LA LENA, di Ludovico Ariosto - pagina 3
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LENA
Che vòi tu?
CORBOLO
Ch'io tel dica? Quel che dandomi,
E se ne dessi a cento, non pòi perdere.
LENA
Io non intendo.
CORBOLO
Io 'l dirò chiaro.
LENA
Portami
I danar, ch'io non so senz'essi intendere.
CORBOLO
Son dunque i danar buoni a fare intendere?
LENA
Me sí, e credo anco non men tutti gli uomini.
CORBOLO
Saria, Lena, cotesto buon rimedio
A far ch'udisse un sordo?
LENA
Differenzia
Molta è, babbion, tra l'udire e l'intendere.
CORBOLO
Fa' che anch'io sappia questa differenzia.
LENA
Gli asini ragghiar s'odono alla macina.
Né s'intendon però.
CORBOLO
A me par facile
Sempre ch'io gli odo, intenderli: vorrebbono
A punto quel che anch'io da te desidero.
LENA
Tu sei malizioso piú che 'l fistolo.
Or che l'arrosto è in stagion, vieni, andiamone
A mangiar.
CORBOLO
Vengo.
Dimmi: ov'è la giovane?
LENA
Dove sono i danari?
CORBOLO
Credo farteli
Aver fra un'ora.
LENA
Et io credo la giovane
Far venir qui, come i danar ci siano.
Andian, che le vivande si raffreddano.
CORBOLO
Va' là, ch'io vengo.
- (Possino esser l'ultime
Che tu mangi mai piú; ch'elle t'affoghino!
Mi debbo dunque esser con tale studio
Affaticato a comperarle e a cuocere,
Perché una scrofa e un becco se le mangino?
Ma non avran la parte che si pensano:
Che anch'io me ne vo' il grifo e le mani ungere).
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Corbolo solo.
CORBOLO
Or ho di due faccende fatto prospera-
mente una, e con satisfazione d'animo,
Che 'l cappone e i fagiani grassi e teneri
Son riusciti, e 'l pan buono, e 'l vin ottimo;
Non cessa tuttavia lodarmi Flavio
Per uom, che 'l suo danaio sappia spendere.
Farò ancor l'altra, ma non con quel gaudio
C'ho fatto questa: m'è troppo difficile
Ch'io vegga a costui spendere, anzi perdere
Venticinque fiorini, e ch'io lo toleri.
Facile è 'l tôr: sta la fatica al rendere.
Come farà non so, se non fa vendita
De i panni al fin; ma se i panni si vendono
(Che so ch'a lungo andar nol potrà ascondere
Al padre), li rumori, i gridi, i strepiti
Si sentiran per tutto, e sta a pericolo
D'esser cacciato di casa.
Or l'astuzia
Bisognaria d'un servo, quale fingere
Vedut'ho talor ne le comedie,
Che questa somma con fraude e fallacia
Sapesse del borsel del vecchio mungere.
Deh, se ben io non son Davo né Sosia,
Se ben non nacqui fra Geti né in Siria,
Non ho in questa testaccia anch'io malizia?
Non saprò ordir un giunto anch'io, ch'a tessere
Abbia Fortuna poi, la qual propizia
(Come si dice) a gli audaci suol essere?
Ma che farò, che con un vecchio credulo
Non ho a far, qual a suo modo Terenzio
O Plauto suol Cremete o Simon fingere?
Ma quanto egli è piú cauto, maggior gloria
Non è la mia, s'io lo piglio alla trappola?
Ieri andò in nave a Sabioncello, e aspettasi
Questa matina: convien ch'io mi prépari
Di quel c'ho a dir, come lo vegga.
Or eccolo
A punto! questo è un tratto di comedia:
Che nominarlo, et egli in capo giungere
De la contrada, è in un tempo medesimo.
Ma non vo' che mi vegga prima ch'abbi la
Rete tesa, dove oggi spero involgerlo.
SCENA SECONDA
Ilario, Egano, Corbolo
ILARIO
Non si dovrebbe alcuna cosa in grazia
Aver mai sí, che potendo ben venderla,
Non si vendesse, solo eccettuandone
Le mogli.
EGANO
E quelle ancor, se fusse lecito
Per legge o per usanza.
ILARIO
Non che in vendita,
Ma a baratto, ma in don dar si dovrebbeno.
EGANO
Di quelle che non fan per te, intelligitur.
ILARIO
Ita: non è già usanza che si vendano,
Ma darle ad uso par che pur si toleri.
D'un par di buoi, per tornare a proposito
Parlo, che trenta ducati, e tutti ungari...
CORBOLO
(Questi al bisogno nostro supplirebbono.)
ILARIO
...Ieri io vendei a un contadin da Sandalo.
EGANO
Esser belli dovean.
ILARIO
Potete credere...
CORBOLO
(Io li voglio, io li avrò.)
ILARIO
...che son bellissimi.
CORBOLO
(Son nostri.)
ILARIO
Belli a posta lor: mi piaceono
Molto piú questi denar.
CORBOLO
(È impossibile
Che non stia forte.)
ILARIO
Almen non avrò dubbio
Che 'l giudice alle fosse me li scortichi.
EGANO
Fêste bene.
quest'è la via.
potendovi
Far piacer, commandatemi.
ILARIO
A Dio, Egano.
CORBOLO
(La quaglia è sotto la rete; io vo' correre
Inanzi, e far ch'ella s'appanni, e prendasi.)
Io non so che mi far, dove mi volgere,
Poi che non c'è il patron.
ILARIO
(Oh! che può essere
Questo?)
CORBOLO
E che accadea partirsi a Flavio?
ILARIO
(Questa fia qualche cosa dispiacevole.)
CORBOLO
Molto era meglio aver scritto una lettera
Al patre, e aver mandato un messo súbito...
ILARIO
(Ohimè, occorsa sarà qualche disgrazia!)
CORBOLO
...Ch'andarvi egli in persona.
ILARIO
(Che può essere?)
CORBOLO
Meglio era ch'egli stesso il fêsse intendere
Al duca.
ILARIO
(Dio m'aiuti!)
CORBOLO
Come Ilario
Lo sa, verrà volando a casa.
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Non lo vorrà patire, e farà il diavolo.
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Ma che farà anch'egli?
ILARIO
Corbolo!
CORBOLO
Chi mi chiama? O patron!
ILARIO
Che c'è?
CORBOLO
V'ha Flavio
Scontrato?
ILARIO
Ch'è di lui?
CORBOLO
Non eran dodici
Ore, ch'uscí de la cittade, e dissemi
Che veniva a trovarvi.
ILARIO
Che importanzia
C'era?
CORBOLO
Voi non sapete a che pericolo,
Egli sia stato!
ILARIO
Pericolo? Narrami:
Che gli è accaduto?
CORBOLO
Può dir, padron, d'essere
Un'altra volta nato: quasi morto lo
Hanno alcuni giottoni; pur, Dio grazia,
Il male...
ILARIO
Ha dunque mal?
CORBOLO
Non di pericolo.
ILARIO
Che pazzia è stata la sua di venirsene
In villa, s'egli ha male, o grande o picciolo?
CORBOLO
L'andare a questo mal suo non può nuocere.
ILARIO
Come non?
CORBOLO
Non, vi dico; anzi piú agile
Ne fia.
ILARIO
Dimmi: è ferito?
CORBOLO
Sí, e difficile-
mente potrà guarir; non già che sanguini
La piaga...
ILARIO
Ohimè, io son morto!
CORBOLO
Ma intendetemi
Dove.
ILARIO
Di'.
CORBOLO
Non nel capo, non ne gli omeri,
Non nel petto o ne' fianchi.
ILARIO
Dove? spacciala.
Pur ha mal?
CORBOLO
N'ha pur troppo, e rincrescevole.
ILARIO
Esser non può ch'egli non stia gravissimo.
CORBOLO
Anzi troppo leggiero.
ILARIO
Oh, tu mi strazii!
Ha male o non ha mal? Chi ti può intendere?
CORBOLO
Vel dirò.
ILARIO
Di' in mal punto.
CORBOLO
Udite.
ILARIO
Séguita.
CORBOLO
Non è ferito nel corpo.
ILARIO
Ne l'anima
Dunque?
CORBOLO
È ferito in una cosa simile.
Flavio con una brigata di giovani
Si trovò iersera a cena; e a me, andandovi,
Disse che, come cinque ore suonavano,
Andassi a tôrlo con lume; ma (rendere
Non ne so la cagion) prima che fossero
Le quattro, si partí, e solo venendone,
E senza lume, come fu a quei portici
Che al dirimpetto son di Santo Stefano,
Fu circondato da quattro, et aveano
Arme d'asta, ch'assai colpi gli trassero.
ILARIO
E non l'hanno ferito? Oh che pericolo!
CORBOLO
Com'è piaciuto a Dio, mai non lo colsero
Ne la persona.
ILARIO
O Dio, te ne ringrazio.
CORBOLO
Egli voltò loro le spalle, e messesi,
Quanto piú andar poteano i piedi, a correre.
Un gli trasse alla testa.
ILARIO
Ohimè!
CORBOLO
Ma colselo
Ne la medaglia d'or ch'aveva, e caddegli
La berretta.
ILARIO
E perdella?
CORBOLO
Non: la tolsero
Quelli ribaldi.
ILARIO
E non gliela renderono?
CORBOLO
Renderon, eh?
ILARIO
Mi costò piú di dodici
Ducati coi pontal d'oro che v'erano.
Lodato Dio, che peggio non gli fecero.
CORBOLO
La roba fra le gambe aviluppandosi,
Che gli cadea da un lato, fu per metterlo
Tre volte o quattro in terra; al fin, gettandola
Con ambedue le mani, sviluppossene.
ILARIO
Insomma l'ha perduta?
CORBOLO
Pur la tolsero
Quei ladroncelli ancora.
ILARIO
E se la tolsero
Quei ladroncelli, non ti par che Flavio
L'abbia perduta?
CORBOLO
Non credea che perdere
Si dicesse alle cose ch'altri trovano.
ILARIO
Oh, tu sei grosso! mi vien con la fodera
Ottanta scudi.
In somma, non è Flavio
Ferito?
CORBOLO
Non, ne la persona.
ILARIO
U' diavolo
In altra parte ferir lo poteano?
CORBOLO
Ne la mente: che si pon gran fastidio,
Pensando, oltr'al suo danno, alla molestia
Che voi ne sentirete risapendolo.
ILARIO
Vide chi fusser quei che l'assalirono?
CORBOLO
Non, che la gran paura, e l'oscurissima
Notte non gli ne lasciò alcun conoscere.
ILARIO
Por si può al libro de l'uscita.
CORBOLO
Temone.
ILARIO
Frasca! perché non t'aspettar, dovendolo
Tu gire a tôr?
CORBOLO
Vedete pur...
ILARIO
Ma un asino
Sei tu però, che non fosti sollecito
Ad ir per lui.
CORBOLO
Cotesto è il vostro solito:
Me de gli errori suoi sempre riprendere.
Aspettar mi dovea, o non volendomi
Aspettar, tôr compagnia, che sarebbono
Tutti con lui venuti, dimandandoli.
Ma non si perda tempo: ora prendeteci,
Padron, che 'l male è fresco, alcun rimedio.
ILARIO
Rimedio? E che rimedio poss'io prenderci?
CORBOLO
Parlate al podestade, a i segretarii,
E se sarà bisogno, al Duca proprio.
ILARIO
E che diavolo vuoi che me ne facciano?
CORBOLO
Faccian far gride.
ILARIO
Acciò ch'oltre alla perdita
Sia il biasmo ancora.
Non direbbe il populo
Che colto solo e senza armi l'avessino,
Ma che assalito a paro a paro, e toltogli
Di patto l'armi e li panni gli fossero
Stati.
Or sia ancor ch'io vada al duca, e contigli
Il caso; che farà, se non rimettermi
Al podestade? E 'l podestade subito
M'avrà gli occhi alle mani; e non vedendoci
L'offerta, mostrerà che da far abbia
Maggior faccende: e se non avrò indizii,
O testimoni, mi terrà una bestia.
Appresso, chi vuoi tu pensar che siano
Li malfattori, se non li medesimi,
Che per pigliar li malfattor si pagano?
Col cavallier dei quali o contestabile,
Il podestà fa a parte; e tutti rubano.
CORBOLO
Che s'ha dunque da far?
ILARIO
D'aver pazienzia.
CORBOLO
Flavio non l'avrà mai.
ILARIO
Converrà aversela,
O voglia o non: poi ch'è campato, reputi
Che gli abbia Dio fatto una bella grazia.
Egli è fuor del timore e del pericolo
Senz'altro mal; ma son io, che gravissima-
Mente ferito ne la borsa sentomi.
Mio è il danno, et io, non egli ha da dolersene.
Una berretta gli farò far súbito,
Com'era l'altra, e una roba onorevole;
Ma non sarà già alcuno ch'a rimettere
Mi venga ne la borsa la pecunia
Ch'avrò speso, perch'egli non stia in perdita.
CORBOLO
Non saria buon che i rigattieri fossino
Avisati, e gli Ebrei, che se venisseno
Questi assassini ad impegnare o vendere
Le robe, tanto a bada li tenessino,
Che voi fosse avisato, sí che, andandovi,
Le riavessi, e lor facessi prendere?
ILARIO
Cotesto piú giovar potria che nuocere;
Pur non ci spero, che questi che prestano
A usura, esser ribaldi non è dubbio;
E quest'altri, che compran per rivendere,
Son fraudolenti, e 'l ver mai non ti dicono;
Né altre cose piú volentier pigliano
De le rubate, perché comperandole
Costan lor poco; e se danar vi prestano
Sopra, fanno che mai non si riscuoteno.
CORBOLO
Avisiamoli pur: facciamo il debito
Nostro noi.
ILARIO
Se 'l ti par, va' dunque, avisali.
SCENA TERZA
Corbolo, Pacifico.
CORBOLO
La cosa ben procede, e posso metterla
Per fatta: non mi resta altro a conchiuderla
Che farmi i pegni rendere da Giulio,
E poi mandarli per persona incognita
Ad impegnar quel piú che possa aversene.
Il vecchio, so, li riscuoterà subito
Che saprà dove sien; ma vo' che Flavio
L'intenda, acciò governar con Ilario
Si sappia e i nostri detti si conformino.
Ecco Pacifico esce.
PACIFICO
Ti vuol Flavio.
CORBOLO
A lui ne vengo, e buone nuove apportogli.
PACIFICO
Le sa, che ciò c'hai detto, dal principio
Al fine abbiamo inteso; ch'ambi stati te
Siamo a udir dietro all'uscio, né perdutane
Abbiàn parola.
CORBOLO
Che ve ne par?
PACIFICO
Demmoti
La gloria e 'l vanto di saper me' fingere
D'ogni poeta una bugia.
Ma fermati,
Che non ti vegga entrar qua dentro Fazio;
Come sia in casa e volga le spalle, entraci.
SCENA QUARTA
Fazio, Pacifico.
FAZIO
Perché non vi vorrei giunger, Pacifico,
Improviso, fra un mese provedetevi
Di casa, che cotesta son per vendere.
PACIFICO
Gli è vostra: a vostro arbitrio disponetene.
FAZIO
Il comprator et io ci siàn nel Torbido
Compromessi, ch'è andato a tôr la pertica
Per misurarla tutta: non mi dubito
Che si spicchi da me senza conchiudere.
PACIFICO
L'avessi ier saputo, che assettatola
Un po' l'avrei: mi cogliete in disordine.
FAZIO
Or va', e al me' che puoi, tosto rassettala,
Che non può far indugio che non venghino.
PACIFICO
Non oggi, ma diman fate che tornino.
FAZIO
Non ci potrebbe costui che la compera
Esser domane, che vuol ire a Modena.
SCENA QUINTA
Pacifico, Corbolo.
PACIFICO
Come faremo, Corbolo, di ascondere
Il tuo padron, che costor non lo vegghino?
Che senza dubbio, se lo vede Fazio,
S'avisarà la cosa, e sarà il scandolo
Troppo grande.
CORBOLO
Ecci luogo ove nasconderlo?
PACIFICO
Che luogo in simil casa (misurandola
Tutta) esser può sicur, che non lo trovino?
CORBOLO
Or non c'è alcuna cassa, alcun armario?
PACIFICO
Non ci son altre che due casse piccole,
Che Santino in giubbon non capirebbono.
CORBOLO
Dunque facciànlo uscir prima che venghino.
PACIFICO
Cosí spogliato?
CORBOLO
Io vo a casa, et arrecogli
Un'altra veste.
PACIFICO
Or va' e ritorna súbito,
Che qui t'aspetto.
CORBOLO
Io veggo uscire Ilario.
SCENA SESTA
Ilario, Corbolo, Cremonino.
ILARIO
Non sarà se non buono, oltre che Corbolo
V'abbia mandato, s'anch'io vo; che credere
Io non debbo ch'alcun piú diligenzia
Usi ne le mie cose, di me proprio.
Ma eccol qui.
C'hai fatto?
CORBOLO
Isaac e Beniami
Da i Sabbioni ho avisato: ora vo' volgermi
A i Carri; quei da Riva saran gli ultimi.
ILARIO
Che dimanda colui che va per battere
La nostra porta?
CORBOLO
È Il Cremonino.
(Oh diavolo,
Siamo scoperti!)
ILARIO
Che domandi, giovane?
CREMONINO
Domando Flavio.
ILARIO
Oh, quella mi par essere
La sua veste.
CORBOLO
A me ancor: vedete similemente
La sua berretta.
(Or aiutatemi,
Bugie; se non, siamo spacciati.)
ILARIO
Corbolo,
Come va questa cosa?
CORBOLO
Li suoi proprii
Compagni avran fatto la beffa, e toltosi,
Credo, piacer d'averlo fatto correre.
ILARIO
Bel scherzo in verità!
CREMONINO
Mio padron Giulio
Gli rimanda i suoi pegni, e gli fa intendere
Che quel suo amico...
CORBOLO
Che amico? Odi favola!
CREMONINO
...Quel che prestar su questi pegni...
CORBOLO
Chiacchiare!
CREMONINO
...Gli dovea li danari, che tu Corbolo...
CORBOLO
O che finzion!
CREMONINO
...venisti oggi a richiedergli.
CORBOLO
Io?
CREMONINO
Tu, sí.
CORBOLO
Guata viso! come fingere
Sa bene una bugia!
ILARIO
Corbolo, pigliali
E riponli: va', va' tu, va' e di' a Giulio
Che questi scherzi usar non si dovrebbono
Con gli amici...
CREMONINO
Che scherzi?
ILARIO
...e convenevoli
Non sono alli par suoi.
CREMONINO
Non credo ch'abbia
Mio padron fatto...
Che m'accenni, bestia?
Vo' dir la verità...
CORBOLO
Accenno io?
CREMONINO
...
e difendere
El mio padron, ch'a torto tu calunnii.
S'avesse avuto egli i danar, prestatogli
Li avrebbe, e volentier.
CORBOLO
Danari? Pigliati
Piacer! Ti sogni forse? O noi pur scorgere
Credi per ubriachi o per farnetichi?
CREMONINO
Or non portasti questa veste a Giulio,
Tu, questa mane?
CORBOLO
A piè o a cavallo? Abbiamoti
Inteso.
CREMONINO
Pur anco m'accenni?
CORBOLO
Accennoti?
ILARIO
Oh, che ti venga il mal di santo Antonio!
Non t'ho veduto io che gli accenni?
CORBOLO
Accennoli
Per certo, a dimostrar che le malizie
Sue conosciamo, e che a noi non può venderle.
CREMONINO
Malizie son le tue.
ILARIO
La voglio intendere.
Onde hai tu avute queste robe?
CORBOLO
Giulio
Ieri stette alla posta.
ILARIO
Da lui vogliolo,
E non da te saper.
CORBOLO
Ti darà a intendere
Qualche baia, che sa troppo ben fingere.
CREMONINO
Fingi pur tu.
CORBOLO
Or guatami, e non ridere.
CREMONINO
Che rider, che guatar?
CORBOLO
Va', va', di' a Giulio
Che Flavio sarà un dí buono per renderli
Merto di questo.
ILARIO
Non andar, no: lievati
Pur tu di qui, ch'io vo' da lui informarmene,
E non da te.
CORBOLO
Non fia vero ch'io toleri
Mai che costui vi dileggi.
ILARIO
Che temi tu
Che le parole sue però m'incantino?
Ma dimmi: queste robe...
Va' via, levati
Tu di qui.
CORBOLO
Pur volete dargli udienzia?
Quanti torcoli son per la vendemia
Non gli potrebbon fare un vero esprimere.
CREMONINO
Dirò la verità.
CORBOLO
Cosí è possibile,
Come che dica il Paternostro un asino.
ILARIO
Lascialo dire.
CREMONINO
Io vi dirò il Vangelio.
CORBOLO
Scoprianci il capo, perché non è lecito
Udire a capo coperto il Vangelio.
ILARIO
Per ogni via tu cerchi d'interrompere;
Ma se tu parli piú...
Deh vien, lasciamolo
Di fuora: entra là in casa.
Mi delibero
Di saper questa giunteria, ch'altro essere
Non può; ma serriàn fuor questa seccaggine.
SCENA SETTIMA
Corbolo, Pacifico
CORBOLO
Noi siàn forniti: a quattro a quattro correno
Li venticinque fiorini, ma e' correno
Tanto, che piú non c'è speme di giungerli.
Come n'ha fatto un bel servigio Giulio!
Per Dio! sempre gli abbiamo d'aver obligo.
Mi dice: - Tornerai fra un'ora a intendere
Quanto sia fatto -; e poi m'ha, contra all'ordine,
Mandato questo pecorone a rompere
Le fila ordite, e ch'io stavo per tessere.
PACIFICO
Che sei stato costí tanto a contendere?
Dove è la veste che tu arrechi a Flavio?
Non indugiàn, cancar ti venga, a metterlo
Fuor di casa.
Ch'aspetti? ch'entri Fazio,
E che lo vegga?
CORBOLO
S'io non posso in camera
Entrar! se m'ha di fuor serrato Ilario!
PACIFICO
Come faremo?
CORBOLO
Vedi di nasconderlo
In casa.
PACIFICO
Non c'è luogo.
CORBOLO
Dunque mettilo
Fuor in giubbon.
Di due partiti prendene
L'uno: o l'ascondi in casa o in giubbon mandalo
Di fuor.
PACIFICO
Né l'un né l'altro voglio prendere.
CORBOLO
Che farai dunque?
PACIFICO
Or mi torna in memoria
C'ho in casa una gran botte, che prestatami
Quest'anno al tempo fu de la vendemia
Da un mio parente, acciò che adoperandola
Per tino, le facessi l'odor perdere
Che avea di secco: egli di poi lasciatami
L'ha fin adesso.
Io ve lo vo' nascondere
Tanto che questi, che verran con Fazio,
Cercato a lor bell'agio ogni cosa abbiano.
CORBOLO
Vi capirà egli dentro?
PACIFICO
Sí, a suo commodo;
E già piú giorni io la nettai benissimo,
E posso a mio piacer levarne e mettere
Un fondo.
CORBOLO
Andiamo dunque: consigliamoci
Con essolui.
PACIFICO
Credo che questi siano
A punto quei ch'entrar qua dentro vogliono:
Son dessi certo, ch'io conosco il Torbido.
Forniàn noi quel ch'abbiamo a far.
CORBOLO
Forniamolo.
PACIFICO
Dunque vien dentro.
CORBOLO
Va' là, ch'io ti séguito.
SCENA OTTAVA
Torbido, Gemignano, Fazio
TORBIDO
Poi ch'io l'avrò misurata, la pertica
Mi dirà quanto ella val, fino a un picciolo.
GEMIGNANO
Dunque tal volta le pertiche parlano?
TORBIDO
Sí ben, e spesso fan parlare, fanno, stendendole
Tin su le spalle altrui.
Ma ecco Fazio.
Ch'abbiamo a far?
FAZIO
Quel ch'è detto: mettetevi
A misurar quando vi par: cominciano
Qui le confine, e quel segno non passano.
TORBIDO
Cominciaren qui dunque.
FAZIO
Cominciateci.
TORBIDO
Una, méttevi in capo il coltello.
GEMIGNANO
Eccolo.
TORBIDO
E dua, e questo appresso: a punto mancano
Dui sesti, che tre piedi non ponno essere.
Andiamo or dentro.
FAZIO
La matita prendere
Potete, e notar questo.
TORBIDO
Io lo noto, eccolo.
SCENA NONA
Giuliano solo.
GIULIANO
Or ora su in palazzo ritrovandomi,
Ho veduto segnare una licenzia
Dal Sindico, di tôr pegni a Pacifico
Per quarantatre lire, ch'egli è a Bartolo
Bindello debitore; e son certissimo
Che non si trovi tanto ch'abbia ascendere
Alla metà né al terzo di tal debito.
Per questo sto in timor che non gli toglino
Una mia botte, di che alla vendemia
Per bollire il suo vin gli feci commodo.
Meglio è, prima che i sbirri gli la lievino,
E ch'io abbi a litar poi e contendere,
E provar che sia mia, s'io vo a pigliarmela.
E poi che l'uscio è aperto, alla dimestica
Entrarò.
Vien, facchin, vien dentro, seguime.
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Cremonino solo.
CREMONINO
Or vedo ben ch'io son stato mal pratico;
E me n'ha gravemente da riprendere
Il mio padron, come lo sa, ch'a Ilario
Abbia scoperti gli aguati, che Corbolo
Posti gli avea, perché avesse Flavio
Da lui danari; e per inavertenzia
Solo ho fallito, e non già per malizia.
Ma che poteva io saper, non essendomi
Stato detto altro? Da doler s'avrebbeno
Di mio patron, che dovea avertirmene.
Pur è stata la mia grande ignoranzia,
Che de l'error non mi sapesse accorgere,
Se non poi quando non c'era rimedio.
Ma dove van questi sbirri? Ir debbono
A dar mala ventura a qualche povero
Cittadin.
Mala razza! feccia d'uomini!
SCENA SECONDA
Bartolo solo,
BARTOLO
Io gli ho mandato dieci volte o dodici
Li messi, acciò che li pegni gli tolgano;
Ma questi manigoldi, pur che siano
Pagati del viaggio, poco curano
Di fare essecuzione alcuna.
Il credito
Mio primo era quaranta lire e quindici
Soldi; e di questo tenuto in litigio
M'ha quattro anni, e ci son ben due sentenzie
Date conformi; et ho speso in salarii
D'avvocati, procuratori e giudici,
Duo tanti; e poco men le citatorie,
Le copie de scritture e de capitoli
Mi costan.
Metti appresso intolerabile
Fatica, e gravi spese de gli essamini,
Del levar de' processi e de sentenzie;
Le berrette, che a questo e a quel traendomi,
Le scarpe, c'ho su pel palazzo logore
Dietro ai procurator, che sempre corrono:
Piú di quaranta lire credo vagliano.
Poi dopo le fatiche e spese, i giudici
Solo in quaranta lire lo condannano;
E chi ha speso si può grattar le natiche.
Ve' le ragion che in Ferrara si rendono!
Quelle quaranta lire almen s'avessino!
Ma quando sopra a certe masserizie
Poi rivaler mi penso, che non vagliono
Quaranta lire quante son tutte, eccoti
La moglie comparir con l'inventario
De la sua dote, che tutte me l'occupa.
Non voglio, né per certo posso credere
Che sia in la povertà che referiscono
SCENA TERZA
Bartolo, Magagnino.
BARTOLO
Batti quell'uscio.
MAGAGNINO
Perché debbo batterlo,
Se non m'ha offeso?
BARTOLO
Offende me, vietandomi
Per li statuti che costui, che ci abita
Non posso far pigliar.
MAGAGNINO
Tu te ne vendica;
E poi ch'averne altro non puoi, disfogati
Sopra di lui: con mani e con piè battilo.
BARTOLO
Spero pur d'averne altro ancora: entriamoci.
Ma sento ch'egli s'apre.
MAGAGNINO
Ha fatto savia-
mente a ubidirti, e non lasciarsi battere.
BARTOLO
Molta gente mi par: qua su tiriamoci
Da parte un poco: credo che fuor portino
Le massarizie, et ogni cosa sgombrino.
SCENA QUARTA
Giuliano, Pacifico, Bartolo.
GIULIANO
E se la botte è mia, perché vietarmela
Vuoi tu ch'io non la pigli?
PACIFICO
Perché, avendola
Lasciata qui sei mesi, ora di tormela
Ti nasce questa voglia cosí súbita?
GIULIANO
Perché, lasciandola oggi, sto a pericolo,
Per la cagion che t'ho detto, di perderla.
BARTOLO
(Esser doveano avisati, né giungere
Ci potevàn piú a tempo.)
GIULIANO
Né comprendere
Posso, se non mel narri, il danno o l'utile
Che far ti possa, tortela o lasciartela.
PACIFICO
Tollendola ora, tu mi fai grandissimo
Danno.
GIULIANO
Tu pure a me.
PACIFICO
Mezz'ora piacciati
Di lasciarmela ancora.
GIULIANO
E s'ora vengono
Per vuotarti la casa i birri? Et eccoli,
Eccoli certo.
Non senza contendere
Ora l'avrò: ve' s'io dovea lasciartela!
SCENA QUINTA
Bartolo, Magagnino, Spagnolo, Giuliano.
BARTOLO
Cotesta vo' per parte del mio credito.
Falcione, e tu Magagnino, pigliatela
In spalla, e tu Spagnuolo.
MAGAGNINO
Io non soglio essere
Facchino.
SPAG.
Et io tampoco.
BARTOLO
Un bel servizio
C'ho da voi!
GIULIANO
Non sia alcun che di toccarmela
Ardisca, se non vuol...
BARTOLO
Dunque vietarmi tu
Vuoi, che non si esequisca la licenzia
C'ho di levargli i pegni?
GIULIANO
Li suoi togliere
Non vi divieto; ma 'sta botte dicovi
Che gli è mia.
BARTOLO
Come tua?
GIULIANO
Gli è mia verissima-
mente, che uguanno fu da me prestatali.
BARTOLO
Deh, che ciancie son queste? Ritrovandola
Uscir di casa sua, come sua tolgola.
GIULIANO
La tolli? Sí, s'io tel comporto: lasciala,
Se non ch'io te...
BARTOLO
Siatemi testimonii
Che costui vieta...
GIULIANO
Che vieta? Lasciatela.
SCENA SESTA
Fazio, Giuliano, Pacifico, Bartolo, Colombo.
FAZIO
Oh che rumor fate voi qui? Che strepito
È questo?
GIULIANO
È mia la botte, e riportarmela
Voglio a casa; e costui crede vietarmelo
PACIFICO
Dice il ver: sua è per certo.
BARTOLO
Anzi non dicono
Il vero.
GIULIANO
Tu pur menti.
FAZIO
Senza ingiuria
Dirvi, parlate.
BARTOLO
Tu mi menti.
GIULIANO
Menti tu,
Che tu di' ch'io non dico il vero.
BARTOLO
Fazio,
Vi par, se di casa esce di Pacifico,
Ch'io mi debba lasciar dare ad intendere
Che la sia se non sua?
GIULIANO
Se di Pacifico
Fusse, fuor ne la strada non trarrebbesi.
BARTOLO
Anzi la traevate per nasconderla.
PACIFICO
Non già, per Dio! La traevo per rendere
A lui, che uguanno me ne fe' servizio.
FAZIO
Ch'io dica il mio parer.
BARTOLO
Sí ben, rimettere
Mi voglio in voi.
GIULIANO
Io ancora.
FAZIO
Lascia, Bartolo,
Che questa botte io mi chiami in deposito,
E se Giulian fra due dí mi certifica
Che sia sua, l'averà; ma non facendomi
Buona prova, vorrò ch'abbi pazienzia.
GIULIANO
Son ben contento.
BARTOLO
Et io contento.
GIULIANO
Possovi
Che gli è mia facilmente far conoscere.
BARTOLO
Se prova gliene fii vera e legitima,
Sia tua: tu, dove e quando vuoi, via portala.
PACIFICO
Tu mi par poco savio a compromettere
E lasciar turbidar la chiara e liquida
Ragion che v'hai.
CORBOLO
Dice il vero: lasciatela
Piú tosto ov'era, in casa di Pacifico.
BARTOLO
Questo consiglio non mi sarebbe utile.
FAZIO
Che tocca a te? Che v'hai tu da intrometterti,
O tu, se non è tua?
CORBOLO
Per me rispondere
Voglio, che forse ci ho parte.
GIULIANO
Concederti
Non voglio già cotesto.
CORBOLO
Et appertiemmisi
Vie piú che non ti pare.
FAZIO
Et appertengasi.
GIULIANO
Come appertien? non è vero.
FAZIO
Appertengagli.
E non ti par che in casa mia debbia essere
Sicura dunque? come sol con Bartolo,
E non con Giulian anco, abbi amicizia!
GIULIANO
Ci siamo un tratto compromessi in Fazio:
Sia il depositario egli, egli sia il giudice.
BARTOLO
E cosí dico anch'io.
FAZIO
Dunque spingetela
Qua dentro in casa; e non abbiate dubbio
Che, in fin ch'io non son ben chiaro e certissimo
Di chi sia di ragion, la lasci muovere.
PACIFICO
(Flavio c'è dentro: or ve' s'ogni disgrazia,
Or ve' s'ogni sciagura mi perseguita!)
FAZIO
Pacifico, faresti meglio attendere
A casa, che gli sbirri non ti tolghino
Altro, e ti faccin peggio.
PACIFICO
E che mi possono
Tôrre? Il poco che ci è, sanno tutto essere
Di mógliema; ben altre volte stati ci
Sono.
Pur vo'...; ma ecco che fuor escono.
SCENA SETTIMA
Sbirri, Torbido, Gemignano, Giuliano, Fazio.
MAGAGNINO
Altro in somma non ci è, che quel che soliti
Siamo trovare, e ch'è su l'inventario.
TORBIDO
Ah ladri, ribaldoni, che involatomi
Avete il mio mantello!
MAGAGNINO
Fai grandissimo
Male accusarci a torto e dirci ingiuria.
TORBIDO
Brutto impiccato, che ti venga il cancaro!
Che è questo che tu hai sotto?
MAGAGNINO
Tolto avevolo
Per le mie spese, e non per involartelo.
TORBIDO
Io ti darò ben spese, se la pertica
Non mi vien meno.
GEMIGNANO
Io vo' prestarti un'opera.
GIULIANO
Non mi vo' anch'io tener le mani a cintola.
TORBIDO
Ve' lí quel sasso, Gemignano? piglialo,
Spezzali il capo: tu sei pur da Modena.
SBIRRI
Gli ufficial del signor cosí si trattano?
TORBIDO
Il signor non tien ladri al suo servizio.
Via, ladri; via, poltroni; via col diavolo.
Poco piú ch'io indugiava ad avedermene,
Era fornito: bisognava andarmene
In bel farsetto; e mi venia a proposito
L'aver meco portato questa pertica,
Che in spalla, ad uso d'una picca, avendola,
Sarei paruto un Lanzchenech o Svizaro.
FAZIO
Resta a misurar altro?
TORBIDO
Fin all'ultimo
Mattone ho misurato, e fin all'ultimo
Legno che ci è, l'ho scritto, e meco portolo;
Poi ne leverò il conto, e farò intendere
Ad ambi, a quanto prezzo possa ascendere.
GEMIGNANO
Quando?
TORBIDO
Oggi ancora.
Commandi altro, Fazio?
FAZIO
Non, ora.
TORBIDO
A Dio.
FAZIO
Son vostro.
- Olà, Licinia,
S'alcun mi viene a dimandar, rimettilo
Alla bottega qui di mastro Onofrio;
Fino ad ora di cena potrà avermici.
SCENA OTTAVA
Lena sola.
LENA
Nel male è grande aventura che Fazio
Uscito sia di casa; che difficilemente,
Se non si partiva, potevasi
Oggi piú trar di quella botte Flavio.
Com'io lo vidi in quella casa spingere,
M'assalse al cuore una paura, un tremito,
Che non so come io non mi morii súbito.
Potuto non s'avria sí poco muovere,
Che di sé non avesse fatto accorgere:
Un sospirar, un starnutire, un tossere
Ne rovinava.
Or, poi che senza nuocerne
Questa sciagura è passata, proveggasi
Ch'altra non venga; ora non s'ha da attendere
Ad altra cosa, che di tosto metterlo
Di fuor, ch'alcun nol vegga.
Vada Corbolo
A proveder di veste; ma fuor mandisi
Però prima la fante: che pericolo
Saria, stand'ella qui, che fosse il giovine
Da lei veduto o sentito.
- Odi, Menica:
A chi dich'io? Licinia, di' alla Menica
Che tolga il velo, et a me venga.
Or eccola.
SCENA NONA
Menica, Lena, Corbolo, Pacifico.
MENICA
Lena, che vuoi?
LENA
Piacciati, cara Menica,
Di farmi un gran servigio, da dovertene
Esser sempre tenuta.
MENICA
Che vuoi?
LENA
Vuo' mi tu
Farlo?
MENICA
Io 'l farò, pur che far sia possibile.
LENA
Va', madre mia, se m'ami, fin a gli Angeli.
MENICA
Ora?
LENA
Ora sí.
MENICA
Lasciami prima mettere
La cena al fuoco.
LENA
No, va' pur, che mettere
Io saprò senza te al fuoco una pentola.
Va': come sei dritto la chiesa, piegati
Tra l'orto de li Mosti e 'l monasterio;
E va' su al dritto, fin che giungi al volgerti
A man sinistra, alla contrada dicono
Mirasol, credo.
Or va'.
MENICA
Che vi vuoi, domine,
Ch'io vada a far?
LENA
Vedi cervello! Informati
Quivi (credo sia il terzo uscio) dove abita
La moglie di Pasquin, che insegna a leggere
Alle fanciulle: Dorotea si nomina.
Va' quivi, e dille: - A te, Dorotea, mandami
La Lena a tôr li ferri suoi da volgere
La seta sopra li rocchetti -; e pregala
Che me li mandi, perché mi bisognano.
Or va', Menica cara: donar voglioti
Poi tanta tela, che facci una cuffia.
MENICA
La carne è nel catin lavata, e in ordine;
Non resta se non porla ne la pentola.
LENA
Troppo cred'io ch'ella sia ben in ordine;
Ma non è già per porla ne la pentola
Se venticinque fiorini non s'abbino.
Conosco io ben l'amor di questi giovani,
Che dura solamente fin che bramano
Aver la cosa amata, e spenderebbono,
Mentre che stanno in questo desiderio,
Non che l'aver, ma il cuor.
Fa' che possegghino:
Va l'amor come il fuoco, che spargendovi
De l'acqua sopra, suol subito spegnersi:
E mancato l'ardor, non ti darebbono
Di mille l'un, che già ti promesseno.
Per questo voglio ir dentro, et interrompere
S'alcuna cosa senza me disegnano.
Corbolo, or su, spacciati tosto, arrecali
Alcuna veste; che lo possiàn mettere
Fuor, mentre l'agio ci abbiamo.
CORBOLO
Anzi, pregoti,
Mentre abbiamo agio, fa' che possa mettere
Dentro, e dategli luogo tu e Pacifico.
LENA
In fé di Dio, non farà: né ti credere
Ch'io gli lassi aver cosa che desideri,
Se prima li danari non mi annovera;
Et esser guardiana io stessa voglione.
CORBOLO
Guardala sí che gli occhi vi rimanghino.
(Debb'io patir che Flavio da Licinia
Cosí si debba partir, senza prenderne
Piacere; et abbia avuto questo incommodo
Di levarsi, che dieci ore non erano;
Di star qui dentro chiuso come in carcere;
D'esser portato con tanto pericolo
Serrato in una botte, come proprio
Fansi l'anguille di Comacchio e i mugini?
Ma che farò, vedendomi contraria
Col becco suo questa puttana femina,
Con li quali li preghi nulla vagliono,
Né luogo han le minaccie; né potrebbesi
Usar forza, che pur troppo è il pericolo,
Stando cosí, senza levar piú strepito?
Venticinque fiorini, in fin, bisognano,
Ne li qual siamo condennati; e grazia
Non se n'ha a aver, né voglion darci credito.
Dove trovar li potrò? Far prestarmeli
Su la fede è provato, et è stato opera
Vana: su i pegni non si può, che Ilario
Ne gli ha intercetti.
A lui di nuovo tendere
Un'altra rete saria temeraria
Impresa: non si lasciaria piú cogliere.
E pur talor de gli augelli si colgono,
Che caduti alla rete altre volte erano,
E n'erano altre volte usciti liberi.
Forse sarà lo ingannarlo piú facile
Or che gli par, che mal successe essendomi
Le prime, rinfrancar sí tosto l'animo
Non debba a porgli le seconde insidie.
Ma che farò? Che farò infin? Delibera
Tosto, che di pensar ci è poco termine.
Io farò...
che? Io dirò...
sí bene; e credere
Mi potrà? Crederammi.
Ma Pacifico
Vien fuora).
PACIFICO
Ov'è la veste?
CORBOLO
Che veste? hammi tu
Scorto per sarto? Oh, par che 'l mio esercizio
Non sappi: io tengo la zecca, e vo' battere
Venticinque fiorini ora per darteli.
PACIFICO
Foss'egli il vero!
CORBOLO
A mio senno governati.
Hai tu alcun'arma in casa?
PACIFICO
Su in la camera
Dipinta ho nel camin l'arme di Fazio.
CORBOLO
Dico da offesa.
PACIFICO
Assai n'ho che m'offendono:
La povertà, li pensieri, la rabbia di
Mia moglier, e 'l suo sempre dirmi ingiuria.
CORBOLO
Dico s'hai spiedo o ronca o spada o simile
Cosa.
PACIFICO
Ci è un spiedo antico e tutto ruggine.
Ve' se gli è tristo, se gli è male in ordine,
Che i birri mai non curan di levarmelo.
CORBOLO
Basta, viemmelo mostra.
Or bella alchimia
Non ti parrà, s'io fo di questa ruggine
Venticinque fiorini d'oro fonderti?
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Corbolo, Pacifico, Staffieri.
CORBOLO
Vien fuora, vien piú in qua, piú ancora: pàrtiti
Di casa un poco.
Tu mi par piú timido
Con l'arme in mano, che non dovresti essere
Se l'avessi nel petto: di chi dubiti?
PACIFICO
Del capitan de la piazza, che cogliere
Mi potria qui con questo spiedo, e mettermi
In prigion.
CORBOLO
No, ch'io gli daria ad intendere
Che fussi un sbirro o il boia; e crederebbelo,
Che de l'uno e de l'altro hai certo l'aria.
Rizza la testa.
E' par che vogli piangere!
Sta ritto, sta gagliardo, fa' il terribile,
Fa' il bravo.
PACIFICO
E come fassi il bravo?
CORBOLO
Attaccala
Spesso a Dio e santi: tienlo cosí: volgeti
In qua: fa' un viso scuro e minaccevole.
Ben son pazzo, che far voglio una pecora
Simigliare un leon.
Ma veggo giungere
A tempo dui staffieri di don Ercole,
Che, dove costui manca, puon soccorrermi;
Voglio ire a lor.
Buon dí, fratelli.
STAFFIERI
O Corbolo,
Buon dí e buon anno.
Come la fai? Vuonne tu
Dar bere?
CORBOLO
Sí, volentieri, ma pensovi
Di dar meglio che bere.
STAFFIERI
Che?
CORBOLO
Fermandovi
Qui meco una mezz'ora, voglio mettervi
Un contrabando in man, da guadagnarvene
Al manco un paio di scudi per uno.
STAFFIERI
Eccoci,
Del ben, che ne farai, per averti obligo.
CORBOLO
Io vi dirò.
Questi Giudei, che prestano
A Riva, ieri compraro una grandissima
Quantità di formaggio, e caricatolo
Han su dua carra, et in modo copertolo
Sotto la paglia, che non potria accorgersi
Alcun che cosa fosse, non sapendolo
Come io, che 'l so da quel da chi lo comprano:
E senza aver tolta bolletta, o dazio
Pagato alcun, per queste vie il conducono.
Or non volendo io discoprirmi, avevone
Parlato a questo mio vicino, e postogli
Quel spiedo in mano, acciò che, come passino
Le carra, frughi ne la paglia, e trovivi
Il contrabando.
Io saria qui a intromettermi
D'accordo, perché li Giudei non fossero
Accusati da lui; ma pusillanimo
È costui sí, che non voglio impacciarmene
Per suo mezzo.
Or se a parte volete esserci
Voi, volontier v'accetto.
STAFFIERI
Anzi pregartene
Vogliamo, et il guadagno promettemoti
Partir da buon compagni.
CORBOLO
Ora fermatevi.
Tu qui, e tien l'occhio, che se là passasseno
Le carra, in un momento possi corrervi;
E tu a quest'altra via farai la guardia.
(Post'ho l'artegliaria già ai canti.
Facciano
Qui testa ormai le bugie, che fuggivano
Cacciate e rotte, e tornando con impeto,
Ilario, che le avea cacciate, caccino.
Ma eccolo uscir fuor; purch'elle possano
A questo duro principio resistere,
Non temo non averne poi vittoria.)
SCENA SECONDA
Ilario solo.
ILARIO
Oh come netta me la facea nascere
Quel ladroncel, se non m'avesse Domenedio
Cosí a tempo mandato quel giovene,
Il quale a caso, non già volontaria-
mente, m'ha fatto por gli occhi alla trappola
Ne la qual per cader ero sí prossimo.
Volea, credo, egli Flavio indurre a vendere
Le robe di nascosto, et in lascivie
Fargli il prezzo malmettere, e sottrargliene
Per sé la maggior parte; et io, credendogli,
Avea di fare un'altra veste in animo,
Et un'altra berretta, per rivolgergli
L'affanno in gaudio, ch'io credea che mettersi
Dovesse pur, come di vera perdita.
Ma non mi so pensar perché tai termini
Usi meco il mio Flavio, che 'l piú facile
Padre gli sono, e quel che piú mi studio
Di compiacere in ogni desiderio
Onesto, ch'altri che sia al mondo.
Voglione
Solo incolpar questo giotton di Corbolo
Ch'io non intendo che mi stia piú un atimo
In casa.
Io vo' cacciarlo, come merita.
SCENA TERZA
Ilario, Corbolo.
ILARIO
Ancora hai, brutto manigoldo, audacia
Di venire ov'io sia?
CORBOLO
Deh! questa colera
Ponete giú; e per Dio, non vi contamini
La pietade.
ILARIO
Oh, tu piangi?
CORBOLO
E voi piú piangere
Dovreste, che vostro fi
...
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