[Pagina precedente]...nere, illustrata dal Sole, di mezo giorno si scorge.
Passiamo all'altra seguente obiezione: «Amplius, in eclipsi lunari nullam, prorsus» etc. Quanto egli qui dice, gli concedo, cioè che nell'eclisse totale della Luna ella non riceva illuminazione alcuna dalla Terra, nella cui ombra ella resta immersa, né tampoco goda de i raggi diretti del Sole, i quali nel cono dell'ombra terrestre non penetrano; e finalmente gli concedo che il reflesso dell'etere ambiente la Luna gli porge quel poco di rossigno che la rende visibile, spezialmente in quella parte del suo limbo che è l'ultima a restar coperta dal cono dell'ombra terrestre: ma tutto questo, niente veggo che debiliti il mio detto, che il candore della Luna venga dalla Terra. Parmi bene di scorgere che il mio oppositore accortanmnte cerchi di imprimere nella mente del lettore, che lo abbia largamente conceduto, il medesimo candore essere effetto dell'etere ambiente la Luna, il che manifestamente apparisca mentre che nell'eclisse lunare, mancando il reflesso della Terra, e l'illuminazione de i raggi dlretti del Sole io ammetto quel tenue splendore bronzino che in parte della Luna si scorge; e perché questo è sommamente inferiore al candore argenteo nel novilunio, vorrebbe farlo diminuito ed in gran parte ammorzato dal dover passare egli per il cono dell'ombra terrestre: il quale effetto io asseverantemente dico esser vano e falso atteso che la illuminazione di un corpo splendido che va ad illustrare un corpo opaco, niente perde nel dover passare per un mezo diafano quanto si voglia sparso di tenebre; anzi le medesime tenebre faranno apparire più vivamente il ricevuto lume, cosa tanto chiara e nota che assai mi maraviglio di sentirla passare come ignota o non avvertita: ché ben sa il medesimo signor Liceti che tutti i lumi celesti che a noi si fanno visibili e spargono di qualche luce l'emisferio terrestre nella profonda notte, passano per il medesimo cono dell'ombra terrestre, e da quello acquistano vigore di maggiormente illuminarci e farcisi visibili. Concedesi dunque, la tintura di rame derivare dall'etere ambiente la Luna: dove anco non mi par necessario di porre nel corpo lunare quel tenue lume nativo, da mescolarsi come stima il signor Liceti con questo reflesso dell'ambiente. Imperoché, se quello vi fosse, nel mezo della massima eclisse, quando il centro della Luna cade nell'asse del cono dell'ombra, pure resterebbe essa Luna in qualche modo visibile mercé del suo proprio nativo lume: tuttavia io e molti altri insieme abbiamo del tutto perduto di vista il disco lunare in più di una delle totali eclissi.
Vengo finalmente all'ultima instanza: «Denique, nec illud omittam data positiones» etc. Continuando il signor Filosofo in volere in ogni maniera scuoprire l'impossibilità della mia opinione, s'ingegna di dimostrare come il reflesso della faccia terrestre in nessuna maniera può arrivare alla Luna; e per ciò dimostrare, introduce molte proposizioni da non esser da me così di leggiero concedute. E cominciando da questo capo, certo mirabil cosa è che i caldissimi e lucidissimi raggi solari, reflessi dalla Terra, e più incontrandosi ed unendosi con i primarii incidenti, come l'istesso signor Liceti afferma, non siano potenti a valicare la grossezza della media regione dell'aria ad essa vicinissima, ammortiti dalla frigidità di quella, la qual grossezza non arriva alla lunghezza di un miglio; e che poi i reflessi dalla Luna, distante dalla medesima media regione fredda assai più di cento mila miglia, ed anco soli e non accompagnati dai diretti raggi solari siano potenti a mantenersi così lucidi e caldi, che trapassando per quella abbiano forza di riscaldare l'aria contigua alla Terra ed al mare, per il qual calore le conchiglie testate, fomentate dal caldo dell'ambiente, possano più pienamente nutrirsi ed ingrassarsi. Ma che dallo ingrassamento di questi animali si possa argumentare augumento di calore nell'ambiente che li circonda, parmi, se io non erro, che con altrettanta o più ragione se ne potrebbe inferire accrescimento di freddezza, mentre che generalmente si scorge in tutti gli altri animail far miglior digestione, e più copiosamente cibarsi ed ingrassarsi nell'arie freddissime che nelle tiepide o calde: per lo che si può inferire, la grand'illuminazione della Luna nel plenilunio accrescere appresso di noi più tosto la frigidità che il calore, e tanto più, che è tritissima e popolare osservazione, ne i tempi che l'acque si congelano farsi i ghiacci notabilmente maggiori nelle notti del plenilunio, che quando il lume della Luna è diminuito. Ma ben so io che quello augumento di calore interno dell'animale, che il signor Liceti riconosce dall'accoppiamento del calore esterno dell'ambiente, qualche altro filosofo non meno confidentemente lo attribuirebbe al maggior freddo dell'ambiente, il quale per antiperistasi facesse concentrare il nativo calore interno.
Né devo qui tacere un'altra meraviglia non minore, che pure in questa maniera di filosofare si esercita; ed è che talvolta si assegnano per produrre il medesimo effetto cause tra loro diametralmente contrarie, né meno in altre occasioni si pone la medesima causa produrre effetti contrarii. Quanto al primo caso, ecco dell'istessa più forte digestione addursi per causa da alcuni il caldo dell'ambiente, e da altri il freddo. Quanto all'altro caso, il signor Liceti afferma qui, il medesimo lume di Luna esser caldo il quale in altro luogo asserì esser freddo, come si legge nelle seguenti parole poste nel libro De novis astris et cometis, alla faccia 127, versi 7: «Quin et lumen lunare nullo calore pollere, sed frigiditatem invehere, quilibet experitur.» Né forse è minor la contrarietà che il medesimo signore pone nel mezo ombroso, o vogliamo dire nel cono dell'ombra terrestre; il quale egli non nega che talvolta molto più splendidi ci mostri gli oggetti luminosi, mentre il lume loro deve trapassare per esso; ed altra volta pronunzia, il medesimo cono, mescolandosi con quel tenue lume della Luna prodotto dal suo etere ambiente e congiunto col suo nativo, l'offusca e rende men chiaro. E qui si scorge la sicurezza del puro fisico argumentare, poiché egualmente si adatta a render ragione di uno effetto tanto per una causa naturale, quanto per la contraria. Oltre a ciò, non veggo con qual confidenza possino gli accuratissimi signori filosofi fare il cielo e i corpi celesti soggetti a qualità ed accidenti di caldo e di freddo, mentre gli predicano per impassibili, inalterabili ed esenti da queste qualità elementari, sì che, partendosi i raggi dal corpo lunare, che pure è celeste, possano esser caldi e tali mantenersi nel trapassare quella parte del cielo della Luna che termina sopra la sfera elementare, e quindi ancora scorrere per il fuoco e per tutta la più alta regione dell'aria, e passare ancora di più la media freddissima, conservandosi sempre caldi: e che poi, all'incontro, il reflesso della Terra, la quale pur troppo sensatamente sentiamo riscaldarsi e quasi direi infiammarsi nel più ardente sole dell'estate, non esser bastante a trapassare la a sé vicinissima media regione, la cui sublimità , come ho detto, non arriva a un miglio di spazio, sì come il breve intervallo di tempo che tra il lampo del baleno ed il romor del tuono intercede, sicuramente ci insegna: oltre che, se si deve prestar fede a gli istorici, né le piogge, né le nevi, né le grandini, né i lampi, né i tuoni, né i fulmini, si fanno in maggior lontananza, mentre si dice, constare per la esperienzia, esser monti tanto eminenti, che la loro più eccelsa parte non è giammai offesa dai nominati insulti; e bene molto alto conviene che sia quel monte la cui perpendicolare altezza sia più di un miglio. Lascio stare che frequentemente si vede che dalla eminenza delle nostre più alte montagne si scorgono le pianure suggette, ed anco le minori colline, ricoperte da nuvole, sì che tal vista sembra quasi un mare nel quale in qua ed in là si scorgano surgere, quasi scogli, vertici di altri mediocri monticelli; ed in questa constituzione di nuvole cade talvolta la pioggia nelle pianure più basse.
Parmi, oltre di questo, di raccorre dal discorso del mio oppositore, che egli voglia mandar di pari lo scaldare e l'illuminare, sì che dove non arrivi il calore del corpo caldo e lucido, non vi deva anco arrivare l'illluminazione, e che però, non sendo possente il caldo che noi proviamo grandissimo nella Terra illuminata e riscaldata dal Sole, a varcare la fredda regione vaporosa dell'aria, né meno ciò possa fare il lume dalla medesima Terra reflesso. Tuttavia, se noi vorremo prestar fede al senso ed alla esperienza, troveremo che il lume di una grandissina fiamma di quantità grande di paglia o di sterpi che sopra una montagna abbruci, si distenderà ed arriverà a noi constituti in molto maggior lontananza di quella nella quale il caldo di essa fiamma ci si facesse sentire. Ma che accade che, per assicurarci del poter esser la strada del caldo differente da quella del lume, ricorriamo a fiamme poste sopra montagne, o ad altre esperienze più incommode a farsi? Accosti chi si voglia il dito così per fianco alla fammella di una candela accesa; certo non sentirà offendersi dal caldo, sinché per un brevissimo spazio non se gli accosta e che poco meno che non la tocchi: ma, per l'opposito, esponga la mano sopra la medesima fiammella; sentirà l'offesa del caldo in distanza ben cento volte maggiore di quell'altra per fianco: tuttavia l'illuminazione che dalla medesima fiammella deriva, per tutti i versi si diffonde, cioè in su, in giù, lateralmente, ed in somma per tutto, ed in lontananza più di cento mila volte maggiore, sfericamente si distende.
Parmi per tanto di poter sicuramente dire che lo scaldare e l'illuminare non vadiano del tutto con pari passo: ma ben credo di poter con sicurezza affermare, che l'illuminare ed il muover la vista vadano talmente congiunti, che dovunque arrivi il lume, di quivi si renda il corpo luminoso visibile; di maniera che il muovere il senso della vista, altro non sia che illuminare la pupilla dell'occhio, alla quale quando non pervenisse il lume, l'oggetto lontano, benché luminoso, veder non si potrebbe. Quando dunque conforme a quello che scrive il signor Liceti, il reflesso del lume terrestre, come quello che, per suo detto, va di pari col calore, non si estendesse oltre alla media regione dell'aria, resterebbe in conseguenza la Terra invisibile dall'occhio posto oltre alla detta media regione, come che quivi non arrivasse il lume, che solo è potente a fare il corpo luminoso visibile; ed in oltre parte alcuna della Terra non verrebbe da noi veduta la quale più di un miglio o due ci fusse remota, ché oltre a tale altezza non si estende la grossezza della media regione dell'aria. Ma io difficilmente potrei accomodar l'intelletto al prestar assenso a una tal proposizione e massime mentre che il senso mi rende visibili pur piccole parti della Terra illuminata in lontananza di più di cento miglia, avvenga che da un luogo molto alto si scorgeranno altre montagne ed isole non meno che cento miglia lontane; e la Corsica e talora la Sardigna ben si veggono dai colli intorno a Pisa, e più distintamente ancora dalli scogli eminentissimi di Pietrapana; e da i monti della Romagna ben si scorgono, oltre al sino Adriatico, quelli della Dalmazia. E sì come noi qui di Terra vegghiamo la Luna luminosa così tengo per modo sicuro che dalla Luna e grandissima e luminosissima si scorgerebbe la Terra, in quella parte dai raggi solari illustrata, ed in conseguenza che la medesima Luna da essa Terra verrebbe illuminata.
Ma passo ad una proposizione forse molto a proposito per il mantenimento della mia opinione, e per la quale nel medesimo tempo si scorga, non piccola esser la differenza tra l'illuminazione ed il riscaldamento dei raggi solari. E prima, l'illuminazione si fa in un istante; ma il riscaldare non così, ma ci vuol tempo e non breve: e parimente, all'incontro, si toglie via l'illuminazione in un istante: ma ...
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