[Pagina precedente]...si diffonde per tutta la faccia della Luna, ma solamente in parte del suo limbo; né la grandezza del suo lume ha che fare col candore grande ed argenteo che si vede nella congiunzione, ma a una assai tenue tintura bronzina ché quando fusse in spezie così vivace quale è il candore, vivacissimo e molto più limpido dovrebbe dimostrarsi in questo tempo dell'eclisse, mentre che la Luna si trova constituita in un campo molto oscuro, cioè nelle tenebre della notte, dove che, all'incontro, il candore del novilunio viene da noi veduto nel campo ancora assai chiaro del crepuscolo. Vedesi dunque, che privata la Luna del reflesso della Terra, e favorita solo da quello del suo etere ambiente perde a molti doppi quel bel candore per lo che ben necessariamente doviamo concludere, pochissima essere la parte che vi ha il reflesso dell'etere ambiente; anzi pure vi è ella come nulla, mentre le sopragiugne il tanto più vivace e potente reflesso della Terra
Qui prima che passar più avanti, non voglio tacere certa meraviglia che mi nasce nell'animo; ed è, che avendo il signor Liceti detto di voler discorrere nella presente materia fisicomatematicamente, nella presente occasione ci si serva solo della fisica, tralasciando la matematica: perché cosa da fisico e naturale è stata il formar giudizio tra il candor della Luna e il lume di Luna dalla prima e sensuale apparenza; nel qual giudizio non credo ch'ei fusse con fallacia incorso, se egli avesse aggiunto quello che ne insegna la matematica, cioè che la lontananza della Luna candita dall'occhio è più di cento milioni di volte maggiore della lontananza della Terra, e che l'angolo visuale nascente dalla Terra è più di quaranta mila volte maggiore che il nascente dalla superficie lunare, le quali disuguaglianze, come non piccole, hanno potuto perturbare il retto giudizio. Quindi apprenda ciascuno quale è talvolta la differenza tra il discorrere de i matematici e de i puri filosofi naturali e perché, senza digredire dalla materia che si tratta, mi si porge qui occasione di conferire all'Altezza Vostra Serenissima certo mio concetto non scritto da me in altro luogo, né credo toccato da altri, glie le esporrò.
Mostra l'esperienzia come il sopranominato tenue splendore bronzino, che resta nella faccia della Luna, ma per breve tempo, dopo la sua totale adombrazione, il va a poco a poco diminuendo: ed accade tal volta che pure nelle totali e centrali eclissi tal lume del tutto si ammorza, in guisa che del tutto si perde la vista della Luna; ed alcun'altra volta, pur nelle stesse totali eclissi, non così adiviene, ma resta il lunar corpo pure alquanto apparente e visibile. Già è manifesto, tal debolissima luce non le poter provenire né dal Sole né dalla Terra, la vista de' quali le è del tutto tolta; né meno essere effetto del suo etere ambiente, di già esso ancora immerso nell'ombra e privato della vista del Sole; né può tampoco esser nativo e proprio del corpo lunare, poiché, se fusse tale, in tutte le eclissi si scorgerebbe, come anco accaderebbe se fusse per avventura effetto delle stelle sparse per l'immenso cielo; ed in somma il punto grande della difficoltà consiste nel seguire alcune volte sì ed alcune volte no questo totale perdimento di vista della medesima Luna, il quale effetto, per la sua variazione, ricerca varietà nella causa effettrice. Io, doppo molte reflessioni di mente, considerato che l'effetto del quale si cerca la causa è effetto di lume, ho meco medesimo concluso, non potere esso provenire se non da qualche cosa che abbia facultà di illuminare, del benefizio della quale resti ora favorita ed ora privata la Luna; né avendo noi altro di lucido, atto a ciò poter fare, che i luminosi corpi celesti, a quelli è forza ricorrere, e tra essi investigare chi possa operare or sì ed or no nell'effetto del quale parliamo. Se questo è effetto di qualche stella, è necessario che ella, o vero alcuna volta risplenda più ed altra manco, o vero che ella ora sia esposta ed ora no alla vista della Luna; e conviene anco che tale stella sia di non minima forza d'illuminare. Tra i corpi celesti, trattone il Sole e la Luna, potenti assai per la lor vicinanza e grandezza, la prima fra le stelle mi si offre Venere, la quale in alcune constituzioni col Sole, cioè circa alle massime digressioni riluce tanto vivamente, che si vede la notte i corpi ombrosi tocchi dal suo fulgore, sparger ombra, e Giove appresso di lei con poca differenza far quasi il medesimo effetto. Ora, stante questo, che pure è verissimo, qualvolta accadesse che queste due stelle nel tempo dell'eclisse lunare fussero verso la Luna talmente costituite che la potessero ferire con i loro raggi, potrebbero in consequenza conferirle qualche lume, bastante per renderla visibile; e quando poi in altra eclisse Giove fusse verso l'opposizione del Sole, ed in consequenza dietro all'emisferio lunare a noi ascosto, e che Venere, per l'opposito, fusse prossima alla congiunzione col Sole, sì che la Terra, nel privar la Luna della vista del Sole, le togliesse anco il veder Venere, restando ella abbandonata da amendue tali fulgori, resterebbe ancora a gli occhi nostri invisibile. Potrebbesi ancora accomunare a questo benefizio qualche stella fissa, e massime la più di tutte le altre fulgente, dico la Canicola; e parmi poter far capitale di queste tre sole, ed in particolare dei due pianeti, perché debole è l'operazione di tutto il resto delle stelle fisse. E veramente par nel primo aspetto cosa assai maravigliosa, che lo splendore di tanti lumi celesti abbia sì poco ad operare circa l'illuminare la Terra o altro corpo da esse remotissimo: ma dovrà far cessare la meraviglia il considerare quanto avanzi in grandezza il disco solare, ed anco quello della Luna, la apparente piccolezza delle stelle fisse, mercé dell'immensa loro lontananza poiché per fare un'area o piazza luminosa eguale al disco del Sole o della Luna composta di stelle, ciascheduna anco eguale al Cane, non basterebbero quaranta mila accoppiate e distese insieme: giudichiamo ora quello che si può ricevere dalle quindici sole della prima grandezza, insieme con le altre, poche più di mille, e tanto minori, sparse per il Cielo. E ben che moltissime siano quelle che per la loro piccolezza restano invisibili, tuttavia veggiamo che di tali piccolissime congiuntone gran numero insieme, finalmente non formano altro che una piccola piazzetta sì poco luminosa che gli astronomi passati chiamarono con nome di stelle nebulose. E tanto basti per risposta alla seconda instanza del signor Liceti.
E venendo alla terza, senta l'Altezza Vostra Serenissima quello che l'autore scrive consequentemente, sino alle parole: «Præterea vel ipse Clarissimus Galileus, dum aliam opinionem» etc. Qui sì mi è lecito liberamente parlare, non bene resto capace de i motivi per i quali il signor Liceti inferisce, che posto che il candor della Luna derivasse dal reflesso del lume terreno, ei dovesse essere più illustre nel mezo della sua faccia oscura, che nel rimanente verso l'estremo margine; e mentre adduce per ragione di questo il ricevere le parti di mezo più lume dalla Terra, e lo sfuggire il medesimo lume dal margine estremo, spargendosi nell'ambiente, io non veggo occasion nessuna di ricever più luce nel mezo, né veggo che i raggi dello splendore terrestre debbano sfuggire dall'estremo limbo. Ciò forse accaderebbe quando il globo lunare fusse terso e liscio come uno specchio; ma egli è scabroso quanto la Terra se non più: e di questo non riceversi maggior lume nel mezo che nell'estremo ambito, pur troppo chiaramente ce lo mostra l'stessa Luna, mentre che essendo ella, nella opposizione, piena di lume del Sole, senza veruna differenza di mezo o di estremo egualmente luminosa si mostra, argumento della sua asprezza e del non sfuggire i raggi solari verso l'estrema circunferenza; che quando ella fusse tersa come uno specchio, giammai da gli uomini non sarebbe stata veduta, come io diffusamente ho dimostrato altrove. Oltre che, posto anco che la superficie lunare fusse tersa sì che i raggi luminosi, che dalla Terra le pervengono, potessero fuggire nel contatto estremo dell'orbe lunare, e perciò quivi men vivamente potessero incandirlo, non per questo all'occhio nostro tal diminuzione di lume potrebbe esser compresa: e la ragione è questa. La superficie luminosa della Terra, come quella che è vicina alla Luna, ed in ampiezza è ben dodici volte maggior di essa, molto più d'un suo emisferio abbraccia ed illumina con i suoi raggi; all'incontro poi i raggi nostri visivi, come quelli che non da una ampiezza così grande quanto è l'emisferio terrestre sì partono, ma escono da un punto solo, cioè dall'occhio nostro, notabilmente meno di un emisferio lunare abbracciano; talché oltre all'ultimo cerchio che i raggi nostri visivi nella superficie lunare descrivono, una grande striscia di luminoso resta tra essa e l'ultimo cerchio che termina la parte della superficie lunare illustrata dalla Terra, la quale striscia è a gli occhi nostri invisibile. Perché dunque nella parte veduta da noi non vi entra della poco luminosa, mercé dello sfuggimento dei raggi terrestri, niuna diminuzione di candore possiamo noi veder nella Luna. Di qui l'Altezza Vostra Serenissima può vedere con quanto più salda ragione io dichiaro che l'obiezzione del signor Liceti contro il derivare il candore dalla Terra è invalida, e quanto, all'incontro, valida e concludente sia la mia, posta di sopra, in provare che il candore non sia effetto dell'etere ambiente, mentre che io concludo che se ciò fusse, il candore nelle parti di mezo dovria apparir più oscuro che nell'estreme; la quale mia conseguenza non so se il signor Liceti potesse così agevolmente rimuovere, come ho potuto io ora rimuovere la sua, che il candore nelle parti di mezo dovesse mostrarsi più chiaro che nelle estreme, quando derivasse dalla Terra.
Quanto poi all'attribuirmi l'Autore, che io abbia poste nella Luna concavità , le quali poi, a guisa di cavi specchi, possino ripercuotere lume maggiore che altre parti non concave; sia detto con pace del mio Signore, io non ho mai né scritta né pronunziata tal cosa. Sono nella superficie della Luna lunghi tratti di asprissime montagne, gruppi di scogli scoscesi, moltissimi spazii grandi e piccoli, circondati da argini sublimi e per lo più di figure rotonde; veggonvisi alcune cavità : ma che elle sieno terse, sì che a guisa di specchi cavi possino ripercuotere i raggi, ciò è alienissimo dal mio detto e dal mio credere; ma stimo bene, tutte queste figure essere ruvide, aspere, ed in somma quali in Terra se ne veggono, naturalmente e rozamente composte. In oltre, quando pure nella faccia della Luna fussero concavità più che qualsivoglia de i nostri specchi pulite e lustrate, sì che vivacissimamente potessero reflettere non meno il lume terrestre che gli stessi raggi solari, che vedremmo noi di tali raggi, reflessi nell'ambiente della Luna ? Esposto uno de' nostri specchi concavi a' raggi diretti del Sole, che lume reflettono essi, che punto illumini l'aria nostra ambiente? Nulla sicurissimamente; e pure è vero, tali raggi reflettersi gagliardissimamente, ed in figura di cono andare ad unirà ; ed esser veramente potenti ad illuminare i corpi tenebrosi ed illuminargli ancora più potentemente che l'istesso Sole: ma bisogna nella cuspide del cono, o a lei vicino, porre qualche materia densa ed opaca, la quale, tocca da tali raggi, si vedrà splendere ed offender la vista più che l'istesso Sole, e massime se lo specchio sarà grande; e se la materia sarà combustibile, immediatamente si accenderà ; ed essendo fusibile, qual è il piombo o lo stagno, si fonderà , ed il rame o altro metallo più duro si infuocherà . Bisogna dunque per vedere il suo reflesso, farlo incontrare in materia atta ad essere illuminata; e finalmente potremo vedere manifestissimamente tutto il cono, ponendogli sotto carboni accesi e buttando sopra essi semola o incenso o altra cosa tale che faccia fumo; e questo passando per i raggi del cono, si illuminer...
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