SCRITTI LETTERARI, di Leonardo da Vinci - pagina 4
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23.
Il noce mostrando sopra una strada ai viandanti la ricchezza de' sua frutti, ogni omo lo lapidava.
24.
Il fico stando sanza frutti, nessuno lo riguardava; volendo, col fare essi frutti, essere laldato da li omini, fu da quelli piegato e rotto.
25.
Stando il fico vicino all'olmo, e riguardando i sua rami essere sanza frutti, e avere ardimento di tenere il sole a' sua acerbi fichi, con rampogne gli disse: «O olmo, non hai tu vergogna a starmi dinanzi? Ma aspetta che i mia figlioli sieno in matura età, e vederai dove ti troverai».
I quali figlioli poi maturati, capitandovi una squadra di soldati, fu da quelli, per torre i sua fichi, tutto lacerato e diramato e rotto.
Il quale stando così storpiato delle sue membra, l'olmo lo dimandò dicendo: «O fico, quanto era il meglio a stare sanza figlioli, che per quelli venire in sì miserevole stato!>.
26.
Un poco di foco, che in un piccolo carbone in fra la tiepida cenere remaso era, del poco omore, che in esso restava, carestiosa e poveramente se medesimo notrìa, quando la ministra della cucina, per usare con quello l'ordinario suo cibario offizio, quivi apparve, e, poste le legne nel focolare, e col solfanello, già resucitato d'esso, già quasi morto, una piccola fiammella, e infra le ordinate legne quella appresa, e posta di sopra la caldara, sanz'altro sospetto, di lì sicuramente si parte.
Allora, rallegratosi il fo[co] delle sopra sé poste secche legne, comincia a elevarsi: [ca]cciando l'aria delli intervalli d'esse legne, infra quelle con ischerzevole e giocoso transito, se stessi tesseva.
Cominciato a spirare fori dell'intervalli delle legne, di quelli a se stessi dilettevoli finestre fatto avea; e cacciato fori di rilucenti e rutilanti fiammelle, subito discaccia le oscure tenebre della serrata cucina; e con galdio le fiamme già cresciute scherzavano coll'aria d'esse circundatrice e con dolce mormorio cantando creava[n] suave sonito.
Vedutosi già fortemente essere sopra delle legne cresciuto e fatto assai grande, cominciò a levare il mansueto e tranquillo animo in gonfiata e incomportabile superbia, facendo quasi a sé credere tirare tutto el superiore elemento sopra le poche legne.
E cominciato a sbuffare, e empiendo di scoppi e di scentillanti sfavillamenti tutto il circunstante focolare, già le fiamme, fatte grosse, unitamente si dirizzavano inverso l'aria, quando le fiamme più altiere percosse[r] nel fondo della superiore caldara.
27.
FAVOLA.
I tordi si rallegrorono forte vedendo che l'omo prese la civetta e le tolse la libertà, quella legando con forti legami ai sua piedi.
La qual civetta fu poi, mediante il vischio, causa non di far perdere la libertà ai tordi, ma la loro propria vita.
Detta per quelle terre, che si rallegran di vedere perdere la libertà ai loro maggiori, mediante i quali poi perdano il soccorso e rimangono legati in potenzia del loro nemico, lasciando la libertà e spesse volte la vita.
28.
Dormendo il cane sopra la pelle d'un castrone, una delle sua pulci, sentendo l'odore della unta lana, giudicò quello doversi essere loco di migliore vita e più sicura da denti e unglia del cane che pascersi del cane, e sanza altro pensieri, abbandonò il cane, e, entrata infra la folta lana, cominciò con somma fatica a volere trapassare alle radice de' peli.
La quale impresa, dopo molto sudore, trovò esser vana, perché tali peli erano tanto spessi che quasi si toccavano, e non v'era spazio dove la pulce potessi saggiare tal pelle; onde, dopo lungo travaglio e fatica, cominciò a volere ritornare al suo cane, il quale essendo già partito, fu costretta, dopo lungo pentimento, amari pianti, a morirsi di fame.
29.
FAVOLA.
Uscendo un giorno il rasoro di quel manico col quale si fa guaina a se medesimo, e postosi al sole, vide il sole ispecchiarsi nel suo corpo: della qual cosa prese somma groria, e rivolto col pensiero indirieto, cominciò con seco medesimo a dire:
«Or tornerò io più a quella bottega, della quale novamente uscito sono? Certo no; non piaccia alli Dei, che sì splendida bellezza caggia in tanta viltà d'animo! Che pazzia sarebbe quella la qual mi conducessi a radere le insaponate barbe de' rustichi villani e fare sì meccaniche operazione! Or è questo corpo da simili esercizi? Certo no.
Io mi vogli[o] nascondere in qualche occulto loco, e [lì] con tranquillo riposo passare mia vita».
E così, nascosto per alquanti mesi, un giorno ritornato all'aria, e uscito fori della sua guaina, vide sé essere fatto a similitudine d'una rugginente sega, e la sua superficie non ispecchiare più lo splendiente sole.
Con vano pentimento indarno pianse lo inriparabile danno, con seco dicendo: «O quan[to] meglio era esercitare col barbiere il mi' perduto taglio di tanta sottilità! Dov'è la lustrante superfizie? Certo la fastidiosa e brutta ruggine l'ha consumata!» Questo medesimo accade nelli ingegni, che 'n iscambio dello esercizio, si dànno all'ozio; i quali, a similitudine del sopradetto rasoro, perden la tagliente sua suttilità e la ruggine della ignoranzia guasta la sua forma.
30.
FAVOLA.
Una pietra novamente per l'acque scoperta, di bella grandezza, si stava sopra un certo loco rilevata, dove terminava un dilettevole boschetto sopra una sassosa strada, in compagnia d'erbette, di vari fiori di diversi colori ornata, e vedea la gran somma delle pietre che nella a sé sottoposta strada collocate erano.
Le venne desiderio di là giù lasciarsi cadere, dicendo con seco: «Che fo qui con queste erbe? io voglio con queste mie sorelle in compagnia abitare».
E giù lassatosi cadere infra le desiderate compagne, finì suo volubile corso; e stata alquanto, cominciò a essere da le rote de' carri, dai piè de' ferrati cavalli e de' viandanti, a essere in continuo travaglio; chi la volta, quale la pestava, alcuna volta si levava alcuno pezzo, quando stava coperta dal fango o sterco di qualche animale, e invano riguardava il loco donde partita s'era, innel loco della soletaria e tranquilla pace.
Così accade a quelli che della vita soletaria e contemplativa vogliano venir a abitare nelle città, infra i popoli pieni d'infini[ti] mali.
31.
Andando il dipinto parpaglione vagabundo, e discorrendo per la oscurata aria, li venne visto un lume, al quale subito si dirizzò, e, con vari circuli quello attorniando, forte si maravigliò di tanta splendida bellezza; e non istando contento solamente al vederlo, si mise innanzi per fare di quello come delli odoriferi fiori fare solìa; e, dirizzato suo volo, con ardito animo passò per esso lume, el quale gli consumò li stremi delle alie e gambe e altri ornamenti.
E caduto a' piè di quello, con ammirazione considerava esso caso donde intervenuto fussi, non li potendo entrare nell'animo che da sì bella cosa male o danno alcuno intervenire potessi; e, restaurato alquanto le mancate forze, riprese un altro volo, e, passato attraverso del corpo d'esso lume, cadde subito bruciato nell'olio ch'esso lume notrìa, e restogli solamente tanta vita, che poté considerare la cagion del suo danno, dicendo a quello: «O maledetta luce, io mi credevo avere in te trovato la mia felicità; io piango indarno il mio matto desiderio, e con mio danno ho conosciuto la tua consumatrice e dannosa natura».
Alla quale il lume rispose: «Così fo io a chi ben non mi sa usare».
Detta per quelli i quali, veduti dinanzi a sé questi lascivi e mondani piaceri, a similitudine del parpaglione, a quelli corrano, sanza considerare la natura di quelli; i quali, da essi omini, dopo lunga usanza, con loro vergogna e danno conosciuti sono.
32.
La pietra, essendo battuta dall'acciarolo del foco, forte si maravigliò, e con rigida voce disse a quello: «Che prusunzion ti move a darmi fatica? Non mi dare affanno, che tu m'hai colto in iscambio; io non dispiacei mai a nessuno».
Al quale l'acciarolo rispose: «Se starai paziente, vederai che maraviglioso frutto uscirà di te».
Alle quale parole la pietra, datosi pace, con pazienza stette forte al martire, e vide di sé nascere il maraviglioso foco, il quale colla sua virtù, operava in infinite cose.
Detta per quelli i quali spaventano ne' prencipi delli studi e poi che a loro medesimi si dispongano potere comandare, e dare con pazienzia opera continua a essi studi, di quelli si vede resultare cose di maravigliose dimostrazione.
33.
Il ragno, credendo trovar requie nella buca della chiave, trova la morte.
34.
FAVOLA.
Il ligio si pose sopra la ripa di Tesino e la corrente tirò la ripa insieme col lilio.
35.
FAVOLA.
Sendo l'ostriga insieme colli al[tri] pesci in casa del pescatore scaricata vicino al mare, priega il ratto che al mare la conduca.
Il ratto, fatto disegno di mangiarla la fa aprire e, mordendola, questa li serra la testa e si lo ferma.
Viene la gatta e l'uccide.
36.
Vedendo il villano la utilità che resultava dalla vite, le dette molti sostentaculi da sostenerla in alto; e, preso il frutto, levò le pertiche e quella lasciò cadere, facendo foco de' sua sostentaculi.
37.
El granchio stando sotto il sasso per pigliar e pesci che sotto a quello entravano, venne la piena con rovinoso precipitamento di sassi, e collo rotolarsi sfracelloron tal granchio.
38.
Quel medesimo: Il ragno, stante infra l'uve, pigliava le mosche che in su tale uve si pasceva[n].
Venne la vendemmia, e fu pesto il ragno insieme coll'uve.
39.
La vite, invecchiata sopra l'albero vecchio, cadde insieme colla ruina d'esso albero: e fu, per la triste compagnia, a mancare insieme con quello.
40.
Il torrente portò tanto di terra e pietre nel suo letto, che fu po' costretto a mutar sito.
41.
La rete, che soleva pigliare li pesci, fu presa e portata via dal furor de' pesci.
42.
La palla della neve quanto più rotolando discese delle montagne della neve, tanto più multiplicò la sua magnitudine.
43.
Il salice, che per li sua lunghi germinamenti cresce da superare ciascuna altra pianta, per avere fatto compagnia colla vite, che ogni anno si pota, tu ancora lui sempre storpiato.
44.
Trovandosi l'acqua nel superbo mare, suo elemento, le venne voglia di montare sopra l'aria, e confortata dal foco elemento, elevatosi in sottile vapore, quasi parea della sittiglieza dell'ari[a]; e montato in alto, giunse infra l'aria più sottile e fredda, dove fu abbandonata dal foco.
E piccoli granicoli, sendo restretti, già s'uniscano e fannosi pesanti, ove, cadendo, la sup[erbia] si converte in fuga, e cade del ciel[o]; onde poi fu beuta dalla secca terra, dove lungo tempo incarcerata, fe' penitenzia del suo peccato.
45.
Il lume è foco ingordo sopra la candela.
Quella consumando sé consuma.
46.
Il vino consumato dallo imbriaco.
Esso vino col bevitore si vendica.
47.
L'INCHIOSTRO DISPLEZZATO PER LA SUA NEREZZA DALLA BIANCHEZZA DELLA CARTA, LA QUALE DA QUELLO SI VIDE IMBRATTARE.
Vedendosi la carta tutta macchiata dalla oscura negrezza dell'inchiostro, di quello si dole; el quale mostra a essa che per le parole ch'esso sopra lei compone essere cagione della conservazione di quella.
48.
Il foco cocendo l'acqua posta nel laveggio, dicendo che l'acqua non merita star sopra il foco, re delli elementi, e così vo' per forza di bollore cacciare l'acqua del laveggio onde quella per farli onore d'ubbidienzia discende in basso e annega il foco.
49.
FAVOLE.
Il dipintore disputa e gareggia colla natura.
50.
Il coltello, accidentale armadura, caccia dall'omo le sua unghie, armadura naturale.
51.
Lo specchio si groria forte tenendo dentro a sé specchiata la regina e, partita quella, lo specchio riman vile.
52.
Il pesante ferro si reduce in tanta sottilità mediante la lima, che piccolo vento poi lo porta via.
53.
La pianta si dole del palo secco e vecchio, che se l'era posto allato, e de' pruni secchi che lo circundano.
L'un lo mantiene diritto, l'altro lo guarda dalle triste compagnie.
54.
Necessaria compagnia ha la penna col temperatoio e similmente utile compagnia, perché l'un sanza l'altro non vale troppo.
BESTIARIO
1.
AMORE DI VIRTÙ.
Calendrino è uno uccello, il quale si dice, che essendo esso portato dinanzi a uno infermo, che se 'l detto infermo debbe morire, questo uccello li volta la testa per lo contrario e mai lo riguarda; e, se esso infermo debbe iscampare, questo uccello mai l'abbandona di vista, anzi è causa di levarli ogni malattia.
Similmente, l'amore di virtù non guarda mai cosa vile, né trista, anzi dimora sempre in cose oneste e virtuose, e ripatria innel cor gentile, a similitudine degli uccelli nelle verdi selve sopra i fioriti rami; e si dimostra più esso amore nelle avversità che nelle prosperità, facendo come lume, che più risplende dove truova più tenebroso sito.
2.
INVIDIA.
Del nibbio si legge che, quando esso vede i sua figlioli nel nido esser di troppa grassezza, che per invidia egli gli becca loro le coste e tiengli sanza mangiare.
3.
ALLEGREZZA.
L'allegrezza è appropiata al gallo, che d'ogni piccola cosa si rallegra e canta con vari e scherzanti movimenti.
4.
TRISTEZZA.
La tristezza s'assomiglia al corb[o], il quale, quando vede i sua nati figlioli esser bianchi, che per lo grande dolore si parte, con tristo rammarichio gli abbandona, e non gli pasce insino che non gli vede alquante poche penne nere.
5.
PACE.
Del castoro si legge che, quando è perseguitato, conoscendo essere per la virtù de' sua medicinali testiculi, esso, non potendo più fuggire, si ferma e, per avere pace coi cacciatori, coi sua taglienti denti si spicca i testiculi e li lascia a sua nimici.
6.
IRA.
Dell'orso si dice che, quando va alle case delle ave per torre loro il mele, esse ave lo cominciano a pungere, onde' lui lascia il mele e corre alla vendetta, e volendosi con tutte quelle che lo mordano vendicare, con nessuna si vendica, in modo che la sua ira si converte in rabbia, e gittatosi in terra, colle mani e co' piedi innaspando, indarno da quelle si difende.
7.
GRATITUDINE.
La virtù della gratitudine si dice essere più negli uccelli detti upica, i quali, conoscendo il benificio della ricevuta vita e nutrimento dal padre e dalla lor madre, quando li vedano vecchi fanno loro uno nido e li covano e li notriscano e cavan loro col becco le vecchie e triste penne e con certe erbe li rendano la vista in modo che ritornano in prosper[i]tà.
8.
AVARIZIA.
Il rospo si pasce di terra, e sempre sta macro perché non si sazia; tanto è 'l timore, che essa terra non li manchi.
9.
INGRATITUDINE.
I colombi sono assimigliati alla ingratitudine, imperocché quando sono in età che non abbino più bisogno d'essere cibati, cominciano a combattere col padre, e non finisce essa pugna insino a tanto che caccia il padre e tolli la mogliera facendosela sua.
10.
CRUDELTÀ.
Il basalischio è di tanta crudeltà che quando colla sua venenosa vista non pò occidere li animali, si volta all'erbe e le piante, e fermando in quelle la sua vista, le fa seccare.
11.
LIBERALITÀ.
Dell'aquila si dice che non ha mai sì gran fame, che non lasci parte della sua preda a quegli uccegli che le son dintorno, i quali non potendosi per sé pascere, è necessario che sieno corteggiatori d'essa aquila, perché in tal modo si cibano.
12.
CORREZIONE.
Quando il lupo va assentito intorno a qualche stallo di bestiame, e che, per caso, esso ponga il piede in fallo, in modo facci strepido, egli si morde il piè per correggere sé da tale errore.
13.
LUSINGHE OVVER SOIE.
La serena sì dolcemente canta, che addormenta i marinari; e essa monta sopra i navili, e occide li addormentati marinari.
14.
PRUDENZIA.
La formica, per naturale consiglio, provvede la state per lo verno, uccidendo le raccolte semenza, perché non rinaschino; e di quelle al tempo si pascono.
15.
PAZZIA.
Il bo salvatico avendo in odio il colore rosso, i cacciatori vestan di rosso il pedal d'una pianta, e esso bo corre a quella, e con gran furia v'inchioda le corna, onde i cacciatori l'occidano.
16.
GIUSTIZIA.
E' si può assimigliare la virtù della iustizia allo re delle ave, il quale ordina e dispone ogni cosa con ragione, imperoché alcune ave sono ordinate andare per fiori, altre ordinate a lavorare, altre a combattere colle vespe altre a levare le spurcizie, altre a compagnare e corteggiare lo re; e quando è vecchio e sanza alie, esse lo portano, e s'evvi una manca di suo uffizio, sanza alcuna remissione è punita.
17.
VERITÀ.
Benché le pernici rubino l'ova l'una all'altra, non di meno i figlioli, nati d'esse ova, sempre ritornano alla lor vera madre.
18.
FEDELTÀ OVVER LIALTÀ.
Le gru son tanto fedeli e leali al loro re che la notte, quando lui dorme, alcune vanno dintorno al prato per guardare da lunga, altre ne stanno da presso, e tengano un sasso ciascuna in piè, acciò che se 'l sonno le vincessi, essa pietra caderebbe e farebbe tal romore che si ridesterebbono; e altre vi sono che 'nsieme intorno al re dormano, e ciò fanno ogni notte, scambiandosi acciò che il loro re non vegni a mancare.
19.
FALSITÀ.
La volpe, quando vede alcuna torma di sgazze o taccole o simili uccelli, subito si gitta in terra in modo, colla bocca aperta, che par morta; e essi occelli le voglian beccare la lingua, e essa gli piglia la testa.
20.
BUSIA.
La talpa ha li occhi molto piccoli e sempre sta sotto terra, e tanto vive quanto essa sta occulta, e, come viene alla luce, subito more perché si fa nota.
Così la bugia.
21.
FORTEZZA.
Il lione mai teme, anzi con forte animo pugna con fiera battaglia contra la moltitudine de' cacciatori, sempre cercando offendere il primo che l'offese.
22.
TIMORE OVVER VILTÀ.
La lepre sempre teme, e le foglie che caggiano dalle piante per altunno sempre la tengano in timore e 'l più delle volte in fuga.
23.
MAGNANIMITÀ.
Il falcone non preda mai se none uccelli grossi, e prima si lascerebbe morire che si cibassi de' piccoli o che mangiasse carne fetida.
24.
VANA GLORIA.
In questo vizio, si legge del pagone esserli più che altro animale sottoposto, perché sempre contempra innella bellezza della sua coda, quella allargando in forma di rota, e col suo grido trae a sé la vista de' circunstanti animali.
E questo è l'ultimo vizio che si possa vincere.
25.
CONSTANZIA.
Alla costanzia s'assimiglia la finice; la quale, intendendo per natura la sua renovazione, è costante a sostene' le cocenti fiamme, le quali la consumano, e poi di novo rinasce.
26.
INCONSTANZIA.
Il rondone si mette per la incostanzia; il quale sempre sta in moto per non sopportare alcuno minimo disagio.
27.
TEMPERANZA.
Il cammello è il più lussurioso animale che sia e and[r]ebbe mille miglia dirieto a una cammella, e se usassi continuo con la madre o sorelle, mai le tocca, tanto si sa ben temperare.
28.
INTEMPERANZA.
L'alicorno, ovvero unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocità e salvatichezza ponendo da canto ogni sospetto va alla sedente donzella, e se le addormenta in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano.
29.
UMILITÀ.
Dell'umilità si vede somma sperienzia nello agnello il quale si sottomette a ogni animale, e quando per cibo son dati all'incarcerati leoni, a quelli si sottomettano come alla propria madre, in modo che spesse volte s'è visto i lioni non li volere occidere.
30.
SUPERBIA.
Il fa[l]cone per la sua alterigia e superbia, vole signoreggiare e sopraffare tutti li altri uccelli che son di rapina, e sen desidera essere solo; e spesse volte s'è veduto il falcone assaltare l'aquila, regina delli uccelli.
31.
ASTINENZIA.
Il salvatico asino quando va alla fonte per bere e truova l'acqua intorbidata, non arà mai sì gran sete che non s'astenga di bere e aspetti ch'essa acqua si rischiari.
32.
GOLA.
L'avoltore è tanto sottoposto alla gola che andrebbe mille miglia per mangiare d' una carogna e per que[sto] seguita li eserciti.
33.
CASTITÀ.
La tortora non fa mai fallo al suo compagno, e se l'uno more, l'altro osserva perpetua castità, e non si posa mai su ramo verde e non beve mai acqua chiara.
34.
LUSSURIA.
Il palpistrello per la sua isfrenata lussuria non osserva alcuno universale modo di lussuria, anzi maschio con maschio, femmina con femmina, sì come a caso si trovano insieme, usano il lor coito.
35.
MODERANZA.
L'ermellino, per la sua moderanzia, non mangia se n[on] una sola volta il dì, e prima si lascia pigliare a' cacciatori che volere fuggire nella infangata tana.
Per non maculare la sua gentilezza.
35 bis.
MODERANZA RAFFRENA TUTTI I VIZI.
L'ermellino prima vol morire che 'mbrattarsi.
36.
AQUILA.
L'aquila, quando è vecchia, vola tanto in alto che abbrucia le sue penne, e natura consente che si rinnovi in gioventù caden[do] nella poca acqua.
E se i sua nati non posso[n] tene' la vista nel sole, non li pasce.
Nessuno uccel, che non vole morire, non s'accosti al suo nido.
Gli animali forte la temano, ma essa a lor non noce: sempre lascia rimanente della sua preda.
37.
LUMERPA: FAMA.
Questa nasce nell'Asia maggiore, e splende sì forte che toglie le sue ombre, e morendo non perde esso lume, e mai li cade più le penne, e la penna che si spicca più non luce.
38.
PELLICANO.
Questo porta grande amore a' sua nati, e trovando quelli nel nido morti dal serpente, si punge a riscontro al core, e col suo piovente sangue bagnandoli li torna in vita.
39.
SALAMANDRA.
Questa non ha membra passive, e non si cura d'altro cibo che di foco e spesso in quello rinnova la sua scorza.
La salamandra nel foco raffina la sua scorza: per la virtù.
40.
CAMELEON.
Questo vive d'aria e in quella sta subietto a tutti li uccelli e per istare più salvo vola sopra le nube, e truova aria tanto sottile che non pò sostenere uccello che lo seguiti.
A questa altezza non va se non a chi da cieli è dato; cioè dove vola il cameleonte.
41.
ALEP PESCE.
Alep non vive fori dall'acqua.
42.
STRUZZO.
Questo converte il ferro per l'arme nutrimento de' capitani in suo nutrimento.
Cova l'ova colla vista.
43.
CIGNO.
Cigno è candido sanza alcuna macchia, e dolcemente canta nel morire, il qual canto termina la vita.
44.
CICOGNA.
Questa, bevendo la salsa acqua, caccia da sé il male; se truova la compagn[a] in fallo l'abbandona, e quando è vecchia, i sua figlioli la covano e pascano infin che more.
45.
CICALA.
Questa col suo canto fa tacere il cucco; more nell'olio e resucita nello aceto; canto per li ardenti caldi.
46.
PALPISTRELLO.
Questo, dov è più luce, più si fa orbo e come più guarda il sole, più s'acceca.
Pel vizio che non pò stare dov'è la virtù.
47.
PERNICE.
Questa si trasmuta di femmina in maschio e dimentica il primo sesso e fura per invidia l'ova a l'altre e le cova, ma i nati seguitano la vera madre.
48.
RONDINE.
Questa colla celidonia allumina i sua ciechi nati.
49.
OSTRIGA: PEL TRADIMENTO.
Questa, quando la luna è piena, s'apre tutta, e quando il granchio la vede, dentro le getta qualche sasso o festuca, e questa non si pò riserrare, onde è cibo d'esso granchio.
Così fa chi apre la bocca a dire il suo segreto, che si fa preda dello indiscreto ulditore.
50.
BAVALISCHIO: CRUDELTÀ.
Questo è fuggito da tutti i serpenti.
La donnola per lo mezzo della ruta conbatte con essi e sì l'uccide.
Ru[t]a per la virtù.
51.
L'ASPIDO.
Questo porta ne' denti la subita morte e per non sentire l'incanti, colla coda si stoppa li orecchi.
52.
DRAGO.
Questo lega le gambe al liofante e quel li cade addosso e l'uno e l'altro more; e morendo fa sua vendetta.
53.
VIPERA.
Questa nel suo co[ito a]pr[e la] bocca e nel fine strigne [i] denti e ammazza il marito; poi i figlioli in corpo cresciuti straccian il ventre e occidano la madre.
54.
SCORPIONE.
La sciliva, sputa[ta] a digiuno sopra dello scorpione, l'occide.
A similitudine dell'astinenzia della gola che tolle via e occide le malattie che da essa gola dipendano e apr[e] la strada alle virtù.
55.
COCCODRILLO: IPOCRESIA.
Questo animale piglia l'omo e subito l'uccide.
Poi che l'ha morto, con lamentevole voce e molte lacrime lo piange, e finito il lamento, crudelmente lo divora.
Cosi fa l'ipocrito che per ogni lieve cosa s'empie il viso di lacrime, mostrando un cor di tigro, e rallegrasi nel core dell'altrui male con piatoso volto.
56.
BOTTA.
La botta fugge la luce del sole, e se pure per forza v'è tenuta, sgonfia 20 tanto che s'asconde la testa in basso e privasi d'essi razzi.
Così fa chi è nimico della chiara e lucente virtù, che non pò, se non con isgonfiato animo, forzatamente sta[r]le davanti.
57.
BRUCO: DELLA VIRTU IN GENERALE.
Il bruco, che mediante l'esercitato studio di tessere con mirabile artifizio e sottile lavoro intorno a sé la nova abitazione, esce poi fori di quella colle dipinte e belle ali, con quelle levandosi inverso il cielo.
58.
RAGNO.
Il ragno partorisce fori di sé l'artifiziosa e maestrevole tela, la quale gli rende' per benifizio la presa preda.
59.
LIONE.
Questo animale col suo tonante grido desta i sua figlioli dopo il terzo giorno nati, aprendo a quelli tutti li addormentati sensi, e tutte le fiere che nella selva sono, fuggano.
Puossi assimigliare a' figlioli della virtù, che mediante il grido delle lalde si svegliano e crescan a li studi onorevole, che sempre più gli innalza[n], e tutti i tristi a esso grido fuggano, cessandosi dai vertuosi.
Ancora il leone copre le sue pedate perché non s'intenda il suo viaggio per inimici.
Questo sta bene ai capitani a celare i segreti del suo animo, acciò che 'l nimico non cognosca i sua tratti.
60.
TARANTA.
Il morso della taranta mantiene l'omo nel suo proponimento, cioè quello che pensava quando fu morso.
61.
DUCO E CIVETTA.
Questi gastigano i loro schernidori privandoli di vita, che così ha ordinato natura perché si cibino.
62.
LEOFANTE.
Il grande elefante ha per natura quel che raro negli omini si truova, cioè probità, prudenzia e equità e osservanzia in religione, imperoché quando la luna si rinnova, questi vanno ai fiumi, e quivi purgandosi solennemente si lavano, e così salutato il pianeta ritornano alle selve.
E quando sono ammalati, stando suppini gittano l'erbe verso il cielo, quasi come se sacrificare volessino.
Sotterra li denti quando per vecchiezza gli caggiano.
De' sua due denti l'uno adopera a cavare le radici per cibarsi, all'altro conserva la punta per combattere.
Quan[do] sono superati da cacciatori e che la stanchezza gli vince, percotan li denti l'elefante e quelli trattosi, con essi si ricomprano.
Sono clementi e conoscano i pericoli.
E se esso trova l'omo solo e smarrito piacevolmente lo rimette nella perduta strada.
Se truova le pedate dell'omo prima che veda l'omo, esso teme tradimento, onde si ferma e soffia, mostrandola a li altri elefanti, e fanno schiera e vanno assentitamente.
Questi vanno sempre a schiere, e 'l più vecchio va innanzi, el secondo d'età resta l'ultimo, e così chiudano la schiera.
Temano vergogna, non usano il coito se non di notte e di nascosto, e non tornano dopo il coito alli armenti se prima non si lavano nel fiume.
Non combattono [per] femmine come gli altri animali, ed è tanto clemente che malvolentieri per natura noce ai men possenti di sé, e scontrandosi nella mandria o greggi delle pecore, colla sua mano le pone da parte per non le pestare co' piedi, né mai noce se non sono provocati.
Quando son caduti nella fossa, gli altri con rami terra e sassi riempiano la fossa; in mo[do] l'alzano il fondo ch'esso facilmente riman libero.
Temano forte lo stridore de' porci; e, fuggen[do] in dirieto, e' non fa manco danno poi co' piedi a' sua che a' nimici.
Dilettansi de' fiumi e sempre vanno vagabundi intorno a quegli, e per lo gran peso non possan notare.
Divorano le pietre, e tronchi delli alberi son loro gratissimo cibo.
Hanno in odio i ratti.
Le mosche si dilettano del suo odore, e posandosili addosso, quello arrappa la pelle e ficca [n] le pieghe strette, l'uccide.
Quando passano i fiumi, mandano i figlioli di verso il calar dell'acqua e stando loro in verso l'erta rompono l'unito corso dell'acqua, acciò che 'l corso non li menassi via.
Il drago se li gitta sotto il corpo, colla coda l'annoda le gambe e coll'alie e colle branche li cigne le coste e co' denti lo scanna, e 'l liofante li cade addosso e il drago schioppa: e così colla sua morte del nemico si vendica.
63.
IL DRAGONE.
Questi s'accompagnan insieme e si tessano a uso di [g]raticci, e colla testa levata passano i paduli, e notano dove trovan migliore pastura, e se così non si unissin, annegherebbono.
Così fa la unizione.
64.
SERPENTI.
Il serpente, grandissimo animale, quando vede alcuno uccello per l'aria, tira a sé sì forte il fiato che si tira gli uccelli in bocca.
Marco Regulo, cunsulo dell'esercito romano, fu col suo esercito da un simile animale assalito e quasi rotto.
Il quale animale essendo morto per una macchina murale, fu misurato 125 piedi, cioè 64 braccia e 1/2.
Avanzava colla testa tutte le piante d'una selva.
65.
BOIE.
Questa è gran biscia, la quale con se medesima s'aggluppa alle gambe della vacca in modo non si mova, poi la tetta in modo che quasi la dissezza.
Di questa spezie, a tempo di Claudio imperadore, nel monte Vaticano ne fu morta una che aveva uno putto intero in corpo, il quale avea tranghiottito.
66.
MACLI: PEL SONNO E GIUNTA.
Questa bestia nasce in Iscandinavia isola.
Ha forma di gran cavallo, se non che la gran lunghezza dello collo e delli orecchi lo variano.
Pasce l'erba allo 'ndirieto, perché ha sì lungo il labbro di sopra che pascendo innanzi cop[r]irebbe l'erba.
Ha le gambe d'un pezzo; per questo, quando vol dormire, s'appoggia a uno albero, e i cacciatori, antivedendo il loco usato a dormire, segan quasi tutta la pianta, e quando questo poi vi s'appoggia nel dormire, per lo sonno cade.
E cacciatori così lo pigliano, e ogni altro modo di pigliarlo è vano, perché è d'incredibile velocità nel correre.
67.
BONASO: NOCE COLLA FUGA.
Questo nasce in Peonia, ha collo con crini simile al cavallo, in tutte l'altre parti è simile al toro, salvo che le sue corna sono in modo piegate in dentro che non pò cozzare, e per questo non ha altro scampo che la fuga, nella quale gitta sterco per ispazio di 400 braccia del suo corso, il quale dove tocca, abbrucia come foco.
68.
LEONI, PARDI, PANTERE, TIGRI.
Questi tengano l'unghie nella guaina e mai le sfoderano, se none addosso alla preda o nemico.
69.
LEONESSA.
Quando la leonessa difende i figlioli dalle man de' cacciatori, per non si spaventare dalli spiedi, abbassa li occhi a terra, acciò che per la sua fuga i figli non sieno prigioni.
70.
LEONE.
Questo sì terribile animale niente teme più che lo strepido delle vote carrette e simile il canto de' galli, e teme assai nel vederli, e con pauroso aspetto riguarda la sua cresta, e forte invilisce quando ha coperto il volto.
71.
PANTERE IN AFRICA.
Questa ha forma di leonessa, ma è più alta di gambe e più sottile e lunga.
E' tutta bianca e pun[t]eggiata di macchie nere a modo di rosette.
Di questa si dilettano tutti li animali di vedere, e sempre le starebbon dintorno se non fussi la terribilità del suo viso, onde essa, questo conoscendo, asconde il viso, e li animali circunstanti s'assicurano e fannosi vicini per meglio potere fruire tanta bellezza, onde questa subito piglia il più vicino e subito lo divora.
72.
CAMMELLI.
Quegli batriani hanno due gobbi, gli arabi uno; sono veloci in battaglia, e utilissimi a portare le some.
Questo animale ha regola e misura osservantissima, perché non si move se ha più carico che l'usato, e se fa più viaggio, fa il simile: subito si ferma, onde li bisogna a' mercatanti alloggiare.
73.
TIGRO.
Questa nasce in Ircania; la quale è simile alquanto alla pantera per le diverse macchie della sua pelle ed è animale di spaventevole velocità.
Il cacciatore, quando truova i sua figli, li rapisce subito ponendo specchi nel loco, donde li leva; e subito sopra veloce cavallo si fugge.
La tigra tornando truova li specchi fermi in terra, ne' quali vedendo sé, li pare vedere li sua figlioli, e raspando colle zampe, scuopre lo 'nganno; onde mediante l'odore de' figli seguita il cacciatore e quando esso cacciatore vede la tigra, lascia uno de' figlioli, e questa lo piglia e portalo al nido, e subito rigiugn[e] esso cacciatore e fa [il s]imile insino a tanto ch'esso monta in barca.
74.
CATOPLEA.
Questa nasce in Etiopia vicina al fonte Nigricapo.
E' animale non troppo grande, è pigra in tutte le membra e ha 'l capo di tanta grandezza che malagevolmente lo porta in modo che sempre sta chinato inverso la terra, altrementi sarebbe di somma peste alli omini, perché qualunque è veduto da sua occhi, subito more.
75.
BASILISCO.
Questo nasce nella provincia cirenaica, e non è maggiore che dodici dita e ha in capo una macchia bianca a similitudine di diadema.
Col fischio caccia ogni serpente; ha similitudine di serpe ma non si move con torture, anzi ma ritto dal mezzo innanzi.
Dicesi che uno di questi essendo morto con un'aste da uno che era a cavallo, che 'l suo veneno discorrendo su per l'aste, e nonché l'omo ma il cavallo morì.
Guasta le biade, e non solamente quelle che tocca, ma quelle dove soffia.
Secca l'erba, spezza i sassi.
76.
DONNOLA OVVER BELLOLA.
Questa, trovando la tana del basilisco, coll'odore della sua sparsa orina l'uccide; l'odore della quale orina ancora spesse volte essa donnola occide.
77.
CERASTE Queste hanno quattro pi[ccoli] corni mobili, onde quando si vogliano cibare nascondano sotto le foglie tutta la persona, salvo esse cornicina, le quali movendo, pare agli uccelli quelli essere piccoli vèrmini che scherzino, onde subito si calano per beccarli, e questa subito s'avviluppa loro in cerchio e sì li divora.
78.
ANPHESIBENE.
Questa ha due teste, l'una nel suo loco, l'altra nella coda, come se non bastassi che da uno solo loco gittassi il veneno.
79.
IACULO.
Questa sta sopra le piante e si lancia e passa attraverso le fiere e l'uccide.
80.
ASPIDO.
Il morso di questo animale non ha rimedio se non di subito tagliare le parti morse.
Questo sì pestifero animale ha tale affezione nella sua compagna che sempre vanno accompagnati; che se per disgrazia l'uno di loro è morto, l'altro con incredibile velocità seguita l'ucciditore, ed è tanto attento e sollecito alla vendetta che vince ogni difficultà passando ogni esercito, solo il suo nemico cerca offendere, e passa ogni spazio e non si può schifarlo se non col passare l'acque o con velocissima fuga.
Ha gli occhi in dentro e grandi orecchi, e più lo move l'aldito che 'l vedere.
81.
ICHNEUMONE.
Questo animale è mortale nemico all'aspido, nasce in Egitto, e quando vede presso al suo sito alcuno aspido, subito corre alla lita ovver fango del Nilo e con quello tutto s'infanga, e poi risecco dal sole, di novo di fango s'imbratta, e così seccando l'un dopo l'altro, si fa tre o quattro veste a similitudine di corazza, e di poi assalta l'aspido e ben contasta con quello in modo che, tolto il tempo, se li caccia in gola e l'anniega.
82.
CROCODILLO.
Questo nasce nel Nilo, ha quattro piedi, nuoce in terra e in acqua, né altro terreste animale si truova sanza lingua che questo e solo morde movendo la mascella di sopra.
Cresce insino in quaranta piedi, è ungliato, armato di corame atto [a] ogni colpo.
El dì sta in terra e la notte in acqua.
Questo, cibato di pesci, s'addormenta sulla riva del Nilo colla bocca aperta, e l'uccello detto trochilo, piccolissimo uccello, subito li corre alla bocca, e saltatoli fra i denti, dentro e fora li va beccando il rimaso cibo, e così stuzzicandolo con dilettevole voluttà lo 'nvita aprire tutta la bocca e così s'addormenta.
Questo veduto dal eumone subito si li lancia in bocca, e foratoli lo stomaco e le budella, finalmente l'uccide.
83.
DELFINO.
La natura ha dato tal cognizione alli animali che oltre al [c]onoscere la lor comodità, cognoscano la incomodità del nimico; onde intende il delfino quanto vaglia il taglio delle sue penne posteli sulla schiena e quanto sia tenera la pancia del coccodrillo, onde nel lor combattere se li caccia sotto e tagliali la pancia e così l'uccide.
Il coccodrillo è terribile a chi fugge e vilissimo a chi lo caccia.
84.
HIPPOTAMO.
Questo, quando si sente aggravato, va cercando le spine o dove sia i rimanenti de' tagliati canneti, e lì tanto frega una vena che la taglia e, cavato il sangue che li bisogna, colla lita s'infanga e risalda la piaga.
Ha forma quasi come cavallo, l'unghia fessa, coda torta e denti di cinghiale, collo con crini.
La pelle non si pò passare se non si bagna.
Pascesi di biade ne' campi; entravi allo 'ndirieto acciò che pare ne sia uscito.
85.
IBIS.
Questo ha similitudine colla cicogna, e quando si sente ammalato, empie il gozzo d'acqua e col becco si fa un cristero.
86.
CERVI.
Questo, quando si sente morso dal ragno detto falange, mangia de' granchi e si libera di tale veneno.
87.
LUCERTE.
Questa, quando combatte colle serpi, mangia la cicerbita e son libere.
88.
RONDINE.
Questa rende il vedere all'innorbiti figlioli col sugo della celidonia.
89.
BELLOLA.
Questa, quando caccia ai ratti, mangia prima della ruta.
90.
CINGHIALE.
Questo medica i sua mali mangiando della edera.
91.
SERPE.
Questa, quando si vuol renovare, gitta il vecchio scoglio cominciandosi dalla testa; mutasi 'n un dì e una notte.
92.
PANTERA.
Questa, poi che le sono uscite le interiora, ancora combatte coi cani e cacciatori.
93.
CAMELEONTE.
Questo piglia sempre il colore della cosa dove si posa, onde insieme colle frondi, dove si posano, dalli elefanti son divorati.
94.
CORBO.
Questo, quando ha ucciso el cameleont[e], si purga coll'alloro.
95.
DELL'ANTIVEDERE.
Il gallo non canta se prima tre volte non batte l'alie.
Il pappagallo nel mutarsi per rami non mette i piè dove non ha prima messo il becco.
96.
Il ramarro, fedele all'omo, vedendo quello addormentato, combatte colla biscia, e se vede non la poter vincere corre sopra il volto dell'omo e lo desta acciò che essa biscia non offenda lo addormentato omo.
PROFEZIE
1.
Vederassi la spezie leonina colle ungliate branche aprire la terra, e nelle fatte spelonche seppellire sé insieme cogli altri animali a sé sottoposti.
2.
Uscirà della terra animali vestiti di tenebre, i quali, con maravigliosi assalti, assaliranno l'umana generazione, e quella da feroci morsi fia, con fusion di sangue, da essi divorata.
3.
Ancora: scorrerà per l'aria la nefanda spezie volatile, la quale assalirà li omini e li animali, e di quelli si ciberanno con gran gridore: empieranno i loro ventri di vermiglio sang[u]e.
4.
Vedrassi il sangue uscire dalle stracciate carni, rigare le superfiziali parte delli omini.
5.
Verrà alli omini tal crudele malattia, che colle propie unghie si stracceranno le loro carni.
Sarà la rogna.
6.
Vedrassi le piante rimanere sanza foglie e i fiumi fermare i loro corsi.
7.
L'acqua del mare si leverà sopra l'alte cime de' monti verso il cielo e ricaderà sopra alle abitazione delli omini.
Cioè per nugoli.
8.
Vederà i maggiori alberi delle selve essere portati dal furor de' venti dall'oriente all'occidente.
Cioè per mare.
9.
Li omini gitteranno via le propie vettovaglie.
Cioè seminando.
10.
Verrà a tale la generazione umana che non si intenderà il parlare l'uno dell'altro.
Cioè un tedesco con un turco.
11.
Vederassi ai padri donare le lor figliole alla lussuria delli omini e premiarli e abbandonare ogni passata guardia.
Quando si maritono le putte.
12.
Usciranno li omini delle sepulture convertiti in uccelli, e assaliranno li altri omini tollendo loro il cibo delle propie mani e mense.
Le mosche.
13.
Molti fien quegli che scorticando la madre, li arrovesceranno la sua pelle addosso.
I lavoratori della terra.
14.
Felici fien quelli che presteranno orecchi [al]le parole de' morti.
Leggere le bone opere e osservarle.
15.
Le penne leveranno li omini, siccome li uccelli, inverso il cielo.
Cioè per le lettere fatte da esse penne.
16.
L'umane opere fien cagione di lor morte.
Le spade e lance.
17.
Li omini perseguiranno quella cosa della qual più temano.
Cioè saran miseri per non venire in miseria.
18.
Le cose disunite s'uniranno e riceveranno in sé tal virtù che renderanno la persa memoria alli omini.
Cioè i palpiri che son fatti di peli disuniti e tengano memoria delle cosse e fatti delli omini.
19.
Vederassi l'ossa de' morti, con veloce moto, trattare la fortuna del suo motore.
I dadi.
20.
I boi colle lor corna difenderanno il foco dalla sua morte.
La lanterna.
21.
Le selve partoriranno figlioli che fian causa del]a lor morte.
Il manico della scura.
22.
Li omini batteranno aspramente chi fia causa di lor vita.
Batteranno il grano.
23.
Le pelle delli animali removeranno li omini con g[r]an gridori e bestemmie dal lor silenzio.
Le balle da giucare.
24 Molte volte la cosa disunita fia causa di grande unizione.
Cioè il pettine, fatto della disunita canna, unisce le file nella tela.
25.
Il vento passato per le pelli delli animali farà saltare li omini.
Cioè la piva che fa ballare.
26.
DE' NOCI BATTUTI.
Quelli che aranno fatto meglio saranno più battuti e e sua figlioli tolti e scortica[ti] ovvero spogliati, e rotte e fracassate le sue osse.
27.
DELLE SCOLTURE.
Omè! che vedo il Salvadore di nuovo crocifisso.
28.
DE LA BOCCA DELL'OMO CH'E SEPOLTURA.
Uscirà gran romori de le sepolture de quelli che so' finiti di cattiva e violente morte.
29.
DELLE PELLE DELLI ANIMALI CHE TENGANO IL SENSO DEL TATTO CHE V'E SU LESCRITTURE.
Quanto più si parlerà colle pelle, veste del sentimento, tanto più s'acquisterà sapienzia.
30.
DE' PRETI CHE TENGANO L'OSTIA IN CORPO.
Allora tutti quasi i tabernacoli, dove sta il Corpus Domini, si vederanno manifestamente per se stessi andare per diverse strade del mondo.
31.
E quelli che pascan l'er[b]e, faran della notte giorno.
Sevo.
32.
E molti terresti e acquatici animali monteranno fra le stelle.
E pianeti.
33.
Vedrassi i morti portare i vivi in diverse parti.
I carri e navi.
34.
A molti fia tolto il cibo di bocca.
A' forni.
35.
DEL FORNO.
E que' che si imboccheranno per l'altrui mani fia lor tolto il cibo di bocca.
Il forno.
36.
DE CROCIFISSI VENDUTI.
I vedo di novo venduto e crocifisso Cristo e martirizzare i sua santi.
37.
I MEDICI CHE VIVAN DE MALATI.
Verranno li omini in tanta viltà, che aran di grazia che altri trionfi sopra i lor mali, ovver della perduta lor vera ricchezza.
Cioè la sanità.
38.
DELLE RELIGION DE FRATI CHE VIVANO PER LI LORO SANTI, MORTI PER ASSAI TEMPO.
Quelli che saranno morti, dopo mille anni, fien quelli che daranno le spese a molti vivi.
39.
DE' SASSI CONVERTITI IN CALCINA, DE' QUALI SI MURA LE PRIGIONI.
Molti, che fieno disfatti dal foco, innanzi a questo tempo torranno la libertà a molti omini.
40.
DE' PUTTI CHE TETTANO.
Molti Franceschi, Domenichi e Benedetta mangeranno quel che da altri altre volte vicinamente è stato mangiato, che staranno molti mesi avanti che possino parlare.
41.
DE' NICCHI E CHIOCCIOLE, CHE SON REBUTTATI DAL MARE, CHE MARCISCANO DENTRO A LOR GUSCI.
O quanti fien quelli che, poi che fien morti, marciranno nelle lor propie case, empiendo le circustante parti piene di fetulente puzzo.
42.
Tutte le cose, che nel verno fien nascoste e sotto la neve, rimarranno scoperte e palese nella state.
Detta per la bugia che non pò stare occulta.
43.
DELLE TACCOLE E STORNELLI.
Quelli che si fideranno abitare appresso di lui, che saranno gran turbe, quasi tutti moriranno di crudele morte.
E si vedrà i padri colle madri d'insieme colle sue famiglie esser da crudeli animali divorati e morti.
44.
DE' VILLANI IN CAMICIA CHE LAVORANO.
Verrà tenebre di verso l'oriente le quali con tanto di oscurità tigneranno il cielo che copre l'Italia.
45.
DE' BARBIERI.
Tutti li omini si fuggiranno in Africa.
46.
PRONOSTICO.
Metti per ordine e mesi e le cirimonie che s'usano, e così fa' del giorno e della notte.
47.
DE' SEGATORI.
Saranno molti, che si moveran l'un contra l'altro, tenendo in mano il tagliente ferro.
Questi non si faranno infra loro altro nocimento che di stanchezza, perché quanto l'uno si caccerà inanti, tanto l'altro si ritirerà indirieto.
Ma trist'a chi si inframmetterà in mezzo, perché al fine rimarrà tagliato in pezzi.
48.
IL FILATOIO DA SETA.
Sentirassi le dolente grida, le alte strida, le rau[ch]e e infiocate voce di quei che fieno con tormento ispogliati e al fine lasciati ignudi e sanza moto: e questo fia causa del motore che tutto volge.
49.
DEL METTERE E TRARRE IL PAN DELLA BOCCA DEL FORNO.
Per tutte le città e terre e castelle, ville e case si vedrà per disiderio di mangiare trarre il propio cibo di bocca l'uno all'altro sanza poter fare difesa alcuna.
50.
LE TERRE LAVORATE.
Vedrassi voltare la terra sotto sopra, e risguardare li oppositi emisperii e scoprire le spilonche a ferocissimi animali.
51.
DEL SEMINARE.
Allor in gran parte delli omini, che restaran vivi, gitteran fori de le lor case le serbate vettovaglie in libera preda delli uccelli e animali terresti, sanza curarsi d'esse in parte alcuna.
52.
DELLE PIOVE, CHE FAN CH'E FIUMI INTORBIDATI PORTAN VIA LE TERRE.
Verrà di verso il cielo chi trasmuterà gran parte dell'Africa, che si mostra a esso cielo in verso l'Europa, e quella di Europa in verso l'Africa, e quelle delle provincie si mischieranno insieme con gran revoluzione.
53.
DELLE FORNACI DI MATTONI E CALCINA.
Al fine la terra si farà rossa per lo infocamento di molti giorni, e le pietre si convertiranno in cenere.
54.
DE' LEGNAMI CHE BRUCIANO.
Li alberi e albusti delle gran selve si convertiranno in cenere.
55.
E PESCI LESSI.
Li animali d'acqua moriranno nelle bollenti acque.
56.
L'ULIVE CHE CAGGIAN DE LI ULIVI E DANNOCI L'OLIO CHE FA LUME.
Discenderà con furia di verso il cielo chi ci darà notrimento e luce.
57.
DELLE CIVETTE E GUFI CON CHE S'UCCELLA ALLA PANIA.
Molti periranno di fracassamento di testa, e salterà loro li occhi in gran parte della testa, per causa di animali paurosi usciti delle tenebre.
58.
DEL LINO CHE FA LA CARTA DE' CENCI.
Sarà reverito e onorato e con reverenzia e amore ascoltato li sua precetti, di chi prima fu splezzato, straziato e martorizzato da molte e diverse battiture.
59.
DE' LIBRI CHE 'NSEGNAN PRECETTI.
I corpi sanz'anima ci daranno con lor sentenzie precetti utili al ben morire.
60.
DE' BATTUTI E SCORREGGIATI .
Li omini si nasconderanno sotto le scorze delle iscorticate erbe, e quivi, gridando, si daran martiri, con battimenti di membra a se medesimi.
61.
DELLA LUSSURIA.
E s'infurieranno delle cose più belle, a cercare, possedere e operare le parte lor più brutte dove poi, con danno e penitenzia ritornati nel lor sentimento, n'aran grande ammirazion di se stessi.
62.
DELL'AVARO.
Mol
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