LA LENA, di Ludovico Ariosto - pagina 1
LA LENA
Persone
Corbolo famiglio di Flavio
Flavio patrone giovane
Fazio vecchio
Ilario padre di Flavio
Egano vecchio
Cremonino famiglio
Giuliano
Torbido perticatore
Gemignano
Bartolo
Magagnino sbirro
Spagnuolo sbirro
Menica massara di Fazio
Staffieri dui
Menghino famiglio di Fazio
[La scena è in Ferrara.]
Prologo
Ecco La Lena, che vuol far spettacolo
Un'altra volta di sé, né considera
Che se l'altr'anno piacque, contentarsene
Dovrebbe, né si por ora a pericolo
Molte volte si muta, et il medesimo
Che la matina fu, non è da vespero.
E s'anco ella non piacque, che piú giovane
Era alora e piú fresca, men dovrebbevi
Ora piacer.
Ma la sciocca s'imagina
D'esser piú bella, or che s'ha fatto mettere
La coda dietro; e parle che, venendovi
Con quella inanzi, abbi d'aver piú grazia
Che non ebbe l'altr'anno, che lasciòvisi
Veder senz'essa, in veste tonda e in abito
Da questo, ch'oggi s'usa, assai dissimile.
E che volete voi? La Lena è simile
All'altre donne, che tutte vorrebbono
Sentirsi dietro la coda, e disprezzano
(come sien terrazzane, vili e ignobili)
Quelle ch'averla di rietro non vogliono,
O per dir meglio, ch'aver non la possono:
Perché nessuna, o sia ricca o sia povera,
Che se la possa por, niega di porsela.
La Lena, in somma, ha la coda, e per farvila
Veder, un'altra volta uscirà in publico;
Di voi, donne, sicura, che laudarglila
Debbiate; et è sicura anco de i giovani,
Ai quali sa che le code non spiaceno,
Anzi lor aggradiscono, e le accettano
Per foggia buona e da persone nobili.
Ma d'alcuni severi et increscevoli
Vecchi si teme, che sempre disprezzano
Tutte le fogge moderne, e sol laudano
Quelle ch'al tempo antico si facevano.
Ben sono ancora de i vecchi piacevoli,
Li quai non hanno le code a fastidio
Et han piacer de le cose che s'usano.
Per piacer, dunque, a questi e a gli altri che amano
Le foggie nuove, vien La Lena a farvisi
Veder con la sua coda.
Quelli rigidi
Del tempo antico faran ben, levandosi,
Dar luogo a questi, che la festa vogliono.
Prologo primo de La Lena inanzi che fusse ampliata di due scene
Dianzi ch'io viddi questi gentilomini
Qui ragunarsi, e tante belle gioveni,
Io mi credea per certo che volessino
Ballar, che 'l tempo me lo par richiedere;
E per questo mi son vestito in maschera.
Ma poi ch'io sono entrato in una camera
Di queste, e ho veduto circa a sedici
Persone travestite in diversi abiti,
E che si dicon l'un l'altro, e rispondono
Certi versi, m'avveggio che far vogliono
Una de le sciocchezze che son soliti,
Ch'essi comedie chiamano e si credono
Di farle bene.
Io che so quel che detto mi
Ha il mio maestro, che fra le poetiche
Invenzïon non è la piú difficile,
E che i poeti antiqui ne facevano
Poche di nuove, ma le traducevano
Dai Greci, e non ne fe' alcuna Terenzio
Che trovasse egli; e nessuna o pochissime
Plauto, di queste ch'oggidí si leggono;
Non posso non maravigliarmi e ridere
Di questi nostri, che quel che non fecero
Gli antiqui loro, che molto piú seppono
Di noi in questa e in ogni altra scïenzia,
Essi ardiscan di far.
Tuttavia, essendoci
Già ragunati qui, stiamo un po' taciti
A riguardarli.
Non ci può materia,
Ogni modo, mancar oggi da ridere,
Che, se non rideremo de l'arguzia
De la comedia, almen de l'arroganzia
Del suo compositor potremo ridere.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Corbolo, Flavio
Flavio, se la dimanda è però lecita,
Dimmi: ove vai sí per tempo? che suonano
Pur ora i matutini; né debbe essere
Senza cagion, che ti sei con tal studio
Vestito e ben ornato, e come bossolo
Di spezie tutto ti sento odorifero.
FLAVIO
Io vo qui, dove il mio Signor gratissimo,
Amor mi mena, a pascere i famelici
Occhi d'una bellezza incomparabile.
CORBOLO
E che bellezza vuoi tu in queste tenebre
Veder? Se forse veder non desideri
La stella amata da Martin d'Amelia;
Ma né quella anco di levarsi e solita
Cosí per tempo.
FLAVIO
Né cotesta, Corbolo,
Né stella altra del cielo, né il sol proprio,
Luce quanto i begli occhi di Licinia.
CORBOLO
Né gli occhi de la gatta; questo aggiungere
Dovevi ancora: che saria piú simile
Comparazion, perché son occhi, e lucono.
FLAVIO
Il malanno che Dio te dia, che cómpari
Gli occhi d'animal bruto a lumi angelici!
CORBOLO
Gli occhi di Cuchiolin piú confarebbonsi,
Di Sabbatino, Marïano e simili,
Quando di Gorgadello ubriachi escono.
FLAVIO
Deh, va' in malora!
CORBOLO
Anzi in buon'ora a stendermi
Nel letto, et a fornire un suavissimo
Sonno che tu m'hai rotto.
FLAVIO
Or vien qua et odimi,
E pon da lato queste sciocche arguzie.
Corbol, che sempre abbia avuta grandissima
Fede in te, te ne sei potuto accorgere
A molti segni; ma maggiore indizio
Ch'io te n'abbia ancor dato, son per dartene
Ora, volendo farti consapevole
D'un mio segreto di tale importanzia
Che la roba vorrei, l'onore e l'anima
Perder prima che udir che fusse publico.
E perché credo aver de la tua opera
Bisogno in questo, ti vo' far intendere
Che a patto alcun non te ne vo' richiedere,
Se prima di tacerlo non mi t'oblighi.
CORBOLO
Non accade usar meco questo prologo:
Che tu sai ben per qualche esperïenzia,
Ch'ove sia di bisogno so star tacito.
FLAVIO
Or odi: io so che sai, senza ch'io 'l replichi,
Ch'amo Licinia, figliuola di Fazio
Nostro vicino, e che da lei rendutomi
È il cambio; che piú volte testimonio
Alle parole, ai sospiri, alle lacrime
Sei stato, quando abbiamo auto commoda
Di parlarci, stando ella a quella picciola
Finestra, io ne la strada; ne mancatoci
È mai, se non il luogo, a dar rimedio
A' nostri affanni.
Il quale ella mostratomi
Ha finalmente, che fare amicizia
M'ha fatto con la moglie di Pacifico,
La Lena: questa che qui a lato si abita,
Che le ha insegnato da fanciulla a leggere
Et a cucire; e séguita insegnandole
Far trapunti, riccami, e cose simili:
E tutto il dí Licinia, fin che suonino
Ventiquattr'ore, è seco, sí che facile-
mente, e senza ch'alcun possa avedersene,
La Lena mi potrà por con la giovane.
E lo vuol fare, e darci oggi principio
Intende: e perché li vicin, vedendomi
Entrar, potriano alcun sospetto prendere,
Vuol ch'io v'entri di notte.
CORBOLO
È convenevole.
FLAVIO
Verrà a suo acconcio e tornerà la giovane,
Come andarvi e tornarne ogni dí è solita.
Ma non me ne son oggi io piú per muovere
Insin a notte.
Questa notte tacita-
mente uscironne.
CORBOLO
Con che modo volgere
Hai potuto la moglie di Pacifico,
Che ruffiana ti sia de la discepola?
FLAVIO
Disposta l'ho con quel mezzo medesimo
Con che piú salde menti si dispongono
A dar le rocche, le città, gli eserciti,
E talor le persone de' lor principi:
Con denari; del qual mezzo il piú facile
Non si potrebbe trovar.
Ho promessole
Venticinque fiorini, et arrecarglieli
Ora meco dovea, perché riceverli
Anch'io credea da Giulio, che promessomi
Li avea dar ieri, e m'ha tenuto all'ultimo.
Iersera poi ben tardi mi fe' intendere
Che non me li dava egli, ma servirmene
Facea da un suo, senza pagargliene utile
Per quattro mesi; ma dovendo darmeli
Quel suo, voleva il pegno, il qual sí subito
Non sapendo io trovare, e già avend'ordine
Di venir qui, non ho voluto romperlo,
E son venuto; ancor ch'io stia con animo
Molto dubbioso se mi vorrà credere
La Lena, pur mi sforzarò, dicendole
Come ita sia la cosa, che stia tacita
Fino a diman.
CORBOLO
Se ti crede, fia un'opera
Santa che tu l'inganni.
Porca! ch'ardere
La possa il fuoco! Non ha conscïenzia,
Di chi si fida in lei la figlia vendere!
FLAVIO
E che sai tu che ragione non abbia?
Acciò tu intenda, questo vecchio misero
Le ha voluto già bene, e il desiderio
Suo molte volte n'ha avuto.
CORBOLO
Miracolo!
Gli è forse il primo!
FLAVIO
Ben credo, patendolo
Il marito, o fingendo non accorgersi.
Imperò che piú e piú volte Fazio
Gli ha promesso pagar tutti i suoi debiti,
Perché il meschin non ardisce di mettere
Piè fuor di casa, acciò che non lo facciano
Li creditori suoi marcire in carcere;
E quando attener debbe, niega il perfido
D'aver promesso, e dice: - Dovrebbe esservi
Assai d'aver la casa, e non pagarmene
Pigione alcuna -; come nulla meriti
Ella de l'insegnar che fa a Licinia!
CORBOLO
Veramente se fin qui nulla merita,
Meritarà per l'avvenir, volendole
Insegnar un lavoro il piú piacevole
Che far si possa, di menar le calcole
E batter fisso.
Ella ha ragion da vendere.
FLAVIO
Abbia torto o ragion, ch'ho da curarmene?
Poi che mi fa piacer, le ho d'aver obligo.
Or quel che da te voglio, è che mi comperi
Fin a tre paia o di quaglie o di tortore;
E quando aver tu non ne possa, pigliami
Due paia di piccioni, e fagli cuocere
Arrosto, e fammi un cappon grasso mettere
Lesso: e gli arreca ad ora convenevole,
E con buon pane e meglior vino; e siati
A cuor ch'abbian da bere in abondanzia.
Questo è un fiorino, te': non me ne rendere
Danaio in dietro.
CORBOLO
Il ricordo è superfluo.
FLAVIO
Io vo' far segno alla Lena.
CORBOLO
Sí, faglilo,
Ma su la faccia, che per Dio lo merita.
FLAVIO
Perché, se mi fa bene, ho io da offenderla?
CORBOLO
Il farti ella suonar, come un bel cembalo,
Di venticinque fiorini, tu nomini
Bene? Ma dimmi: ove sarà, pigliandoli
Tu in presto, poi provision di renderli?
FLAVIO
Ho quattro mesi da pensarci termine;
Che sai che possa in questo mezzo nascere?
Non potrebbe morir, prima che fossero
Li tre, mio padre?
CORBOLO
Sí; ma potria vivere
Ancor: se vive, come è piú credibile,
Che modo avrai di pagar questo debito?
FLAVIO
Non verrai tu sempre a prestarmi un'opera,
Che gli vorrò far un fiocco?
CORBOLO
Te n'offero
Piú di diece.
FLAVIO
Ma sento che l'uscio aprono.
CORBOLO
E tu aprir loro il borsello apparecchiati.
Flavio, Lena, Corbolo
FLAVIO
LENA
Dir buona notte.
CORBOLO
Piú cortese.
LENA
Con buoni effetti vogliolo
Risalutar, non con parole inutili.
FLAVIO
So ben che 'l mio buon dí sta nel tuo arbitrio.
LENA
E 'l mio nel tuo.
CORBOLO
Vorrei.
LENA
O che guadagno! Dimmi, Flavio:
CORBOLO
Ben puoi credere
LENA
FLAVIO
Per certo...
LENA
Cotesto!
FLAVIO
...
Dovea fin ieri, e poi mi fece intendere
Iersera, ch'era già notte, che darmeli
Farebbe oggi o doman senza alcun dubbio.
Vent'ore, che gli avrai.
LENA
Ora, entrarai qua dentro.
In tanto renditi
Certo di star di fuora.
FLAVIO
D'averli.
LENA
Ch'io non son, senza danari, per crederti.
FLAVIO
Ti do la fede mia.
LENA
Saria mal cambio
Tôr per danari la fede, che spendere
Non si può; e questi, che i dazi riscuoteno,
Fra le triste monete la bandiscono.
CORBOLO
Tu cianci, Lena, sí?
LENA
Non ciancio: dicogli
Del miglior senno ch'io m'abbia.
CORBOLO
Può essere
Che essendo bella, tu non sia piacevole
Ancora?
LENA
O bella o brutta, il danno e l'utile
È mio: non sarò almen sciocca, che volgere
Mi lassi a ciancie.
FLAVIO
Mi sia testimonio
Dio.
LENA
Testimonio non vo', che all'esamine
Io non possa condur.
CORBOLO
Sí poco credito
Abbiamo teco noi?
LENA
Non stia qui a perdere
Tempo, ch'io gli conchiudo, ch'egli a mettere
Non ha qua dentro il piede, se non vengono
Prima questi danari, e l'uscio gli aprino.
FLAVIO
Tu temi ch'io te la freghi?
CORBOLO
Sí, fregala.
Padron, che poi ti sarà piú piacevole.
LENA
Io non ho scesa.
CORBOLO
(Un randello di frassino
Di due braccia ti freghi le spalle, asina!)
LENA
Io voglio, dico, danari, e non frottole.
Sa ben che 'l patto è cosí; né dolersene
Può.
FLAVIO
Tu di' il vero, Lena; ma può essere
Che sii sí cruda, che mi vogli escludere
Di casa tua?
LENA
Può esser che sí semplice
Mi stimi, Flavio, che ti debba credere,
Che in tanti dí, che siamo in questa pratica,
Tu non avessi trovato, volendoli,
Venticinque fiorini? Mai non mancano
Danari alli par tuoi.
Se non ne vogliono
Prestar gli amici, alli sensali volgiti,
Che sempre hanno tra man cento usurarii.
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