LA LENA, di Ludovico Ariosto - pagina 2
...
.
Cotesta vesta di velluto spogliati,
Levati la berretta, e all'Ebreo mandali,
Che ben dell'altre robe hai da rimetterti.
FLAVIO
Facciàn, Lena, cosí: piglia in deposito
Fino a doman questa roba, et impegnala
Se, prima che doman venti ore suonino,
Non ti do li danari, o fo arrecarteli
Per costui.
LENA
Tu pur te ne spoglia, e mandala
Ad impegnar tu stesso.
FLAVIO
Mi delibero
Di compiacerti, e di farti conoscere
Che gabbar non ti voglio.
Piglia, Corbolo,
Questa berretta e questa roba: aiutami,
Che la non vada in terra.
CORBOLO
Che, vuoi trartela?
FLAVIO
La vo' ogni modo satisfar; che diavolo
Fia?
CORBOLO
Or vadan tutti li beccai e impicchinsi,
Che nessun ben come la Lena scortica.
FLAVIO
Voglio che fra le quindici e le sedici
Ore, da parte mia, tu vada a Giulio,
E che lo preghi che mi trovi subito
Chi sopra questi miei panni m'accommodi
De li danar che sa che mi bisognano.
E se ti desse una lunga, rivolgiti
Al banco de' Sabbioni, e quivi impegnali
Venticinque fiorini; e come avuto li
Abbi, o da un luogo o da un altro, qui arrecali.
CORBOLO
E tu starai spogliato?
FLAVIO
Che piú? Portami
Un cappino e un saion di panno.
LENA
Spacciala;
Che ancor ch'egli entri qui, non ha da credere
Ch'io voglia che di qua passi la giovane,
Prima che li contanti non mi annoveri.
FLAVIO
Entrarò dunque in casa.
LENA
Sí ben, entraci;
Ma con la condizion ch'io ti specifico.
SCENA TERZA
Corbolo solo.
CORBOLO
Potta! che quasi son per attaccargliela.
Ho ben avuto a' miei dí mille pratiche
Di ruffiane, bagascie, e cotal femine
Che di guadagni disonesti vivono
Ma non ne vidi a costei mai la simile,
Che, con sí poca vergogna, e tanto avidamente
Facesse il suo ribaldo offizio.
Ma si fa giorno: per certo non erano
Li matutini quelli che suonavano;
Esser dovea l'Ave Maria o la predica;
O forse i preti iersera troppo aveano
Bevuto, e questa matina erant oculi
Gravati eorum.
Credo che anco Giulio
Non potrò aver, che la matina è solito
Di dormir fino a quindici ore o sedici.
In questo mezzo sarà buono andarmene
Fin in piazza, a veder se quaglie o tortore
Vi posso ritrovare; e ch'io le comperi.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Fazio, Lena
FAZIO
Chi non si leva per tempo, e non opera
La matina le cose che gl'importano,
Perde il giorno, e i suoi fatti non succedono
Poi troppo ben.
Menghin, vo' ch'a Dugentola
Tu vada, e che al castaldo facci intendere
Che questa sera le carra si carchino,
E che doman le legna si conduchino;
E non sia fallo, ch'io non ho piú ch'ardere.
Né ti partir, che vi vegghi buon ordine;
E dir mi sappi come stan le pecore,
E quanti agnelli maschi e quante femine
Son nate; e fa' che li fossi ti mostrino
C'hanno cavati, e che conto ti rendano
De' legni verdi c'hanno messo in opera;
E quel che sopravanza, fa' che annoveri.
Or va', non perder tempo.
Odi: se avessino
Un agnel buono...
Eh no, fia meglio venderlo.
Va', va'...
Pur troppo...
LENA
Sí, era un miracolo
Che diventato voi foste sí prodigo!
FAZIO
Buon dí, Lena.
LENA
Buon dí e buon anno, Fazio.
FAZIO
Ti levi sí per tempo? Che disordine
È questo tuo?
LENA
Saria ben convenevole
Che, poi che voi mi vestite sí nobile-
mente, e da voi le spese ho sí magnifiche,
Che fino a nona io dormissi a mio commodo,
E 'l dí senza far nulla io stessi in ozio.
FAZIO
Fo quel ch'io posso, Lena: maggior rendite
De le mie a farti cotesto sarebbono
Bisogna; pur, secondo che si stendono
Le mie forze, mi studio di farti utile.
LENA
Che util mi fate voi?
FAZIO
Questo è il tuo solito,
Di sempremai scordarti i benefizii.
Sol mentre ch'io ti do, me ne ringrazii;
Tosto c'ho dato, il contrario fai subito.
LENA
Che mi deste voi mai? Forse repetere
Volete ch'io sto qui senza pagarvene
Pigione?
FAZIO
Ti par poco? Son pur dodici
Lire ogni anno coteste, senza il commodo
C'hai d'essermi vicina; ma tacermelo
Voglio, per non parer di rinfacciartelo.
LENA
Che rinfacciar? Che se talor v'avanzano
Minestre o broda, solete mandarmene?
FAZIO
Anch'altro, Lena.
LENA
Forse una o due coppie
Di pane il mese, o un poco di vin putrido?
O di lassarmi torre un legno picciolo,
Quando costí le carra se ne scarcano?
FAZIO
Hai ben anch'altro.
LENA
Ch'altro ho io? deh, ditelo:
Cotte di raso o di velluto?
FAZIO
Lecito
Non saria a te portarle, né possibile
A me di darle.
LENA
Una saia mostratemi,
Che voi mi deste mai.
FAZIO
Non vo' risponderti.
LENA
Qualche par di scarpaccie o di pantofole,
Poi che l'avete ben pelate e logore,
Mi donate alcuna volta per Pacifico.
FAZIO
E nuove ancor per te.
LENA
Non credo siano
In quattro anni tre paia.
Or nulla vagliono
Le virtuti ch'io insegno, e che continuamente
Ho insegnato a vostra figlia?
FAZIO
Vagliono
Assai, nol voglio negar.
LENA
Ch'a principio
Ch'io venni a abitar qui, non sapea leggere
Ne la tavola il pater pure a compito,
Né tener l'ago.
FAZIO
È vero.
LENA
Né pur volgere
Un fuso: et or sí ben dice l'offizio,
Sí ben cuce e riccama, quanto giovane
Che sia in Ferrara: non è sí difficile
Punto, ch'ella nol tolga da l'esempio.
FAZIO
Ti confesso ch'è il vero: non voglio essere
Simile a te, ch'io neghi d'averti obligo
Dov'io l'ho; pur non starò di risponderti,
Se tu insegnato non le avessi, avrebbele
Alcun'altra insegnato, contentandosi
Di dieci giulii l'anno: differenzia
Mi par pur grande da tre lire a dodici!
LENA
Non ho mai fatto altro per voi, ch'io meriti
Nove lire di piú? In nome del diavolo,
Che se dodici volte l'anno dodici
Voi me ne dessi, non sarebbe premio
Sufficïente a compensar la infamia
Che voi mi date; che i vicini dicono
Publicamente ch'io son vostra femina.
Che venir possa il morbo a mastro Lazaro,
Che mi arrecò alle man questa casipula!
Ma non ci voglio piú star dentro: datela
Ad altri.
FAZIO
Guarda quel che tu di'.
LENA
Datela.
Non vo' che sempre mai mi si rimproveri
Ch'io non vi paghi la pigione, et abiti
In casa vostra: s'io dovessi tormene
Di dietro al Paradiso una, o nel Gambaro,
Non vo' star qui.
FAZIO
Pensaci bene, e parlami.
LENA
Io ci ho pensato quel ch'io voglio: datela
A chi vi pare.
FAZIO
Io la truovo da vendere,
E venderolla.
LENA
Quel che vi par fatene:
Vendetela, donatela, et ardetela,
Anch'io procacciarò trovar recapito.
FAZIO
(Quanto piú fo carezze, e piú mi umilio
A costei, tanto piú superba e rigida
Mi si fa; e posso dir di tutto perdere
Ciò ch'io le dono; cosí poca grazia
Me n'ha: vorria potermi succhiar l'anima.)
LENA
(Quasi che senza lui non potrò vivere!)
FAZIO
(E veramente, oltreché non mi pagano
La pigion de la casa, piú di dodici
Altre lire ella e 'l marito mi costano
L'anno.)
LENA
(Dio grazia, io son anco sí giovane,
Ch'io mi posso aiutar).
FAZIO
(Spero d'abbattere
Tanta superbia: io non voglio già vendere
La casa, ma sí ben farglielo credere.)
LENA
(Non son né guercia, né sciancata.)
FAZIO
(Voglioci
Condurre o Biagiolo o quel da l'Abbaco
A misurarla, e terrò in sua presenzia
Parlamento del prezzo, e saprò fingere
Un comprator.
Non han danar, né credito
Per trovarne alcun'altra: si morrebbono
Di fame altrove.
Vo' con tanti stimoli
Da tanti canti punger questa bestia,
Che porle il freno e 'l basto mi delibero.)
SCENA SECONDA
Lena sola
LENA
Vorrebbe il dolce senza amaritudine:
Ammorbarmi col fiato suo spiacevole,
E strassinarmi come una bell'asina,
E poi pagar d'un "gran mercè".
Oh che giovene,
O che galante, a cui dar senza premio
Debbia piacere! Oh! fui ben una femina
Da poco, ch'a sue ciancie lasciai volgermi
E a sue promesse; ma fu il lungo stimolo
Di questo uom da nïente di Pacifico,
Che non cessava mai: - Moglie, compiacelo;
Sarà la nostra aventura: sapendoti
Governar seco, tutti i nostri debiti
Ci pagarà.
- Chi non l'avria a principio
Creduto? Maria in monte (come dicono
Questi scolari) promettea; poi datoci
Ha un laccio, che lo impicchi come merita.
Poi ch'attener non ha voluto Fazio
Quel che per tante sue promesse è debito,
Farò come i famigli che 'l salario
Non ponno aver, che coi padroni avanzano,
Che li ingannano, rubano, assassinano.
Anch'io d'esser pagata mi delibero
Per ogni via, sia lecita o non lecita:
Né Dio né 'l mondo me ne può riprendere.
S'egli avesse moglier, tutto il mio studio
Saria di farlo far quel che Pacifico
È da lui fatto; ma ciò non potendosi,
Perché non l'ha, con la figliuola vogliolo
Far esser quel ch'io non so come io nomini.
SCENA TERZA
Corbolo, Lena
CORBOLO
(Un uom val cento, e cento un uom non vagliono.
Questo è un proverbio che in esperïenzia
Questa matina ho avuto.)
LENA
Parmi Corbolo
Che di là viene: è desso.
CORBOLO
(Che partendomi
Di qui per far quanto m'impose Flavio,
Vo in piazza, e tutta la squadro, e poi volgomi
Lungo la loggia, e cerco per le treccole,
Indi inanzi al Castello, e i pizzicagnoli
Vo domandando s'hanno quaglie o tortore.)
LENA
Vien molto adagio: par che i passi annoveri.
CORBOLO
(Nulla vi trovo: alcuni piccion veggovi
Sí magri, sí leggieri, che parevano
Che la quartana un anno avuto avessino.)
LENA
Pur ch'egli abbia i danari!
CORBOLO
(Un altro toltoli
Averia, e detto fra sé: non ce n'erano
De' megliori; c'ho a far che magri siano
O grassi, poiché non s'han per me a cuocere?)
LENA
Vien col braccio sinistro molto carico.
CORBOLO
(Ma non ho fatt'io cosí: che gli ufficii,
E non le discrezïoni, dar si dicono.
Anzi alla porta del Cortil fermandomi,
Guardo se contadini o altri appaiono,
Che de' megliori n'abbian.
Quivi in circulo
Alcuni uccellator del duca stavano,
Credo, aspettando questi gentiluomini
Che di sparvieri e cani si dilettano,
Che a bere in Gorgadello li chiamassero.
Mi dice un d'essi, ch'è mio amico: - Corbolo,
Che guardi? - Io glielo dico, e insieme dolgomi
Che mai per alcun tempo non si vendono
Salvadigine qui, come si vendono
In tutte l'altre cittadi; e penuria
Ci sia d'ogni buon cibo, né si mangino
Se non carnacce, che mai non si cuocono;
E perché non son care! Si concordano
Tutti al mio detto.)
LENA
Io vo' aspettarlo, e intendere
Quel ch'egli ha fatto.
CORBOLO
(Io mi parto: mi séguita
Un d'essi, e al canto ove comincian gli Orafi,
Mi s'accosta, e pian pian dice: - Piacendoti.
Un paio di fagian grassi per quindici
Bolognini gli avrai.
- Sí sí, di grazia -;
Rispondo; et egli: - In Vescovato aspettami;
Ma non cantar -; et io: - Non è la statua
Del duca Borso là di me piú tacita.
-
In questo mezzo un cappon grasso compero
Ch'avea adocchiato, e tolgo sei melangole,
Et entro in Vescovato; et ecco giungere
L'amico coi fagian sotto che pesano
Quanto un par d'oche.
Io metto mano, e quindici
Bolognin su l'altar quivi gli annovero.
Mi soggiunge egli: - Se te ne bisognano
Quattro, sei, sette, diece paia, accennami,
Pur che tra noi stia la cosa.
- Ringraziolo...)
LENA
Par che molto fra sé parli e fantastichi.
CORBOLO
...(E gli prometto la mia fede d'essere
Secreto; ma mi vien voglia di ridere:
Che 'l Signor fa con tanta diligenzia
E con gride e con pene sí terribili
Guardar la sua campagna; e li medesimi
Che n'hanno cura, son quei che la rubano.)
LENA
Spiccati, che spiccata ti sia l'anima!
CORBOLO
(Non ponno a nozze et a conviti publici
Li fagiani apparir sopra le tavole,
Che le grida che sono; e ne le camere
Con puttane i bertoni se li mangiano.
Questi arrosto, e 'l cappone ho fatto cuocere
Lesso; e qui nel canestro caldi arrecoli.
Ecco la Lena.)
LENA
Hai tu i danari, Corbolo?
CORBOLO
Io li avrò.
LENA
Non mi piace udir rispondere
In futuro.
CORBOLO
Contraria all'altre femine
Sei tu, che tutte l'altre il futuro amano.
LENA
Piaceno a me i presenti.
CORBOLO
Ecco, presentoti
Cappon, fagiani, pan, vin, cacio: portali
In casa.
Parmi che saria superfluo
Aver portati piccioni, vedendoti
Averne in seno dui grossi bellissimi.
LENA
Deh, ti venga il malanno!
CORBOLO
Lascia pormivi
La man, ch'io tocchi come sono morbidi.
LENA
Io ti darò d'un pugno.
I denar, dicoti.
CORBOLO
Finalmente ogni salmo torna in gloria.
Tu non tel scordi: tra mezz'ora arrecoli.
Io trovai ch'in letto anch'era Giulio:
Gli feci l'imbasciata, et egli mettere
Mi fe' li panni s'una cassa, e dissemi
Ch'io ritornassi a nona.
Intanto cuocere
Il desinare ho fatto, e posto in ordine.
Ma le fatiche mie, Lena, che premio
Hanno d'aver? ch'io son cagion potissima
Che i venticinque fiorin ti si diano.
LENA
Che vòi tu?
CORBOLO
Ch'io tel dica? Quel che dandomi,
E se ne dessi a cento, non pòi perdere.
LENA
Io non intendo.
CORBOLO
Io 'l dirò chiaro.
LENA
Portami
I danar, ch'io non so senz'essi intendere.
CORBOLO
Son dunque i danar buoni a fare intendere?
LENA
Me sí, e credo anco non men tutti gli uomini.
CORBOLO
Saria, Lena, cotesto buon rimedio
A far ch'udisse un sordo?
LENA
Differenzia
Molta è, babbion, tra l'udire e l'intendere.
CORBOLO
Fa' che anch'io sappia questa differenzia.
LENA
Gli asini ragghiar s'odono alla macina.
Né s'intendon però.
CORBOLO
A me par facile
Sempre ch'io gli odo, intenderli: vorrebbono
A punto quel che anch'io da te desidero.
LENA
Tu sei malizioso piú che 'l fistolo.
Or che l'arrosto è in stagion, vieni, andiamone
A mangiar.
CORBOLO
Vengo.
Dimmi: ov'è la giovane?
LENA
Dove sono i danari?
CORBOLO
Credo farteli
Aver fra un'ora.
LENA
Et io credo la giovane
Far venir qui, come i danar ci siano.
Andian, che le vivande si raffreddano.
CORBOLO
Va' là, ch'io vengo.
- (Possino esser l'ultime
Che tu mangi mai piú; ch'elle t'affoghino!
Mi debbo dunque esser con tale studio
Affaticato a comperarle e a cuocere,
Perché una scrofa e un becco se le mangino?
Ma non avran la parte che si pensano:
Che anch'io me ne vo' il grifo e le mani ungere).
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Corbolo solo.
CORBOLO
Or ho di due faccende fatto prospera-
mente una, e con satisfazione d'animo,
Che 'l cappone e i fagiani grassi e teneri
Son riusciti, e 'l pan buono, e 'l vin ottimo;
Non cessa tuttavia lodarmi Flavio
Per uom, che 'l suo danaio sappia spendere.
Farò ancor l'altra, ma non con quel gaudio
C'ho fatto questa: m'è troppo difficile
Ch'io vegga a costui spendere, anzi perdere
Venticinque fiorini, e ch'io lo toleri.
Facile è 'l tôr: sta la fatica al rendere.
Come farà non so, se non fa vendita
De i panni al fin; ma se i panni si vendono
(Che so ch'a lungo andar nol potrà ascondere
Al padre), li rumori, i gridi, i strepiti
Si sentiran per tutto, e sta a pericolo
D'esser cacciato di casa.
Or l'astuzia
Bisognaria d'un servo, quale fingere
Vedut'ho talor ne le comedie,
Che questa somma con fraude e fallacia
Sapesse del borsel del vecchio mungere.
Deh, se ben io non son Davo né Sosia,
Se ben non nacqui fra Geti né in Siria,
Non ho in questa testaccia anch'io malizia?
Non saprò ordir un giunto anch'io, ch'a tessere
Abbia Fortuna poi, la qual propizia
(Come si dice) a gli audaci suol essere?
Ma che farò, che con un vecchio credulo
Non ho a far, qual a suo modo Terenzio
O Plauto suol Cremete o Simon fingere?
Ma quanto egli è piú cauto, maggior gloria
Non è la mia, s'io lo piglio alla trappola?
Ieri andò in nave a Sabioncello, e aspettasi
Questa matina: convien ch'io mi prépari
Di quel c'ho a dir, come lo vegga.
Or eccolo
A punto! questo è un tratto di comedia:
Che nominarlo, et egli in capo giungere
De la contrada, è in un tempo medesimo.
Ma non vo' che mi vegga prima ch'abbi la
Rete tesa, dove oggi spero involgerlo.
SCENA SECONDA
Ilario, Egano, Corbolo
ILARIO
Non si dovrebbe alcuna cosa in grazia
Aver mai sí, che potendo ben venderla,
Non si vendesse, solo eccettuandone
Le mogli.
EGANO
E quelle ancor, se fusse lecito
Per legge o per usanza.
ILARIO
Non che in vendita,
Ma a baratto, ma in don dar si dovrebbeno.
EGANO
Di quelle che non fan per te, intelligitur.
ILARIO
Ita: non è già usanza che si vendano,
Ma darle ad uso par che pur si toleri.
D'un par di buoi, per tornare a proposito
Parlo, che trenta ducati, e tutti ungari...
CORBOLO
(Questi al bisogno nostro supplirebbono.)
ILARIO
...Ieri io vendei a un contadin da Sandalo.
EGANO
Esser belli dovean.
ILARIO
Potete credere...
CORBOLO
(Io li voglio, io li avrò.)
ILARIO
...che son bellissimi.
CORBOLO
(Son nostri.)
ILARIO
Belli a posta lor: mi piaceono
Molto piú questi denar.
CORBOLO
(È impossibile
Che non stia forte.)
ILARIO
Almen non avrò dubbio
Che 'l giudice alle fosse me li scortichi.
EGANO
Fêste bene.
quest'è la via.
potendovi
Far piacer, commandatemi.
ILARIO
A Dio, Egano.
CORBOLO
(La quaglia è sotto la rete; io vo' correre
Inanzi, e far ch'ella s'appanni, e prendasi.)
Io non so che mi far, dove mi volgere,
Poi che non c'è il patron.
ILARIO
(Oh! che può essere
Questo?)
CORBOLO
E che accadea partirsi a Flavio?
ILARIO
(Questa fia qualche cosa dispiacevole.)
CORBOLO
Molto era meglio aver scritto una lettera
Al patre, e aver mandato un messo súbito...
ILARIO
(Ohimè, occorsa sarà qualche disgrazia!)
CORBOLO
...Ch'andarvi egli in persona.
ILARIO
(Che può essere?)
CORBOLO
Meglio era ch'egli stesso il fêsse intendere
Al duca.
ILARIO
(Dio m'aiuti!)
CORBOLO
Come Ilario
Lo sa, verrà volando a casa.
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Non lo vorrà patire, e farà il diavolo.
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Ma che farà anch'egli?
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Chi mi chiama? O patron!
ILARIO
Che c'è?
CORBOLO
V'ha Flavio
Scontrato?
ILARIO
Ch'è di lui?
CORBOLO
Non eran dodici
Ore, ch'uscí de la cittade, e dissemi
Che veniva a trovarvi.
ILARIO
Che importanzia
C'era?
CORBOLO
Voi non sapete a che pericolo,
Egli sia stato!
ILARIO
Pericolo? Narrami:
Che gli è accaduto?
CORBOLO
Può dir, padron, d'essere
Un'altra volta nato: quasi morto lo
Hanno alcuni giottoni; pur, Dio grazia,
Il male...
ILARIO
Ha dunque mal?
CORBOLO
Non di pericolo.
ILARIO
Che pazzia è stata la sua di venirsene
In villa, s'egli ha male, o grande o picciolo?
CORBOLO
L'andare a questo mal suo non può nuocere.
ILARIO
Come non?
CORBOLO
Non, vi dico; anzi piú agile
Ne fia.
ILARIO
Dimmi: è ferito?
CORBOLO
Sí, e difficile-
mente potrà guarir; non già che sanguini
La piaga...
ILARIO
Ohimè, io son morto!
CORBOLO
Ma intendetemi
Dove.
ILARIO
Di'.
CORBOLO
Non nel capo, non ne gli omeri,
Non nel petto o ne' fianchi.
ILARIO
Dove? spacciala.
Pur ha mal?
CORBOLO
N'ha pur troppo, e rincrescevole.
ILARIO
Esser non può ch'egli non stia gravissimo.
CORBOLO
Anzi troppo leggiero.
ILARIO
Oh, tu mi strazii!
Ha male o non ha mal? Chi ti può intendere?
CORBOLO
Vel dirò.
ILARIO
Di' in mal punto.
CORBOLO
Udite.
ILARIO
Séguita.
CORBOLO
Non è ferito nel corpo.
ILARIO
Ne l'anima
Dunque?
CORBOLO
È ferito in una cosa simile.
Flavio con una brigata di giovani
Si trovò iersera a cena; e a me, andandovi,
Disse che, come cinque ore suonavano,
Andassi a tôrlo con lume; ma (rendere
Non ne so la cagion) prima che fossero
Le quattro, si partí, e solo venendone,
E senza lume, come fu a quei portici
Che al dirimpetto son di Santo Stefano,
Fu circondato da quattro, et aveano
Arme d'asta, ch'assai colpi gli trassero.
ILARIO
E non l'hanno ferito? Oh che pericolo!
CORBOLO
Com'è piaciuto a Dio, mai non lo colsero
Ne la persona.
ILARIO
O Dio, te ne ringrazio.
CORBOLO
Egli voltò loro le spalle, e messesi,
Quanto piú andar poteano i piedi, a correre.
Un gli trasse alla testa.
ILARIO
Ohimè!
CORBOLO
Ma colselo
Ne la medaglia d'or ch'aveva, e caddegli
La berretta.
ILARIO
E perdella?
CORBOLO
Non: la tolsero
Quelli ribaldi.
ILARIO
E non gliela renderono?
CORBOLO
Renderon, eh?
ILARIO
Mi costò piú di dodici
Ducati coi pontal d'oro che v'erano.
Lodato Dio, che peggio non gli fecero.
CORBOLO
La roba fra le gambe aviluppandosi,
Che gli cadea da un lato, fu per metterlo
Tre volte o quattro in terra; al fin, gettandola
Con ambedue le mani, sviluppossene.
ILARIO
Insomma l'ha perduta?
CORBOLO
Pur la tolsero
Quei ladroncelli ancora.
ILARIO
E se la tolsero
Quei ladroncelli, non ti par che Flavio
L'abbia perduta?
CORBOLO
Non credea che perdere
Si dicesse alle cose ch'altri trovano.
ILARIO
Oh, tu sei grosso! mi vien con la fodera
Ottanta scudi.
In somma, non è Flavio
Ferito?
CORBOLO
Non, ne la persona.
ILARIO
U' diavolo
In altra parte ferir lo poteano?
CORBOLO
Ne la mente: che si pon gran fastidio,
Pensando, oltr'al suo danno, alla molestia
Che voi ne sentirete risapendolo.
ILARIO
Vide chi fusser quei che l'assalirono?
CORBOLO
Non, che la gran paura, e l'oscurissima
Notte non gli ne lasciò alcun conoscere.
ILARIO
Por si può al libro de l'uscita.
CORBOLO
Temone.
ILARIO
Frasca! perché non t'aspettar, dovendolo
Tu gire a tôr?
CORBOLO
Vedete pur...
ILARIO
Ma un asino
Sei tu però, che non fosti sollecito
Ad ir per lui.
CORBOLO
Cotesto è il vostro solito:
Me de gli errori suoi sempre riprendere.
Aspettar mi dovea, o non volendomi
Aspettar, tôr compagnia, che sarebbono
Tutti con lui venuti, dimandandoli.
Ma non si perda tempo: ora prendeteci,
Padron, che 'l male è fresco, alcun rimedio.
ILARIO
Rimedio? E che rimedio poss'io prenderci?
CORBOLO
Parlate al podestade, a i segretarii,
E se sarà bisogno, al Duca proprio.
ILARIO
E che diavolo vuoi che me ne facciano?
CORBOLO
Faccian far gride.
ILARIO
Acciò ch'oltre alla perdita
Sia il biasmo ancora.
Non direbbe il populo
Che colto solo e senza armi l'avessino,
Ma che assalito a paro a paro, e toltogli
Di patto l'armi e li panni gli fossero
Stati.
Or sia ancor ch'io vada al duca, e contigli
Il caso; che farà, se non rimettermi
Al podestade? E 'l podestade subito
M'avrà gli occhi alle mani; e non vedendoci
L'offerta, mostrerà che da far abbia
Maggior faccende: e se non avrò indizii,
O testimoni, mi terrà una bestia.
Appresso, chi vuoi tu pensar che siano
Li malfattori, se non li medesimi,
Che per pigliar li malfattor si pagano?
Col cavallier dei quali o contestabile,
Il podestà fa a parte; e tutti rubano.
CORBOLO
Che s'ha dunque da far?
ILARIO
D'aver pazienzia.
CORBOLO
Flavio non l'avrà mai.
ILARIO
Converrà aversela,
O voglia o non: poi ch'è campato, reputi
Che gli abbia Dio fatto una bella grazia.
Egli è fuor del timore e del pericolo
Senz'altro mal; ma son io, che gravissima-
Mente ferito ne la borsa sentomi.
Mio è il danno, et io, non egli ha da dolersene.
Una berretta gli farò far súbito,
Com'era l'altra, e una roba onorevole;
Ma non sarà già alcuno ch'a rimettere
Mi venga ne la borsa la pecunia
Ch'avrò speso, perch'egli non stia in perdita.
CORBOLO
Non saria buon che i rigattieri fossino
Avisati, e gli Ebrei, che se venisseno
Questi assassini ad impegnare o vendere
Le robe, tanto a bada li tenessino,
Che voi fosse avisato, sí che, andandovi,
Le riavessi, e lor facessi prendere?
ILARIO
Cotesto piú giovar potria che nuocere;
Pur non ci spero, che questi che prestano
A usura, esser ribaldi non è dubbio;
E quest'altri, che compran per rivendere,
Son fraudolenti, e 'l ver mai non ti dicono;
Né altre cose piú volentier pigliano
De le rubate, perché comperandole
Costan lor poco; e se danar vi prestano
Sopra, fanno che mai non si riscuoteno.
CORBOLO
Avisiamoli pur: facciamo il debito
Nostro noi.
ILARIO
Se 'l ti par, va' dunque, avisali.
SCENA TERZA
Corbolo, Pacifico.
CORBOLO
La cosa ben procede, e posso metterla
Per fatta: non mi resta altro a conchiuderla
Che farmi i pegni rendere da Giulio,
E poi mandarli per persona incognita
Ad impegnar quel piú che possa aversene.
Il vecchio, so, li riscuoterà subito
Che saprà dove sien; ma vo' che Flavio
L'intenda, acciò governar con Ilario
Si sappia e i nostri detti si conformino.
Ecco Pacifico esce.
PACIFICO
Ti vuol Flavio.
CORBOLO
A lui ne vengo, e buone nuove apportogli.
PACIFICO
Le sa, che ciò c'hai detto, dal principio
Al fine abbiamo inteso; ch'ambi stati te
Siamo a udir dietro all'uscio, né perdutane
Abbiàn parola.
CORBOLO
Che ve ne par?
PACIFICO
Demmoti
La gloria e 'l vanto di saper me' fingere
D'ogni poeta una bugia.
Ma fermati,
Che non ti vegga entrar qua dentro Fazio;
Come sia in casa e volga le spalle, entraci.
SCENA QUARTA
Fazio, Pacifico.
FAZIO
Perché non vi vorrei giunger, Pacifico,
Improviso, fra un mese provedetevi
Di casa, che cotesta son per vendere.
PACIFICO
Gli è vostra: a vostro arbitrio disponetene.
FAZIO
Il comprator et io ci siàn nel Torbido
Compromessi, ch'è andato a tôr la pertica
Per misurarla tutta: non mi dubito
Che si spicchi da me senza conchiudere.
PACIFICO
L'avessi ier saputo, che assettatola
Un po' l'avrei: mi cogliete in disordine.
FAZIO
Or va', e al me' che puoi, tosto rassettala,
Che non può far indugio che non venghino.
PACIFICO
Non oggi, ma diman fate che tornino.
FAZIO
Non ci potrebbe costui che la compera
Esser domane, che vuol ire a Modena.
SCENA QUINTA
Pacifico, Corbolo.
PACIFICO
Come faremo, Corbolo, di ascondere
Il tuo p
...
[Pagina successiva]