TUTTI I SONETTI ROMANESCHI 1, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 85
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(7) Forse.
(8) Frequenti sono gli esempi di simili nomine di nipoti di Papi.
Lultimo si ebbe nel Rezzonico.
(9) Questa dicesi essere la professione della famiglia di Gregorio XVI in Belluno.
(10) Se.
(11) Il suo dovere.
(12) Unga le ruote: piaggi e regali.
(13) Gaetano Montani, già barbiere del padre Mauro Cappellari, oggi Papa.
1046.
Er Zenatore novo
3°
Ôh, vvojjo dàvve (1) una gran nova, vojjo:
che ffinarmente er Papa stammatina
ha ffatto senatore Garavina, (2)
e ttra ggiorni lo stalla (3) in Campidojjo.
E ggià in Cancellaria se stenne (4) er fojjo
de privileggi in carta bbergamina, (5)
ciovè cche aspetta (6) a llui la cunculina (7)
quanno fa ar Papa da assistentar zojjo.
In quanto poi si (8) ppijjerà ppossesso,
questo dipennerà dda la saccoccia: (9)
ché ggià, lo pijji o nnò, ttantè llistesso.
Li riquisiti per entrà in funzione
sò (10) una bbrava perucca (11) in zu la coccia,
un par de guanti bbianchi, e un ber rubbone.
(12)
16 gennaio 1834
(1) Voglio darvi.
(2) Vedi la nota 2 del sonetto precedente.
(3) Lo installa.
(4) Si stende.
(5) In carta pergamena.
(6) Spetta.
(7) Vedi il Son....
(8) Se.
(9) Gravissime spese deve sostenere il Senatore novello, se vuol fare la solenne cavalcata e le altre cerimonie del possesso pubblico: le più cospicue tra le quali spese consistono nelle regalie ed altre mance duso.
LAltieri, e il più antico Patrizi ne restarono spaventati, e presero il possesso privato.
Vedi la nota 5 del sonetto precedente.
(10) Sono.
(11) La parrucca senatoria incipriata, e con boccoli pendenti sulla schiena del gran magistrato.
(12) Rubone, nome della veste senatoria, tessuta in seta ed oro.
1047.
Li du senatori
4°
Cè unantra nova.
Doppo la quarella (1)
der bastardo de casa Scesarini, (2)
che sse vò ffà (3) ppe fforza una sorella
pe llevajje er casato (4) e li quadrini,
mó a limproviso scappa fora quella
piú strepitosa tra Ccorzini (5) e Orzini, (6)
pe vvede (7) a cchi ha dannà (8) la tabbanella (9)
de ganzo e r peruccone (10) a ppennolini.
Pe mmé nnun ce farebbe (11) indifferenza (12)
tra stOrzini e Ccorzini.
In concrusione
uno tiè un C de ppiú, llantro (13) nè ssenza.
Defatti er liticasse (14) un peruccone,
che nnun ha ppiú ggnisuna incompitenza, (15)
propio è una lite da C, o, co, ccojjone.
18 gennaio 1834
(1) Dopo la querela.
(2) Lorenzo Cesarini, che disputa ad Anna Cesarini, e al figlio di lei Torlonia, il patrimonio de Duchi Sforza Cesarini.
Attualmente si agita la causa avanti il Tribunale della Rota Romana, che favorisce il pretendente.
(3) Si vuol fare.
(4) Per levarle il cognome.
(5) Vedi la nota 5 del Son
(6) Vedi la nota 2 del Son
e il sonetto precedente a questo.
(7) Per vedere.
(8) Andare.
(9) Vedi la nota 12 del sonetto precedente.
(10) Vedi la nota 11 del sonetto medesimo.
(11) Per me non ci farei.
(12) Differenza.
(13) Laltro.
(14) Il litigarsi.
(15) Nessuna competenza.
1048.
Er Monziggnorino de garbo (1)
Quanno nun zabbi (2) da poté ffidasse (3)
manco (4) ppiú de siggnori e dde prelati,
nun cè dda fà ggnentantro (5) che bbuttasse (6)
pe tterra, cristo mio, pe ddisperati.
Bbravo! perché le stime ereno bbasse,
e vvedevo li tomi arilegati,
io mó avevo da crede (7) che ste casse
de libbri vecchi fussino arrubbati.
Cresi (8) che, mmorto er padre, er prelatino
volessi (9) bbastonà (10) la libbraria
pe ccrompaccese (11) un schioppo e un carrettino.
(12)
Che ssò (13) io? er profeta de lurione (14)
pe ssapé (15) che li libbri che ddà vvia (16)
monziggnore li scrocca a la lauzzione? (17)
10 gennaio 1834
(1) Avvertiamo che linterlocutore qui appresso introdotto, è un certo tale, conosciuto in Roma sotto il nome del Rosso, il quale di servitore che era messosi a fare il libraio, compera a peso o a proporzione del formato i libri de librai falliti, o di chiunque altro abbia desiderio o bisogno di disfarsene.
Tra questi un prelatino, figlio di principe romano, acquistò a credito a un pubblico incanto (o, come dicesi, auzione) per cento scudi circa di libri, che subito rivendé a contanti al Rosso per circa scudi venti, senza mai più pagare il creditor principale.
Questa è la base del seguente sonetto, nel quale il Rosso si discolpa di una specie di complicità attribuitagli in un furto, del quale non si fece altronde alcuna colpa al prelatino figlio di principe.
(2) Non si abbia.
(3) Poter fidarsi.
(4) Nemmeno.
(5) Nientaltro.
(6) Buttarsi.
(7) Da credere.
(8) Credetti.
(9) Volesse.
(10) Sacrificare, vendere con perdita.
(11) Comperarcisi.
(12) Vettura da caccia.
(13) Sono.
(14) Del rione.
(15) Per sapere.
(16) Vende.
(17) Allauzione.
1049.
Lanima bbona
Quello?! Ma ppropio lui?! Jeso, (1) che ssento!
Io casco dalle nuvole, Terresa.
Quer vecchietto che stava sempre in chiesa
inginocchione avanti ar Zagramento?!
Un quartino, (2) a una scatola che ppesa
quattronce mmezze ppiú dde sol argento!
Ggnente de meno cher mille pe ccento!
Oh questa mó è la prima che ssè intesa.
Fregheli, che assassini che sse danno!
Fà ste lusúre, (3) e ppoi maggnasse (4) er peggno
listesso ggiorno che ffinissce lanno!
Uh ffussio (5) Papa! a stanimacce porche
je vorebbe imparà ssi dde (6) che lleggno
se frabbica (7) la scala de le forche.
10 gennaio 1834
(1) Gesù.
(2) Il quartino era moneta doro del valore di cinque paoli, e si chiamava così pel suo rappresentare la quarta parte di uno zecchino romano.
In oggi non nè restato che il nome nel volgo, il quale ignorandone pure lantica reale esistenza, intende di esprimere con esso puramente un valor convenzionale di baj.
50.
(3) Fare queste usure.
(4) Mangiarsi.
(5) Fossi io.
(6) Gli vorrei insegnare se di che, ecc.
(7) Si fabbrica.
1050.
La Cassa der lotto
Sotto dellantri (1) Papi, er rimanente
cavanzava a sta lupa de lImpresa, (2)
lo fasceva serví la Santa Cchiesa
pe llemosine a nnoi povera ggente.
Ma, a ggiorni nostri, un Papa ppiú ccremente, (3)
discenno (4) ca la Cammera je pesa
davé da seguità ttutta sta spesa,
serra le porte e nnun vò ddà ppiú ggnente.
Ecco la carità de sto Governo.
Eccola la ggiustizia che ssinzeggna
da sti diavoli esscíti da linferno.
Tutto se scola (5) sta fajola (6) indeggna.
Tutto cqua sse (7) priscípita in eterno
ner pozzo de la gola e dde la freggna.
10 gennaio 1834
(1) Degli altri.
(2) Per Impresa, assolutamente, sintende sempre la Impresa pontificia de Lotti.
(3) S.
S.
Gregorio XVI.
(4) Dicendo.
(5) Si scola: si sorbisce.
(6) La Fajola è una gran foresta del nostro Stato, la quale per essere stata altre volte nido famoso di ladri, ha dato il nome ad ogni ceto di amici della roba altrui.
(7) Si.
1051.
Quattro tribbunali in dua
Bartolomeo, tu pparli a la carlona.
De sti ggiri che cqui (1) ssei poco pratico.
Pari vienuto cor grobbo-arrostatico (2)
dar paese dellícchese in perzona.
(3)
Cosa sce trovi darimane statico (4)
shanno unita la Grasscia co lAnnona?
È sseggno che sta ggente bbuggiarona
vò mmaggnattese (5) er pane e r companatico.
Listessa cosa incircuncirco accade
de le Strade e dellAcque.
Abbi ggiudizzio
darifrette, (6) e tte (7) vojjo perzuade.
(8)
Sè mmessinzieme lun e llantro uffizzio,
perché er Guverno pe scopà le strade
ha ppijjato er diluvio ar zu servizzio.
11 gennaio 1834
(1) Di questi maneggi qui.
(2) Sembri venuto col globo-aerostatico.
(3) Dal paese stesso dellX.
Dallaltro mondo.
(4) Cosa ci trovi da rimanere estatico.
(5) Vuol mangiartisi.
(6) Di riflettere.
(7) Ti.
(8) Persuadere.
1052.
LOttobbre der 31
Come! e in un tempo de tanto fraggello,
che, ssi rridemo noi, (1) puro (2) è ddilitto,
er Papa che sse stampa (3) accusí affritto
se ne va intanto a vvilleggià a Ccastello! (4)
Mentrer tesorierato è ttanto guitto
che nnun cè in cassa manco un quadrinello, (5)
là sse spenne mijjara (6) a rrifà bbello
tutto er palazzo, (7) e r Monno ha da stà zzitto!
Dove scime de Papi (8) hanno passate
tante staggione cor mobbijjo vecchio,
nun pò sta cchi pper dio jjeri era frate! (9)
Romani mii, (10) specchiateve in sto specchio
e ccapite che ttutte le sscimmiate (11)
che ffa llui, sò bbuscíe (12) da mozzorecchio.
(13)
12 gennaio 1834
(1) Se ridiamo noi.
(2) Pure.
(3) Si stampa.
Ne molti editti che si stamparono durante le vicende politiche del 1831, non si leggevano che espressioni di cordoglio e di pianto delle paterne viscere di Sua Beatitudine.
(4) Castel-Gandolfo, luogo di villeggiatura ordinaria de Papi sul Lago Albano.
(5) Nemmeno un quattrinello: centesimo romano.
(6) Si spende migliaia.
(7) A rifar bello tutto il palazzo.
Malgrado la trista condizione dellerario in quel tempo, si spesero vistose somme per rimodernare il palazzo, cosí che meglio che ad un Papa potesse dar ricetto ad una sposa regina.
(8) Cime di Papi.
(9) Gregorio XVI in brevi istanti passato dal chiostro al trono.
(10) Miei.
(11) Scimmiate: leziosità sceniche.
(12) Bugie.
(13) Mozzorecchi sono detti i cavillosi e bugiardi legulèi del romano foro.
1053.
La promozzione nova
Che mmutino oggni mese un Tesoriere,
questa, pse, (1) ttante ttanto je se passa, (2)
perché er zegreto de spojjà la cassa
lo sanno tutti e in tutte le maggnere.
(3)
Per un modo de dí, cquello è un mestiere
fratèr-carnale (4) de la nebbia bbassa,
ché, cquanno arriva, come trova lassa, (5)
e lo pò ffa cqualunque cammeriere.
Quer che dde tante teste entra in ggnisuna (6)
è ccher Governatòre (7) a sto paese
sabbi (8) darinnovà ccome la luna.
Nun lo vedete chiaro, ggente mie,
che nun je pò rriusscí (9) ddrentin un mese
nemmanco de contà ttutte le spie?
12 gennaio 1834
(1) Voce, insignificante per se stessa, che si adopera nel colloquio famigliare per indicare lanimo propenso alle concessioni.
(2) Gli si passa, gli si ammette.
(3) Maniere.
(4) Fratel-carnale: identico.
(5) Come trova, lascia.
La intiera frase è un proverbio.
(6) Quel che fra tanti niuno sa intendere.
(7) È che il Governatore, ecc.
Profferendo queste parole, si deve battere e inalzare il tuono della voce sulla o, per esprimere che su quella carica e non sulle altre cade la difficoltà.
(8) Si abbia.
(9) Non gli può riuscire.
1054.
Lammalato a la cassetta (1)
Oh gguarda mó cche ttirannia tiranna
de nun portamme (2) er brodo a mmodo mio!
Io vojjo er brodo comIddio commanna, (3)
ché dder mi corpo sò (4) er padrone io.
Doppo tutto sto po dde bbuggerío (5)
de sta diarella (6) de sscialappe mmanna,
vonno ruzzacce, (7) corpo dun giudio!,
cor (8) un brodo chè llongo mezza canna.
Bbe? mme la vôti, o nnò, la sputarola?...
Eh ttira un po ppiú in zú cquer capezzale...
Cazzo! tho ddetto una cuperta (9) sola.
E mmó indove me ficchi lurinale?
Ah! unantra vorta chIddio me conzola, (10)
bbuggiarà cchi nun more a lo spedale.
12 gennaio 1834
(1) Al cesso.
(2) Di non portarmi.
(3) Come Iddio comanda: come devessere al suo punto, ecc.
(4) Del mio corpo sono.
(5) Di rovina.
(6) Diarrea.
(7) Vogliono ruzzarci, scherzarci.
(8) Con.
(9) Coperta, coltre.
(10) Mi consola, ironia di affligge.
1055.
Er governo der temporale (1)
Ôh, (2) ppenzateve (3) un po ccome volete
cher reggno ar Papa je lha ddato Iddio,
io sto cco le parole de don Pio:
«Sete cojjoni assai si cce (4) credete».
E Ggesucristo ar popolo ggiudio
sapete che jje disse? eh? lo sapete?
«Io sò vvienuto in terra a ffà da prete,
e nnun è dde sto Monno er reggno mio».
Che bbella cosa saría (5) stata ar Monno
de vede (6) er Nazzareno a ffà la guerra
e a scrive (7) editti fra vviggijja e ssonno!
E, dde ppiú, mmannà llommini in galerra,
e mmette (8) er dazzio a le sarache e ar tonno
a Rripa-granne (9) e a la Dogàn-de-terra.
(10)
13 gennaio 1834
(1) Il governo temporale.
(2) Ôh, interiezione dimpazienza, o conclusione di discorso.
(3) Pensatevi.
(4) Se ci.
(5) Sarebbe.
(6) Di vedere.
(7) Scrivere.
(8) Mettere.
(9) Ripa-grande, porto e dogana sul Tevere, per le merci provenienti dalla via di mare.
(10) Dogana di terra.
Lapocope della parola Dogana non si attribuisca a licenza poetica.
Così il popolo dice come noi abbiamo scritto.
1056.
La regazza cor muso (1)
Sora sposa, (2) che! avete er pidiscello, (3)
che mme (4) state color de terroriana? (5)
Ve sè ssciorto er bellicolo (6) in funtana? (7)
Dite eh? vve sarivòrtica er budello? (8)
La volete sapé, ccore mio bbello?
A vvoi vamanca quarche ssittimana.
(9)
Lo sapete chedè? Voi, sora Sciana, (10)
sete matta in ner mezzo de ciarvello.
Come sarebba ddí? ccosa ve dôle? (11)
Animo, fora, fàteve usscí er fiato.
(12)
Forte: nun masticamo le parole.
Lavete detto a mmé cche ssi impiccato?
E io ve dico ste du cose sole:
fate per voi, perchio, fijja, ho spallato.
(13)
14 gennaio 1834
(1) La amante in collera.
(2) Sposa si dice per titolo di cortesia a tutte le donne, delle quali non si sappia il nome.
Talora è anche una ironia usata con quelle che si conoscono.
(3) Siete trista? come i polli quando diconsi avere il male del pedicello.
(4) Mi.
(5) Del colore di terroriana: del color terreo che dà lira.
(6) Vi si è disciolto lumbillico? Vale: «siete stranita?».
(7) Cioè: «stando in fontana».
(8) Rivoltarsi il budello, equivale al senso espresso nella nota 6.
(9) Mancare altrui qualche giorno, qualche settimana dellanno, vuol dire: «esser pazzo».
(10) Ciana, donna dedita alladornarsi con caricatura.
(11) Cosa avete? (12) Parlate.
(13) Espressione tolta dal giuoco di carte chiamato la bazzica, e significa: «Prendete per voi le vostre parole, poiché io son fuori di questo giuoco a cui mi chiamate».
1057.
Er madrimonio sicuro
Tu nun capisco indovabbi la testa.
Hai tanta fernesia (1) de fatte (2) sposa,
e nun zai che cqui a Rroma nun cè ccosa
che ssii cosa piú ffascile de questa.
Vòi marito? E tu àrzete (3) la vesta,
pijjete in corpo una zeppa-bbrodosa, (4)
eppoi va ddar Curato, e ddijje, (5) Rosa:
«Padre, ajjutate una zitella onesta».
Er prete te dirà: «Cche ccosè stato?».
Tu allora piaggne, (6) e ddijje: «Un traditore
de linnoscenza mia mha ingravidato».
E cqui accusa qualunque che tte cricca; (7)
ma abbada, (8) pe rriusscínne (9) con onore,
daccusà ssempre una perzona ricca.
14 gennaio 1834
(1) Frenesia.
(2) Di farti.
(3) Alzati.
(4) Vedine il significato nel Son
(5) Digli.
(6) Piagni.
(7) Qualunque ti cricca: qualunque tu voglia.
(8) Bada.
(9) Riescirne.
1058.
Le faccenne (1) der Papa
Fra ttanti sturbi, er Papa sè anniscosto
ner Palazzo-der-Papa, e llà in giardino
spasseggia, fischia, e ppoi ruzza (2) un tantino
cor un prelato suo garbàte ttosto.
(3)
Lo porta a un gioco-dacqua accostaccosto
e tte lo fà abbaggnà ccome un purcino;
e arriva ar punto de mettéjje (4) infino
drentin zaccoccia li pollastri arrosto.
De le vorte (4a) lo pijja sottar braccio,
poi je fa la scianchetta, (5) e, ppoverello,
je leva er piommo (6) e jje fa ddà un bottaccio.
(7)
Accusí er Papa se (8) diverte; e cquello
sammaschera da tonto (9) e ffa er pajjaccio
pe mmerità lonore der cappello.
15 gennaio 1834
(1) Faccende.
(2) Scherza.
(3) Garbato e tosto: modo schernitivo o di celia.
Questo prelato garbato e tosto è monsignor Soglia, Elemosiniere SS.mo.
(4) Di mettergli.
(4a) Alle volte: talvolta.
(5) Gli fa la cianchetta: la gambetta.
Far la gambetta è «interporre una propria gamba fra le altrui nel momento del moto, onde farlo inciampare».
(6) Gli leva lappiombo.
(7) Gli fa dare (fare) una caduta.
(8) Si.
(9) Affetta il semplice.
1059.
Li pericoli der Papato
Jeri Su Santità ccor zu bbuffone (1)
ggiucanno (2) in ner giardino (3) a la pilaccia (4)
(vedi er diavolo mó ddove se caccia!),
je successe sto caso bbuggiarone.
In ner mentre ggià aveva arte (5) le bbraccia
la gattasceca (6) pe ccalà er bastone,
er Papa sinchinò ggiú a ppecorone (7)
pe llevajje (8) la pila de llí in faccia.
Ghitanino (9) che vvedde (10) er zor don Màvero (11)
in quellatto, ffu llesto a strillà: «Ffoco», (12)
ma er tortóre (13) era ggià ssoprar camàvero.
(14)
Ecco come finischeno ste ruzze: (15)
che la ggente in nellímpito (16) der gioco,
tira a le pile e ccojje a le cucuzze.
15 gennaio 1834
(1) Monsignor Soglia, grandElemosiniere di Corte.
(2) Giuocando.
(3) Nel giardino domestico del Vaticano.
(4) Il giuoco della gattacieca alla pilaccia si fa bendando una persona, la quale deve in quello stato avanzarsi verso il posto dove prima le si era mostrata in terra una pignatta, e, giunta ove la pignatta si trova, percuoter questa con un bastone.
(5) Alte.
(6) La gatta cieca: la persona bendata.
(7) Colle ginocchia e le mani in terra.
(8) Per levargli.
(9) Gaetanino Montani, primo cameriere e confidente di S.
S.
Gregorio XVI.
(10) Vide.
(11) Il signor don Mauro: nome del Papa, prima della sua esaltazione.
(12) Foco: cosí gridasi alla gatta-cieca, quando, smarrita la traccia, va a percuotere in falso od in luogo pericoloso.
(13) Tortore, con entrambe le o chiuse: rozzo bastone e pesante.
(14) Al camauro.
(15) Questi scherzi.
(16) Nellimpeto.
1060.
Larberone (1)
Immezzo allorto mio scè un arberone,
solo ar Monno, (2) e oramai tutto tarlato:
eppuro (3) fa er zu (4) frutto oggni staggione
bbello a vvede, (5) ma ascerbo e avvelenato.
Ricconta un libbro che dda quanno è nnato
è vvienuta a ppotallo (6) oggni nazzione;
ma er frutto carifà (7) ddoppo potato
pizzica che nemmanco un peperone.
Quarchiduno (8) me disce dinzitallo, (9)
perché accusì er zu frutto a ppoca ppoco
diventerebbe bbono da maggnallo.
Ma un Carbonaro amico mio me disce (10)
che nnun cè antro (11) che llaccetta (12) e r foco,
perché er canchero sta in ne la radisce.
15 gennaio 1834
(1) Lalberone.
Questa è unallegoria da cercarne il senso nella Vigna del Signore.
(2) Unico al Mondo.
(3) Eppure.
(4) Il suo.
(5) A vedere.
(6) È venuta a potarlo.
(7) Che rifà.
(8) Qualcuno.
(9) Mi dice dinsitarlo, innestarlo.
(10) Mi dice.
(11) Altro.
(12) La scure.
1061.
Er proscessato
Sor avocato mio, er punto forte
cariccomanno (1) a vvoi quanto so e pposso,
è de spuntà (2) cche nun me vienghi addosso
quella puttana de condanna a mmorte.
Perché, ppotenno (3) avé lla bbella sorte
dannà in galerra e dde sartà cquer fosso, (4)
cè ssempre poi quarche zzucchetto rosso (5)
che in galerra che ssei topri (6) le porte.
E ssi mmai (7) pe ffà spalla (8) a la difesa
bbisognassi (9) er zoccorzo duna vesta,
spennete puro (10) la mi mojje Aggnesa.
Chio sò ssicuro ggià ccher zu (11) demonio
nun je vojji (12) caccià scrupoli in testa
de nun difenne (13) er zanto madrimonio.
16 gennaio 1834
(1) Che raccomando.
(2) Di ottenere con ogni sforzo.
(3) Potendo.
(4) Saltare quel fosso: superare quel pericolo.
(5) Qualche cardinale.
(6) Ti apra.
(7) E se mai.
(8) Per aiutare la, ecc.
(9) Bisognasse.
(10) Spendete pure, impiegate pure.
(11) Che il suo.
(12) Non (gli) le voglia.
(13) Di non difendere.
1062.
Er quadraro (1)
Ecco quello chedè: (2) nne li contratti
quarche vvorta io patisco destrazzione; (3)
e llei (4) lo sa cche li scervelli estratti (5)
spesso in ner contrattà vvanno a ttastone.
Ccusí ssuccesse a mmé: nner fà li patti
nun ce messe (6) abbastanza irrifressione; (7)
e nnun stiede (8) a bbadà cche li ritratti
somijjanti hanno un prezzo daffrizzione.
(9)
Vennenno (10) er quadro mio, nun me penzavo (11)
che cquer quadro potessi èsse dutore, (12)
e, cquer chè ppeggio, dun utore bbravo.
Se figuri (13) sio davo per un pavolo
du ritratti dipinti da un pittore,
de San Micchelarcangelo e dder diavolo.
(14)
17 gennaio 1834
(1) Il nostro quadraio è uno di que mercatanti di quadri che trovansi a Roma col loro fondaco sulle pubbliche vie, anche di notte a lume di candele di sevo piantate sulle selci della strada.
Questo lume artificiale serve molto bene a dare ai loro dipinti quella stessa appariscenza ingannevole, che fece nascere il proverbio ammonitivo: Né donna, né tela a lume di candela.
Eglino vendono la loro merce a prezzo fisso, secondo la grandezza dei pezzi: di modo che in distinti cartelli, per quante sono le classi di quelle grandezze, leggesi spesso: a un grosso il pezzo e capate: a un paolo il pezzo e capate (scegliete), ecc.
(2) Che è.
(3) Estrazione, per «astrazione».
(4) Ella.
(5) Astratti.
(6) Non ci misi.
(7) Irriflessione, per «riflessione».
(8) E non stetti.
(9) Afflizione, per « affezione».
(10) Vendendo.
(11) Non pensava.
(12) Potesse essere dautore.
(13) Si figuri.
(14) E certo, due ritratti somiglianti di S.
Michele arcangelo e del diavolo, e piú dipinti da un pittore, non hanno prezzo.
1063.
Li guai de li paesi
Cqua ggni du ggiorni o ttre ppe ssittimana
car padrone jarriva la gazzetta,
nun ze sentantro a ddí (1) cche la Fajetta
scombussola la Francia sana sana.
Pussibbile, (2) per dio, ca sta puttana
nun jabbi da pijjà mmai na saetta!
Nu limpiccheno mai sta mmaledetta,
che vvò atterrà la riliggion cristiana?
Listesso è dde lIngresi co cquer Billo:
ché sto ladro futtuto larrovina
e ancora nun arriveno a ccapillo.
(3)
Bbenedetta la Corte papalina,
che ar meno questo cqui bbisoggna díllo (4)
dà ppane ar boja e sse mantiè rreggina!
17 gennaio 1834
(1) Non si sente altro a dire.
(2) Possibile.
(3) A capirlo.
Se è compatibile un plebeo di aver preso il Generale Lafayette per una donna, che dovrà dirsi dellEminentissimo Capelletti (già Governatore di Roma, vice Camarlingo di Santa Chiesa e Direttore generale di Polizia) il quale si scagliò con veementi parole contro quel rivoluzionario di Monzù Bill dInghilterra, al tempo della riforma parlamentaria? (4) Dirlo.
1064.
Le Moniche
Che mme (1) parlate a mmé dde vocazzione
e dde voti perpètuvi (2) e ssinceri!
Bbisoggnería (3) chIddio fussi un buffone
pe ddisdí (4) oggi quer che ddisse jjeri.
Quanner Papa ariuprí li Monisteri
che laveva serrati Napujjone, (5)
quante Moniche annorno (6) volentieri
a ffasse riammurà? (7) Cquattro bbabbione.
(8)
Tutte lantre (9) che ppréseno la scorza (10)
pocanni prima, er Papa in ner Convento
ce le dovette aricaccià ppe fforza.
Tutto questo perché? Pperchè un strapazzo
de volé ddà (11) a la donna er giuramento
in queletà cche nnun capissce un cazzo.
18 gennaio 1834
(1) Mi.
(2) Perpetui.
(3) Bisognerebbe.
(4) Per disdire.
(5) Napoleone.
(6) Andarono.
(7) A farsi rimurare.
(8) Vecchione.
(9) Le altre.
(10) Presero labito.
(11) Di voler dare.
1065.
La Ronza (1)
Ohé! Mmaria! dichi (2) davero o bburli?!
bbirba cojjona, pe nnun ditte (3) ssciocca.
Nun piascé (4) la Foresta de Minzurli, (5)
quanno la fa (6) cquer pezzo de pasciocca! (7)
Te dico che cquellargheno (8) de bbocca
sce (9) tirava su er core co li curli: (10)
e hai mai visto la neve quanno fiocca?
Fioccaveno accusí llapprausi e llurli.
La gran furia-de-popolo era tanta
che ppropio la pratea de Tordinona (11)
se moveva e ttremava tutta-quanta.
Bbenedetta, per dio, stAngiolonona! (12)
bbenedetta sta strega che ccincanta!
bbenedetto quer fischio (13) che la sona! (14)
19 gennaio 1834
(1) Giuseppina Ronzi, una di quelle odierne virtuose di musica che locano la loro opera a serate, contentandosi di ricevere una serale mercede sufficiente al sostentamento annuale di una famiglia.
La signora Ronzi fu discreta: non volle che 24 mila franchi per 24 recite.
Giova pertanto meglio il rivolgersi allaltra virtuosa signora...
Malibran, onde conoscere quale trascendental merito le abbia già assicurati sul Sancarlo di Napoli pel venturo carnovale 80 mila franchi e due nette serate di beneficio.
Fra tutti glimpieghi possibili dellumano talento, oltre quello di questo canto miracoloso, altro non nè capace di retribuir tanto premio ad ogni ripetizione di azione momentanea, fuor che quello del ladro.
(2) Dici.
(3) Dirti.
(4) Piacere (verbo).
(5) La Foresta dIrminzul (titolo sostituito dalla Censura politica al dramma di Romani La Norma con musica del Bellini) andò in iscena a Roma nei teatro Torre-di-Nona la sera del 18 gennaio 1834.
(6) Il verbo fare, come i nomi coso e cosa, ha nel discorso volgare un impiego estesissimo.
Qui sta per «eseguire, cantare».
(7) Paciocca: donna giovane, bella e grassetta.
Una donna pacifica è una pacioccona.
(8) Argano.
(9) Ci.
(10) Curri (cilindri).
(11) Vedi la nota 5.
(12) Doppio accrescitivo di Angiola.
Il popolo di Roma, di mente fervida e portato naturalmente alla meraviglia e allentusiasmo, si vale sovente di simili espressioni a significare il grado delle sensazioni dalle quali sono colpiti.
Angiolona era poi ben da dirsi la Ronzi, per larte sua angelica e pel bello e maestoso suo aspetto.
(13) Il significato di questo fischio si cerchi nel Son...
(14) Vedi il Sonetto intitolato Le Cantarine.
1066.
Li quadrini pubbrichi (1)
Ggià sse (2) sa, ppe nnoi poveri affamati
a sta macchia che cqua (3) nnun ce se (4) penza:
e cchi aricurre (5) a la Bbonifiscenza (6)
sempre se sente a ddí: (7) «Ssò (8) tterminati».
Vedo intanto però ttutti li frati,
cortre (9) la loro bbrava possidenza,
pe inzeppà (10) la cantina e la dispenza
hanno sempre bbonordini pagati.
(11)
Disce: «Questè un compenzo de quer tanto
che cquanno se levorno (12) li conventi
monzú Jannette (13) je venné (14) a lincanto».
E accusí, mmentre er zecolaro (15) abbozza, (16)
er fratiscello, co li su (17) fetenti
voti de povertà, mmarcia in carrozza.
20 gennaio 1834
(1) Pubblici.
(2) Si.
(3) A questa macchia qua (intendi: macchia, foresta di ladri).
(4) Non ci si.
(5) Ricorre.
(6) Commissione di beneficenza.
(7) Dire.
(8) Sono.
(9) Che oltre.
(10) Per ricolmare.
(11) Ordini sul pubblico erario.
(12) Si levarono, abolirono.
(13) Monsieur Janet, già Intendente del tesoro imperiale, sotto il dominio di Napoleone.
(14) Gli vendette.
Gli per «loro».
(15) Il secolare.
(16) Abbozzare: soffrir tacendo.
(17) Co suoi.
1067.
La scuffiara francesa
No, a mmé cquer che mme tufa, (1) sor Luviggi,
è de sentí una scorfena bbacocca (2)
de scuffiaretta, che nun za uprí bbocca
senza métteve (3) in culo er zu Pariggi.
Che ssarà sto paese de prodiggi
ca le scuffiare guai chi jje lo tocca?
Io sce scommetteria (4) chè una bbicocca, (5)
da entrà in cortile der Palazzo Ghiggi.
(6)
Ma ccazzo! a Ffrancia indove scè una Ronzi (7)
coma Rroma? E ppe ccristo, a li romani
tutto je se pò ddí, ffora che ggonzi.
(8)
Eppuro, (9) oh bbona! stanima sconfusa (10)
nun va ddiscenno (11) co li su ruffiani
che a vvedella cantà llei sce sammusa?! (12)
23 gennaio 1834
(1) Tufare, per «noiare, dar disgusto».
(2) Questi due vocaboli indicano entrambi una donnetta piccola e difettosa.
(3) Mettervi.
(4) Ci scommetterei.
(5) Il senso di questo vocabolo si discosta alquanto da ciò che suona nel dire illustre, nel quale significa «castelluzzo» o simile.
Nellaccezione romana, vale piuttosto «casupola».
(6) Chigi, casa principesca di Roma, nel cui palazzo vedesi un bel cortile.
(7) Celebre cantante che nel carnovale 1833-34 faceva la delizia dei Romani.
Vedine il Son
(8) Zimbelli.
(9) Eppure, or bene.
(10) Anima stravagante.
(11) Dicendo.
(12) Oh io mi ci amuso (je my amuse), disse in quella circostanza una signora tornata di Francia.
Avvertasi qui che ammusarsi, nei linguaggio del popolo, vale fare il muso, comporre il volto a noia e mal umore.
1068.
Er 28 Settembre (1)
Bbe, mmettémo (2) che ssia; dimo, (3) Vincenza,
che li Francesi avessino (4) raggione.
Fàmo caso, (5) si vvòi, che Nnapujjone
cqua cce potessi addomminà (6) in cusscenza.
Che ccosa ne viería (7) pe cconzeguenza?
Coggi nun ze faría (8) Papa Leone,
e a li sordati pe sparà er cannone,
nun je daría (9) ggnisuno lindurgenza.
Poi, che disse a lapostolo er Messia?
«Voi sete Pietro, e ssu sta pietra sola
ce vojjo dificà (10) la Cchiesa mia».
(11)
E nnun ce vò che na testa de leggno
pe nnun capí cche ssotto la parola
de quella Cchiesa sha da intenne (12) er Reggno.
26 gennaio 1834
(1) 1823.
(2) Mettiamo.
(3) Diciamo.
(4) Avessero.
(5) Facciamo caso: supponiamo.
(6) Dominare.
(7) Verrebbe.
(8) Farebbe.
(9) Darebbe.
(10) Edificare.
(11) Queste memorabili parole, scritte nellinterno della cupola di S.
Pietro sono rivocate in dubbio da qualche incredulo, sul nudo e solo motivo che nella lingua ebraica, o altra (fuori della latina o italiana) che avesse parlato Gesù Cristo, manca il fondamento anfibologico della omofonia tra Petrus e petra.
Ma forse Gesù Cristo parlò a San Pietro in latino, poiché intendeva fondare una Chiesa latina.
In questo caso però la Chiesa greca non fu fondata da Cristo.
(12) Intendere.
1069.
La partoriente (1)
Sí, ccommare: pe ggrazzia der Ziggnore
e de santAnna mó ttuttè ffinito.
Si ssapessi (2) però cquanto ho ppatito!...
Vergine! e cche ssarà cquanno se more? (3)
E cco ttutto sto tibbi (4) de dolore
cè ttanta rabbia de pijjà mmarito?!
E ammalappena (5) avemo partorito
ce la famo arifà?! (6) Cce vò un gran core.
Ricconta la Mammana, che ccè stata
na Santa, che li Papi la mettérno (7)
drentar Martirologgio pe Bbeata,
che ppe ddà a le su Moniche arto arto (8)
un essempio der cruscio (9) de linferno,
lassomijjava a li dolor der parto.
4 marzo 1834
(1) La puerpera.
Questi versi debbono esser detti con voce languida, affannosa e interrotta.
(2) Se tu sapessi.
(3) Quando si muore.
(4) Tibi: flagello, disgrazia, quantità di male.
Per esempio: Gli è venuto addosso un tibi, che non so come farà.
Come salvarsi con quel tibi dacqua? (5) Appena appena.
(6) Ce la facciamo rifare? Che poi? (7) La misero.
(8) Alto alto: sommariamente.
(9) Crucio, per «cruciato, tormento».
1070.
La funzione der Zabbito-santo
Oh! io dico pe mmé ccher giudïolo
che ssiconno (1) lo stile de lantranni
sabbito battezzorno a Ssan Giuvanni, (2)
nun abbi avuto un battesimo solo.
Saría ggiudizzio de tené un fijjolo
drenta li Cacatummeni (3) a li danni
de tutta la caterba (4) de malanni
che vve lo ponno fà mmorí ebbreolo?
Un accidente (5) solo, Iddio ne guardi,
che ppijjassi (6) a quer povero allevímo, (7)
faría pentí dde bbattezzallo tardi.
Pe cquesto io ve discevo, SorAntonia,
cher battesimo vero è cquello primo,
e in ner Zabbito-santo è ccirimonia.
4 marzo 1834
(1) Secondo.
(2) Il sabato-santo nella Basilica Lateranense si amministrano tutti e sette i sagramenti della Chiesa, si consagrano lacqua e lolio, e si praticano molte e lunghissime altre belle cerimonie.
(3) I Catecumeni: ospizio distruzione de neofiti, in S.
Maria a Monti.
(4) Caterva.
(5) Accidente, nel senso di apoplessia, vocaboletto che occupa la quarta parte del discorso de popolani di Roma.
(6) Pigliasse.
(7) Allevìme, termine buccolico della campagna di Roma: «allievo».
1071.
La casa scummunicata (1)
No, nno, cce nho davanzo de le pene
de sta bbrutta casaccia mmaledetta,
che da sí (2) cche ce sto, ccredeme, (3) Bbetta, (4)
io nun ho avuto ppiú unora de bbene.
Cqua cciò (5) abbortito: cqua cciò perzo (6) Irene:
cqua cciò impeggnato inzino la cassetta: (7)
cqua mmi marito pe un fraudo (8) a Rripetta (9)
me lhanno messo a spasseggià in catene.
Cqua inzomma te so ddí, ccommare mia,
credessi dannà ssotto ar Colonnato
de San Pietro, tantè, vvojjo annà vvia.
(10)
Ché ar meno llà nnun ce sarà un curato,
ca ggni pelo che ffate dalegria
ve viè a mmette (11) in ner culo chè ppeccato.
5 marzo 1834
(1) Disgraziata.
(2) Da quando.
(3) Credimi.
(4) Elisabetta.
(5) Ci ho.
(6) Perduto.
(7) Il cesso, con riverenza parlando.
(8) Frodo.
(9) Porto del Tevere.
(10) Il genio della sintassi di questo terzetto va bene osservato.
(11) Mettere.
1072.
La rosa-doro
La rosa-doro che cqui er Papa oggnanno
bbenedisce in ner giorno de dimani, (1)
lui la manna (2) a li prencipi cristiani,
che ssempre quarche ccosa jaridanno.
(3)
Bben inteso però cche ssi (4) nnun fanno
le cose da cattolichi romani,
la rosa nun je va: ché sti sovrani
nun zhanno mai darigalà, (5) nun zhanno.
Er portà cquella rosa è un grannonore;
e ppe cquesto se sscejje un principino
cha ffinito li studi, o un Monziggnore.
E cce sabbada (6) tanto, che pperzìno (7)
nellanno trentadua Nostro Siggnore
ce mannò er zu bbarbiere Ghitanino.
(8)
8 marzo 1834
(1) La domenica quarta di Quaresima, detta Laetare.
(2) Egli la manda.
(3) Gli rendono.
(4) Se.
(5) Da regalare.
(6) Ci si bada.
(7) Che per sino: sino al punto che.
(8) Il cameriere di Papa Gregorio XVI, già barbiere, ed oggi cavalier Gaetano Montani.
Vedi su lui il Son
1073.
Er decane (1) der cardinale
A infirzà (2) cquattro sciarle pe ffà un laggno
contra cchi è ppiú de noi, nun ce vò ggnente.
Se disce presto: lui maggna, io nun maggno:
sò ccanzoncine che sse sanno a mmente.
Nun dubbità, ffarebbe un ber guadaggno
Su Eminenza a ssentí ttutta la ggente,
che, cchi bbatte pe ssé cchi pper compaggno,
tutti sciànno (3) da dí cquarcaccidente.
(4)
Leva lora der pranzo e dde la scena, (5)
lora de la trottata e dde la messa,
la predica, luffizzio, la novena,
concistori, cappelle, pinitenze,
e cquarche vvisituccia a la bbadessa;
che ttempo ha da restà ppe ddà ludienze?
8 marzo 1834
(1) Il decano, de servitori.
(2) Infilzare.
(3) Ci hanno.
(4) Si è detto altrove il vocabolo accidente suonare, in bocca romanesca, sinonimo di molti e molti vocaboli, non senza compartecipazione della idea di apoplessia, che è sempre ed ovunque ed a tutti augurata dai nostri buoni popolani con la massima cordialità.
(5) Cena.
1074.
Li sciarvelli (1) de li Siggnori
Disce er padrone mio che cce sò (2) ingresi
coggni tantino attaccheno la posta,
e a le du a le tré (3) vviengheno apposta
da quer cùlibbus-munni (4) de paesi,
nun antro (5) che ppe vvede (6) in certi mesi
la Cascata der Màrmoro, (7) discosta
sei mîa (8) da Terni, indove scè anniscosta (9)
na grotta (10) che (11) cce vò li lumi accesi.
Guarda mó ssio volesse (12) tiené ppronte
oggnisempre le gubbie ar carrozzino
pe un po dacquaccia che vviè ggiú dda un monte!
O ssai che cce voría? (13) Che lAvellino (14)
(ché cquesto è er nome che jje dà er zor Conte)
in cammio (15) dacqua scaricassi (16) vino.
9 marzo 1834
(1) I cervelli.
(2) Ci sono.
(3) Di tempo in tempo: ogni due o tre volte una.
(4) Una persona dimorante assai lungi dicesi stare in Culibus mundi.
(5) Non per altro.
(6) Per vedere.
(7) Delle Marmore.
Notisi qui che marmoro è detto da alcuni per «marmo».
Per esempio: Una bella statua tutta de marmoro.
(8) Sei miglia.
(9) Ci è nascosta.
(10) Grotta di stalattite.
(11) Per cui, o in cui.
(12) Volessi.
(13) Ci vorrebbe.
(14) Il fiume Velino, che forma la cateratta sul punto di confluenza con la Nera.
(15) In cambio.
(16) Scaricasse.
1075.
Li miracoli de li quadrini
Chi ha cquadrini è una scima de dottore,
senza manco sapé scrive né llègge: (1)
pò sparà indove vò rròtti e scorregge,
e ggnisuno da lui sente er rimore.
(2)
Pò avé in culo li ggiudisci, la Lègge,
locchio der Monno, la vertú, e lonore:
pò ffà mmagaraddio, (3) lo sgrassatore,
e r Governo sta zzitto e lo protegge.
Pò ingravidà oggni donna a-la-sicura,
perché er Papa a ludienza der Giardino (4)
je bbenedisce poi panza e ccratura.
Nun cè ssoverchiaria, nun cè rripicco,
che nun passi collarma der zecchino.
Viva la faccia de quann-uno-è-rricco!
11 marzo 1834
(1) Scrivere né leggere.
(2) Romore.
(3) Magari.
(4) Il Papa riceve le donne in giardino.
1076.
Una dimanna (1) lescite onesta
Tra la mandra de tanti alletterati
io nun ho ancora trovo (2) chi mme dichi (3)
si a li tempi che ccereno lantichi
lommini se vistiveno dabbati.
Io so ccAdamo, pe li su peccati,
se vistí cco le fronne de li fichi;
e Ccristo, Erode, e llantri su nimmichi
nun vistirno da preti né da frati.
Poi venne a Rroma Romolo e Mmaometto,
ma ggnisun de li dua cor collarino,
co la chirica e ccor farajoletto.
Dunque chi llha inventato sto lumino? (4)
A vvoi, sori dottori de lajjetto, (5)
fateve avanti a stroligà (6) un tantino.
11 marzo 1834
(1) Dimanda.
(2) Trovato.
(3) Mi dica.
(4) Il cappello triangolare de preti, consimile a certe lucernette di terra.
(5) Aglietto.
(6) Speculare, almanaccare, ecc.
1077.
Li guai (1)
Oh cche jjoja! (2) A cquestora è un tre o quattranni
che ppe ttutte le cchiese e llostarie
io nun zentantro (3) co storecchie mie
che ppiaggner morto (4) e ppredicà (5) mmalanni.
Bbe? cchè ssuccesso? Indove sò sti danni,
ste ruvine, sti guai, ste caristie?
Tutte maliggnità, ttutte bbuscíe, (6)
tutte invenzione, spavuracchi e inganni.
Sino cher Papa va in villeggiatura,
e sta (Ddio je laccreschi) alegramente,
se pò ppuro dormí (7) ssenza pavura.
Caso contrario, lui chè un omo-fatto,
timorato de Ddio, dotto e pprudente,
sparaggnerebbe e nnun farebbe er matto.
12 marzo 1834
(1) Guai, nel senso di «sventure».
(2) Joia: petulante e noiosa cantilena.
(3) Non sento altro.
(4) Querelarsi.
(5) Predire.
(6) Bugie.
(7) Si può pure dormire, ecc.
1078.
Li duquadri
Io e Mmoma, (1) in du artari a la Ritonna, (2)
che bbelli quadri avemo visto, tata! (3)
Uno era Ggesucristo a la colonna,
e llantro (4) la Madonna addolorata.
Tata mia, quela povera Madonna
che spada ha in de lo stommico infirzata!
E r Gesucristo gronna (5) sangue, gronna
che ppare propio una vasca sturata.
Ve dico, tata, chio nun ho mmai visto
fra cquanti Ggesucristi sce sò (6) a Rroma,
chi ppòzzi (7) assuperà (8) cquer Gesucristo.
Ma la Madonna poi!...
È vvero, Moma?
Tiè un par de calamari (9) e un gruggno pisto, (10)
che sse (11) strilla addrittura: «È unecce-oma».
(12)
13 marzo 1834
(1) Girolama.
(2) La Rotonda: il Pantheon.
(3) Vocabolo col quale i figli chiamano il padre.
(4) Laltro.
(5) Gronda.
(6) Ci sono.
(7) Chi possa.
(8) Superare.
(9) Occhiaje.
(10) Volto pesto.
(11) Si.
(12) Ecce homo significa qui «persona mal ridotta» (Egli è un ecce homo), alcuni trasportano lespressione anche al femminile.
1079.
Li mariggnani (1)
Ve lo diremo noi chi ssò (2) sti zzeri
che mmarceno (3) in strozzino (4) pavonazzo,
e in carzettacce (5) nere de (6) strapazzo
pe ffodera a cquer par de cannejjeri.
(7)
Quelli sò ttutti-quanti cammerieri,
cammerieri segreti de Palazzo; (8)
e a Rroma, grazziaddio, sce nè uno sguazzo (9)
da ingravidà un mijjón de monisteri.
Ve lo diremo noi chi ssò ste turbe
a mmezzabbate e mmezzo monziggnore:
sò pprelati de titolo estra-urbe.
(10)
Coggni tantino, pe mmutà er colore
de le carzette, da ggentacce furbe
vanno a la viggna e llí sse fanno onore.
(11)
13 marzo 1834
(1) Marignani: melanzane, o petronciane.
Chiamansi cosí i prelati di mantellone, per distinguerli da quelli di mantelletto, che sono di primordine, e Prelati domestici del Papa.
Il colore della melanzana simile a quello dellabito prelatizio ha dato origine al burlesco soprannome.
(2) Chi sono.
(3) Marciano, per semplicemente «camminano, vanno».
(4) Strozzino: capestro.
Qui sta per «collarino ecclesiastico».
(5) Calzettacce.
I Prelati domestici portano calze di color violaceo: i Marignani le hanno nere.
(6) De, per «da».
(7) Candelieri: gambe sottili.
(8) Comunemente i cosí detti Marignani hanno il titolo di Camerier-segreto di Sua Santità.
Sono talora Protonotarii apostolici, ecc.
Ma tutto si rimane al titolo, e non fan nulla.
(9) Ce nè unabbondanza.
(10) Son detti anche prelati extraurbem.
(11) Pel privilegio extra-urbem, usciti dalle porte di Roma possono assumere calze violacee, ciò che non mancan di fare il più spesso che sanno.
1080.
Lincerti de Palazzo
Ggià cche ssete (1) ar proposito, sor Marco,
de tutte le storzione (2) e mmaggnerie
che cqui sse (3) fanno in delle sagrestie
a ttitolo de cortra e ccatafarco;
sentitene mó unantra (4) de le mie.
Jeri un Conte, chè pprimo Maniscarco (5)
in de la Corte dun gran Re Mmonarco,
annò (6) ddar Papa co ddu bbrutte zzie.
Come vho ddetto, sto sor Conte aggnede, (7)
e llui co le su zzie sazziorno locchi
addossar Papa e jje bbasciorno er piede.
Tornato a ccasa, un scopator zegreto (8)
je portò un conto de sei bbelli ggnocchi (9)
a ttitolo de logro (10) de tappeto.
(11)
13 marzo 1834
(1) Siete.
(2) Estorsioni.
(3) Si.
(4) Altra.
(5) Maniscalco, invece di «scalco».
(6) Andò.
(7) Andò.
(8) Gli scopatori-segreti sono i servi del papa.
(9) Scudi.
(10) Consumo.
(11) Questa tariffa esiste realmente fra le propine delle cosí-dette Cinque famiglie.
Lattuale pontefice Gregorio XVI dicesi che ne mediti labolizione e cosí dar gratis il Piede SS.mo alla divozione de baciatori.
Le cinque famiglie dianzi nominate sono distinte in: 1a.
Anticamera e sala pontificia.
2a.
Sala di M.r Maggior duomo.
3a.
Sala di M.r Uditore SS.mo.
4a.
Sala di M.r Maestro di Camera.
5a.
Sala del Segretario de Brevi.
Nellinverno 1833-1834, le mance delle cinque famiglie superarono gli scudi 15.000.
Interessante articolo di romana statistica!
1081.
Ludienze der Papa novo (1)
Io sò (2) ppalaferniere, (3) e in conseguenza
credo de stà a Ppalazzo in certo sceto (4)
da èsse (5) ar caso de sapé oggni peto (6)
de quanto sha da fà ppe avé ludienza.
Nun volenno (7) èsse arimannati arreto (8)
bbisoggna abbino tutti lavertenza
de scrive (9) a Mmonziggnore in confidenza
quello cher Papa ha da sentí in zegreto.
Dette cha oggnuno le bbudella sua,
stenne (10) er Mastro-de-Cammera un quinterno
de nomi, e r Papa ce ne sscejje dua.
A ttutti lantri (11) nun je tocca un corno;
perché er Papa ggià ssa cche in un governo
nun ce ponnèsse che ddu affari ar giorno.
13 marzo 1834
(1) Gregorio XVI, felicemente regnante.
(2) Sono.
(3) Palafreniere.
(4) Ceto.
(5) Essere.
(6) Peto, per «minuzia».
(7) Volendo.
(8) Addietro.
(9) Scrivere.
(10) Stende.
(11) Altri.
1082.
Er ginocchiatterra
È ggiusto, dichi tu? ggiusto la luna! (1)
Ma ccome! ar Papa tre ggenufressione,
e ar Zagramento poi, chè er zu padrone,
su lartâre sí e nno jje ne fannuna!
Sai tu er Papa qual è la su furtuna?
ca sto Monno io sò un povero cojjone;
ché stassi (2) a mmé a ddà er zanto (3) a le perzone,
lui de le tre nnun navería ggnisuna.
Disce: «Nun è ppe mmé, mma pper carattere».
Ah, llantrommini dunque e llantre donne
sò ttutti appetta llui sguatteri e sguattere?
Quanno porta sta scusa bbuggiarossa, (4)
forzi nun za cche jje se pò arisponne (5)
che un Papa è ccome nnoi de carne ddossa.
14 marzo 1834
(1) Giusto niente affatto.
(2) Stasse.
(3) Dare il santo: le mot dordre.
(4) Buggerona (con perdono): ridicola.
(5) Forse non sa che gli si può rispondere.
1083.
Er Papa Micchelaccio (1)
Sai che ddisce (2) sta perzica-durasce? (3)
«Ho fatto tanto pe arrivà ar Papato,
che mmó a la fine che cce sò arrivato
io me lo vojjo gode (4) in zanta pasce.
Vojjo bbeve (5) e mmaggnà ssino cho ffato:
vojjo dormí cquanto me pare e ppiasce;
e ar Governo sce penzi chi è ccapasce,
perchio nun ce nho spicci (6) e ssò Ppilato».
(7)
Lui nun lha un cazzo (8) er maledetto vizzio
de crede (9) che cquer bon Spiritossanto
jabbi dato le chiave pe un zupprizzio.
E le cose accusí vvanno dincanto.
(10)
Mó la pacchia (11) è la sua: poi chi ha ggiudizzio
quanno chè ppapa lui facci antrettanto.
(12)
14 marzo 1834
(1) Maggnà, bbeve e annà a spasso: Ecco larte der Micchelaccio.
Questi sono due versi rimati che rinchiudono una sentenza romanesca.
(2) Dice.
(3) Pèsca-duràcina: dicesi di coloro che hanno robusta complessione.
Tale è infatti quella del nostro sommo Pontefice Gregorio XVI, che Iddio guardi nella sua santa custodia.
(4) Voglio godere.
(5) Bere.
(6) Non averne spicci (spicciolati) è metafora presa dalla moneta, quasi volesse dirsi: «io non ne ho per questo mercato».
(7) Sono Pilato, cioè: «me ne lavo le mani».
(8) Non lha affatto.
(9) Di credere.
(10) Vanno a maraviglia bene.
(11) Pacchia è «tutto ciò che di comodo ed utile ci derivi dalla fortuna».
Potrebbe servir di sinonimo a cuccagna.
(12) Faccia altrettanto.
1084.
Le miffe (1) de li Ggiacubbini
Perzuasi oramai che ar Papa novo (2)
nun je ponno dí bbirbo e nné ssomaro,
sai cantra iniquità jjhanno aritrovo? (3)
Che, essenno stato frate, è un Papa avaro.
A sta ggente che ccerca er pel nellovo
io je vojjo fà vvéde (4) chiaro chiaro
comun quattre cquattrotto, e jje lapprovo, (5)
che ssò ttutte carote da notaro.
E cqueste che ddichio sò storie vere,
perché abbasta a gguardà, tteste de cazzo,
come paga le bbarbe ar Cammeriere.
(6)
Je le paga accusí, cche cquer regazzo
da quarche mmese in qua cchera un barbiere,
ggià ha ccrompato (7) tre vviggne e un ber palazzo.
14 marzo 1834
(1) Menzogne.
(2) La Santità di Gregorio XVI.
(3) Ritrovato, per «ritrovata».
(4) Vedere.
(5) Glielo provo.
(6) Il cavaliere Gaetano Montani.
(7) Comperato.
1085.
Er Padre Suprïore
Tre nnotte fa, un Patrasso francescano
ariccontava a una su grannamica
chè ppiú mmejjo avé er culo in zu lortica
che de stà in un Convento a ffà er guardiano.
Questi dicheno pragras (1) der Zovrano:
quelli sò ddisperati pe la fica:...
inzomma disce lui chè una fatica
darinegacce (2) er nome de cristiano.
Disce che ppe sti frati farabbutti (3)
lo stà (4) bboni la notte in dormitorio,
er zilenzio, er cantà, ssò affari bbrutti.
La ppiú ppena perantro, er piú mmartorio,
er piú ssudore, è aridunalli (5) tutti
la matina e la sera ar rifettorio.
14 marzo 1834
(1) Plagas.
(2) Rinegarci.
(3) Farabutti, per «ribaldi».
(4) Stare.
(5) Radunarli.
1086.
Li Vescovi viaggiatori
Avete visto mai ne la staggione
tra er fin daprile e r principià dde maggio
come le rondinelle faccennone
ricominceno a nnuvoli er passaggio?
Ccusí appena cher Papa ha er ber coraggio
de fà a Rroma quarcantra (1) promozzione,
se vedeno (2) cqua e llà mmettese (3) in viaggio
li Vescovi scordati in dun cantone.
E ttutti co la faccia piaggnolosa
vanno a Ppalazzo pe ttentà la sorte
de ruspà (4) lloro puro (5) quarche ccosa.
Presto però ssaccòrgeno a la Corte
che la Cchiesa che ppreseno (6) pe sposa (7)
li vò a lletto co llei sino a la morte.
14 marzo 1834
(1) Qualche altra.
(2) Si vedono.
(3) Mettersi.
(4) Ruspare, per «buscare».
È un traslato del raspare che fanno i polli la terra per trovarvi qualche alimento, ciò che a Roma dicesi ruspare (razzolare).
(5) Eglino pure.
(6) Presero.
(7) Questo vocabolo si pronunzia colla o chiusa.
1087.
Letà dellomo
Sarà ppoi tutto vero, eh sor Giuvanni
quello che cciaricconteno (1) li preti
cun giorno li padriarchi e li profeti
sapeveno campà nnovescentanni?
Dunque, o allora nun cereno malanni,
o cqueli vecchi aveveno segreti
pe rrestà ssempre ggioveni.
Ma cquieti, (2)
percoggi starte faría (3) troppi danni.
Dàmme (4) de fatti un fijjo a la ssediola (5)
de scinquantanni, e ppe ddí un tempo corto,
mànnelo (6) de scentanni ancora a scòla;
va a sperà, cco stesempi, in ner conforto
che ccrepi un papa che tte pijja in gola,
va a ffà ddebbiti allora a-ttata-morto! (7)
14 marzo 1834
(1) Ci raccontano.
(2) Ma silenzio.
(3) Farebbe.
(4) Dammi.
(5) Il comodo de fanciulli.
(6) Mandalo.
(7) Si costuma da figli viziosi di contrarre dei debiti da soddisfarsi alla morte de padri: ciò dicesi «far debiti a-tata-morto».
1088.
Le variazzion de tempi
Ohé, Ggiachimantonio! oh scicoriaro!
come te tratta Marzo? Nu lo senti
si cche rrazza de buggera de venti?
Semo tornati ar mese de ggennaro.
Come potemo (1) poi èsse (2) contenti?
Stam (3) alegri, chè ppropio un gusto raro!
Un giorno bbulli (4) che ppari un callaro, (5)
lantro (6) ggiorno che vviè sbatti li denti.
Ha rraggione er Ziggnore chè ppeccato
de dí a llui, chè er padrone, bbuggiarallo;
ché ssi nnò (7) ggià cce lavería (8) mannato.
(9)
Quanno er Monno voleva frabbicallo, (10)
nun era mejjo avello (11) frabbricato
da fàcce (12) o ssempre freddo o ssempre callo? (13)
14 marzo 1834
(1) Possiamo.
(2) Essere.
(3) Stiamo.
(4) Bolli.
(5) Caldaio.
(6) Altro.
(7) Ché altrimenti.
(8) Avrei.
(9) Mandato.
(10) Fabbricarlo.
(11) Averlo.
(12) Farci.
(13) Caldo.
1089.
Er Monno sottosopra
Dunque, quer che ffascéveno una vorta
pe ffiume un venti e ppiú bbufole in fila,
adesso lo fa er fume duna pila,
e llarte mó dder bufolaro è mmorta.
Disce anzi che la ggente oggi sè accorta
che cquer fume, un millommini e un du mila,
co un par de rôte a uso de trafila,
pe cche (1) mmare se sia, lui li straporta.
Peggè cche mmó ppe le carrozze vonno
nun ce sii ppiú bbisoggno de cavalli,
e r fume le strascini in capar monno.
Eppuro un tempo aveveno er custume
li nostri bboni vecchi, bbuggiaralli,
de dí ccher ggnente sassomijja ar fume.
14 marzo 1834
(1) Per quale.
1090.
Un ber (1) ritratto
Chi è cquer brutto llà cco un zazzerino
lisscio, per dio, che ffa vvergoggna a un cardo
che cciabbino (2) impiccato pe ccudino
un filetto de codica (3) de lardo?
Vergine Santa mia! ppiú mme lo guardo
e ppiú lo pijjo per Mago Sabbino,
o er Burfecane, o er gran Pietro Bbailardo (4)
che vvienghi (5) a ffà lincanti a Ccassandrino.
(6)
Guarda che ssorbettiere (7) in quelle scianche! (8)
guarda che ssottocoppa (9) de cappello!
guarda che inchiostri de camísce bbianche!
Currete, ggente, currete a vvedello:
po attaccatelo a un fico pe le bbranche,
e nnun ce vierà ppiú mmanco un uscello.
(10)
14 marzo 1834
(1) Bel.
(2) Che ci abbiano: su cui abbiano.
(3) Cótica: cotenna.
(4) Sabino, Bulfecàn, e il teologo Pietro Abailardo (o Abelardo) sono tre portentosi maghi da marionette.
Il secondo è derivato forse dal Dulfecàr, nome della famosa spada bilingue di Maometto.
Chi avesse gola di etimologie, ne cerchi una origine più soddisfaciente.
(5) Venga.
(6) Attuale maschera del teatro di Marionette, la quale perirà colluomo che lanima.
Consiste in un vecchietto vestito alla moda de nostri avi, alquanto ignorante, ma arguto molto e fecondo di popolari facezie, che esprime con una sua voce veramente atta a mover le risa.
(7) Cosí diconsi per celia gli stivali assai larghi in gamba.
(8) Gambe.
(9) Cappello di larga falda, in forma di sottocoppa rovesciata.
(10) Allorché una veste è molto invecchiata e indecente, si dice: «Attaccatela a un albero di fichi, per ispauracchio agli uccelli».
1091.
Le còllere
Nò...
Tte dico de nò...
Ggnente...
Sò (1) ssorda...
Nun te credo...
Cuccú (2)...
Ssò ttuttinganni...
Oh sfiatete (3)...
E cche sserve che ttaffanni?...
Me fai ride (4)...
De che?! (5)...
Scusa bbalorda...
Ve lho ppromessa? E cchi sse naricorda?
Passò cquer tempEnea, (6) siggnor Giuvanni.
Me sce sò sbattezzata (7) pe ttantanni...
Ma cche tte credi? de damme la corda? (8)...
Bbravo! propio accusí: mme fa la luna...
Vadi: (9) e cchi lo trattiè? (10) La porta è uperta.
Vadi puro a ttrovà (11) stantra (12) furtuna.
Anzi, sa ccha da fà? (13) Nne li carzoni,
pe ppassà ppresto una furtuna (14) scerta,
sce se metti (15) una nosce-a-ttre-ccantoni.
(16)
14 marzo 1834
(1) Sono.
(2) Nel pronunziare questa parola, si deve imitare il suono che manda il cuculo; e vale negativa.
(3) Oh! sfiatati.
(4) Mi fai ridere.
(5) Come sarebbe a dire?! (6) Questo emistichio di un verso di Metastasio è passato in proverbio per indicare non essere più tempo da tale o tal cosa.
(7) Sbattezzarsi appresso ad una cosa significa: «perdervi attorno invano il tempo e la pazienza».
(8) Dar la corda: frase regalataci dal belluso dei tormenti nei giudizi criminali.
Luso è caduto, ma il vestigio della frase rimarrà chi sa quanto nella bocca del popolo, e sopravviverà forse ancora alla più tarda memoria di quelle barbarie.
Qui vale: «dar tormento, tenere in orgasmo, in sospensione».
(9) Vada.
(10) E chi lo trattiene? (11) Vada pure a cercare.
(12) Questaltra.
(13) Sa che deve fare? cioè: «faccia così».
(14) Passar fortuna: farla.
(15) Ci si metta.
(16) La noce col guscio trivalve è riputata prodigioso amuleto per incontrar buona sorte.
1092.
Compatìmose (1)
È mmatta? E ttu cche jje faressi? (2) Ar Monno
tante (3) teste sce sò ttanti scervelli.
E gguai si, bella mia, tutti luscelli
conosscessino er grano, (4) io tarisponno.
(5)
Er belle r brutto sai qualè? ssiconno (6)
che vvedémo li gruggni (7) o bbrutti o bbelli.
Pe sta raggione, quer che vonno quelli
tu pportelo a cquellantri, e nnu lo vonno.
Mettemose (8) una mano soprar petto (9)
e vvederemo poi che de quellarbero
chi ppiú cchi mmeno oggnuno ha er zu rametto.
(10)
E nun ze danno (11) mojje accusí storte, (12)
channo, in zeggno damore, er gusto bbarbero
dèsse (13) accoppate e bbastonate a mmorte?!
14 marzo 1834
(1) Compatiamoci.
(2) Che le faresti? (3) Tante in luogo di quante.
(4) «Guai se tutti gli uccelli conoscessero il grano!»: proverbio.
(5) Ti rispondo.
(6) Secondo.
(7) Luomo non ha mai volto: raramente viso: sempre faccia, grugno e muso.
(8) Mettiamoci.
(9) Cioè «esaminiamo noi stessi».
(10) Intendi della pazzia.
(11) E non si dànno? ecc.
(12) Stravaganti, originali.
(13) Di essere.
1093.
La mojje fedele
E aricacchia! (1) Dallantra (2) sittimana
chè rriannato (3) in campaggna mi marito,
viè (4) cquer brutto pivetto (5) intirrizzito
tutte le notte a bbatteme (6) la diana.
Oh ccazzo! e cche ssarò? cquarche pputtana
che ttira er zalissceggne (7) per invito?
Nò, cojjone, sta llí, mmore (8) ingriggnito, (9)
sin caritorni a scòla a la campana.
(10)
Ôh, sserra la finestra, Ggiuvacchino,
chio mommó (11) ddo de piccio (12) ar pitaletto
e lammollo per dio come un purcino.
Che sse vadi a ffà fotte sto pivetto;
e nnoi, tratanto che llui fa er zordino, (13)
spojjamosce de presscia (14) e annàmo (15) a lletto.
14 marzo 1834
(1) Ricacchiare: «rigermogliare»; qui per «ritornare».
(2) Dallaltra.
(3) Riandato.
(4) Viene.
(5) Pivetto, nome di scherno che si dà ai garzoni, specialmente a quelli che affettano modi virili.
(6) Battermi.
(7) Il saliscendo.
(8) Muori.
(9) Ingrignito esprime quella certa contrazione di muscoli e tendini, che si osserva negli assiderati.
(10) Cioè: «al suono della campana».
(11) Or ora.
(12) Do di mano.
(13) Fare il sordino: chiamare con un sottilissimo sibilo, siccome usano fra loro gli amanti.
(14) Spogliamoci di fretta.
(15) Andiamo.
1094.
La priscission der Corpus-Dommine
Perché llantranno in certa priscissione1
sce successe un tantin dammazzamento, (2)
mo ar tronco (3) e a lo stennardo (4) sto scontento
de Papa jha da dà linibbizzione! (5)
Leva tronco e stennardo, e in un momento
nun ce resta ppiú un cazzo divozzione.
Sarebbe meno male in cuncrusione
de levà dda la coda (6) er Zagramento.
Ner portà bbene lo stennardo e r tronco
llì sse vedeva lomo, eh sor Diopisto? (7)
e ssi uno era svertro (8) oppuro scionco.
(9)
Ma mmó cche nnun cè ppiú ttronco e stennardo
e nun ce resta che cquer po de Cristo, (10)
le priscissione io?! manco le guardo.
15 marzo 1834
(1) Della Confraternita di...
(2) La destinazione dello stendardo e del tronco, ambita ardentemente da tutti i confratelli, specialmente dai più giovani che amano far pompa di destrezza innanzi alle case delle loro belle, è stata sempre un soggetto dimpegni, alterchi, e non di rado, accoltellamenti.
(3) Enorme croce di carta-pesta, foggiata in due grossi tronchi dalbero nella loro rozzezza naturale.
(4) Gran gonfalone della Compagnia, portato a due aste.
(5) Corse voce che per causa della rissa accaduta fra i confratelli nominati alla nota 2, il Papa avesse abolito luso di dette due insegne.
(6) Dal fine.
(7) Teopisto.
(8) Svelto.
(9) Cionco.
(10) Gran crocifisso, addobbato, per solito da monache, di bende e di frangie.
1095.
San Giuvan-de-ggiuggno
Domani è Ssan Giuvanni? Ebbè ffío (1) mio,
cqua stanotte chi essercita er mestiere
de streghe, de stregoni e ffattucchiere
pe la quale (2) er demonio è er loro ddio, (3)
se straformeno (4) in bestie; e tte dichio
ca la finosomia (5) de quelle fiere,
quantunque tutte-quante nere nere
ce pòi riffigurà (6) ppiú ddun giudio.
(7)
E accusì vvanno tutti a Ssan Giuvanni,
che llui è er loro Santo protettore,
pe la meno che ssia, da un zeimilanni.
(8)
Ma a mmé, cco no scopijjo (9) ar giustacore
e un capo-dajjo (10) o ddua sotta li panni,
mhanno da rispettà ccome un Ziggnore.
15 marzo 1834
(1) Figlio.
(2) Di questo pronome relativo il romanesco non usa che il femminino singolare, e di questo i soli casi la quale e per la quale.
(3) I due versi antecedenti sono tratti quasi letteralmente dalla Dottrina del Cardinal Bellarmino.
(4) Si trasformano.
(5) Fisonomia.
(6) Ci puoi raffigurare.
(7) I giudei passano per abilissimi maliardi.
(8) Da un seimilanni.
(9-10) Scopiglio: aglio.
Alla scopa e allaglio è attribuito lonore di predominare le streghe e renderne innocue le malie.
1096.
Li Carnacciari (1)
Nun ciannassi (2) a cquestora ar Monistero,
ché cquesta è ppe le Madre ora canonica
de curre (3) a ddà lassarto (4) a la bbucconica (5)
con una lanca (6) da lupo-scerviero.
Figúrete che jjeri quela Monica
che jje premeva tanto un gatto nero, (7)
ar zentí (8) la campana, è ppropio vero,
se sgarrò (9) ppe scappà ttutta la tonica.
Si (10) ttu jje porti adesso la carnaccia,
nun ze arrivato e ggià la portinara
pijja la porta e tte la sbatte in faccia.
Piú ppresto, (11) quanno mai, (12) vacce magara (13)
a or (14) de Coro, e ggnisuno te caccia.
Impara, fijjo, a stà in ner Monno, impara.
16 marzo 1834
(1) Girovaghi mercatanti di carne di carogna, per cibo di gatti.
(2) Non ci andassi: non ci andare.
(3) Di correre.
(4) A dar lassalto.
(5) Al cibo.
Questa voce burlesca usata anche dalle classi superiori, vanta derivazione nientemeno che classica: viene cioè dal vocabolo Buccolica di Virgilio Marone, per la affinità del suono con quello di bucca, bocca.
(6) Bramosia.
(7) I carnacciai rubano e vendono gatti: e le monache hanno anchesse le loro innocenti predilezioni pe vari pelami di quelle bestiuole.
(8) Sentire per «udire».
(9) Si lacerò.
(10) Se.
(11) Più presto, per «piuttosto».
(12) Quando mai: al piuppiù.
(13) Vacci magari.
(14) Ad ora, ecc.
1097.
La chiacchierona
Ma io voría (1) sapé sta sciarlatana
che (2) ppormoni se tiè ddrentar budello,
e cchi è stata la porca de mammana
che cquanno nacque je tajjò er filello.
(3)
Nun è ita a ddí in pubbrica funtana
ca mmé nnun me saddrizza ppiú luscello?!
che mmimbrïaca una fujjetta sana?!
chio nun zò bbono a mmaneggià er cortello?!
Lassela capità sotta cquestuggne, (4)
e lo sentirà llei, per dio sagrato,
che cce sabbusca (5) a ffrabbicà (6) ccaluggne.
No, (7) la rabbiaccia che mme passa er core
ecco qual è: cche llei mabbi toccato
in ner debbole mio chè ssu lonore.
16 marzo 1834
(1) Vorrei.
(2) Che razza di, ecc.
(3) Il «filetto» o «Scilinguagnolo».
(4) Ugne ed ogne, per «unghie».
(5) Cosa ci si busca.
(6) Fabbricare.
(7) No, cioè «nullaltro».
1098.
La scuperta (1)
Quantecchete (2) a lusscí, (3) mme fa (4) Nnicola:
«Peppe», disce «e ttu vvienghi?».
Io jarisponno: (5)
«No», ddico, «nun ce viengo, percho ssonno».
E llui: «Oh vvia, pe mmezzoretta sola».
Bbasta, accusí da parola in parola
un po uno e un po llantro mimbrojjonno.
(6)
Entramo er Colonnato, (7) e in fonnin fonno (8)
travedémo (9) er Picchietto e Cchicchiggnola.
Eppoi dereto (10) a lloro a la lontana
er fratello de lei, che jje se maggna
la mità (11) dder negozzio de puttana.
Come je semaddosso, (12) lui se svortica.
(13)
Io allora je faccio: (14) «Eh? cche ccuccagna!
Tanto pela chi ttiè cquanto chi scortica».
(15)
16 marzo 1834
(1) La scoperta.
(2) Eccoti.
(3) In sulluscire.
(4) Mi dice.
(5) Gli rispondo.
(6) Mimbrogliarono su.
(7) Sintende il colonnato di S.
Pietro.
(8) In fondo in fondo.
(9) Travediamo.
(10) Di dietro.
(11) Metà.
(12) Appena gli siam presso.
(13) Si rivolge.
(14) Gli dico.
(15) Proverbio.
1099.
La regazza schizziggnosa (1)
Adàscio: (2) adàscio!: ehéi, nun vinquietate:
via, nu lo farò ppiú, bbona zitella.
Che sso! (3) Ffussivo (4) mai la tarantella, (5)
che ssartate (6) sullocchi e ppuncicate! (7)
Nun ve vienivo a ddà (8) mmica sassate:
ve volevo appoggià (9) una smicciatella, (10)
e ppoi, si ccaso (11) ve trovavo bbella,
le cose ereno mezze accommidate.
(12)
E vvannate a pijjà ttutta sta furia?!
Ggèssummaria! nun me credevo mai
che mmó a Rroma er guardà ffussi uningiuria.
Ôh, ffinímolo (13) un po sto tatanai.
(14)
Cqua dde regazze nun ce nè ppenuria.
La puzzolana (15) è a bbommercato assai.
16 marzo 1834
(1) Schizzinosa.
Questi versi vanno pronunziati lentamente, appoggiando assai sulle vocali, e con accento sardonico.
(2) Adagio.
(3) Che so io mai! (4) Foste.
(5) Famosa è lopinione che il morso della tarantola (pugliese specialmente) fosse nei secoli XV e XVI cagione di uno strano malore che guarivasi con la musica, ai suoni della quale linfermo era da involontario moto costretto a ballare, e cadeva quindi spossato e guarito.
(6) Saltate.
(7) Pungete.
(8) Non vi venivo a dare.
(9) Appoggiare, per «dare».
(10) Smicciare: guardare con curiosità e ad occhi socchiusi.
(11) Se caso mai: se mai.
(12) Accomodate.
(13) Finiamola.
(14) Questa tiritera, questo chiasso.
(15) Pozzolana, terra vulcanica da murare.
Chiamata a Roma volgarmente puzzolana, si torce spesso a senso dingiuria verso donne di malodore.
1100.
La mojje disperata (1)
Di, animaccia de turco: di, vvassallo:
di, ccoraccio darpía, testa de matto:
nun tabbasta no er male che mmhai fatto,
che mme vòi strascinà ppropio a lo spallo?! (2)
Arzà le mano a mmé!? (3) ddiavolo fàllo! (4)
pròvesce un po, cche ddo de mano a un piatto
e ccomè vvero Cristo te lo sbatto
su cquela fronte che cciài fatto er callo.
(5)
Nun vòi dà ppane a mmé, bbrutto caroggno?
Portelo ar meno a stanime innoscente
che spireno de freddo e dde bbisoggno.
Tira avanti accusí: ffalle ppiú bbrutte.
Dio nun paga oggni sabbito, (6) Cremente;
ma ppoi viè cquella che le sconta tutte.
16 marzo 1834
(1) I seguenti versi debbono declamarsi con veemenza dira e di pianto.
(2) Metafora presa dal giuoco delle carte, e vale: trapassare il giusto segno.
(3) Alzare le mani su me! (4) Diavol che tu il faccia! (5) Che ci hai fatto il callo: che hai incallita nella impudenza.
(6) Dio non paga ogni sabato.
Proverbio.
1101.
Er negozziante fallito
Scusi, siggnore: lei chè ttanto ricco,
sappi (1) chio sò (2) un mercante de salume,
che ttutto er mio se nè sparito in fume
pe un naviscello che mmè annato a ppicco.
Ho una fame, ho, cche nun ce vedo lume;
e ttanto ha da finí ggià cche mme ficco
quarcarma in gola, e, bbugiarà, (3) mmimpicco,
chio sò in proscinto de bbuttamme (4) a ffiume.
Speravo in Dio che cquarche ccreditore
ar meno me mettessi (5) carcerato:
ggnente: nun cè ppiú ccarità, ssiggnore.
Ma ddunque un omo ha da morí affamato
a ggni modo, o ppe fforza o pper amore,
senzavecce (6) né ccorpa (7) né ppeccato?
16 marzo 1834
(1) Sappia.
(2) Sono.
(3) Alla malora.
(4) Buttarmi.
(5) Mi mettesse.
(6) Averci.
(7) Colpa.
1102.
Er parlà cchiaro
Ôh, vvolete sentilla (1) a la bbadiale, (2)
e cche vvuprimo (3) er core schietto schietto?
Che vvoi fussivo un brutto capitale (4)
ggià lavémio maggnato (5) da un pezzetto.
Quer che ppo adesso masticamo male (6)
è ccuna scerta mmaschera (7) scià (8) ddetto
che vvingeggnate puro cor zoffietto (9)
pe ffà un giorno la fin de le scecale.
(10)
O ssii caluggna o nnò, cquesto (11) io nun centro.
Er certè ccun brigante (12) come vvoi
quanno che vva a ssoffià (13) sta in ner zu scentro.
(14)
O ssii caluggna o nnò, vvisscere mie,
questo ve pòzzo (15) assicurà, cche a nnoi
nun ce va a ssangue er zangue de le spie.
16 marzo 1834
(1) Sentirla.
(2) Alla badiale: qui, per «chiara».
(3) Apriamo.
(4) Brutto capitale: cattivo suggetto.
(5) Lavevamo mangiato: lavevamo compreso.
(6) Masticar male: patire a mal-in-cuore.
(7) Maschera, per «persona occulta».
(8) Ci ha.
(9) Ingegnarsi col soffietto: fare la spia.
(10) La fin delle cicale, che cantano cantano e poi crepano.
Proverbio.
(11) Intendi: in questo.
(12) I nomi di liberale e di brigante equivalgono oggi presso a poco alle distinzioni de Guelfi e Ghibellini de nostri atavi.
(13) Soffiare: vedi la nota 9.
(14) Nel suo centro.
(15) Vi posso.
1103.
Er Rugantino (1)
Ecco llí er fumantino (2) ammazzasette:
lui sce faría scappà (3) ssubbito er morto.
A oggnette, (4) eccolo llí, llui tajja corto, (5)
e aló, (6) mmano a li tòni e a le saette!
E pperchai la raggione te vòi mette (7)
da la parte der torto?! ggià, (8) dder torto,
der torto, sissiggnora.
(9) E cche cconforto
sce trovi a rruminà ttante vvennette? (10)
Queste sò mmattità (11) dda regazzoni.
Via, bbutta ggiú cquer zercio: (12) animo, dico,
o ttappoggio du carci (13) a li cojjoni.
Eh, cqua nun ze fa llomo.
(14) Co mmé, amico,
scè ppoco da rugà.
(15) Dde li bbruttoni (16)
sai che cconto ne fo? Mmeno dun fico.
17 marzo 1834
(1) Maschera del teatro di fantoccini, la quale presenta un linguacciuto attaccabrighe che finisce poi sempre per toccarne da tutti, e di numerare a debito altrui le busse del proprio conto: carattere non reperibile fra i soli uomini di legno.
(2) Fummantino: permaloso orgogliosetto.
(3) Egli ci farebbe uscire.
(4) A ogni et, ad ogni nonnulla.
(5) Taglia corto, va per le brevi.
(6) Alò, per allons.
Vedi nota al Son
(7) Ti vuoi mettere.
(8) Si certamente.
(9) Ad ogni uomo o donna si dà del sissignora.
(10) Vendette.
(11) Mattità: mattezze.
(12) Quel selcio, cioè: quella selce.
(13) O ti applico due calci.
(14) Non si fa luomo, non ci si danno arie da uomo fatto.
(15) Rugare.
Il verbo da cui nasce il nome di Rugantino.
(16) Delli bravacci.
1104.
Er torto e la raggione
Aibbò, (1) nun zò (2) le ssciabbole e le spade
che ddistingueno er torto e la raggione.
Te linzeggnerò io quello caccade,
fijjo, in ner liticà ttra ddu perzone.
Chi nun ha ttorto, pò pparé un leone,
ma ppuro in de lurlà ccerca le strade
de viení ar dunque, e, mmó cco un paragone
mó cco un antro, (3) de fàtte perzuade.
(4)
Quer cha ttorto però strilla ppiú fforte:
tajja a mmità (5) er discorzo e scappa via,
e in de lo scappà vvia sbatte le porte.
In quanto allarme poi, sò una pazzia
per rrimette (6) ar crapiccio (7) de la sorte
tanto la verità cche la bbuscía.
(8)
17 marzo 1834
(1) Oibò.
(2) Sono.
(3) Altro.
(4) Di farti persuadere: di persuaderti.
(5) Taglia a metà.
(6) Per rimettere.
(7) Al capriccio.
(8) Bugia.
1105.
Er portoncino
Caso (1) volessi uprí cquarcostaria
bbisoggna sempre procurà, Ffichella,
che llí accosto ce sii na portiscella,
pe nessempio, ecco llà, ccome la mia.
Questa te serve ggià per annà via:
però la ppiú (2) rraggione de tienella (3)
è ppe ffà entrà la ggente in ciampanella (4)
la festa, e ccojjonà la Pulizzia.
Chi ccià (5) sta porta, se po ddí a ccavallo.
(6)
Si ppo (7) er frusse rrifrusso de la ggente
dàssi (8) a sullocchi e tte cojjessi (9) in fallo,
tu nun te stà (10) a smarrí: nun ce vò ggnente.
Bbasta ttoccà la mano (11) ar maresciallo (12)
e mmannà (13) un bariletto ar Presidente.
(14)
17 marzo 1834
(1) Caso-mai: se mai.
(2) La maggior.
(3) Tenerla.
(4) In fraude.
Imperocché è legge che alla mattina de giorni festivi, niuna bottega (e Dio guardi le osterie ed i caffe!) possa tenersi aperta durante le ore degli uffici divini.
Multe, carcerazioni ed altre pene ad arbitrio, seguono subito il fallo, sin minus, ecc.
(5) Ci ha.
(6) Essere a cavallo, vale: «aver conseguito lintento».
(7) Se poi.
(8) Dasse.
(9) Cogliesse.
(10) Non ti stare.
(11) Toccar la mano, cioè: «fargli sdrucciolare una moneta».
(12) Al maresciallo de carabinieri, succeduti, mutato nomine, agli antichi gendarmi.
(13) Mandare.
(14) Al Presidente regionano di polizia.
Anche questi quattordici magistrati sono gli eredi, mutato nomine, delle attribuzioni dei già Commissarii.
Vedi il Sonetto...
Così i Ricevitori son divenuti Preposti, ecc., e lodio della cosa si è estinto sotto la mutazione del nome.
1106.
Trista cchì ccasca (1)
Specchiamose (2) in ner povero Marchese,
e imparamo (3) chi ssei, monno mazzato.
(4)
Ddà ddà, nnun ce nha ppiú.
Bbe, cchi ha sscialato
jarimprovera mó lle troppe spese.
E allora avessinteso (5) per paese...
Chi, er rifresco era scarzo e sscellerato:
chi, er palazzo era male ammobbijjato:
chi, cce voleva ppiú ccannele accese!...
Quanno dài da maggnà, ddài sempre poco.
Casca in miseria, e ttutti: «Eh nnaturale:
accusí aveva da finì er ber gioco».
Sí, ppovero padrone, hai fatto male
a mmannà (6) la tu robba a ffiamme ffoco
per chi inzino (7) tinzurta (8) a lo spedale.
17 marzo 1834
(1) Tristo chi casca.
(2) Specchiamoci.
(3) Impariamo.
(4) Mondo iniquo.
(5) Avessi tu udito.
Il verbo udire è a Romaneschi affatto ignoto, e cosí lascoltare.
Senti (sentire) esprime sempre la sensazione venuta per gli orecchi.
Del verbo intendere poi, servonsi in tutti i tempi e i modi nel suo vero senso; al participio però, inteso, cambia subito significazione, non esprimendo mai che una sinonimia perfetta di sentito per udito.
(6) Mandare.
(7) Sino.
(8) Tinsulta.
1107.
La bbona mojje
Bbe, ssò (1) ccontenta, sí: vva, Ssarvatore:
fa ccome vòi e cquer chIddio tispira.
Anzi, io direbbe de portà Ddiomira,
chè in dunetà da intenerijje (2) er core.
Bútteteje (3) a li piedi a lesattore:
prega, marito mio, piaggne, (4) sospira:
bbada però cche nun te vinchi lira...
Lassamo fà: cce penzerà er Ziggnore.
Si tte (5) caccia, nun famme la siconna.
(6)
Ricordete (7) in quer caso chai famijja:
soffrilo pe lamor de la Madonna.
Ce semo intesi eh Sarvatore mio?
Va, cchIddio taccompagni.
Un bascio, fijja.
Addio: fa ppiano pe le scale: addio.
17 marzo 1834
(1) Sono.
(2) Intenerirgli.
(3) Buttatigli.
Il verbo gettare è a questa plebe affatto sconosciuto.
(4) Piangi.
(5) Se ti.
(6) Non farmi la seconda di quella che già.
ecc.
(7) Ricordati.
1108.
Lajjuto-de-costa (1)
Uhm, de llà ha da viení! (2) Cco cquer cornuto (3)
de mi marito, chè da San Martino (4)
che nun mha ddato ppiú mmezzo quadrino, (5)
starebbe grassa io (6) senza un ajjuto!
E cciaringrazzio (7) Iddio cor capo-chino,
e cce faccio le crosce co lo sputo, (8)
ca ppasqua-bbefanía (9) me sii vienuto
sto po de stacco (10) dabbituccio fino.
Nun credessi (11) però, ccommare mia,
che...
mme spiego? che sso!...
Ddio me ne guardi
e la bbeata Vergine Mmaria!
È vvero che llui viè (12) cquanno sò (13) ssola,
ma cce viè cco li debbiti ariguardi, (14)
e nnun cè mmai da dí mmezza parola.
(15)
17 marzo 1834
(1) Laiuto di costa: soccorso indiretto.
(2) Di là ha da venire: simbolo degli Apostoli volgarizzato, per indicare ironicamente tardità e dubbio di un avvenimento.
(3) Con quel cornuto.
(4) Il San Martino è in Roma riguardato per la festa di coloro de quali qui parlasi alla nota 3.
(5) Quattrino: centesimo romano.
(6) Starei grassa io! Sarei a mal partito.
(7) E ci ringrazio.
(8) Molti divoti inginocchiati e colla bocca in terra segnano con la lingua larghe e lunghe croci.
(9) Pasqua Epifania.
La corruzione del nome ha creata la Befana, larva con la quale si spaventano o si premiano i fanciulli.
(10) Stacco, per «taglio»: misura di roba necessaria a un vestito.
(11) Non credessi, per «non creder mai».
(12) Viene.
(13) Sono.
(14) Co dovuti riguardi.
(15) Non insorge mai la più piccola differenza.
1109.
Er marito assoverchiato
Gode, gode, (1) caroggna bbuggiarona.
Bbrava! strilla un po ppiú, strilla ppiú fforte.
Troja, fàtte (2) sentí: vva, pputtanona,
spalanca le finestre, opre (3) le porte.
Mó è ttempo tuo: oggi vò a tté (4) la sorte.
Scrofa, lassela fà (5) ssin che tte sona.
Na vorta ride er ladro, una la corte;
e la cattiva poi sconta la bbona.
Te nho ppassate troppe, foconaccia: (6)
ecco perché mmhai rotta la capezza,
vacca miggnotta, e mme le metti in faccia.
Ma schiatterà er tu porco de prelato,
e allora imparerai, bbrutta monnezza (7)
cosa vò ddí un marito assoverchiato.
18 marzo 1834
(1) Godi, godi.
(2) Fàtti.
(3) Apri.
(4) Vuol te.
(5) Lasciala fare.
(6) Questo nome corrisponde nel senso a tutti gli altri titoli, de quali questo povero marito onora la sua buona moglie.
(7) Immondezza.
1110.
Er Cavajjere
La mi difficortà nnun sta ssur detto
«Omo a ccavallo sepportura uperta».
(1)
Questo ar monno lo sa ppuro (2) Ciscetto (3)
che pproverbio vò ddí rregola-scerta.
(4)
Intennevo (5) sortanto cher giacchetto (6)
diede seggno de mente poco asperta (7)
ner riccontà che cquer polletro (8) in Ghetto
bbuttò ggiú lo scozzone de Caserta.
(9)
Ecco le su parole vere vere:
«Er polletro llí ar Ghetto de la Rua (10)
fesce dà un cristin terra (11) ar cavajjere».
Sha da ingozzà sta bbuggiarata sua?
Cavajjere a un scozzone de mestiere?
Che ccavajjere? er cavajjer dellua? (12)
18 marzo 1834
(1) Proverbio.
(2) Pure.
(3) Cicetto.
Vedi per la spiegazione il Son
(4) Regola certa.
(5) Intendevo.
(6) Questo vocabolo corrisponde al jockey deglinglesi, colla sola differenza che presso di noi il giacchetto è per lo più impiegato in soli servizi domestici.
(7) Esperta.
(8) Puledro.
(9) Del Principe di Caserta.
(10) Il Ghetto della Rua.
La porta principale del Ghetto degli Ebrei.
(11) Dare un cristo in terra: cadere di tutto peso.
(12) Ua: uva.
Qui sta per «zero, nulla».
1111.
Le Cantarine
Una vorta pe ssempre: In certi guai (1)
co mmé nun zaripete una saetta.
(2)
Io sò (3) amico e ccompare de Carletta, (4)
e ddiscenno (5) Carletta, ho detto assai.
Le vertüose lui? si ccasomai (6)
pò ccommannalle (7) se pò ddí a bbacchetta, (8)
perché jje fa da mmaschera e staffetta,
e dda quarcantra cosa che nun zai.
(9)
Me disce dunque lui che le Cantante,
che vviaggeno per Monno oggni momento,
vanno co un zonatore tutte quante.
(10)
Perché, indove che sò, (11) vvonno avé ttutte,
o de notte o de ggiorno, uno strumento
che jje dii cor bemollo (12) e r zorfautte.
(13)
18 marzo 1834
(1) Guai, per «subbietti».
(2) Non si ripete affatto.
La saetta è spesso un vezzo di ripiego, o una sinonimia, presso a poco come laccidente, di cui vedi la nota...
del Sonetto...
(3) Sono.
(4) Carlo..., detto Carletta, è un vecchio servo e avvisatore del Teatro della Valle, uomo anzi sfacciatello che no, famoso rubator di cani, che talora portò sventuratamente a vendere agli stessi padroni.
(5) Dicendo.
(6) Se caso mai, cioè: «quando siamo a questo discorso a un bisogno», ecc.
(7) Può comandarle.
(8) Altrove abbiamo scritto battecca, secondo la pronunzia dei più, ma bisogna far luogo anche agli errori dei pochi i quali dicono meglio.
(9) Che non sai.
Qui il nostro romanesco pare inclinato a qualche sospetto di lenocinio.
(10) Per esempio, la signora Ronzi col signor...
Sebastiani, professor di clarino, la signora Malibran col signor Carlo Bériot, professor di violino ecc.
ecc., suonatori che le accompagnavano a Roma.
(11) Dovunque sono.
(12) Dar col bimolle: assestare alcunché a tempo e luogo.
(13) Termine generale, esprimente il suono e la battuta del suono.
1112.
La prelatura de ggiustizzia
Nun ve la venno (1) mica pe ssicura,
ma ccome io puro lho ccrompata (2) adesso;
perché cciò (3) er mi gran dubbio ca un dipresso
fussi na cojjonella (4) o unimpostura.
Dicheno (5) cuno che vojji èsse (6) ammesso
pe mmano de ggiustizzia in prelatura,
avanti dannà in opera e in figura
è cchiamato, e jjincarteno un proscesso.
(7)
Io loppiggnone mia ggià vve lho ddetta:
chi vvolete che ssii tanto cojjone
da fasse (8) appiccicà cquela pescetta? (9)
Co sto proscesso sai quante perzone
invesce dabbuscà (10) la mantelletta
saríeno asposte (11) a tterminà in priggione.
19 marzo 1834
(1) Vendo, ma qui sta per «dico».
(2) Comperata, per «udita».
(3) Ci ho.
(4) Una beffa.
(5) Dicono.
(6) Essere.
(7) Allude al processo che sostengono coloro che aspirano ad una prelatura non di grazia.
In questo processo su esaminano i meriti personali, il sangue della progenie, la condizione, e più di tutto il censo del candidato.
Ma poi tutto va come può.
(8) Farsi.
(9) Appiccicare una pecetta sarebbe come «applicare un cataplasma di dubbia azione».
(10) Buscare.
(11) Sarebbero esposte.
1113.
Er Prelato de bbona grazzia
Ciò (1) er momoriale che mme fu arimesso
dar Zanto-Padre a mmonziggnor Ciafrella? (2)
Bbe, jjeri mincontrai propio in lui stesso
sotta la casa de Maria Fichella.
Subbito curro e mme je faccio appresso.
Dico: «Eccellenza, io sò (3) cquer tar Panzella
che vorebbe sapé ccosè ssuccesso
de quela grazzia si ppotessi avella».
(4)
Lui prima me squadrò cco locchialino;
eppoi co ccerti termini sguajati
marispose: «Lei vadi ar zu cammino».
E io: «Saette a ttutti li prelati,
monziggnore mio caro, e mme jinchino:
mejjo soli che mmal accompaggnati».
22 marzo 1834
(1) Ci ho: ho.
(2) Ciabatta.
(3) Sono.
(4) Se potessi averla.
1114.
Er Curato e r Medico
E ha rraggione er curato.
Ar zor dottore
je sta bbene de dí cche laccidente (1)
cammazzò cquer prelato su criente
jè arincressciuto e jjha ttrafitto er core.
La cosa va da sé.
Ssi (2) Mmonziggnore
nun aveva sta su presscia fetente (3)
poteva in vita avé ccommodamente
venti o ttrentantre (4) mmalatie mijjore.
Er discorzo, pe un medico, cammina:
ma un Curato è ddiverza; (5) e llui vorebbe
che mmanco (6) se trovassi (7) mediscina.
Perché, mmettemo (8) nun ze dassi (9) frebbe (10)
da morí, bbona sera Caterina: (11)
un Curato, per dio, che (12) mmaggnerebbe?
18 marzo 1834
(1) Apoplessia.
(2) Se.
(3) Fetente, aggiunto che si usa ad esprimere qualunque qualità riprovevole.
(4) Altre.
(5) Intendi come dicesse: «Ma la circostanza di un curato è diversa».
(6) Manco, un senso di «né manco, né anche».
(7) Si trovasse.
(8) Supponiamo.
(9) Non si dasse.
(10) Febbre.
(11) Frase risolutiva di una quistione.
(12) Cosa.
1115.
Li bbeccamorti
E ccaffari vòi fà? ggnisuno more:
sto po daria cattiva è ggià ffinita:
tutti attaccati a sta mazzata vita...
Oh vva a ffà er beccamorto con amore!
Povera cortra (1) mia! sta llí ammuffita.
E ssi (2) vva de sto passo, e cqua er Ziggnore
nun allúmina un po cquarche ddottore,
la profession der beccamorto è ita.
Lannata bbona fu in ner disciassette.
(3)
Allora sí, in sta piazza, era un ber vive, (4)
ché li morti fioccaveno a ccarrette.
Bbasta...; chi ssa! Mmatteo disse jjerzera
cun beccamorto amico suo je (5) scrive
che ccè cquarche speranza in sto Collèra.
18 marzo 1834
(1) Coltre.
(2) E se.
(3) Nel 1817, anno del tifo petecchiale.
(4) Era un bel vivere.
(5) Gli.
1116.
Er boja
Er guajo (1) nun è mmica che cqui oggnanno
ar Governo (2) nun fiocchino (3) proscessi:
li delitti, ppiú o mmeno, sò listessi, (4)
e, ppe ggrazzia de Ddio, sempre se (5) fanno.
Ecchelo (6) er punto indove sta er malanno:
che mmó li ggiacubbini se sò (7) mmessi
drenta li loro scervellacci fessi (8)
cher giustizzià la ggente è da tiranno.
Nò ccabbino (9) li preti stoppiggnone: (10)
sempre però una massima cattiva,
dàjje, dàjje, (11) la fa cquarchimpressione.
E accusí, ppe llassà (12) la ggente viva
sinnimmicheno er boja, chè er bastone
de la vecchiaja de li Stati.
Evviva!
18 marzo 1834
(1) Il guaio: la sventura.
(2) Il Governo è qui inteso pel «Palazzo della Giustizia», chiamato con quel nome.
(3) Non abondino.
(4) Sono nello stesso numero.
(5) Si.
(6) Eccolo.
(7) Si sono.
(8) Stravaganti.
(9) Non già che abbiano, ecc.
(10) Questa opinione.
(11) Dàgli dàgli: a forza di operare col ripetersi frequente.
(12) E così, per lasciare.
1117.
Li muratori
Vedi quann (1) er demonio nun ha ggnente
da penzà a ccasa sua, si cche (2) ffervori
pe rruvinà nnoantri (3) muratori
fa vviení ne la testa de la ggente!
Sha da inventà un Oremus propiamente
per terremoto! chè un po de vapori
che sse (4) vònno fà strada pe usscì ffori,
cosa siggnoriddio tantinnoscente!
E ccome fussi (5) poco, sha da mette (6)
sti filacci de ferro in oggnartura, (7)
pe rroppe li cojjoni (8) a le saette!
Cristo! lo capirebbe una cratura: (9)
co tutte stinvenzione mmaledette
nun ze (10) chiama un peccà ccontro natura?
19 marzo 1834
(1) Quando.
(2) Se quali.
(3) Noi altri.
(4) Che si.
(5) Fosse.
(6) Da mettere.
(7) Ogni altura.
(8) Per rompere i coglioni alle, ecc.: per infastidire le, ecc.
(9) Creatura.
(10) Non si.
1118.
Er matarazzaro
Ciamancàvio (1) mó vvoi, sori cazzacci,
co sti vostri segreti e cciafrujjetti (2)
pe distrugge (3) le scímisce (4) e llinzetti
drenta li matarazzi e a li pajjacci.
(5)
Pe vvoantri (6) saranno animalacci,
ma ppe cchi ccampa cor rifà li letti
le scimisce pe llui sò animaletti
che Ddio laccreschi e cche bbon pro jje facci.
Nun è nné er primo caso né er ziconno,
che un letto pe ddu vorte in unannata
sè avuto darifà (7) dda capa ffonno.
Pe cquesto la bbonanima de Tata (8)
rifascenno (9) li letti co mmi Nonno,
sce lassava (10) una scímiscia agguattata.
(11)
19 marzo 1834
(1) Ci mancavate.
(2) Ciafruglietti: imbroglietti, cianciafruscole.
(3) Per distruggere.
(4) Cimici.
(5) Pagliericci, sacconi.
(6) Voi altri.
(7) Si è avuto a rifare.
(8) Mio padre.
(9) Rifacendo.
(10) Ci lasciava.
(11) Nascosta.
1119.
LOmbrellari
Che bbelli tempi, sí! cquanti sò (1) ccari!
More (2) de fonghi tu e li tempi bbelli.
Cristo! nun piove mai! Dílli fraggelli
sti mesi assciutti, e nnu li dí ggennari.
Se discorre (3) che nnoi in tre ffratelli
che ttenemo bbottega dombrellari,
drenta ddu mesi cqui a li Bbaullari, (4)
nun zè aggiustato cotto nnove ombrelli.
Sto novembre, ar vedé llarco-bbaleno (5)
je lo disse (6) a mmi mojje tale cquale:
«Accidenti, Mitirda! (7) ecco er zereno!».
E mmarispose lei: «Bbrutto seggnale!
ché ppe nnoi sce vorebbe arménarméno
rivienissi (8) er diluvio univerzale».
19 marzo 1834
(1) Quanto sono.
(2) Mori.
3Si discorre, nel senso di «si tratta».
(4) Contrada quasi esclusivamente popolata da fabbricatori e racconciatori di bauli, valigie ed ombrelle.
Si sa che anticamente i corpi darte usavano di stabilirsi presso che tutti in comunione di residenza, come erano uniti in sodalizi, fonte dintolleranze, di privilegi esclusivi e di nocumento alla società.
(5) Lapparizione delliride è sempre un miracolo promettitore di serenità, episodio storico della gran tregua fatta da Dio con Noè dopo a cento giorni, ai quali successe la prima restaurazione, diversa alquanto da quella venuta poi dietro ai cento giorni di Bonaparte.
(6) Dissi.
(7) Matilde.
(8) Rivenisse.
1120.
Er zonetto pe le frittelle
Se vede bbe (1) cche ssei poveta, e vvivi
co la testa in ner zacco.
Er friggitore
che cquestanno ha er concorzo er piú mmaggiore
e nnun cè ffrittellaro che larrivi,
è Ppadron Cucchiarella.
Ôh, ddunque, scrivi
un zonetto pe llui, tuttin onore
de quer gran Zan Giuseppe confessore,
protettor de li padri putativi.
(2)
Cerchelo longo, (3) e nun compone (4) quello
che ffascessi (5) lantranno (6) a Bbariletto
e ttrovassi (7) in zaccoccia a ttu fratello.
Ner caso nostro sce voría (8) un zonetto
a uso de lunario, da potello (9)
stampà in fojjo, e, cchi vvò, ppuro a llibbretto.
(10)
19 marzo 1834
(1) Si vede bene.
(2) Nel giorno di San Giuseppe sposo della Vergine, i cosí detti friggitori sfoggiano gran pompa ed appendono alle loro adobbate trabacche sonetti e anacreontiche, in onore di San Giuseppe e delle loro frittelle.
Non è raro il veder queste paragonate fino alle stelle del firmamento.
Né come può credersi il poeta vi manca pur mai alle lodi del frittellaio che gliene fa gustare in onorata mercede di ascrei sudori.
Attalché di un tal friggitare Gnaccherino ebbesi una volta ad udire non esservi che «Un Sole in cielo e un Gnaccherino in terra».
(3) Cercalo lungo.
(4) Comporre.
(5) Facesti.
(6) Laltranno.
(7) Trovasti.
(8) Ci vorrebbe.
(9) Poterlo.
(10) Lunarj in foglio e lunarj a libretto: è il grido de venditori de lunari, chiamati i Bugiardelli.
1121.
Er mercato de piazza Navona
Cher mercordí a mmercato, ggente mie,
sce siino ferravecchi e scatolari,
rigattieri, spazzini, (1) bbicchierari,
stracciaroli e ttantantre marcanzie,
nun cè ggnente da dí.
Ma ste scanzìe
da libbri, e sti libbracci, e sti libbrari,
che cce vienghena ffà? ccosa scimpari
da tanti libbri e ttante libbrarie?
Tu ppijja un libbro a ppanza vòta, e ddoppo
che llhai tienuto pe cquarcora in mano,
dimme (2) shai fame o sshai maggnato troppo.
Che ppredicava a la Missione er prete?
«Li libbri nun zò rrobba da cristiano:
fijji, pe ccarità, nnu li leggete».
20 marzo 1834
(1) Venditori di minuti oggetti, per lo più pertinenti al vestiario muliebre, od a loro lavori.
(2) Dimmi.
1122.
Li studi
Cipicchio, er Correttor (1) der Zeminario,
ggniquarvorta me trova, maripete:
«Fijjo, in qualunque stato che vvoi sete
limparà cquarche ccosa è nnescessario».
Pe ste raggione io mó studio er lunario,
e cciò (2) imparato ggià cche le pianete
cha ssu la panza e ssu la schina er prete,
nun ze pò dîlle (3) un zemprisce (4) vestiario.
Trovo a bbon conto in ner lunario mio
scerti (5) pianeti: e nnun zaranno fiaschi
cabbi abbottati in paradiso Iddio.
Quannè accusí, da sti pianeti maschi
e ste pianete femmine, dichio,
quarche ccosa bbisoggna che ne naschi.
21 marzo 1834
(1) Colui che amministra le sferzate agli scuolai.
(2) Ci ho.
(3) Non si può dirle.
(4) Un semplice.
(5) Certi.
1123.
Er carzolaro
Antro (1) che nnobbirtà! Cchiunque guitto
cqui ha mmessa pparte un po de bbajocchella, (2)
subbito, aló, carrozze ccarrettella,
e a la ppiú ppeggio la pijja in affitto.
Tre ggiorni Papa io, dio serenella! (3)
te je vorrebbe appiccicà un editto
che in ner papato mio fussi dilitto
reo de morte lannà ppuro in barella.
Cristo le scianche (4) ve lha ffatte rotte?
Marceno (5) in grabbiolè (6) llantranimali?
Camminate da voi, bbrutte marmotte.
Lommini, o ricchi o nnò, ssò ttutti uguali:
dunque a ppiede, fijjacci de miggnotte, (7)
e llograte le scarpe e li stivali.
21 marzo 1834
(1) Altro.
(2) Denari.
(3) Esclamazione insignificante.
(4) Cianche, per gambe.
(5) Marciano.
(6) Cabriolet.
(7) Bagasce.
1124.
Lo stracciarolo
Lo stracciarolo a vvoi ve pare unarte
da fàlla (1) bbene oggnuno che la facci?
Eppuro ve so ddí, ssori cazzacci,
che vierebbe in zaccoccia (2) a Bbonaparte.
La fate accusí ffranca er metta pparte
co unocchiata li vetri e li ferracci,
a nnun confonne (3) mai carte co stracci,
e a ddivide (4) li stracci da le carte?
Nun arrivo a ccapí ccoma sto Monno
sha da sputà ssentenze in tuttequante
le cose, senza scannajjalle a ffonno.
Prima de dí: cquer tar Papa è un zomaro,
o cquer tar stracciarolo è un iggnorante,
guardateli a Ssampietro e ar monnezzaro.
(5)
22 marzo 1834
(1) Farla.
(2) Venire in saccorcia è fratel carnale di «entrare in tasca».
(3) Confondere.
(4) Dividere.
(5) Chacun à sa place, direbbe il francese.
Monnezzaro, per «immondezzaio»: come monnezza, per «immondezza».
1125.
Er zervitor de piazza
Quer fijjo mio chè sservitor de piazza
e ssingeggna un tantin de Sciscerone,
fa una vita in sti mesi che ssammazza,
e mmanco ha ttempo de maggnà un boccone.
E lIngresi dadesso sò una razza
ma una razza de lappe bbuggiarone,
che ppe un scudaccio ar giorno ve strapazza
come le case che ppò avé a ppiggione.
E a Ssampietro! e a Ssampavolo! e ar Museo!
mó a Ccampidojjo! mó a la Fernesina! (1)
e ccurre (2) ar Pincio! e ccurre a Culiseo!...
Cominceno, pe ccristo, la matina
a la punta dellarba, sor Matteo,
e vviè nnotte cancóra se cammina.
22 marzo 1834
(1) La Farnesina: piccola villetta con palazzetto dirimpetto al Palazzo Farnese, al di là però del Tevere, sopra il quale quella ricca famiglia meditava di gettare un ponte, onde unire cosí i due corpi di fabbrica.
In questa cosí-detta Farnesina si vede la famosa Galatea, la favola di Psiche, ed altri freschi di Raffaello.
(2) Corri.
1126.
La serva der Cerusico
Nun cè er padrone: ha avuta una chiamata
pe ccurre (1) a ffà ar momento na sanguiggna,
a Ppasquino (2) a na poverammalata,
cho intesa ddí cche ssii frebbe (3) maliggna.
Eppoi pijja un straporto (4) e vva a na viggna
for de na scerta (5) porta chè sserrata, (6)
a ccurà na cratura co la tiggna,
che da un mese nun lha ppiú vvisitata.
A pproposito!...
oggi entra carnovale!
Ebbè, vvoi lo trovate a or de (7) Corza (8)
drento da Scesanelli (9) lo spezziale.
Ché oggnanno in quer frufrú (10) dde la ripresa
quarche ddisgrazzia ha daccadé ppe fforza,
e ppe ggrazzia de ddio sè ssempre intesa.
(11)
22 marzo 1834
(1) Correre.
(2) Sulla Piazza di Pasquino.
(3) Febbre.
(4) Trasporto.
(5) Certa.
(6) Le porte disusate di Roma sono la Pinciana, la Fabbrica e la Castello, la prima sotto il Pincio, la seconda presso la Fabbrica di S.
Pietro in Vaticano, e la terza accanto alle fosse del Castello, già Mausoleo di Adriano.
(7) A or de: ad ora di, ecc.
(8) Corsa.
(9) Questo farmacista Cesanelli, notissimo per le sue prugne purgative (chiamate volgarmente le bbruggne de Scesanelli), ha il suo laboratorio al punto della ripresa de barberi.
(10) Frufrù: tumulto, confusione.
(11) Udita, vedi la nota 5 del Sonetto
1127.
Er fico fresco
Ggirava un viggnarolo oggi a mmercato
co un fico fresco in mano.
«Ohé», jjho ddetto,
dico: «quanto ne vòi?».
Disce: «Un papetto».
(1)
Dico: «Un papetto solo?! È arigalato».
(2)
Quattro lustrini (3) un fico, si bbrusciato!
du ggiuli un fico, ladro mmaledetto!
Eh cquanno abbi lui vojja dun fichetto, (4)
je lo do auffa (5) io ppiú a bbommercato.
Eppuro (6) sce sè ttrovo (7) llí un zomaro
che mme sfrusciava: (8) «Oh, nnun è ccaro mica:
uh, in sta staggione nun è ggnente caro».
Io lo capisco che cce vò ffatica
pe ttrovà un fico fresco de ggennaro;
ma cco un papetto ciài puro una fica.
22 marzo 1834
(1) Papetto: moneta dargento da due paoli.
(2) È regalato.
(3) Quattro lustrini: quattro grossi: due paoli.
(4) Fichetto: scherzo che si fa altrui prendendogli il mento fra il pollice e il medio, e premendogli intanto le labbra con lindice.
(5) A ufo.
Vedi la nota...
del Sonetto...
(6) Eppure.
(7) Ci si è trovato.
(8) Mi annoiava.
1128.
Er veramore
Dio nun vojji, ma er birbo me cojjona.
Se chiama modo er zuo de fà lamore?
Se conossce a li seggni de bbon core
er bene che vve porta una perzona.
Specchiateve in quer bravo Monziggnore
che vvò bbene davero a la padrona:
guasi nun passa vorta che llui sona
che nnun porti un rigalo de valore.
Ce vò antro (1) che smorfie de la monna!
Fatti, e nnò cciarle, fatti hanno da èsse (2)
pe mmette (3) in quiete er core duna donna.
Un omo che vvabbòtta de promesse
che ffinischeno in zero, è cchiare ttonna
che ttutto er zu finaccio è llinterresse.
21 marzo 1834
(1) Ci vuol altro.
(2) Essere.
(3) Mettere.
1129.
Li rimedi simpatichi (1)
[Sonetti 4]
1°
Sio nun càpito llí a la vemmaria, (2)
era antro male er zuo che de sciamorro! (3)
E llei te posso dí cche ssio nun corro
laveva fatta la cojjoneria.
Io parlo de la su iggnoranteria:
de la su imprudentezza io te discorro.
Thai da penzà (4) cche sse (5) legava un porro
co la seta color-come-se-sia! (6)
Subbito je strillai: «Fermete, Nena: (7)
cosa te vai scercanno (8) co stacciaccia (9)
de seta, un tantinel de cancherena? (10)
Nun zentissi (11) er Cerusico dArtèmis (12)
come ridenno (13) te lo disse in faccia?
Pe li porri sce vò (14) la seta cremis».
(15)
22 marzo 1834
(1) Fra glinnumerevoli rimedii, di virtù simpatica, i quali esercitano la fede popolaresca, sonosi scelti i pochi seguenti, per darne un breve saggio anche in ciò del grado cui sono tuttora discese le umane cognizioni.
(2) AllAve Maria.
(3) Cimurro.
(4) Hai da riflettere.
(5) Si.
(6) Di colore qualunque: indeterminato.
(7) Fermati, Maddalena.
(8) Ti vai cercando.
(9) Acciaccia, peggiorativo di accia, che in Roma è una gugliata di filo o simile.
(10) Cancrena.
(11) Non sentisti, per udisti.
(12) Altemps, casa ducale di Roma.
(13) Ridendo.
(14) Ci vuole.
(15) La seta di color chermisi o cremisi.
1130.
Li rimedi simpatichi
2°
E ppe cquattro moroide, (1) Caterina,
ce sudi da la pena a ggoccia ggoccia?!
E tte vòi rotolà ssera e mmatina
sopra sto letto tuo comuna bboccia?!
Ecchete (2) cqua na castaggna porcina: (3)
tu pportela (4) co tté ssemprin zaccoccia:
ma nun thai da straccà: ttieccela, Nina, (5)
e tte dichio cher male te se scoccia.
(6)
Tu ppropio vederai che tte lincanta,
e jjaverai daccenne le cannele (7)
peggio che ffussi (8) er quadro duna Santa.
Io cor zegreto mio de ste castaggne
ner tempo che ssò stata a Ssammicchele (9)
ciò arifiatato (10) un monno (11) de compaggne.
22 marzo 1834
(1) Emoroidi.
(2) Eccoti.
(3) Castagna...
(4) Portala.
(5) Tiencila, Caterina.
(6) Scocciare, vale: «cavare altrui il ruzzo: «domare».
Qui, «il male ti si fa docile».
(7) Accendere le candele.
(8) Fosse.
(9) La casa di correzione.
(10) Ci ho ricreate, sollevate.
(11) Un mondo.
1131.
Li rimedi simpatichi
3°
Lei bbene; ma a la pupa, (1) poverella,
su la muscola propio der nasino
je sè scuperta una vojja de vino
che ppare usscito mó dda la cupella.
(2)
Ma ggià ho ddetto che ppijji una padella
cabbi (3) fritto un bon anno sur cammino,
e cce la facci (4) strufinà un tantino
oggni sera pe mman duna zitella.
E llho ppuro avvisata che nun giova
quela strufinatura, si oggni vorta
nun ce saddopra una zitella nova.
Però sta cosa a llei nun je nimporta,
pe vvia che (5) de zitelle se ne trova
da fanne (6) quer che vvòi drentoggni porta.
22 marzo 1834
(1) Bambina.
(2) Coppella: è a Roma piccolo vaso di legno della figura del barile.
(3) Che abbia.
(4) Faccia.
(5) Per via che: imperocché.
(6) Da farne.
1132.
Li rimedi simpatichi
4°
Locchio è un coso de carne che cce vede,
quanno scè er lume, e sta ddrenta na fossa.
Ecco spiegato quer che tte succede
pe sta frussione tua che tte sè smossa.
(1)
Mó vvenímo ar rimedio chè dde fede.
Tu appiccíchete (2) un pezzo dostia rossa
sopra le tempia; e cquesto nun pòi crede (3)
come tira lumore chè in dellossa.
Si ppoi fussi (4) orzarolo (5) e nnò ffrussione,
se cusce locchio: ciovè, (6) nun ze cusce,
ma sse disce pe un modo daspressione.
(7)
Abbasta de pijjà llaco infilato
e ffiggne (8) de cuscí, tte saridusce (9)
lorzarolo (10) che ssubbito è ppassato.
23 marzo 1834
(1) Ti si è suscitata.
(2) Appíccicati.
(3) Non puoi credere.
(4) Se poi fosse.
(5) Orzaiuolo, detto anche orzuolo.
(6) Cioè.
(7) Espressione.
(8) Fingere.
(9) Ti si riduce.
(10) Sottintendi qui: ad un punto: ad un punto che, ecc.
1133.
Linvetrïata de carta
Era du ora, e stavo ar mi bbanchetto
a ccuscí un tacco a una sciavatta (1) fina,
quanto...
bbún! ssento un botto a la vetrina, (2)
eppoi: «Se pò appiccià (3) sto moccoletto?».
Io do un zarto (4) e cchedè?! (5) vvedo un pivetto (6)
tutto-quanto impiastrato de farina,
che sse (7) sporge co un pezzo de fasscina
tra li fojji (8) stracciati, inzino ar petto.
Marzo, (9) agguanto (10) una forma, apro, esco fora,
vedo una cosa bbianca, e, incecalito, (11)
do una formata in testa a una siggnora.
Lei fa uno strillo: io scappo; ma er marito
marriva, e mme ne dà, cristo!, cancora
me sce sento er groppone indormentito.
27 marzo 1834
(1) Ciabatta.
(2) Bussola della bottega.
(3) Accendere.
(4) Salto.
(5) Che è? cosè? (6) Un fraschetta.
(7) Si.
(8) Fogli.
(9) Malzo.
(10) Afferro.
(11) Abbacinato.
1134.
Er Re e la Reggina (1)
Li Romani, nun feta (2) una gallina,
nun pisscia un cane, e nnun ze move un pelo,
che jje pare che ssii la marmottina
tutta legata ggiorno in dun camelo.
(3)
Chi è sta patanfrana (4) de Reggina!
la sora Pocalissa der Vangelo?!
Chi è sto Re! cquarche bbestia turchina?!
quarche ffetta de Ddio sscesa dar celo?!
Currete, sí, ccurrete, pettirossi, (5)
che ttroverete du cosette rare:
che vvederete un par de pezzi grossi.
Lavete visti? Ebbè? cche vve ne pare?
Chi (6) antro (7) mostro scè cche cce la possi
pe le chiappe (8) der monno e in cular mare?
23 marzo 1834
(1) Il Re e la Regina vergine di Napoli.
(2) Fetare, colla prima e stretta, viene dal vocabolo «féto».
La lingua illustre manca di questa verbo, che corrisponde perfettamente al pondre dei Francesi.
(3) Cammeo.
(4) Patanflana: grossa donna: benché la povera regina vergine non abbia carne da vendere.
(5) Il pettirosso, uccello la cui curiosità proverbiale lo mette nelle insidie del cacciatore.
(6) Quale.
(7) Altro.
(8) È lepidezza del volgo il divider la terra nelle quattro chiappe del mondo.
1135.
Er re Ffiordinanno (1)
È aritornato a Rroma sto malanno
der re der reggno de le du Sscescijje, (2)
nipote de quelantro Fiordinanno
che ccottivava (3) li merluzzi e ttrijje.
(4)
E ccià (5) cco llui (6) la mojje sua, quer panno
lavato, (7) che nun fa ffijji, né ffijje,
perché er marito jarigàla (8) oggnanno
trescenzessantascinquo ssei viggijje.
(9)
Tu me dimannerai pe cche mmotivo
lui la tiè ttrenta e ttrentun giorno ar mese
senza métteje (10) in corpo er zemprevivo.
(11)
A sta dimanna io tarisponno, Antonia,
quer channo scritto ar Palazzo Fernese: (12)
CASA DER BABBILANO (13) IN BABBILONIA.
(14)
18 maggio 1834
(1) Ferdinando.
Passò in Roma la settimana santa del 1834.
(2) Cecilie, per «Sicilie», molto vicino vocabolo allantico Cicilie.
(3) Di questo verbo vedi la nota...
del Sonetto...
(4) Si narra che Ferdinando, IV, III e I, avo del Re attuale, si dilettasse di fare pubblicamente il pesciaiuolo, e che una volta, nel calore simulato di un certo contratto con un suo cortegiano, si prendesse un pesce sul muso.
(5) Ci ha.
(6) Con sé.
(7) Panno lavato, dicesi di persona assai pallida.
(8) Gli (le) regala.
(9) Come narra Boccaccio di ser Ricciardo da Chinzica alla sua bella pisana.
(10) Mettergli, per «metterle».
(11) Semprevivo.
Vedine il senso fra i nomi del sonetto...
(12) Palazzo Farnese in Roma, appartenente alla casa di Napoli.
(13) Babilano: uomo impotente a generare.
(14) Si vuole che realmente si trovasse questa satira alla porta del palazzo.
Babilonia prendesi per «confusione», come Babel.
Si vuole che Roma sia significata nellApocalisse sotto questa allegoria: e quindi molti scrittori così la chiamarono.
1136.
Romantiche mmoderna
Romantiche mmoderna! E a li libbrari
cqua jjè lléscito un libbro de sto nome?
Eh ccamminate via, bbestie da some,
pe nnun dàvve (1) er diproma de somari.
Romantiche mmoderna! Propio cari!
Ma in che ccervello ha da sartà! mma ccome!
drentar monno sce só ddunque du Rome?!
Oh ddatela pe ggionta a li lunari.
Romantiche mmoderna! oh cquestè bbella!
Mó adesso Roma sè ffattunamica!
Ma ssuna è cquesta cqua, lantra indovella? (2)
Bbravi! Roma moderna, e Rromantica!
Sarebbe coma ddí: «Vostra sorella
lo pijja ne la freggna e nne la fica».
23 marzo 1834
(1) Darvi.
(2) Laltra dovè ella?
1137.
Er Tesoriere bbonanima (1)
Monziggnor Tesoriere chè ccrepato,
quanno stava a la stanga der timone (2)
e mmaggnava su ttutte le penzione, (3)
le gabbelle, lapparti e r mascinato; (4)
volenno (5) fà una bbona confessione
(ché da un pezzo nun zera confessato)
se naggnede (6) da un prete sganganato (7)
drentin ne lOratorio a la Missione.
(8)
Mentre sputava li su rospi, in chiesa
sce se trovava un povero cristiano
caveva avuto un torto in ne lImpresa.
(9)
Come stomo che cqua (10) vvedde (11) er gabbiano (12)
der confessore co la mano stesa,
«Nu lassorve», (13) strillò: «fferma la mano!».
24 marzo 1834
(1) Il Tesoriere morto.
Fu realmente monsignor Belisanio Cristaldi, e laltro suggetto di cui qui sotto si parla, un tal Baracchini.
(2) Alla direzione degli affari.
(3) Pare che legregio prelato, a sentimento del nostro Romanesco, volesse far rivivere il Date obolum Belisario.
Noi non siamo del suo maligno avviso.
Crediamo però che se veramente lantico Belisario andò orbato degli occhi del corpo, il nuovo non godesse di que della mente.
(4) E il macinato: dazio sulla macinatura del frumento.
(5) Volendo.
(6) Se ne andò.
(7) Sgangherato, per «decrepito».
(8) Nelloratorio de Signori della Missione.
(9) Quando si nomina assolutamente lImpresa, sintende a Roma sempre quella de Lotti.
(10) Semplicemente questuomo.
Il che qua, che qui, sono pleonasmi usatissimi da Romaneschi.
(11) Vide.
(12) «Gabbiano», per «balordo, gocciolone»: la dupe de Francesi.
(13) Non lassolvere.
1138.
Er nome de li Cardinali
Cè cchi intiggna (1) che cqua li Cardinali
anticamente se chiamorno (2) Cardi,
e cche ddoppo, li Papa un po ppiú ttardi
jaggiontorno quer termine de Nali.
Ar contrario se (3) troveno antri (4) tali
che incòcceno che quelli sò bbusciardi; (5)
e sto nome nun vonno che sse guardi
come scriveno mó li scritturali.
Dicheno car principio li Cristiani,
nun ze sa ppe cche ssorte de raggione
li chiamorno accusí: li Ladri-cani.
(6)
Ma ppoi co limbrojjà la riliggione,
quelle lettre, un po oggi e un po ddomani,
simpicciorno, e nne viè sta cunfusione.
24 marzo 1834
(1) I verbi romaneschi intignare e intignarsi, incocciare e incocciarsi corrispondono al toscano «incaponire» e «incaparbire», imperocché oltre al medesimo significato di «ostinarsi» ritengono un sé anche della parola materiale, la coccia equivalendo al capo, e la tigna essendo una pertinenza di questo, anchessa molto bene ostinata nel suo domicilio.
(2) Si chiamarono.
(3) Si.
(4) Altri.
(5) Bugiardi.
(6) Anagramma purissimo di Cardinali.
1139.
Le parte der Monno
Pippo, (1) Nicola, Gaspero, Rimonno, (2)
Giammatista, (3) Grigorio, Furtunato,
currete a ssentí ttutti si sse ponno (4)
spaccià ccojjonerie ppiú a bbommercato.
Er monno, ggente mie, nun è ppiú ttonno:
nun è ppiú ffatto in quattro parte.
È stato
scuperto adesso chè vvienuto ar monno
n antro (5) pezzo de monno appiccicato!
Va (6) cche sto quinto quarto channo trovo, (7)
o sse lo sò inzoggnato, (8) o llhanno visto
collocchio ar búscio (9) in quarche Mmonno-novo? (10)
E ha da èsse (11) accusí: pperché, ppe ttristo, (12)
si ppurcini sce sò (13) ddrenta stantr (14) ovo,
dovería (15) rincarnasse (16) Ggesucristo.
25 marzo 1834
(1) Filippo.
(2) Raimondo.
(3) Giambattista.
(4) Se si possono.
(5) Un altro.
(6) Va: formula delle scommesse: Va, vada, ecc.
Qui sta per «Volete scommettere che questo quinto quarto», ecc.
(7) Trovato.
(8) Lo hanno sognato.
(9) Buco.
(10) Nota Camera-ottica.
(11) E devessere.
(12) Per tristo, modificazione di giuramento usata dai più scrupolosi.
(13) Se pulcini ci sono.
(14) Questaltro.
(15) Dovrebbe.
(16) Rincarnarsi.
1140.
Er fornaro
Er lacchè dder ministro San-Tullera, (1)
pe ddà a vvedé cchè una perzona dotta,
disce ca Ffrancia accanta na paggnotta
ce nassce un omo (2) e cche sta cosa è vvera.
Mettétela addrittura in zorbettiera (3)
sta cazzata, (4) e soffiatesce ché scotta.
Dunque un omo chedè? (5) na melacotta,
un fico, na bbriccocola, (6) na pera?!
Pe cquantanni sò scritti in ner lunario
da sí ccAdamo se strozzò (7) cquer pomo,
nun zè vvisto accadé tutter contrario?
Lui nun parli co mmé cche ffo er fornaro.
Che nnaschi una paggnotta accanta un omo
sò cco llui, (8) ma cquellantra è da somaro.
25 marzo 1834
(1) Sainte-Aulaire.
(2) A côté dun pain il naît un homme.
Proverbio francese, allusivo allaumento di popolazione proporzionata a quella delle sussistenze.
(3) Allorché si ascolta un fatto incredibile si dice: Mettetela al fresco: soffiateci.
(4) Questa stoltezza.
(5) Che è? cosè? (6) Albicocca.
(7) Singollò.
(8) Son con lui, cioè: «del suo avviso».
1141.
La fanga (1) de Roma
Questa? eh nnemmanco è ffanga.
Pe vvedella
sha dannà (2) a li sterrati a ppiazza Poli
indovabbito io; ché ssi (3) nun voli
ce trapassi in barchetta o in carrettella.
Ce fussi armeno un po de serciatella
attornattorno, quattro serci soli,
da mette er piede e annà ssotta li scoli
de le gronnàre! (4) ma nemmanco quella.
Pe rricrami (5) ne fàmo (6) oggni tantino;
e allora ècchete (7) dua cor un treppiede
un cannello collacqua e un occhialino.
E a sti scannajji (8) tu cce pijji fede:
ebbè, sò (9) ggià ddiescianni cor cudino (10)
e la serciata ancora nun ze vede.
28 marzo 1834
(1) Fango.
(2) Andare.
(3) Se.
(4) Grondaie.
(5) Reclami.
(6) Facciamo.
(7) Eccoti.
(8) Scandagli.
(9) Sono.
(10) Dieci anni con una appendice.
1142.
Li Croscifissi der venardí-ssanto
Seggna: (1) uno er Croscifisso a Ssan Marcello, (2)
dua quello de li Padri Passionisti,
tre er Cristo der Gesú: (3) poi doppo ho vvisti
li dua der Pianto (4) e dder Zarvatorello, (5)
che ffanno scinque: eppoi la Morte, (6) e cquello
der Culiseo.
(7) Dunquio, tra bboni e ttristi,
ho vvisitato sette Ggesucristi: (8)
er conto è cchiaro pe cchi ttiè ccervello.
Eppoi, guarda: io sò usscito co un carlino: (9)
a oggni Croscifisso jho bbuttato
un bajocco in ner zòlito piattino:
e mmó ddrentin zaccoccia mè arrestato
mezzo bbajocco,...
ebbè, ssor chiacchierino,
quanti Nostrisiggnori ho vvisitato?
28 marzo 1834
(1) Conta.
(2) Chiesa de Servi di Maria, chiamati per altro i PP.
Serviti, che è alquanto diverso da servi.
(3) Chiesa-madre della Compagnia abolita da Clemente XIV.
(4) Chiesa quasi a contatto col Ghetto degli Ebrei, dove accade annualmente la famosa disputa della dottrinella del Bellarmino, e si elegge lImperatore della dottrina cristiana.
Questo Monarca chiede per lo più al suo cugino il Papa pane e vino per tutta la vita.
(5) Chiesuola aderente al Palazzo della Polizia.
(6) Chiesa di S.
Maria dellorazione e morte di Roma (Dio guardi).
È uficiata dalla Archiconfraternita che cerca i morti per le campagne, e dà loro sepoltura onde possano passare la barca dellaltro mondo.
(7) Nel Colosseo esiste una Via-Crucis e un gran Cristo-in-croce, venerato un una cappelletta a cui è addetto un romito, che talora non passa pel miglior galantuomo di questo mondo.
Fu detto a un buon computista: «Madamigella Garnerin medita un volo aerostatica dal Colosseo, che ristaurerà se ne ottiene licenza.
«Non è questa la difficoltà», rispose il ragioniere; «ma la licenza non gliela daranno per rispetto della Santa Via-Crucis.
(8) Dopo sette viene lIndulgenza plenaria.
(9) Baiocchi sette e mezzo.
1143.
Er copre-e-scopre
Sor don Tobbía, ma cche vvor dí che cquanno
entra la sittimana de Passione
voantri (1) preti fate sta funzione
daricoprí le crosce cor un panno?
Tenete Ggesucristo tutto lanno
sopra cquer zanto leggno a ppennolone, (2)
e mmó che ssaría frutto de staggione
ve sciannate (3) a ppijjà ttutto staffanno?
Si Ggesucristo more, poverello,
che ccentra quelo straccio pavonazzo
che jje sce fate fà a nnisconnarello?
Zitto, nun ho bbisoggno de sapello.
Questo vor dí cche nun avete un cazzo
da penzà, ppreti mii, for car budello.
29 marzo 1834
(1) Voi altri.
(2) A pendolone: penzoloni.
(3) Vi ci andate.
...
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