrre l'effetto della mutazione del lume di Luna in Terra. Imperocché l'ingrandirsi estensivamente lo splendore della Luna, come fa, mostrandosi da principio in figura di una sottilissima falce, andandosi poi pian piano e di sera in sera dilatando, cioè facendosi estensivamente maggiore, gran mutazione di accrescimento produce nell'illuminar la Terra, ancorché intensivamente vadia debilitandosi, onde per tal rispetto il lume dovrebbe farsi men vivo. Debolissima dunque è l'efficacia delle altre due maniere, in comparazione di questa terza, la quale l'Altezza Vostra Serenissima vede quanto sia gagliarda.
Sarà bene adesso che andiamo esaminando quello che operar possa circa l'incandire la Luna il reflesso del suo etere ambiente dal signor Liceti assegnato per vera cagione dell'effetto: la quale dubito che non possa essere se non assai languida ed inefficace. Ma prima che io venga a questo, voglio qui interporre un mio, tal qual si sia, pensiero, per ritrovar l'origine donde sia proceduto il restare per tanti secoli passati occulta a gli ingegni speculativi questa, per mio credere, assai vera e concludente ragione, del derivare il candor della Luna veramente dal reflesso de' raggi solari nella terrestre superficie. Mentre che il Sole è sopra l'orizonte ed illumina il nostro emisferio terrestre, in qualsivoglia luogo che sia posta la Luna, il candor di lei non ci si rende visibile; per lo che nessuno in tal tempo si sarebbe mosso a credere né a dire che il lume della nostra Terra avesse forza di illuminare la parte della superficie lunare non tocca dal Sole onde molto meno gli potrebbe cadere in mente che la superficie della Terra priva di splendore fosse potente a incandire la Luna, cioè fusse potente, essendo tenebrosa, a portar luce là dove ella non la portò essendo luminosa. Quando dunque, tramontato che sia il Sole ed imbrunita la nostra Terra, mentre si vede scoprirsi il candore nella Luna, il giudizio popolare ad ogni altra cosa lo potrebbe referire, fuorché alla Terra: per lo che gli uomini, persuasi da questa prima e semplice apprensione, o non vi fecero reflessione, o cercarono di ritrovarne la ragione in ogni altra cosa fuorché nello splendor terrestre.
Ora, varii sono i riscontri e le ragioni le quali mi distolgono dal prestar l'assenso all'opinione del signor Liceti, che il candore lunare sia effetto di una parte del suo etere ambiente, la quale, come alquanto più densa dell'etere purissimo che il resto del cielo ingombra, possa ricevere e ripercuotere i raggi solari nella parte tenebrosa della Luna; in quella maniera che la parte dell'aria contermina alla Terra, fatta densa dalla mistione de i vapori, riceve lume da i raggi solari, e quello reflette sopra la Terra, producendo il crepuscolo e l'aurora. E perchè, oltre a questo, egli suppone che la Luna pure abbia per se stessa alquanto di lume, suo proprio e naturale; questo parimente e primieramente non credo io esser vero, né potere, quando pur vero fusse, averci parte alcuna: né so penetrare da che cosa mosso egli ve lo abbia voluto introdurre. E prima, che egli non vi sia, ce ne rende sicuri il perder noi talvolta del tutto di vista la Luna, quando ella, nella sua totale eclisse, nel mezo del cono dell'ombra terrestre si riduce; che quando ella avesse qualche proprio lume, benché tenue, nella profondissima notte si farebbe visibile; tal lume proprio non ha dunque la Luna. E quando ben ne avesse, non potendo egli esser se non tenuissimo, di niente potrebbe aiutare il candore, il quale è molto grande in quella maniera che niente opera il lume della Luna circa l'lluminar la Terra, qualvolta il Sole, elevato sopra l'orizonte, con i suoi lucidissimi raggi l'illustra; ché quando la notte, in assenza de: Sole, la Luna piena di splendore non ci avesse illuminato, giammai di giorno, alla presenza del Sole, non averemmo potuto assicurarci della illuminazione della Luna e così nel gran campo del candore, molto bene luminoso, ogni altro picciol lume resterebbe offuscato e come nullo. Quanto poi all'operazione dell'etere ambiente, circa il candire la Luna, non veggo che in modo alcuno possa satisfare a quello che al senso ci apparisce imperoché tutto il campo tenebroso della Luna è egualmente candito, e non intorno alla circonferenzia solamente, dove solo per breve spazio si dovrebbe distendere il lume che dallo etere ambiente le perviene; in quel modo che il reflesso della parte dell'aria vaporosa solamente tal parte dell'emisferio terrestre illustra, qual parte è il tempo della durazione del crepuscolo del tempo della lunghezza di tutta la notte che se l'illuminazione del crepuscolo potesse diffondersi sopra tutto l'emisferio terrestre, non averemmo mai notte profonda, ma un'aurora o un crepuscolo perpetuo; ed avvengaché secondo che in maggiore altezza si sublimasse l'orbe vaporoso intorno al globo terrestre, tanto più diuturno si farebbe il crepuscolo, in immensa Altezza converrebbe che si elevassero i vapori per illuminare l'intero emisferio. Ora, quando il signor Liceti volesse mantenere che il candore che può illustrare tutto l'emisferio tenebroso della Luna, derivasse dal reflesso dell'etere ambiente, sarebbe in obbligo di insegnarci a quanta altezza, o vogliamo dir distanza, fuor dell'orbe lunare dovesse tal parte d'etere addensato sublimarsi; nella quale impresa, oltre che alquanto laboriosa gli riuscirebbe, credo che incontrerebbe assai gagliarde contraindicanze. Una delle quali è, che giammai in verun modo potrebbero le parti di mezo essere egualmente luminose come le altre più verso la circonferenza, ma grandemente più tenebrose, avvenga che le parti intorno alla circonferenza goderebbero non solo delle parti a sé contigue, ed anco delle prossime, ma di tutte le remote ed altissime; dove che le parti di mezo, restando prive della vista delle prossime e tangenti l'estremo limbo, riceverebbero il lume solamente dalle alte e remote: ora, quanto importi l'avere l'illuminante prossimo, più che l'averlo lontano, per esser più vivamente illuminato, è tanto per sé manifesto, che non occorre spendervi più parole. E doppo questa ci è un'altra contraindicanza, pur gagliardissima; e questa è, che nel farsi l'eclisse, finito che fusse di entrare nel cono dell'ombra il disco lunare, restando ancora fuor di tal cono gran parte dell'etere alto...
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