[Pagina precedente]...o, sull'onor mio.
GUD.
Respiro.
BAI.
Monsieur Lass colla mente che scrutinar procura?
GUD.
Del circolo pretende trovar la quadratura.
BAI.
Ben; la trovaste, amico? (a monsieur Lass)
LASS
Sì, quasi ad evidenza. (alzandosi)
BAI.
E su qual fondamento?
LASS
Vado a far l'esperienza.
BAI.
Da superar vi resta qualche difficoltà ?
LASS
Non la trovai del tutto, ma un dì si troverà .
(Così per me trovassi il cuor di sua nipote,
Che tanto mi par bella, ed ha sì bella dote!) (parte)
BAI.
Malagevole impresa.
GUD.
È una follia visibile,
Qual di chi vuol dividere il punto indivisibile.
PAFF
D'algebra e d'analitica insegnan le bell'arti (s'alza)
Che ogni materia ha corpo, e che ogni corpo ha parti;
Che ogni picciola parte, dal corpo suo recisa,
Puol essere in più parti divisa e suddivisa;
E il punto indivisibile rispetto alla figura.
Dividere pretendo almen per congettura.
So che l'impegno è grande, ma il fondamento è sodo;
Mancami sol ch'io trovi per eseguirlo il modo.
TAUS
Ho ben io ritrovata la causa e il fondamento (s'alza)
Del flusso e del riflusso del liquido elemento.
BAI.
A parte i buoni amici render di ciò conviene.
TAUS
Il flusso ed il riflusso del mar dunque proviene
O da una forza elastica, che in fondo al mar s'aduna,
O dai violenti influssi del corso della luna,
O un moto sotterraneo rende quell'onde instabili.
Tutte ragioni vere, o almen tutte probabili. (parte)
SCENA SESTA
Monsieur BAINER, monsieur GUDEN.
GUD.
Signor, queste figure in casa vostra unite,
Che s'intende che sieno?
BAI.
Dirò, non istupite.
Vengono a favorirmi cotai filosofastri,
Che presso il basso volgo vonno passar per mastri,
E par loro che giovi dire al mondo ingannato:
Di Bainer frequentiamo lo studio accreditato.
Li soffro qualche volta, di tutti amico io sono:
Esce dai sciocchi ancora talvolta un pensier buono.
E la filosofia, ch'è il studio a me diletto,
Anche con questo mezzo aprir può l'intelletto.
Le stolidezze altrui fanno studiar di più,
E fan miglior concetto aver della virtù.
GUD.
So che quel signor medico con sua caricatura
Mi avea cacciata intorno una bella paura.
BAI.
Non temete niente; son qui tutto per voi:
Oggi restar vi prego a desinar con noi.
Di voi ho buon concetto; per voi ho della stima;
Si dan di quegli incontri, che piacciono alla prima.
Duolmi dall'ipocondria vedervi un po' avvilito;
Sarete, in me fidando, prestissimo guarito.
Voglio che superiate il mal colla virtù.
GUD.
Son nelle vostre mani, che ho da bramar di più?
BAI.
So che un banchier voi siete; piacemi il parlar schietto
Senza affettar grandezze.
GUD.
Signor chi ve l'ha detto?
BAI.
Disselo mia nipote. So che con lei parlaste.
GUD.
Signor, fu un accidente; non vorrei mi tacciaste...
BAI.
Di che? Non è interdetto il praticare onesto.
Che vi par di Marianna?
GUD.
Signore, io vi protesto,
Che giovin più gentile non ho veduta mai.
(In questo suo discorso vi è da sperare assai). (da sé)
BAI.
Ha del talento.
GUD.
È vero.
BAI.
È giovane prudente.
GUD.
Dal conversar si vede, dal suo parlar si sente.
(Or la ragion capisco del suggerito amore). (da sé)
BAI.
Io non ho figli al mondo, ella è tutto il mio cuore.
Offerti alla fanciulla fur più ricchi partiti;
Ma certo, infin ch'io viva, non vuò che si mariti.
GUD.
(Prima si andava consolando, ora si turba)
BAI.
Che c'è, che vi cambiate?
GUD.
Nïente. I miei vapori.
BAI.
Si calmeranno i spiriti, si sederan gli umori.
Presto risanerete. Vuò vedervi contento.
GUD.
(Perduta ho la speranza del mio medicamento).
SCENA SETTIMA
Petizz e suddetti
PET.
Signor, un forestiere che ha titol di eccellenza
Venuto è per le poste, e vuol subito udienza.
BAI.
Bene; sarà servito. (Petizz parte)
GUD.
Andrò con permissione...
BAI.
Servitevi, signore, qui non vi è soggezione.
Di Leiden vi saranno ancor le strade ignote;
Potete trattenervi per or con mia nipote.
Oggi, secondo l'uso di nostre cittadine,
A lei tocca ricevere le amiche e le vicine.
Vi servirà frattanto per sollevarvi un poco.
GUD.
(Mi servirà , io dubito, per crescere il mio foco). (da sé, e parte)
SCENA OTTAVA
Monsieur BAINER, poi il MARCHESE DI CROCCANTE.
BAI.
Fra quante sono al mondo pessime infermità ,
Sono gl'ipocondriaci quei che mi fan pietà .
Questo giovin dabbene, sì di lontan venuto,
Merta ben ch'io gli porga ogni più caldo aiuto.
Né via miglior di questa per risanarlo io veggio;
Cura, medicamenti, l'opprimerian di peggio.
CRO.
Bainer, mi conoscete?
BAI.
Signor, mi par di no.
CRO.
Or saprete chi sono; sediam, ve lo dirò. (siedono)
BAI.
(Un pessimo negozio; lo veggo nel sembiante). (da sé)
CRO.
Io sono il colonnello marchese di Croccante.
BAI.
Oh signor... (complimentandolo)
CRO.
Io son quello, medico mio garbato
Che scrivere vi fece per essere curato.
Voi venir non voleste in Fiandra a medicarmi,
E per parlarvi alfine dovuto ho incomodarmi.
Sembra che più rispetto si debba a un cavaliere.
BAI.
Leiden è la mia patria; qui faccio il mio mestiere.
I cavalier rispetto con ogni umil tributo;
Bainer non è, signore, un medico venduto.
CRO.
Conoscete il mio male?
BAI.
Astrologo non sono.
CRO.
Il color del mio volto parvi cattivo o buono?
BAI.
Parmi il rosso eccedente.
CRO.
Sapete onde provenga?
BAI.
Esaminiam gli effetti, pria che alla causa io venga.
Dorme la notte?
CRO.
Poco.
BAI.
Gli serve l'appetito?
CRO.
Pochissimo.
BAI.
Gran sete?
CRO.
Son sempre inaridito.
BAI.
Bevere è necessario.
CRO.
Bevo quel che bisogna:
Quattro bottiglie al giorno di vino di Borgogna,
Canarie tutti i giorni per confortare il petto,
E un peccher la mattina di rosolin perfetto.
BAI.
E poi mi domandate da che provenga il rosso?
CRO.
Ho un foco nelle viscere, cui tollerar non posso.
BAI.
Siete a digiuno ancora?
CRO.
Scesi alla Posta un poco;
Mi sentia per le membra ed alla testa il foco:
Presi un pezzo di pane con del botir salato
E con del vin del Reno mi sono rinfrescato.
BAI.
Ecco la cagion vera del color porporino.
CRO.
Spropositi! nel volto ha da passare il vino?
BAI.
Oh sì signor; il sangue, d'atro color ripieno,
Ora v'infiamma il volto, e infiammeravvi il seno.
CRO.
Come ho da fare adunque a spegner la mia sete?
BAI.
Acqua, signor...
CRO.
Io acqua? Acqua mi proponete?
Questa è di tutti i medici l'usata medicina:
Non mi credea che foste medico da dozzina.
Dell'acqua ad un par mio? Acqua non assaggiai
Saran più di vent'anni, e non ne berrò mai.
E se miglior ricordo darmi voi non sapete,
Bainer, io non vi stimo quel medico che siete.
BAI.
Signor, vo' soddisfarvi; ho un cantinin ripieno
Di vino di Sciampagna, che avrà sett'anni almeno.
Ho del Toccai perfetto.
CRO.
Bravo.
BAI.
Del vin di Spagna,
Del vino d'Ungheria, del vino di Bretagna.
CRO.
Bravo, così mi piace: del vin che mi conforti.
BAI.
E poi poco lontano abbiamo il beccamorti.
CRO.
È il cantinier costui?
BAI.
È quel che favorisce
Gli uomini quando crepano, è quel che seppellisce.
Beviamo allegramente, e poi presto a drittura
In men di quattro giorni si passa in sepoltura.
CRO.
Piano, piano di grazia; ho da morir per questo?
BAI.
O tralasciare il vino, o andarsene ben presto.
CRO.
Bainer, che non vi sia nella medica scuola
Qualche espediente? Almeno una bottiglia sola.
BAI.
Impiegherò ogni studio por consolarvi appieno.
Tralasciate di bere per un sol giorno almeno.
CRO.
Ho una sete terribile. Solo il ber mi consola.
BAI.
Acqua, signor.
CRO.
Non posso.
BAI.
Una giornata sola.
Via, per piacer vel chiedo. Il vino ha tal virtù,
Se un dì ve ne astenete, doman vi piace più.
Dopo d'aver bevuto dell'acqua in quantità ,
Oh quanto saporito il vin vi riuscirà !
CRO.
Bainer, questa ragione par che mi persuada.
BAI.
(Convien con questi pazzi andar per ogni strada). (da sé)
Dunque si è stabilito.
CRO.
Una giornata sola.
BAI.
Ma, signor, non mancate.
CRO.
Vi do la mia parola.
BAI.
Un cavalier non manca.
CRO.
Ditemi, non potrei
Porne così nell'acqua due, quattro dita, o sei?
BAI.
Signor, mi maraviglio. Se cavalier voi siete,
Mi deste la parola, vo' che la mantenete.
CRO.
Bainer, un uomo grande siete a comun giudizio.
Alla virtù sia fatto l'enorme sagrifizio.
Potrete al merto vostro vantar per un tributo:
Il marchese Croccante un dì non ha bevuto. (parte)
BAI.
Ma a che siam noi soggetti? Quale destin maledico
Ammalati ci manda per impazzire il medico?
Ecco di noi meschini, ecco il delirio usato:
Dover colle ragioni cozzar coll'ammalato;
E chi non ha quell'arte ch'è necessario avere,
Per secondar l'infermo, tradisce il suo mestiere.
Lungi la soggezione, lungi i rispetti umani;
Franco si parli e schietto coi spiriti più strani.
Sia volgar l'ammalato, sia prence o cavaliero,
L'arte è una sola, e sempre dee prevalere il vero.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera di madama Marianna con varie sedie.
Madama MARIANNA e CAROLINA.
CAR.
Madama, le signore mandano l'imbasciate.
MAR.
Via presto, fa che sieno le sedie preparate.
CAR.
Subito, sì signora. (va ponendo le sedie in ordine)
MAR.
Per divertirle bene,
Che mai si potrà fare?
CAR.
Non so.
MAR.
Pensar conviene.
L'altrier, che ci ha trattate madama Elisabetta,
Fu la conversazione amabile, perfetta;
Io vorrei corrispondere, giacché lo zio il consente,
A quel che ho ricevuto, almen passabilmente.
CAR.
Non vi mettete in pena; ciascheduna di loro,
Secondo il praticato, porterà il suo lavoro.
Se a desinar qui restano, si penserà .
MAR.
Sì certo.
Spero vi resteranno. Picchiano?
CAR.
L'uscio è aperto.
Eccole tutte unite.
MAR.
Mi porterai or ora
Se il lavorier principiano, anche il mio.
CAR.
Sì signora. (in atto di partire)
MAR.
Di', che fa l'ammalato?
CAR.
Veggolo tutto il giorno,
Come fa l'ape al mele, a queste mura intorno. (parte)
MAR.
Di qui non sa staccarsi il povero meschino:
Ma lo farà per essere al medico vicino.
SCENA SECONDA
Madama ELISABETTA, poi madama FEDERICA, poi madama GIUSEPPINA e la suddetta.
ELI.
Madama.
MAR.
A voi m'inchino.
ELI.
Sono ad incomodarvi.
MAR.
Per grazia lo ricevo, che vogliate degnarvi.
FED.
Serva, madama.
MAR.
Amica.
FED.
Eccomi qui con voi.
MAR.
È un onor che non merito, che venghiate da noi.
GIU.
Son qui, se mi è permesso.
MAR.
Oh madama, che dite?
Son grazie, son finezze; di seder favorite. (tutte siedono)
GIU.
Della mia genitrice vi reco i complimenti. (alzandosi un poco e inchinandosi)
MAR.
Tenuta di madama ai grati sentimenti. (s'alza un poco, inchinandosi)
FED.
Madama, al vostro ciglio la gioia è consueta.
MAR.
In compagnia sì bella non posso ch'esser lieta.
FED.
Troppo onor. (alzandosi e inchinandosi un poco)
MAR.
Parla il core. (come sopra)
ELI.
Madama è ognor garbata.
Vostra bontà , madama. Restate accomodata. (s'alza e s'inchina, facendo lo stesso madama Elisabetta)
FED.
(Da una borsa che tiene al fianco, tira fuori una calzetta di seta, con i suoi ferri, e si pone a lavorare)
GIU.
(Da una borsa che tiene al fianco, tira fuori la seta coll'ordigno per far gruppetti)
ELI.
(Da una borsa che tiene al fianco, tira fuori qualche cosa di bianco da ricamare)
SCENA TERZA
CAROLINA e le suddette
CAR.
(Porta a madama Marianna una picciola rocca per filare bavella, e si ritira in disparte, ponendosi anch'ella a sedere, lavorando intorno a manichetti o cosa simile)
ELI.
Bello quel bavellino! (a madama Marianna)
MAR.
Lo crederete, amica?
Fra me e la cameriera, senza poi gran fatica,
Si è filato in un anno tanto bel bavellino
Per tessere un vestito.
CAR.
Certo riuscì bellino.
ELI.
E che piacer si prova, quando a portar s'arriva
Cosa che da un lavoro fatto da noi deriva.
Tutto quello che occorre per me di ricamato,
Tutto è dalle mie mani trapunto e disegnato.
MAR.
Voi disegnate ancora?
ELI.
Sì, madama, assai male.
MAR.
Oh madama, lo spirito in voi so quanto vale.
So che studiate assai, so che molto leggete.
ELI.
Sono un'ignorantella.
MAR.
No, no, si sa chi siete.
Madama Federica, sono calzette o guanti?
FED.
Son calzette, madama, ma si va poco innanti.
E poco anche ci bado; poiché di casa mia
A me sola han voluto lasciar l'economia;
Poco ne son capace, ma quel che posso, io fo.
MAR.
Una giovin di garbo siete, madama, il so.
FED.
Oh no, davver.
MAR.
Sì certo. Madama Giuseppina,
Quei tanti suoi gruppetti a cosa li destina?
GIU.
A un picciol fornime...
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