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CRO.
Brava!
FED.
Il suo marchesato dev'essere in montagna. (parte)
GIU.
Avvezzo a conversare con gente di campagna. (parte)
CRO.
Oh che son spiritose!
MAR.
Non trattasi così. (inchinandosi)
CRO.
Mi lasciate qui solo?
MAR.
La porta eccola lì. (parte, mostrandogli la porta di dove era venuto)
SCENA OTTAVA
Il MARCHESE CROCCANTE, poi PETTIZZ.
CRO.
Non san che i lor mercanti conoscer le Olandesi:
Non san che cosa sia trattar con i marchesi.
Vonno dai loro amanti rispetto e servitù:
Non san che a noi è lecito qualche cosa di più.
PET.
Signor, dice madama...
CRO.
Sentiamo il complimento.
PET.
Che abita il padrone nell'altro appartamento.
CRO.
È venuto?
PET.
Verrà vicino al mezzodì.
CRO.
L'aspetterò.
PET.
Comanda? (gli fa cenno se vuol andare)
CRO.
Voglio aspettarlo qui.
PET.
S'accomodi.
CRO.
Madama di Bainer è nipote?
PET.
Sì signor.
CRO.
Dimmi un poco. Averà della dote.
PET.
Non ha che lei al mondo, ed ha dell'oro assai.
CRO.
Che ne vuol far in casa? Non la marita mai?
PET.
Non so.
CRO.
Quanto per dote sarà il suo assegnamento?
PET.
Ha tanto, che può fare un marito contento.
CRO.
Ci vuol poco. Secondo lo stato di chi prende.
Averà centomila?
PET.
Oh, di più si pretende.
CRO.
Centomila fiorini avrà quest'Olandese?
E anche più si crede? (È un colpo da marchese).
PET.
Signor, con sua licenza (vuol partire)
CRO.
Fermati. Hai tanta fretta?
PET.
Deggio andare in cantina; il cantinier m'aspetta.
CRO.
In cantina? a che fare? (con un poco di movimento)
PET.
Abbiam dei convitati,
E preparar si devono de' vini regalati.
CRO.
Per esempio, che vini? (commovendosi)
PET.
Borgogna, vin del Reno,
Canarie, Fontignac, Cipro, ma di quel pieno.
CRO.
Basta, basta. Oh che sete! sento abbruciarmi il petto.
PET.
Vuole un bicchiero d'acqua?
CRO.
Che tu sia maladetto
PET.
Servitore umilissimo.
CRO.
Eh, dimmi: la cantina
È lontana di qui?
PET.
Non signore, è vicina.
CRO.
La vedrei volentieri. Giacché il ber m'è vietato
Almen che mi consoli coll'occhio e l'odorato.
PET.
Sento il padron, mi pare.
CRO.
Quand'è così, non vado.
Digli che favorisca di venir, se gli è in grado.
PET.
Puol andar nel suo quarto.
CRO.
Cosa mi vai quartando?
Digli che venga qui, che son io che il domando.
È qualche cavaliere, è forse un'eccellenza,
Che abbia d'avere anch'egli le camere d'udienza?
Un uom che ha fatto ricco di sue fatiche il frutto?
Eh, che quarti, che quinti? Riceva da per tutto.
PET.
(Affé, se glielo dico, sarà il signor Marchese
Con tutto il marchesato mandato al suo paese). (da sé)
CRO.
Tieni.
PET.
Che mi comanda?
CRO.
Tieni, buon figliuolino;
Pel tempo che hai perduto, vo' donarti un fiorino.
PET.
Pagar per le parole non si usa in questo loco;
E se ho da vergognarmi, nol fo per così poco. (parte)
SCENA NONA
Il MARCHESE CROCCANTE.
CRO.
Che ti venga la rabbia, ragazzo impertinente!
Gli pare che sia poco un fiorin per niente.
Ma qui d'ungari e doppie si fa gloriosa pesca
A forza di salassi, a forza d'acqua fresca.
Sarà ben fortunato colui che la nipote
Pigliandosi di Bainer, avrà sì ricca dote.
Anch'io m'abbasserei, se la potessi prendere.
Già della nobiltade in casa ne ho da vendere.
Mi mancano i quattrini, e un poco di salute.
Qui c'è tutto: danari, donna, beni e virtute.
Eh! per mettermi in grazia del medico dabbene,
Mostrarmi rassegnato e docile conviene.
Bever acqua tutt'oggi, e anche doman, se vuole.
Centomila fiorini? son altro che parole.
SCENA DECIMA
Monsieur BAINER ed il suddetto.
BAI.
Dunque il signor Marchese mi vuole in questa stanza.
CRO.
Amico, ho da parlarvi di cosa d'importanza.
BAI.
Vi prego di spicciarvi, perché sono aspettato.
CRO.
Sappiate innanzi a tutto, che l'ordine ho osservato:
Che ho bevuto dell'acqua, e che in una parola,
L'acqua mi ha fatto bene. (Né anche una goccia sola). (da sé)
BAI.
Mi rallegro con voi. Seguite il sano avviso,
E svanirà col tempo la maschera dal viso.
CRO.
Coll'assistenza vostra spero di risanarmi.
E poi... non ho ancor moglie, e penso di ammogliarmi.
BAI.
Se seguitate a bere, niuna vi prenderà .
CRO.
Acqua, acqua, signore, acqua in gran quantità .
BAI.
Qual ragione a quest'ora vi sprona a incomodarvi?
CRO.
Questo pensier di nozze... Bainer, ho da parlarvi.
BAI.
E venite a quest'ora?
CRO.
Cosa volete fare?
Mi divertisco un poco. Oggi non vo' pranzare.
Mangiar senza ber vino non può il stomaco mio.
BAI.
Se non pranzate voi, signor, vo' pranzar io.
CRO.
Ma è presto ancor.
BAI.
Da noi si pranza a mezzogiorno.
Di gente, d'ammalati, ho pieno il mio soggiorno.
Molti saran venuti da' luoghi più lontani;
Signore, con licenza, ci vederem domani.
CRO.
Sentite una parola.
BAI.
Vi domando licenza. (in atto di partire)
CRO.
Ma io voglio parlarvi.
BAI.
Ma questa è un'insolenza. (parte)
CRO.
Centomila fiorini sarebbero un colpetto.
Se dirglielo non posso, gli scriverò un viglietto.
Eh, la dote, la dote, mi ha fatto restar muto;
E che ringrazi il cielo, che oggi non ho bevuto. (parte)
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Giardino delizioso
Madama MARIANNA e CAROLINA.
MAR.
Vieni qui, Carolina, so che tu mi vuoi bene;
Vo' svelarti un arcano, ma ciò tacer conviene.
CAR.
Madama, fate torto alla mia fedeltà .
Segreta mi averete per debito e onestà .
MAR.
Quel forestier...
CAR.
V'ho inteso; scusate l'increanza,
Se interrompo il discorso; saper credo abbastanza.
Sono allevata altrove, un po' di mondo ho visto;
Di onestà , di malizia, credo d'avere un misto.
Possiam fra noi fanciulle parlar liberamente;
Conosco che non siete per esso indifferente.
MAR.
E di lui, che ti pare?
CAR.
Se fosse qualche mese,
Che avesse monsieur Guden soggiorno nel paese,
Giudicherei che fosse di voi appassionato.
Certo che, chi l'osserva, dirà ch'è innamorato.
MAR.
Com'io presi passione (per confidarlo a te),
Non avrebbe potuto prenderla anch'ei per me?
CAR.
Certo, voi dite bene: vogliono che si dia
Quest'amore d'incontro, ovver di simpatia.
MAR.
Vedendolo sì afflitto, appresi a compatirlo.
CAR.
E ha del merito in fatti; il ver bisogna dirlo.
MAR.
Ma che pro s'io l'amassi? peggio per me saria.
Guarito, o non guarito, un giorno anderà via;
E se per compassione mi fossi innamorata,
Da chi sperar potrei d'esser compassionata?
CAR.
Io di voi avrò sempre tutta la compassione.
MAR.
Eh, vi vorrebbe altro che tal consolazione!
No, no, meglio è troncare, pria che s'avanzi più:
A tal risoluzione consigliami anche tu.
CAR.
Sì, fate ben, signora; alfine è forestiere.
Lo zio di maritarvi non mostra aver piacere;
Scacciate sulle prime questa passion dal seno.
MAR.
Ah Carolina mia, solo in pensarvi io peno.
CAR.
Fate forza a voi stessa; il mal non è avanzato.
MAR.
Par ch'egli mi ami, e dicami che ho un cuor barbaro, ingrato.
CAR.
Sfuggite di vederlo.
MAR.
Piacemi il di lui ciglio.
CAR.
Dunque perché badate a chiedermi consiglio?
MAR.
Vorrei una ragione, che mi obbligasse a farlo.
CAR.
Sia la ragione il zio; sfuggite d'irritarlo.
MAR.
Non è mio padre alfine.
CAR.
Ma seco lui vivete.
MAR.
Non è ragion che basti.
CAR.
Fate quel che volete.
MAR.
Non t'irritar; ti prego di non abbandonarmi.
CAR.
Vedo, conosco, intendo, ch'è vano il faticarmi.
Vi piace; compatisco l'inclinazion, l'età .
Non so che dire; amatelo. Sarà quel che sarà .
MAR.
Sarà quel che sarà ? Che può accader di male?
Povera me! l'onore ad ogni amor prevale;
Se l'amar è delitto ancor con innocenza,
Giuro mai più vederlo. Non s'ha d'amar? pazienza.
CAR.
Cara la mia padrona, con tali sentimenti
Non dubitate mai, che il ciel non vi contenti.
Se il cielo per isposo a voi l'ha destinato,
L'avrete in qualche modo da noi non figurato.
MAR.
Cara, tu mi consoli.
CAR.
Dal fondo del giardino
Han preso a questa volta le giovani il cammino.
MAR.
Zitto, per carità .
CAR.
Signora mia, non parlo.
MAR.
Questo pensier malnato non dovea coltivarlo.
SCENA SECONDA
Madama ELISABETTA, madama FEDERICA, madama GIUSEPPINA dal fondo della scena, e le suddette.
ELI.
Avete un bel giardino. (a madama Marianna)
MAR.
Sempre ai vostri comandi.
FED.
Bisogna che una grazia, madama, io vi domandi.
Veduto ho degli anemoli, che credo americani;
Ne gradirei la pianta.
MAR.
Sì l'avrete domani.
GIU.
Madama, che erba è quella, che se toccar si arriva,
Sembra che si ritiri?
MAR.
È l'erba sensitiva.
Al tatto delle mani resiste per natura.
GIU.
Voglio toccarla, e fugge. Davvero ebbi paura.
ELI.
Certo, l'agricoltura è uno studio bellissimo.
In casa mia, il sapete, ho un giardin picciolissimo;
Pur vi è un poco di tutto: lasciato il mio lavoro,
Prendo nell'ore fresche dolcissimo ristoro.
CAR.
Ed al paese mio... No, non vo' dir niente...
Vanno sulla finestra a saettar la gente.
Dir mal della sua patria non istà ben, l'accordo;
Ma spiaccionmi quegli usi, quando me li ricordo.
GIU.
Madama, in quel recinto chiuso da' ferri intorno,
Di piante sconosciute e di alberetti adorno,
Scusatemi di grazia, che c'è? (a madama Marianna)
MAR.
Vel dirò io:
Quello è il giardin dei semplici, lo studio di mio zio.
Dentro vi son dell'erbe, che hanno di gran virtù;
Ma ancor di velenose.
GIU.
Oh, non ci guardo più.
MAR.
(L'amico ove sarà ?) (piano a Carolina)
CAR.
(Chi lo sa, poverino!)
MAR.
(Digli che si diverta, che venga nel giardino).
CAR.
(Glielo dirò, signora; ma poi cosa sarà ?)
MAR.
(Ma via, non tormentarmi).
CAR.
(Zitto, zitto, verrà ). (parte)
ELI.
Madama, che si fa? Oggi non si lavora? (a madama Marianna)
MAR.
Possiamo divertirci.
ELI.
È troppo presto ancora.
Star tutto il giorno in ozio sapete ch'io non amo.
Darò, se il permettete, due punti al mio ricamo.
Andiam, che il lavorare mi riuscirà più grato:
Andiam tutte a sedere d'intorno al pergolato.
FED.
Anch'io un paio di giri farò ne miei calzetti.
GIU.
Vi terrò compagnia; farò quattro gruppetti.
MAR.
Servitevi, madame: casa mia è casa vostra;
Questa è la prima legge dell'amicizia nostra.
ELI.
Mi ricorderò sempre quel detto di mia madre:
Figliuole lavorate che le ore sono ladre.
Rubano il tempo a noi per darlo a chi succede;
E il tempo che han rubato, mai più non si rivede.
Volete risarcirvi del furto che vi fanno?
Servitevi di loro, e lor vi pagheranno. (parte)
FED.
A proposito, anch'io vo' raccontar la mia;
Come la so, la dico, bella o brutta che sia.
Un uomo grossolano, di quei del mondo antico,
Ch'era per sua natura del lavorar nemico,
Diceva da se stesso: i tempi sono tre;
Uno di questi tempi ha da bastar per me.
Il passato nol trovo, il presente nol curo,
A lavorar vi è tempo aspetterò il futuro.
E tanto lo ha aspettato, che alfin per benemerito
Morì senza il futuro, e gli restò il preterito (parte)
MAR.
Spiritosa davvero. E voi non dite nulla?
GIU.
La balia mi diceva, quand'era più fanciulla:
Han quelle che lavorano una camiscia sola;
Quelle che non lavorano, ne han due, la mia figliuola.
Parea che mi dicesse: dunque non lavorate;
Ma poi come il proverbio spiegavami, ascoltate.
Vi eran, dicea, due donne: una continuamente
A lavorar vedevasi, l'altra quasi niente.
Quella che due ne aveva, diceva: ho da mutarmi;
Non voglio lavorare, non voglio affaticarmi.
L'altra non avea tempo di farsene di più,
Lavorando per altri. E all'ultimo, che fu?
Quella che ha lavorato, provvista si ravvisa,
E l'altra, poverina, restò come Marfisa. (parte)
SCENA TERZA
Madama MARIANNA sola.
MAR.
Novellette graziose, da rallegrare in vero
Chi altro non avesse per ora nel pensiero.
Oh che novella vaga potrei narrare anch'io,
Se lecito mi fosse parlar del caso mio!
Arriva un forastiere, racconta i mali sui,
Ed io per compassione vo a star peggio di lui.
Parmi ancora impossibile e pur ella è così.
Mio zio? non è mai solito in quest'ora esser qui. (osservando alla scena)
SCENA QUARTA
Monsieur Bainer e detta.
BAI.
Nipote, ho ben piacere di ritrovarvi sola.
MAR.
Avete a comandarmi?
BAI.
Vo' dirvi una parola.
MAR.
Eccomi ad ascoltarvi.
BAI.
Udito esser non voglio. (osserva d'intorno)
Prima che altro vi dica, leggete questo foglio.
MAR.
Donde viene, signore?
BAI.
Non lo so ben; mel diede
Un forestier poc'anzi. Nome in lui non si vede.
Monsieur Guden sospetto autor di queste note;
il ver dal vostro labbro voglio saper, nipote;
Ché non sarebbe un uomo sì sciocco e sì balordo,
Di scrivere in t...
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