SCRITTI LETTERARI, di Leonardo da Vinci - pagina 7
...
.
El dì sta in terra e la notte in acqua.
Questo, cibato di pesci, s'addormenta sulla riva del Nilo colla bocca aperta, e l'uccello detto trochilo, piccolissimo uccello, subito li corre alla bocca, e saltatoli fra i denti, dentro e fora li va beccando il rimaso cibo, e così stuzzicandolo con dilettevole voluttà lo 'nvita aprire tutta la bocca e così s'addormenta.
Questo veduto dal eumone subito si li lancia in bocca, e foratoli lo stomaco e le budella, finalmente l'uccide.
83.
DELFINO.
La natura ha dato tal cognizione alli animali che oltre al [c]onoscere la lor comodità, cognoscano la incomodità del nimico; onde intende il delfino quanto vaglia il taglio delle sue penne posteli sulla schiena e quanto sia tenera la pancia del coccodrillo, onde nel lor combattere se li caccia sotto e tagliali la pancia e così l'uccide.
Il coccodrillo è terribile a chi fugge e vilissimo a chi lo caccia.
84.
HIPPOTAMO.
Questo, quando si sente aggravato, va cercando le spine o dove sia i rimanenti de' tagliati canneti, e lì tanto frega una vena che la taglia e, cavato il sangue che li bisogna, colla lita s'infanga e risalda la piaga.
Ha forma quasi come cavallo, l'unghia fessa, coda torta e denti di cinghiale, collo con crini.
La pelle non si pò passare se non si bagna.
Pascesi di biade ne' campi; entravi allo 'ndirieto acciò che pare ne sia uscito.
85.
IBIS.
Questo ha similitudine colla cicogna, e quando si sente ammalato, empie il gozzo d'acqua e col becco si fa un cristero.
86.
CERVI.
Questo, quando si sente morso dal ragno detto falange, mangia de' granchi e si libera di tale veneno.
87.
LUCERTE.
Questa, quando combatte colle serpi, mangia la cicerbita e son libere.
88.
RONDINE.
Questa rende il vedere all'innorbiti figlioli col sugo della celidonia.
89.
BELLOLA.
Questa, quando caccia ai ratti, mangia prima della ruta.
90.
CINGHIALE.
Questo medica i sua mali mangiando della edera.
91.
SERPE.
Questa, quando si vuol renovare, gitta il vecchio scoglio cominciandosi dalla testa; mutasi 'n un dì e una notte.
92.
PANTERA.
Questa, poi che le sono uscite le interiora, ancora combatte coi cani e cacciatori.
93.
CAMELEONTE.
Questo piglia sempre il colore della cosa dove si posa, onde insieme colle frondi, dove si posano, dalli elefanti son divorati.
94.
CORBO.
Questo, quando ha ucciso el cameleont[e], si purga coll'alloro.
95.
DELL'ANTIVEDERE.
Il gallo non canta se prima tre volte non batte l'alie.
Il pappagallo nel mutarsi per rami non mette i piè dove non ha prima messo il becco.
96.
Il ramarro, fedele all'omo, vedendo quello addormentato, combatte colla biscia, e se vede non la poter vincere corre sopra il volto dell'omo e lo desta acciò che essa biscia non offenda lo addormentato omo.
PROFEZIE
1.
Vederassi la spezie leonina colle ungliate branche aprire la terra, e nelle fatte spelonche seppellire sé insieme cogli altri animali a sé sottoposti.
2.
Uscirà della terra animali vestiti di tenebre, i quali, con maravigliosi assalti, assaliranno l'umana generazione, e quella da feroci morsi fia, con fusion di sangue, da essi divorata.
3.
Ancora: scorrerà per l'aria la nefanda spezie volatile, la quale assalirà li omini e li animali, e di quelli si ciberanno con gran gridore: empieranno i loro ventri di vermiglio sang[u]e.
4.
Vedrassi il sangue uscire dalle stracciate carni, rigare le superfiziali parte delli omini.
5.
Verrà alli omini tal crudele malattia, che colle propie unghie si stracceranno le loro carni.
Sarà la rogna.
6.
Vedrassi le piante rimanere sanza foglie e i fiumi fermare i loro corsi.
7.
L'acqua del mare si leverà sopra l'alte cime de' monti verso il cielo e ricaderà sopra alle abitazione delli omini.
Cioè per nugoli.
8.
Vederà i maggiori alberi delle selve essere portati dal furor de' venti dall'oriente all'occidente.
Cioè per mare.
9.
Li omini gitteranno via le propie vettovaglie.
Cioè seminando.
10.
Verrà a tale la generazione umana che non si intenderà il parlare l'uno dell'altro.
Cioè un tedesco con un turco.
11.
Vederassi ai padri donare le lor figliole alla lussuria delli omini e premiarli e abbandonare ogni passata guardia.
Quando si maritono le putte.
12.
Usciranno li omini delle sepulture convertiti in uccelli, e assaliranno li altri omini tollendo loro il cibo delle propie mani e mense.
Le mosche.
13.
Molti fien quegli che scorticando la madre, li arrovesceranno la sua pelle addosso.
I lavoratori della terra.
14.
Felici fien quelli che presteranno orecchi [al]le parole de' morti.
Leggere le bone opere e osservarle.
15.
Le penne leveranno li omini, siccome li uccelli, inverso il cielo.
Cioè per le lettere fatte da esse penne.
16.
L'umane opere fien cagione di lor morte.
Le spade e lance.
17.
Li omini perseguiranno quella cosa della qual più temano.
Cioè saran miseri per non venire in miseria.
18.
Le cose disunite s'uniranno e riceveranno in sé tal virtù che renderanno la persa memoria alli omini.
Cioè i palpiri che son fatti di peli disuniti e tengano memoria delle cosse e fatti delli omini.
19.
Vederassi l'ossa de' morti, con veloce moto, trattare la fortuna del suo motore.
I dadi.
20.
I boi colle lor corna difenderanno il foco dalla sua morte.
La lanterna.
21.
Le selve partoriranno figlioli che fian causa del]a lor morte.
Il manico della scura.
22.
Li omini batteranno aspramente chi fia causa di lor vita.
Batteranno il grano.
23.
Le pelle delli animali removeranno li omini con g[r]an gridori e bestemmie dal lor silenzio.
Le balle da giucare.
24 Molte volte la cosa disunita fia causa di grande unizione.
Cioè il pettine, fatto della disunita canna, unisce le file nella tela.
25.
Il vento passato per le pelli delli animali farà saltare li omini.
Cioè la piva che fa ballare.
26.
DE' NOCI BATTUTI.
Quelli che aranno fatto meglio saranno più battuti e e sua figlioli tolti e scortica[ti] ovvero spogliati, e rotte e fracassate le sue osse.
27.
DELLE SCOLTURE.
Omè! che vedo il Salvadore di nuovo crocifisso.
28.
DE LA BOCCA DELL'OMO CH'E SEPOLTURA.
Uscirà gran romori de le sepolture de quelli che so' finiti di cattiva e violente morte.
29.
DELLE PELLE DELLI ANIMALI CHE TENGANO IL SENSO DEL TATTO CHE V'E SU LESCRITTURE.
Quanto più si parlerà colle pelle, veste del sentimento, tanto più s'acquisterà sapienzia.
30.
DE' PRETI CHE TENGANO L'OSTIA IN CORPO.
Allora tutti quasi i tabernacoli, dove sta il Corpus Domini, si vederanno manifestamente per se stessi andare per diverse strade del mondo.
31.
E quelli che pascan l'er[b]e, faran della notte giorno.
Sevo.
32.
E molti terresti e acquatici animali monteranno fra le stelle.
E pianeti.
33.
Vedrassi i morti portare i vivi in diverse parti.
I carri e navi.
34.
A molti fia tolto il cibo di bocca.
A' forni.
35.
DEL FORNO.
E que' che si imboccheranno per l'altrui mani fia lor tolto il cibo di bocca.
Il forno.
36.
DE CROCIFISSI VENDUTI.
I vedo di novo venduto e crocifisso Cristo e martirizzare i sua santi.
37.
I MEDICI CHE VIVAN DE MALATI.
Verranno li omini in tanta viltà, che aran di grazia che altri trionfi sopra i lor mali, ovver della perduta lor vera ricchezza.
Cioè la sanità.
38.
DELLE RELIGION DE FRATI CHE VIVANO PER LI LORO SANTI, MORTI PER ASSAI TEMPO.
Quelli che saranno morti, dopo mille anni, fien quelli che daranno le spese a molti vivi.
39.
DE' SASSI CONVERTITI IN CALCINA, DE' QUALI SI MURA LE PRIGIONI.
Molti, che fieno disfatti dal foco, innanzi a questo tempo torranno la libertà a molti omini.
40.
DE' PUTTI CHE TETTANO.
Molti Franceschi, Domenichi e Benedetta mangeranno quel che da altri altre volte vicinamente è stato mangiato, che staranno molti mesi avanti che possino parlare.
41.
DE' NICCHI E CHIOCCIOLE, CHE SON REBUTTATI DAL MARE, CHE MARCISCANO DENTRO A LOR GUSCI.
O quanti fien quelli che, poi che fien morti, marciranno nelle lor propie case, empiendo le circustante parti piene di fetulente puzzo.
42.
Tutte le cose, che nel verno fien nascoste e sotto la neve, rimarranno scoperte e palese nella state.
Detta per la bugia che non pò stare occulta.
43.
DELLE TACCOLE E STORNELLI.
Quelli che si fideranno abitare appresso di lui, che saranno gran turbe, quasi tutti moriranno di crudele morte.
E si vedrà i padri colle madri d'insieme colle sue famiglie esser da crudeli animali divorati e morti.
44.
DE' VILLANI IN CAMICIA CHE LAVORANO.
Verrà tenebre di verso l'oriente le quali con tanto di oscurità tigneranno il cielo che copre l'Italia.
45.
DE' BARBIERI.
Tutti li omini si fuggiranno in Africa.
46.
PRONOSTICO.
Metti per ordine e mesi e le cirimonie che s'usano, e così fa' del giorno e della notte.
47.
DE' SEGATORI.
Saranno molti, che si moveran l'un contra l'altro, tenendo in mano il tagliente ferro.
Questi non si faranno infra loro altro nocimento che di stanchezza, perché quanto l'uno si caccerà inanti, tanto l'altro si ritirerà indirieto.
Ma trist'a chi si inframmetterà in mezzo, perché al fine rimarrà tagliato in pezzi.
48.
IL FILATOIO DA SETA.
Sentirassi le dolente grida, le alte strida, le rau[ch]e e infiocate voce di quei che fieno con tormento ispogliati e al fine lasciati ignudi e sanza moto: e questo fia causa del motore che tutto volge.
49.
DEL METTERE E TRARRE IL PAN DELLA BOCCA DEL FORNO.
Per tutte le città e terre e castelle, ville e case si vedrà per disiderio di mangiare trarre il propio cibo di bocca l'uno all'altro sanza poter fare difesa alcuna.
50.
LE TERRE LAVORATE.
Vedrassi voltare la terra sotto sopra, e risguardare li oppositi emisperii e scoprire le spilonche a ferocissimi animali.
51.
DEL SEMINARE.
Allor in gran parte delli omini, che restaran vivi, gitteran fori de le lor case le serbate vettovaglie in libera preda delli uccelli e animali terresti, sanza curarsi d'esse in parte alcuna.
52.
DELLE PIOVE, CHE FAN CH'E FIUMI INTORBIDATI PORTAN VIA LE TERRE.
Verrà di verso il cielo chi trasmuterà gran parte dell'Africa, che si mostra a esso cielo in verso l'Europa, e quella di Europa in verso l'Africa, e quelle delle provincie si mischieranno insieme con gran revoluzione.
53.
DELLE FORNACI DI MATTONI E CALCINA.
Al fine la terra si farà rossa per lo infocamento di molti giorni, e le pietre si convertiranno in cenere.
54.
DE' LEGNAMI CHE BRUCIANO.
Li alberi e albusti delle gran selve si convertiranno in cenere.
55.
E PESCI LESSI.
Li animali d'acqua moriranno nelle bollenti acque.
56.
L'ULIVE CHE CAGGIAN DE LI ULIVI E DANNOCI L'OLIO CHE FA LUME.
Discenderà con furia di verso il cielo chi ci darà notrimento e luce.
57.
DELLE CIVETTE E GUFI CON CHE S'UCCELLA ALLA PANIA.
Molti periranno di fracassamento di testa, e salterà loro li occhi in gran parte della testa, per causa di animali paurosi usciti delle tenebre.
58.
DEL LINO CHE FA LA CARTA DE' CENCI.
Sarà reverito e onorato e con reverenzia e amore ascoltato li sua precetti, di chi prima fu splezzato, straziato e martorizzato da molte e diverse battiture.
59.
DE' LIBRI CHE 'NSEGNAN PRECETTI.
I corpi sanz'anima ci daranno con lor sentenzie precetti utili al ben morire.
60.
DE' BATTUTI E SCORREGGIATI .
Li omini si nasconderanno sotto le scorze delle iscorticate erbe, e quivi, gridando, si daran martiri, con battimenti di membra a se medesimi.
61.
DELLA LUSSURIA.
E s'infurieranno delle cose più belle, a cercare, possedere e operare le parte lor più brutte dove poi, con danno e penitenzia ritornati nel lor sentimento, n'aran grande ammirazion di se stessi.
62.
DELL'AVARO.
Molti fien quelli che con ogni studio e sollecitudine seguiranno con furia quella cosa che sempre li ha spaventati, non conoscendo la sua malignità.
63.
DELLI OMINI CHE QUANTO PIU INVECCHIANO PIU SI FANNO AVARI, CHÉ, AVENDOCI A STAR POCO, DOVEREBBON FARSI LIBERALI.
Vedrassi a quelli che son giudicati di più sperienzia e giudizio, quanto egli hanno men bisogno delle cose, con più avidità cercarle e riservare.
64.
DELLA FOSSA.
Dilla in torma di frenesia o farnetico, d'insania di cervello.
Staran molti occupati in esercizio a levar di quella cosa, che tanto cresce, quanto se ne leva.
65.
DEL PESO POSTO SUL PIUMACCIO E a mo[l]ti corpi nel vedere da lor levar la testa, si vedrà manifestamente crescere, e, rendendo loro la levata testa, immediate diminuiscan lor grandezza.
66.
DEL PIGLIARE DE' PIDOCCHI.
E saran molti cacciatori d'animali che quanto più ne piglieranno manco n'aranno; e così, de converso, più n'aran quanto men ne piglieranno.
67.
DELL'ATTIGNER L'ACQUA COLLE DUE SECCHIE A UNA SOLA CORDA.
E rimarranno occupati molti che quanto più tireranno in giù la cosa, essa più se ne fuggirà in contrario moto.
68.
LA SALSICCIA CH'ENTRA NELLE BUDELLA.
Molti si faran casa delle [bude]lle e abiteranno nelle lor propie.
69.
LE LINGUE DE' PORCI E VITELLE NELLE BUDELLA.
O cosa spurca, che si vedrà l'uno animale aver la lingua in culo all'altro.
70.
DE CRIVELLI FATTI DI PELLE D ANIMALI.
Vedrassi il cibo degli animali passar dentro alle lor pelli per ogni parte salvo che per la bocca e penetrare dall'opposita parte insino alla piana terra.
71.
DELLE LANTERNA.
Le feroce corna de' possenti tori difenderanno la luce notturna dall'impetuoso furor de' venti.
72.
DELLE PIUME NE' LETTI.
Li animali volatili sosterran l'omini colle lor propie penne.
73.
LI OMINI CHE VAN SOPRA LI ALBERI ANDANDO IN ZOCCOLI.
Saran sì grande i fanghi, che li omini andranno sopra li alberi de' lor paesi.
74.
DELLE SOLA DELLE SCARPE CHE SON DI BUE.
E si vedrà in gran parte del paese camminare sopra le pelli delli grand'animali.
75, DEL NAVICARE.
Sarà gran venti per li quali le cose orientali si faranno occ[iden]tali e quelle di mezzo dì, in gran parte miste col corso de' v[en]ti, seguirannolo per lunghi paesi.
76.
DELLE PITTURE NE' SANTI ADORATI.
Parleranno li omini alli omini che non sentiranno; aran gli [occhi] aperti e non vedranno; parleranno a quelli e non fie lor risposto; chiederan grazie a chi arà orecchi e non ode; faran lume a chi è orbo...
77.
DEL SOGNARE.
Andranno li omini e non si moveranno, parleranno con chi non si trova, sentiranno chi non parla.
78.
DELL'OMBRA CHE SI MOVE COLL'OMO.
Vedrassi forme e figure d'omini o d'animali, che seguiranno essi animali e omini, dovunche fuggiranno: e tal fia il moto dell'un quant'è dell'altro, ma parrà cosa mirabile delle varie grandezze in che essi si transmutano.
79.
DELLE OMBRE DEL SOLE E DELLO SPECCHIARSI NELL'ACQUA 'N UNMEDESIMO TEMPO.
Vedrassi molte volte l'uno omo diventare tre, e tutti lo seguano: e spesso l'uno più certo, l'abbandona.
80.
DELLE CASSE CHE RISERVANO MOLTI TESORI.
Troverrassi dentro a de' noci e de li alberi e altre piante tesori grandissimi, i quali lì stanno occulti.
81.
DELLO SPEGNERE EL LUME A CHI VA [A] LETTO.
Molti, per mandare fori il fiato con troppa prestezza, perderanno il vedere e in brieve tutti e sentimenti.
82.
DELLE CAMPANELLE DE' MULI CHE STAN PRESSO A LORO ORECCHI.
Sentirassi in molte parte dell'Europa strumenti di varie magnitudine far diverse armonie, con grandissime fatiche di chi più presso l'ode.
83.
DELLI ASINI.
Le molte fatiche saran remunerate di fame, di sete, di disagio e di mazzate e di punture.
84.
DE' SOLDATI A CAVALLO.
Molti saran veduti portare da grandi animali con veloce corso alla ruina della sua vita e prestissima morte.
Per l'aria e per la terra saran veduti animali di diversi colori portarne con furore li omini alla distruzione di lor vita.
85.
DELLE STELLE DELLI SPRONI.
Per causa delle stelle si vedrà li omini esser velocissimi al pari di qualunche animal veloce.
86.
IL BASTONE CH'E MORTO.
Il movimento de' morti farà fuggire con dolore e pianto, con grida molti vivi.
87.
DELL'ESCA.
Con pietra e con ferro si renderà visibile le cose che prima non si vedeano.
88.
DE BOI CHE SI MANGIANO.
Mangeranno e padron delle possessioni e lor propi lavoratori.
89.
DEL BATTERE IL LETTO PER RIFARLO.
Verranno li omini in tanta ingratitudine, che chi darà loro albergo sanza alcun prezzo, sarà carico di bastonate in modo che gran parte delle interiora si spiccheranno del loco loro e s'andranno rivoltando pel suo corpo.
90.
DELLE COSE CHE SI MANGIANO, CHE PRIMA S UCCIDANO.
Sarà morto da loro il lor nutritore, e fragellato con dispietata morte.
91.
DELLO SPECCHIARE LE MURA DELLE CITTÀ NELL'ACQUA DE' LOR FOSSI.
Vederassi l'alte mura delle gran città sottosopra ne' loro fossi.
92.
DELL'ACQUA CHE CORRE TORBIDA E MISTA CON TERRA, E DELLA POLVERE E NEBBIA MISTA COLL'ARIA, E DEL FOCO MISTO COL SUO CALDO CON CIASCUNO.
Vedrassi tutti li elementi insieme misti con gran revoluzione, transcorrere ora inverso il centro del mondo, ora inverso il cielo, e quando dalle parte meridianali scorreran con furia inverso il freddo settantrione, a[l]cu[n]a volta dall'oriente inverso l'occidente, e così di questo in quell'altro emisperio.
93.
IN OGNI PUNTO SI PO FARE DIVISIONE DE' DUE EMISPERI.
Li omini tutti scambieranno emisperio immediate.
94.
IN OGNI PUNTO E DIVISIONE DA ORIENTE A OCCIDENTE.
Moveransi tutti li animali da oriente a occidente, e così da aquilone a meridio.
95.
DEL MOTO DELL'ACQUE, CHE PORTANO E LEGNAMI CHE SON MORTI.
Corpi sanz'anima per se medesimi si moveranno, e porteran con seco innumerabile generazione di morti, togliendo le ricchezze a' circunstanti viventi.
96.
DELL'OVA, CH'ESSENDO MANGIATE, NON POSSAN FARE E PULCINI.
O quanti fien quegli ai quali sarà proibito il nascere!
97.
DE' PESCI CHE SI MANGIANO OVATI.
Infinita generazione si perderà per la morte delle gravide.
98.
DELLI ANIMALI CHE SI CASTRANO.
A gran parte della spezie masculina, pell'esser tolti loro e testiculi, fia proibito el generare.
99.
DELLE BESTIE CHE FANNO IL CACIO.
Il latte fia tolto ai piccoli figlioli.
100.
DELLE SOMMATE FATTE DELLE TROIE.
A gran parte delle femine latine fia tolto e tagliate lor le tette insieme colla vita.
101.
DEL PIANTO FATTO IL VENERDI SANCTO.
In tutte le parti d'Europa sarà pianto da gran popoli la morte d'un solo omo.
102.
DELLE MANICHE DE' COLTEGLI FATTE DI CORNA DI CASTRONE.
Nelle corna delli animali si vedrà taglienti ferri, colli quali si torrà la vita a molti della loro spezie.
103.
DELLA NOTTE, CHE NON SI COGNOSCE ALCUN COLORE.
Verrà a tanto che non si cognoscerà differenzia in fra i colori, anzi si faran tutti di nera qualità.
104.
DELLE SPADE E LANCE, CHE PER SÉ MAI NOCIANO A NESSUNO.
Chi per sé è mansueto e sanza alcuna offensione, si farà spaventevole e feroce mediante le triste compagnie, e torrà la vita crudelissimamente a molte genti, e più n'ucciderebbe, se corpi sanz'anima, usciti delle spilonche, non li difendessino.
Cioè le corazze di ferro.
105.
DE' LACCIOLI E TRAPPOLE.
Molti morti si moveran con furia e piglieranno e legheranno e vivi, e serberangli a lor nemici [a] cercar la lor morte e distruzione.
106.
DE' METALLI.
Uscirà delle oscure e tenebrose spelonche chi metterà tutta l'umana spezie in grandi affanni, pericoli e morte; a molti seguaci lor dopo molti affanni darà diletto; e chi non fia suo partigiano morrà con istento e calamità.
Questo commetterà infiniti tradimenti, questo aumenterà e persuaderà li omini tristi alli assassinamenti e latrocini e le servitù, questo terrà in sospetto i sua partigiani, questo torrà lo stato alle città libere, questo torrà la vita a molti, questo travaglierà li omini infra lor co' molte flalde, inganni e tradimenti.
O animal mostruoso, quanto sare' meglio per li omini che tu ti tornassi nell'inferno! Per costui rimarran diserte le gran selve delle lor piante, per costui infiniti animali perdan la vita.
107.
DEL FUOCO.
Nascerà di piccol principio chi si farà con prestezza grande.
Questo non istimerà alcuna creata cosa, anzi colla sua potenzia quasi il tutto sarà in potenzia di transformare di suo essere in un altro.
108.
DE' NAVILI CH'ANNEGANO.
Vedrassi grandissimi corpi sanza vita portare con furia moltitudine d'omini alla distruzione di lor vita.
109.
DELLO SCRIVER LETTERE DA UN PAESE A UN ALTRO.
Parleransi li omini di remotissimi paesi l'uno all'altro e risponderansi.
110.
DEGLI EMISPERI CHE SONO INFINITI E DA INFINITE LINIE SON DIVISI IN MODO CHE SEMPRE CIASCUNO OMO N'HA UNA D'ESSE LINIE INFRA L'UN PIEDE E L'ALTRO.
Parleransi e toccheransi e abbracceransi li omini, stanti dall'uno all'altro emisperio, e [n]tenderansi i loro linguaggi.
111.
DE' PRETI CHE DICAN MESSA Molti fien quelli che, per esercitare la loro arte, si vestiran ricchissimamente: e questo parrà esser fatto secondo l'uso de' grembiuli.
112.
DE' FRATI [CHE] CONFESSANO.
Le sventurate donne di propia volontà andranno a palesare a li omini tutte le loro lussurie e opere vergognose e segretissime.
113.
DELLE CHIESE E ABITAZIONI DE' FRATI.
Assai saranno che lasceranno li esercizi e le fatiche e povertà di vita e di roba, e andranno abitare nelle ricchezze e trionfanti edifizi, mostrando questo esser il mezzo di farsi amico a Dio.
114.
DEL VENDERE IL PARADISO.
Infinita moltitudine venderanno pubblica e pacificamente cose di grandissimo prezzo, sanza licenza del padrone di quelle, e che mai non furon loro, né in lor potestà, e a questo non provvederà la giustizia umana.
115.
DE MORTI CHE SI VANNO A SOTTERRARE.
O umane sciocchezze, o vive pazzie! I semplici popoli porteran gran quantità di lumi per far lumi ne' viaggi a tutti quelli [ch]e integralmente han perso la virtù visiva.
116.
DELLE DOTE DELLE FANCIULLE.
E dove prima la gioventù femminina non si potea difendere dalla lussuria e rapina de' maschi, né per guardie di parenti, né per fortezze di mura, verrà tempo che bisognerà che padri e parenti d'esse fanciulle paghin di gran prezzi chi voglia dormire con loro, ancora che esse sien ricche, nobili e bellissime.
Certo e' par qui che la natura voglia spegnere la umana spezie, come cosa inutile al mondo e guastatrice di tutte le cose create.
117.
DELLA CRUDELTÀ DELL'OMO.
Vedrassi animali sopra della terra, i quali sempre combatteranno infra loro e con danni grandissimi e spesso morte di ciascuna delle parte.
Questi non aran termine nelle lor malignità; per le fiere membra di questi verranno a terra gran parte delli alberi delle gran selve dell'universo; e poi ch'e' saran pasciuti, il nutrimento de' lor desideri sarà di dar morte e affanno e fatiche e paure e fuga a qualunche cosa animata.
E per la loro ismisurata superbia questi si vorranno levare inverso il cielo, ma la superchia gravezza delle lor membra gli terrà in basso.
Nulla cosa resterà sopra la terra, o sotto la terra e l'acqua, che non sia perseguitata, remossa o guasta; e quella dell'un paese remossa nell'altro; e 'l corpo di questi si farà sepultura e transito di tutti i già da lor morti corpi animati.
O mondo, come non t'apri? e precipita nell'alte fessure de' tua gran balatri e spelonche, e non mostrare più al cielo sì crudele e dispietato monstro.
118.
DEL NAVICARE.
Vedrassi li alberi delle gran selve di Taurus e di Sinai, Apennino e Talas scorrere per l'aria da oriente a occidente, da aquilone a meridie, e portarne per l'aria gran moltitudine d'omini.
O quanti voti, o quanti morti, o quanta separazion d'amici e di parenti, o quanti fien quelli che non rivederanno più le lor provincie, né le lor patrie, e che morran sanza sepoltura colle loro ossa sparse in diversi siti del mondo!
119.
DELLO ISGOMBRARE L'OGNISANTI.
Molti abbandoneranno le propie abitazioni, e porteran con seco tutti e sua valsenti, e andranno abitare in altri paesi.
120.
DEL DI DE MORTI.
E quanti fien quelli che piangeranno i lor antichi morti, portando lumi a quelli!
121.
DE FRATI CHE SPENDENDO PAROLE RICEVANO DI GRAN RICCHEZZE, E DANNO IL PARADISO.
Le invisibile monete faran trionfare molti spenditori di quelle.
122.
DEGLI ARCHI FATTI COLLI CORNI DE' BOI.
Molti fien quelli che per causa delle bovine corna moriranno di dolente morte.
123.
DE' CRISTIANI.
Molti, che tengon la fede del figliolo, e sol fan templi nel nome della madre.
124.
DEL CIBO STATO ANIMATO.
Gran parte de corpi animati passerà pe' corpi degli altri animali; cioè, le case disabitate passeran in pezzi per le case abitate, dando a quelle un [u]tile, e portando con seco i sua danni.
Quest'è, cioè: la vita dell'omo si fa delle cose mangiate, le quali portan con seco la parte dell'omo ch'è morta.
125.
DELLI OMINI CHE DORMAN NELL ASSE D ALBERO.
Li omini dormiranno e mangeranno e abiteranno infra li alberi, nati nelle selve e campagne.
126.
DEL SOGNARE.
Alli omini parrà vedere nel cielo nove ruine, parrà in quello levarsi a volo e di quello fuggire con paura le fiamme, che di lui discendano, sentiran parlare li animali di qualunche sorte il linguaggio umano, scorreranno immediate colla lor persona in diverse parte del mondo sanza moto, vedranno nelle tenebre grandissimi sprendori.
O maraviglia delle umane spezie, qual frenesia t'ha sì condotto? Parlerai cogli animali di qualunche spezie e quelli con teco in linguaggio umano, vedra'ti cadere di grande alture sanza tuo danno, i torrenti t'accompagneranno
127.
DELLE FORMICHE.
Molti popoli fien quelli che nasconderan sé e sua figlioli [e] vettovaglie dentro alle oscure caverne; e lì, nelli lochi tenebrosi, ciberan sé e sua famiglia per molti mesi, sanza altro lume accidentale o naturale.
128.
DELL'APE.E a molti altri saran tolte le munizioni
e lor cibi, e crudelmente da gente sanza ragione saranno sommerse o annegate.
O giustizia di Dio, perché non ti desti a vedere così malmenare e tua creati?
129.
DELLE PECORE, VACCHE, CAPRE E SIMILI.
A innumerabili saran tolti e loro piccoli figlioli, e quelli scannati e crudelissimamente squartati.
130.
DELLE NOCI E ULIVE E GHIANDE E CASTAGNE E SIMILI.
Molti figlioli da dispietate bastonate fien tolti delle propie braccia delle lor madri e gittati in terra e poi lacerati.
131.
DE' FANCIULLI CHE STANNO LEGATI NELLE FASCE.
O città marine! io veggo in voi i vostri cittadini, così femmine come maschi, essere istrettamente dei forti legami colle braccia e gambe esser legati da gente che non intenderanno i vostri linguaggi, e sol vi potrete isfogare li vostri dolori e perduta libertà mediante i lagrimosi pianti e li sospiri e lamentazione infra voi medesimi, ché chi vi lega non v'intenderà, né voi loro intenderete.
132.
DELLE GATTE CHE MANGIANO E TOPI.
A voi, città dell'Africa, si vedrà i vostri nati essere squarciati nelle propie case da crudelissimi e rapaci animali del paese vostro.
133.
DELLI ASINI BASTONATI.
O natura instaccurata, perché ti se' fatta parziale, facendoti ai tua figli d'alcuni pietosa e benigna madre, ad altri crudelissima e dispietata matrigna? Io veggo i tua figlioli esser dati in altrui servitù sanza mai benifizio alcuno; e in loco di remunerazione de' fatti benifizi, esser pagati di grandissimi martiri; e spender sempre la lor vita in benifizio del suo malefattore.
134.
DIVISIONE DELLA PROFEZIA.
Prima delle cose degli animali razionali, seconda delli inrazionali, terza delle piante, quarta delle cirimonie, quinta de' costumi, sesta delli casi ovvero editti ovver quistioni, settima de' casi che non possono stare in natura, come dire: «di quella cosa quanto più ne levi, più cresce», e riserva i gran casi inverso il fine e deboli dal principio, e mostra prima e mali e poi le punizioni; ottava delle cose filosofiche.
135.
DE LI UFFIZI, FUNERALI E PROCISSIONI E LUMI E CAMPANE E COMPAGNIA Agli omini sarà fatti grandissimi onori e pompe sanza lor saputa.
136.
DEL COMUNE.
Un meschino sarà soiato, ch'essi soiatori sempre fien sua ingannatori e rubatori e assassini d'esso meschino.
137.
LA PERCUSSIONE DELLA SPERA DEL SOLE.
Apparirà cosa che, chi la crederrà coprire, sarà coperto da lei.
138.
DE' DANARI E ORO.
Uscirà delle cavernose spelonche chi farà con sudore affaticare tutti i popoli del mondo, con grandi affanni, ansietà, sudori, per essere aiutato da lui.
139.
DELLA PAURA DELLA POVERTÀ.
La malvagia e spaventevole darà di sé tanto timore appresso a delli omini, che quasi come matti, credendo fuggirla, accorreranno con veloce moto le sua ismisurate forze.
140.
DEL CONSIGLIO.
E colui che sarà più necessario a chi arà bisogno di lui, sarà isconosciuto, e cognosciuto, più sprezzato.
141.
DE PROFEZIA.
Tutti li strolagi saran castrati.
Cioè i galletti.
142.
Io dirò una parola o due o dieci o più, come a me piace, e voglio in quel tempo che più di mille persone in quel medesimo tempo dichino quella medesima, cioè che immediate dichino quello che me, e non vedranno me, né sentiranno quello che io mi dica.
Queste fieno l'ore da te annumerate, che quando tu dirai una, tutti quelli, che come te annumerano l'ore, dicano il medesimo numero che tu in quel medesimo tempo.
143.
DELLE BISCE PORTATE DALLE CICOGNE.
Vedrassi in grandissima altezza dell'aria lunghissimi serpe combattere colli uccelli.
144.
DELLE BOMBARDE CH'ESCAN DELLA FOSSA E DELLA FORMA.
Uscirà di sotto terra chi con ispaventevoli grida stordirà i circustanti vicini, e col suo fiato farà morire li omini e ruinare le città e castella.
145.
Sarà annegato chi fa lume al culto divino.
Le ape che fanno la cera delle candele.
146.
I morti usciranno di sotto terra e co' loro fieri movimenti cacceranno del mondo innumerabili creature umane.
Il ferro uscito di sotto terra è morto, e se ne fa l'arme che ha morti [t]anti omini.
147.
Le grandissime montagne, ancora che sieno remote de' marini liti, scacceranno il mare del suo sito.
Questi sono li fiumi che portano le terre da lor levate dalle montagne e le scaricano a' marini liti e, dove entra la terra, si fugge il mare.
148.
L'acqua caduta de' nugoli muterà in modo sua natura, che sopra le spiagge de' monti si fermerà per lungo spazio di tempo sanza fare alcun moto.
E questo accaderà in molte e diverse provincie.
La neve che fiocca, che è acqua.
149.
I gran sassi de' monti gitteran foco tale, che bruceranno il legname di molte e grandissime selve e molte fiere salvatiche e dimestiche.
La pietra del fucile che fa foco, che consuma tutte le some de le legne, con che si disfa le selve, e cocerassi con esso la carne delle bestie.
150.
O quanti grandi edifizi fieno ruinati per causa del foco! Dal foco delle bombarde.
151.
I boi fieno in gran parte causa delle ruine delle città e similmente cav[a]gli e bufoli.
Tira[n] le bombarde.
152.
Molte fien quelle che cresceran nelle lor ruine.
La palla della neve rotolando sopra la neve.
153.
Molta turba fie quella che, dimenticando loro essere e nome, staran come morti sopra le spoglie de li altri morti.
Il dormire sopra le piume dell'uccelli.
154.
Vedrassi le parte orientali discorrere nell'occidentale, le meridionale in settantrione, così avviluppandosi per l'universo con gran strepido, furore e tremore.
Il vento d'oriente che scorrerà in ponente.
155.
I razzi solari accenderanno il foco in terra, colli quale s'infocherà ciò ch'è sotto il cielo, e ripercossi nel suo impedimento ritorneranno in basso.
Lo specchio cavo accende il foco, col quale si scalda il forno che ha il fondo che sta sotto il suo cielo.
156.
Gran parte del mare si fuggirà inverso il cielo, e per molto tempo non farà r[i]torno.
Cioè per nugoli.
157.
DEL GRANO E ALTRE SEMENZE.
Butteranno li omini fori delle lor propie case quelle vettovaglie, le quali eran dedicate a sostentare la lor vita.
158.
DELLI ALBERI CHE NOTRISCANO E NESTI.
Vedrassi i padri e le madri far molto più giovamento ai figliastri che ai lor veri figlioli.
159.
DEL TERIBILE DELL'INCENSO.
Quelli che con vestimente bianche andranno con arrogante movimento minacciando con metallo e foco chi non faceva lor detrimento alcuno.
160.
DE' CAPRETTI.
Ritornerà il tempo d'Erode, perché l'innocenti figlioli saranno tolti alle loro balie e da crudeli omini di gran ferite moriranno.
161.
DEL SEGARE DELLE ERBE.
Spegneransi innumerabili vite, e farassi sopra la terra innumerabili busi.
162.
DELLA VITA DELLI OMINI CHE OGNI DIECI ANNI SI MUTANO DI CARNE.
Li omini passeran morti per le sue proprie budelle.
163.
DELLE BAGHE.
Le capre condurranno il vino alle città.
164.
I CALZOLARI.
Li omini vederan con piacere disfare e rompere l'opere loro.
165.
DELL'OMBRA CHE FA L'OMO DI NOTTE COL LUME.
Appariranno grandissime figure in forma urnana, le quali quanto più si ti faran vicino, più diminuiranno la loro immensa magnitudine.
166.
DE' MULI CHE PORTANO LE RICCHE SOME DELL'ARGENTO E ORO.
Molti tesori e gran ricchezze saranno appresso alli animali di quattro piedi, i quali le porteranno in diversi lochi.
167, DEL CONSIGLIO E DELLA MISERIA.
Ecci una cosa che, quanto più se n'ha di bisogno, più si refiuta.
E questo è il consiglio, mal volentieri ascoltato da chi ha più bisogno, cioè dagl'ignoranti.
Ecci una cosa che, quanto più n'hai paura e più la fuggi, più te l'avvicini.
E questo è la miseria, che quanto più la fuggi, più ti fai misero e sanza riposo.
168.
Qual è quella cosa che dalli omini è molto desiderata e, quando si possiede, non si pò conoscere? E' il dormire.
169.
Il vino è bono, ma l'acqua avanza.
In tavola.
170.
EL LUME D'UNA CANDELA.
Ecci una cosa che levane quanto sai, e mai non ne scemerà di sua grandezza.
171.
EL FUOCO.
Eccene un'altra che quanto più è trista e cattiva, più te l'accosti.
172.
DELLE APE.
Vivono a popoli ensieme, sono annegate per torli il mele.
Molti e grandissimi popoli saran...
gati nelle loro propi...
saran po...
173.
I' son colui che nacqui inanzi al padre; la terza
parte delli omini uccisi; po' tornai nel ventre alla mia madre.
174.
O Moro, io moro, se con tua moralità non mi amari; tanto il vivere m'è amaro!
FACEZIE
1.
Uno vede una grande spada allato a un altro e dice: «O poverello! ell'è gran tempo ch'io t'ho veduto legato a questa arme: perché non ti disleghi, avendo le mani disciolte e possiedi libertà?».
Al quale costui rispose: «Questa è cosa non tua, anzi è vecchia».
Questo, sentendosi mordere, rispuose: «Io ti conosco sapere sì poche cose in questo mondo, ch'io credevo che ogni divulgata cosa a te fussi per nova».
2.
Uno disputandosi e vantandosi di sapere fare molti vari e belli giochi, un altro de' circustanti disse: «Io so fare uno gioco il quale farà trarre le brache a chi a me parirà».
Il primo vantatore, trovandosi sanza brache: «Che no», disse, «che a me non le farai trarre! E vadane un paro di calze».
Il proponitore d'esso gioco, accettato lo 'nvito, impromutò più para di brache e trassele nel volto al mettitore delle calze.
E vinse il pegno.
3.
Uno disse a un suo conoscente: «Tu hai tutti li occhi trasmutati in istrano colore».
Quello li rispose intervenirli spesso.
«Ma tu non ci hai posto cura? E quando t'addivien questo?».
Rispose l'altro: «Ogni volta ch'e mia occhi veggono il tuo viso strano, per la violenza ricevuta da sì gran dispiacere, subito e' s'impallidiscano e mutano in istran colore».
4.
Uno disse a un altro: «Tu hai tutti li occhi mutati in istran colore».
Quello li rispose: «Egli è perché i mia occhi veggono il tuo viso strano».
5.
Uno disse che in suo paese nasceva le più strane cose del mondo.
L'altro rispose: «Tu che vi se' nato, confermi ciò esser vero, per la stranezza della tua brutta presenza».
6.
FACEZIA.
Due camminando di notte per dubbiosa via, quello dinanzi fece grande strepido col culo; e disse l'altro compagno: «Or veggo io ch'i son da te amato».
«Come?», disse l'altro.
Quel rispose: «Tu mi porgi la correggia perch'io non caggia, né mi perda da te».
7.
FACEZIA.
Una lavava i panni e pel freddo aveva i piedi molto rossi, e, passandole appresso, uno prete domandò con ammirazione donde tale rossezza dirivassi; al quale la femmina subito rispuose che tale effetto accadeva, perché ella aveva sotto il foco.
Allora il prete mise mano a quello membro, che lo fece essere più prete che monaca, e, a quella accostatosi, con dolce e sommessiva voce pregò quella che 'n cortesia li dovessi un poco accendere quella candela.
8.
FACEZIA.
Andando un prete per la sua parrocchia il sabato santo, dando, com'è usanza, l'acqua benedetta per le case, capitò nella stanza d'un pittore, dove spargendo essa acqua sopra alcuna sua pittura, esso pittore, voltosi indirieto alquanto scrucciato, disse, perché facessi tale spargimento sopra le sue pitture.
Allora il prete disse essere così usanza, e ch'era suo debito il fare così, e che faceva bene, e chi fa bene debbe aspettare bene e meglio, che così promettea Dio, e che d'ogni bene, che si faceva in terra, se n'arebbe di sopra per ogni un cento.
Allora il pittore, aspettato ch'elli uscissi fori, se li fece di sopra alla finestra, e gittò un gran secchione d'acqua addosso a esso prete, dicendo: «Ecco che di sopra ti viene per ogni un cento, come tu dicesti che accaderebbe nel bene, che mi facevi colla tua acqua santa, colla quale m'hai guasto mezze le mie pitture».
9.
Usano i frati minori, a certi tempi, alcune loro quaresime, nelle quali essi non mangiano carne ne' lor conventi; ma in viaggio, perché essi vivano di limosine, hanno licenzia di mangiare ciò che è posto loro innanzi.
Onde, abbattendosi in detti viaggi una coppia d'essi frati a un'osteria in compagnia d'un certo me[r]cantuolo, il quale, essendo a una medesima mensa, alla quale non fu portato, per la povertà dell'osteri[a], altro che un pollastro cotto, onde esso mercantuolo, vedcndo questo essere poco per lui, si volse a essi frati, e disse «Se io ho ben di ricordo, voi non mangiate in tali di ne' vostri conventi d'alcuna maniera di carne».
Alle quali parole i frati furono costretti, per la lor regola, sanza alt[r]e gavillazioni, a dire ciò essere la verità: onde il mercantetto ebbe il suo desiderio; e così si mangiò essa pollastra, e i frati feciono il meglio poterono.
Ora, dopo tale desinare, questi commensari si partirono tutti e tre di compagnia; e dopo alquanto di viaggio, trovati un fiume di bona larghezza e profondità, essendo tutti tre a piedi i frati per povertà e l'altro per avarizia , fu necessario, per l'uso della compagnia, che uno de' frati, essendo discalzi passasse sopra i suoi omeri esso mercantuolo: on[de] datoli il frate a serbo i zoccoli, si caricò di tale omo.
Onde accadde che, trovandosi esso frate in mezzo del fiume, esso ancora si ricordò de la sua regola; e fermatosi, a uso di San Cristofano, alzò la testa inverso quello che l'aggravava, e disse: «Dimmi un poco, hai tu nessun dinari addosso?».
«Ben sai», rispose questo, «come credete voi che mia pari mercatanti andassi[n] altrementi attorno?».
«Oimè!», disse il frate, «la nostra regola vieta che noi non possiano portare danari addosso».
E subito lo gettò nell'acqua.
La qual cosa, conosciuta dal mercatante facetamente la già fatta ingiuria essere vendicata, con piacevole riso, pacificamente, mezzo arrossito per vergogna, la vendetta sopportò.
10.
Uno lasciò lo usare con uno suo amico, perché quello spesso li diceva male delli amici sua.
Il quale lasciato l'amico, un dì, dolendosi collo amico, e dopo il molto dolersi, pregò che li dicesse quale fusse la cagione che lo avesse fatto dimenticare tanta amicizia.
Al quale esso rispose: «Io non voglio più usare con teco per ch'io ti voglio bene e non voglio che, dicendo tu male ad altri di me tuo amico, che altri abbiano a fare, come me a fare trista impressione di te, dicendo tu a quelli male di me tuo amico, onde non usando noi più insieme, parrà che noi siamo fatti nimici e per il dire tu male di me, com'è tua usanza, non sarai tanto da essere biasimato, come se noi usassimo insieme».
11.
FACEZIA.
Uno volendo provare colla alturità di Pittagora come altre volte lui era stato al mondo, e uno non li lasciava finire il suo ragionamento, allor costui disse a questo tale: «E per tale segnale che io altre volte ci fussi stato, io mi ricordo che tu eri mulinaro».
Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli confermò essere vero, che per questo contrassegno lui si ricordava che questo tale era stato l'asino, che li portava la farina.
12.
FACEZIA.
Fu dimandato un pittore, perché facendo lui le figure sì belle, che eran cose morte, per che causa avessi fatto i figlioli sì brutti.
Allora il pittore rispose che le pitture le fece di dì e i figlioli di notte.
13.
MOTTO DETTO DA UN GIOVANE A UN VECCHIO.
Dispregiando uno vecchio pubblicamente un giovane, mostrando aldacemente non temer quello, onde il giovane li rispuose che la sua lunga età li faceva migliore scudo che la lingua o la forza.
14.
FACEZIA.
Sendo uno infermo in articulo di morte, esso sentì battere la porta e domandato uno de' sua servi chi era che batteva l'uscio, esso servo rispose essere una che si chiamava Madonna Bona.
Allora l'infermo, alzato le braccia al cielo ringraziò Dio con alta voce, poi disse ai servi che lasciassino venire presto questa, acciò che potessi vedere una donna bona innanzi che esso morissi, imperocché in sua vita ma' ne vide nessuna.
15.
FACEZIA.
Fu detto a uno che si levasse dal letto, perché già era levato il sole, e lui rispose: «Se io avessi a fare tanto viaggio e faccende quanto lui, ancora io sarei già levato, e però, avendo a fare sì poco cammino, ancora non mi vo' levare».
16.
Uno artigiano andando spesso a vicitare uno signore, sanza altro proposito dimandare, al quale il signore domandò quello che andava facendo.
Questo disse che veniva lì per avere de' piaceri che lui aver non potea; perocché lui volentieri vedeva omini più potenti di lui, come fanno i popolari, ma che 'l signore non potea vedere se non omini di men possa di lui: e per questo i signori mancavano d'esso piacere.
17.
Uno andando a Modana ebbe a pagare cinque soldi di gabella della sua persona.
Alla qual cosa, cominciato a fare gran cramore e ammirazione, attrasse a sé molti circunstanti, i quali domandando donde veniva tanta maraviglia, ai quali Maso rispose: «O non mi debbo io maravigliare con ciò sia che tutto un omo non paghi altro che cinque soldi, e a Firenze io, solo a metter dentro el cazzo, ebbi a pagare dieci ducati d'oro, e qui metto el cazzo e coglioni e tutto il resto per sì piccol dazio? Dio salvi e mantenga tal città e chi la governa.
18.
Uno, vedendo una femmina parata a tener tavola in giostra, guardò il tavolaccio e gridò vedendo la sua lancia: «Oimè, questo è troppo picciol lavorante a sì gran bottega!».
19.
Una putta mostrò il conno d'una capra 'n iscambio del suo a un prete, e prese un grosso, e così lo beffò.
20.
La femmina nel passare uno tristo passo e fangoso «Tre verità», ella nell'alzarsi colle mani i panni dirieto e dinanzi si tocca la potta e 'l culo e dice: «Questo è un tristo passo!».
21.
FACEZIA.
Perché li Ungheri tengan la croce doppia?
22.
Un certo merendon cresciuto all'uggia, come la zucca o 'l melon per superchio omore, o come il bozzacchio per li acquazzoni.
No, tu non di' bene; sai tu chi e' par quello? Egli è proprio giucco da Gello, raso a capocchia; ma li manca il cavolo o la foglia della zucca da colare il lattime.
Di' su, Sandro, che te ne pare? I' ti dirò il vero, e' m'è riuscito.
23.
Facezia dell'arciprete di Sancta Maria del Monte, che sta a Varese, che fu mandato legato al Duca 'n iscambio d'uno sparviere.
24.
Uno rimproverò a uno omo da bene che non era legittimo.
Al quale esso rispose esser legittimo nelli ordini della spezie umana e nella legge di natura, ma che lui nell'una era bastardo, perch'egli avea più costumi di bestia che d'omo, e nella legge delli omini non avea certezza d'esser ligittimo.
25.
FACEZIA.
Sapiendo un ladro che 'n suo cognoscente merciaio avea assai danari 'n una cassa in sua bottega, fece pensiero di rubarliele, e di mezzanotte, entrato in bottega d'esso merciaio, cominciato a dare ordine alla sua intenzione, fu sopraggiunto, la bottega dischiavata dal gran catenaccio.
E con grande spavento, posto li occhi alle fessure donde spirava il lume del ladro, subito serrò di fori il catenaccio; e serrato il ladro in bottega, corse per la famiglia del rettore.
Allora il ladro, trovandosi dentro serrato, ricorse a un subito scampo della salute sua, e, accesi due candellieri del merciaio e cavato fori un paio di carte da giucare, parte ne gittò per terra, dov'era tristo giuoco, e altrettante se ne serbò in mano con gioco bono, e così aspettò la famiglia del rettore.
La quale subito che giunse col cavalieri, costui ch'era in bottega, sentendo dischiavare l'uscio, gridò: «Alla fede di Dio, tu m'hai serrato qui per non mi pagare li danari che io t'ho vinti.
E io ti giuro che tu mi fara' il dovere.
E non si vole giuocare, chi non vuol perdere.
Tu m'hai fatto mezzo giucar per forza e poi, quando perdi, ti fuggi for di bottega co' tua danari e co' mia, e mi serri dentro, perché io non ti corra dirieto.»E così detto, li cacciò la mano alla scarsella per ispiccarliela dal lato.
Allora il cavalieri, parendoli esser stato giuntato, fece che 'l merciaio li diede i danari che colui dimandava ch'eran sua.
26.
FACEZIA.
Uno povero omo fece intendere a uno usceri d'un gran signore come e' dovessi dire al suo signore, che quivi era venuto un suo fratello, il quale avea gran bisogno di parlarli.
Il quale usceri, avendo referita tale imbasciata, ebbe comessione di dare l'entrata a tale fratello.
Il quale, giunto al cospetto del signore, li mostrò come, essendo tutti discesi del gran padre Adam, ch'elli era suo fratello, e che la roba era mal divisa, e che lo pregava che cacciassi da lui tanta povertà, perché a gran pena potea vivere di limosine.
Allora il signori rispose ch'elli era ben lecito tal richiesta e domandò il tesorieri e feceli donare un soldo.
Allora il povero ebbe grande ammirazione e disse che quel non si richiedea a tal fratelllo.
Allora il signore disse ch'egli avea tanti simili fratelli, che a dar tanto per ciascuno, che non li rimanea niente a lui, e che tal soldo era bastante a tal divisione di roba.
E così con lecita licenzia lo divise da tal redità.
PROEMI
1.
Se bene, come loro, non sapessi allegare gli altori, molto maggiore e più degna cosa allegherò, allegando la sperienzia, maestra ai loro maestri.
Costoro vanno sgonfiati e pomposi, vestiti e ornati, non delle loro, ma delle altrui fatiche; e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati.
2.
PROEMIO.
E' da essere giudicati e non altrementi stimati li omini inventori e 'nterpetri tra la natura e gli omini a comparazione de' recitatori e trombetti delle altrui opere quant'è dall'obbietto fori dello specchio alla similitudine d'esso obbietto apparente nello specchio, che l'uno per sé è qualche cosa, e l'altro è niente.
Gente poco obbrigate alla natura, perché sono sol d'accidental vestiti, e sanza il quale potrei accompagnarli infra li armenti delle bestie.
3.
Molti mi crederanno ragionevolmente potere riprendere allegando le mie prove esser contro all'alturità d'alquanti omini di gran reverenza appresso de' loro inesperti iudizi, non considerando le mie cose essere nate sotto la semplice e mera sperienzia, la quale è maestra vera.
4.
PROEMIO.
Vedendo io non potere pigliare materia di grande utilità o diletto, perché li omini innanzi a me nati hanno preso per loro tutte l'uti[li] e necessarie teme, farò come colui il quale per povertà giugne l'ultimo alla fiera, e non potendo d'altro fornirsi, piglia tutte cose già da altri viste e non accettate, ma rifiutate per la loro poca valitudine.
Io questa disprezzata e rifiutata mercanzia, rimanente de' molti compratori, metterò sopra la mia debole soma, e con quella, non per le grosse città, ma povere ville andrò distribuendo, pigliando tal premio qual merita la cosa da me data.
5.
PROEMIO.
Naturalmente li omini boni disiderano sapere.
So che molti diranno questa essere opera inutile, e questi fieno quelli de' quali Deometro disse non faceva conto più del vento, il quale nella lor bocca causava le parole, che del vento ch'usciva dalle parte di sotto; uomini i quali hanno solamente desiderio di corporal ricchezze, diletto, e interamente privati di quello della sapienza, cibo e veramente sicura ricchezza dell'anima; perché quant'è più degna l'anima che 'l corpo, tanto più degni fien le ricchezze dell'anima che del corpo.
E spesso quando vedo alcun di questi pigliare essa opera in mano, dubito non sì come la scimmia sel mettino al naso, o che mi domandi[n] se è cosa mangiativa.
6.
PROEMIO.
So bene che, per non essere io litterato, che alcuno prosuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll'allegare io essere omo sanza lettere.
Gente stolta! Non sanno questi tali ch'io potrei, sì come Mario rispose contro a' patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: «Quelli che dall'altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliano concedere».
Diranno che, per non avere io lettere, non potere ben dire quello di che voglio trattare.
Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienzia, che d'altrui parola; la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò
7.
PROEMIO DI PROSPETTIVA, CIOE DELL'UFFIZIO DELL'OCCHIO.
Or guarda, lettore, quello che noi potremo credere ai nostri antichi, i quali hanno voluto difinire che cosa s[ia a]nima e vita, cose improvabili, q[uando] quelle che con isperienzia ognora si possano chiaramente conoscere e provare, sono per tanti seculi ignorate e falsamente credute.
L'occhio, che così chiaramente fa sperienzia del suo offizio, è insino ai mia tempi per infiniti altori stato difinito in un modo, trovo per isperienzia essere 'n un altro.
8.
Queste regole son cagione di farti conoscere il vero dal falso; la qual cosa fa che li omini si promettano le cose possibili e con più moderanza, e che tu non ti veli di ignoranza, che farebbe che, non avendo effetto, tu t'abbi con disperazione a darti malinconia.
9.
EFFETTO DELLE MIE REGOLE.
Se tu mi dicessi: «Che partoriscano queste tue regole; a che son loro bone?»; io ti rispondo ch'elle tengon le briglia all'ingegneri e investigatori a non si las[c]iare promettere a se medesimo o ad altri cose impossibili e farsi tenere matto o giuntatore.
10.
E la difinizione dell'anima lascio nelle menti de' frati, padri de' popoli, li quali per inspirazione san tutti li segreti.
Lascia star le lettere incoronate, perché son somma verità.
11.
Chi disputa allegando l'alturità non adopera lo 'ngegno, ma più tosto la memoria.
12.
Le buone lettere so' nate da un bono naturale, e perché si de' più laldare la cagion che l'effetto, più lalderai un bon natùrale sanza lettere, che un bon litterato sanza naturale.
13.
Contro alcuni commentatori che biasiman li antichi inventori donde nasceron le grammatiche e le scienzie, e fansi cavalieri contro alli morti inventori.
14.
I' ho tanti v[o]cavoli nella mia lingua materna, ch'i' m'ho piuttosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole, colle quali io possa bene espriemere il concetto della mente mia.
15.
Intra li studi delle naturali considerazioni la luce diletta più i contemplanti; intra le cose grandi delle matematiche la certezza della dimostrazione innalza più plecaramente l'ingegni dell'investiganti.
La prospettiva adunque è da esser preposta a tutte le traduzioni e discipline umane, nel campo della quale la linia radiosa complicata dà e modi delle dimostrazioni, innella quale si truova la groria non tanto de la matematica quanto della fisica, ornata co' fiori dell'una e dell'altra; le sentenzie della quale, distese con gran circuizioni, io le ristrignerò in conclusiva brevità, intessendo, secondo il modo de la materia, naturale e matematiche dimostrazioni, alcuna volta conchiudendo gli effetti per le cagioni, e alcuna volta le cagioni per li effetti, aggiugnendo ancora alle mie conclusioni alcuna che non sono in quelle, non di meno di quelle si traggano, come si degnerà il Signore, luce d'ogni cosa, illustrare me trattatore della luce, el quale partirò la presente opera in tre parti.
16.
E tu, che di' esser meglio il vedere fare la notomia che vedere tali disegni, diresti bene, se fussi possibile veder tutte queste cose, che in tal disegni si dimostrano in una sola figura; nella quale, con tutto il tuo ingegno, non vedrai e non arai la notizia se non d'alquante poche vene; delle quali io, per averne vera e piena notizia, ho disfatti più di dieci corpi umani, destruggendo ogni altri membri, consumando con minutissime particule tutta la carne che dintorno a esse vene si trovava, sanza insanguinarle, se non d'insensibile insanguinamento delle vene capillare.
E un sol corpo non bastava a tanto tempo, che bisognava procedere di mano in mano in tanti corpi, che si finissi la intera cognizione; la qual ripricai due volte per vedere le differenzie.
E se tu arai l'amore a tal cosa, tu sarai forse impedito dallo stomaco; e se questo non ti impedisce, tu sarai forse impedito dalla paura coll'abitare nelli tempi notturni in compagnia di tali morti squartati e scorticati e spaventevoli a vederli; e se questo non t'impedisce, forse ti mancherà il disegno bono, il qual s'appartiene a tal figurazione.
E se tu arai il disegno, e' non sarà accompagnato dalla prespettiva; e se sarà accompagnato, e' ti mancherà l'ordine delle dimostrazion geometriche e l'ordine delle calculazion delle forze e valimento de' muscoli; o forse ti mancherà la pazienza, che tu non sarai diligente.
Delle quali, se in me tutte queste cose sono state o no, i centoventi libri da me composti ne daran sentenzia del sì o del no, nelli quali non sono stato impedito né d'avarizia o negligenzia, ma sol dal tempo.
Vale.
17.
O scrittore, con quali lettere scriverrai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno? Il quale tu per non avere notizia, scrivi confuso e lasci poca cognizione delle vere figure delle cose, la quale tu, ingannandoti, ti fai credere poter saddisfare appieno all'ulditore, avendo a parlare di figurazione di qualunche cosa corporea circundata di superfizie.
Ma io ti ricordo che tu non t'impacci colle parole se non di parlare con orbi, o se pur tu voi dimostrar con parole alli orecchi e non all'occhi delli omini, parla di cose di sustanzie o di nature, e non t'impacciare di cose appartenenti alli occhi col farle passare per li orecchi, perché sarai superato di gran lungo dall'opera del pittore.
Con quali lettere descriverai questo core che tu non empia un libro? e quanto più lungamente scriverrai alla minuta, tanto più confonderai la mente dello ulditore e sempre arai bisogno di sponitori o di ritornare alla sperienzia, la quale in voi è brevissima e dà notizia di poche cose rispetto al tutto del subbietto di che desideri integral notizia.
18.
O speculatore di questa nostra macchina, non ti contristare perché coll'altrui morte tu ne dia notizia, ma rallegrati che il nostro Altore abbia fermo lo intelletto a tale eccellenzia di strumento.
19.
Io scopro alli omini l'origine prima, o forse seconda, della cagione di loro essere.
20.
E tu, omo, che consideri in questa mia fatica l'opere mirabile della natura, se giudicherai esser cosa nefanda il destruggerla, or pensa essere cosa nefandissima il torre la vita all'omo, del quale, se questa sua composizione ti pare di maraviglioso artifizio, pensa questa essere nulla rispetto all'anima, che in tale architettura abita, e veramente, quale essa si sia, ella è cosa divina, (sì) che lasciala abitare nella sua opera a suo beneplacito, e non volere che la tua ira o malignità destrugga una tanta vita che, veramente, chi non la stima non la merita , poiché così mal volentieri si parte dal corpo, e ben credo che 'l suo pianto e dolore non sia sanza cagione.
E ingegnati di conservare la sanità, la qual cosa tanto più ti riuscirà quanto più da fisici ti guarderai, perché le sue composizione son di spezie d'archimia, della qual non è men numero di libri ch'esista di medicina.
21.
Io ho trovato infra l'altre superchie e impossibile credulità degli omini la cerca del moto continuo, la quale per alcuno è detta rota perpetua'.
Questa ha tenuto moltissimi seculi, con lunga cerca e sperimentazione e grande spesa, occupati quasi tutti quelli omini che si dilettano di machinamenti d'acqua e di guerre e altri sottili ingegni.
E sempre nel fine intervenne a loro come alli archimisti, che per una piccola parte si perdea il tutto.
Ora io intendo fare questa limosina a questa setta d'investigatori, cioè di dare loro tanto di quiete in tale cerca quanto durerà questa mia piccola opera.
E oltre a di questo, ciò che di sé a altri imprometteranno, arà il disiderato lor fine, e none aranno sempre a stare in fughe per le cose impossibile promesse ai principi e reggitori di popoli.
Io mi ricordo avere veduti molti e di vari paesi, essere per loro puerile credulità, essersi condotti alla città di Vinegia con grande speranze di provisioni, e fare mulina in acqua morta*, che non potendo dopo molta spesa movere tal machina, eran costretti a movere con gran furia se medesimi di tale aer.
*Cioè levare con istrumenti l'acqua quieta, come di padule, pozzo o di mare, e questa acqua, levata, 'n suo discendere ausi a fare come che fa l'altra acqua alle mulina O sempi, o veramente o[mi]ni sanza naturale [che] volete voi?
22.
O speculatori del continuo moto, quanti vani disegni in simile cerca ave' creati! Accompagnatevi colli cercator dell'oro!
23.
Com'è più difficile a 'ntendere l'opere di natura che un libro d'un poeta!
DUE CAPOLAVORI E UNA SCOPERTA
1.
Se tu non voi fare di bronzo, perché esse non sieno tolte, sappi che tutte le bone cose di Roma furono spoglie di città e terre vinte da essi romani.
E non valse essere di pesi mirabili, come fu l'agucchia e due cavalli.
E se tu la farai fare sì goffa, che non n'abbia a essere portata via, e' ne fia fatto muraglie e calcina.
Fa come ti piace, che ogni cosa ha la sua morte.
E se tu dicessi di non volere fare cosa che dia più o[no]re all'artefice che a chi spende, sappi che le più cose danno più onore al suo fattore che al pagatore.
2.
Addì 6 di giugno 1505, in venerdì, al tocco delle tredici ore, cominciai a colorire in Palazzo.
Nel qual punto del posare il pennello si guastò il tempo, e sonò a Banco richiedendo li omini a ragione.
Il cartone si stracciò, l'acqua si versò e ruppesi il vaso dell'acqua che si portava.
E subito si guastò il tempo, e piovve insino a sera acqua grandissima, e stette il tempo come notte.
3.
La notte di Sancto Andre[a] trovai il fine della quadratura del cerchio.
E in fine del lume e della notte e della carta dove scrivevo, fu concluso.
Al fine dell'ora.
DISCORSO CONTRO GLI ABBREVIATORI
1.
Non abbreviatori ma obbliatori si de' dire a quelli che abbrevian tali opere quali son queste.
2.
Fa' un discorso della riprensione che si richiede alli scolari, impeditori delle notomie e abbreviatori di quelle.
3.
a) Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confusione, e mai porrà silenzio alle contraddizioni delle sofistiche scienzie, colle quali s'impara uno eterno gridore.
b) Li abbreviatori delle opere fanno ingiuria alla cognizione e allo amore, con ciò sia che l'amore di qualunche cosa è figliol d'essa cognizione, e l'amore è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa; la qual certezza nasce dalla cognizione integrale di tutte quelle parte, le quali, essendo insieme unite, compongano il tutto di quelle cose che debbono essere amate.
Che vale a quel che per abbreviare le parte di quelle cose che lui fa professione di darne integral notizia, che lui lasci indirieto la maggior parte delle cose di che il tutto è composto?
Egli è vero che la impazienzia, madre della stoltizia, è quella che lalda la brevità.
Come se questi tali non avessino tanto di vita che li servissi a potere avere una intera notizia d'un sol particulare, come è un corpo umano! E poi vogliano abbracciare la mente di Dio, nella quale s'include l'universo, caratando e minuzzando quella in infinite parte, come l'avessino anatomizzate! O stoltizia umana! non t'avvedi tu, che tu se' stato con teco tutta la tua età, e non hai ancora notizia di quella cosa che tu più possiedi, cioè della tua pazzia? e voli poi, colla moltitudine de' sofistichi, ingannare te e altri, splezzando le matematiche scienze, nelle qual si contiene la vera notizia delle cose che in lor si contengano; o vòi poi scorrere ne' miracoli e scrivere e dar notizia di quelle cose di che la mente umana non è capace, e non si posson dimostrare per nessun esemplo naturale; e ti pare avere fatto miraculi quando tu ha' guasto una opera d'alcuno ingegno speculativo; e non t'avvedi che tu cadi nel medesimo errore che fa quello che denuda la pianta dell'ornamento de' sua rami, pieni di fronde miste colli odoriferi fiori e frutti sopra, [e] dimostra in quella pianta esser da fare di ignude tavole! Come fece Giustino, abbreviator delle Storie scritte da Troco Pompeo il quale scrisse ornatamente tutti li eccellenti fatti delli sua antichi, li quali eran pieni di mirabilissimi ornamenti e così compose una cosa ignuda, ma sol degna d'ingegni impazienti, li quali pare lor perder tanto di tempo, quant'è quello che è adoperato utilmente, cioè nelli studi delle opere di natura e delle cose umane.
Ma stieno questi tali in compagnia delle bestie, e li lor cortigiani sien cani e altri animali pien di rapina e accompagninsi con lor; correndo sempre dirieto a chi fugge, seguitano l'innocenti animali che, con la fame, alli tempi delle gran nevi, ti vengano alle case, dimandandoti limosina, come [a] lor tutore.
E se tu se', come tu hai iscritto, il re delli animali ma meglio dirai dicendo re delle bestie, essendo tu la maggiore perché non li aiuti a ciò che ti possin poi darti li lor figlioli in benifizio della tua gola, colla quale tu hai tentato farti sepultura di tutti li animali? E più oltre direi, se 'l dire il vero mi fussi integralmente lecito.
Ma non ne usciam delle cose umane dicendo una somma iscellerataggine, la qual cosa non accade nelli animali terresti, imperò che in quelli non si trova animali che mangino della loro spezie se non per mancamento di celabro imperò che infra loro è de' matti, come infra li omini, benché non sieno in tanto numero e questo non accade se non ne li animali rapaci, come nella spezie leonina e pardi, pantere, cervéri, catte e simili, li quali alcuna volta si mangiano i figlioli; ma tu, oltre alli figlioli, ti mangi il padre, madre, fratelli e amici, e non ti basta questo, che tu vai a caccia per le altrui isole pigliando li altri omini; e quelli, mozzando il membro e li testiculi, fa' ingrassare e te li cacci giù per la gola! Or non produce natura tanti semplici che tu ti possa saziare? e se non ti contenti de' semplici, non poi tu con la mistion di quelli fare infiniti composti, come scrisse il Platina e li altri altori di gola?
c) E se alcuno se ne trova vertuoso e bono non lo scacciate da voi, fateli onore, a ciò che non abbia a fuggirsi da voi e ridursi nelli ermi o spelonche o altri lochi soletari per fuggirsi dalle vostre insidie; e se alcun di questi tali si trova, fateli onore, perché questi sono i nostri iddei terresti, questi meritan da noi le statue, simulacri e li onori.
Ma ben ví ricordo che li lor simulacri non sien da voi mangiati, come accade in alcuna regione dell'India, che quando li lor simulacri operano alcuno miraculo secondo loro li sacerdoti lo tagliano in pezzi, essendo di legno, e ne dànno a tutti quelli del paese, e non sanza premio, e ciascun raspa sottilmente la sua parte e mette sopra la prima vivanda che mangiano, e così tengan per fede aversi mangiato il suo santo, e credan che lui li guardi poi da tutti li pericoli.
Che ti pare, omo, qui della tua spezie? se' tu così savio come tu ti tieni? son queste cose da esser fatte da omini?
d) E in questo caso i' so che io ne acquisterò pochi nemici, con ciò sia che nessun crederà ch'io possa dire di lui, perché pochi son quelli a chi i sua vizi dispiaccino, anzi sol quelli omini li dispiacciano che son di natura contraria a tali vizi; e molti odiano li padri e guastan le amicizie, reprensori de' sua vizi, e non vale esempli contrari a esse, né nessuno uman consiglio.
CONTRO IL NEGROMANTE E L'ALCHIMISTA
1.
Non pò essere voce, dove non è movimento e percussione d'aria, non pò essere percussione d'essa aria, dove non è strumento, non pò essere strumento incorporeo.
Essendo così, uno spirito non pò avere né voce, né forma, né forza, e, se piglierà corpo, non potrà penetrare, né entrare dove li usci sono serrati.
E se alcuno dicessi: «per aria congregata e ristretta insieme lo spirito piglia i corpi di varie forme, e per quello strumento parla e move con forza», a questa parte dico che, dove non è nervi e ossa, non può essere forza operata, in nessuno movimento, fatto dagl'imaginati spiriti.
Fuggi e precetti di quelli speculatori che le loro ragioni non son confermate dalla isperienzia.
2.
Considera bene come, mediante il moto della lingua, coll'aiuto delli labbri e denti, la pronunziazione di tutti i nomi delle cose ci son note, e li vocaboli semplici e composti d'un linguaggio pervengano alli nostri orecchi, mediante tale istrumento.
Li quali, se tutti li effetti di natura avessino nome, s'astenderebbono inverso lo infinito, insieme colle infinite cose che sono in atto e che sono in potenzia di natura; e queste non isplemerrebbe in un solo linguaggio, anzi in moltissimi, li quali ancora lor s'astendano inverso lo infinito, perché al continuo si variano di secolo in seculo e di paese in paese, mediante le mistion de' popoli che per guerre o altri accidenti al continuo si mistano; e li medesimi linguaggi son sottoposti alla obblivione, e son mortali come l'altre cose create; e se noi concedereno il nosto mondo essere etterno, noi diren tali linguaggi essere stati, e ancora dovere essere, d'infinita varietà, mediante l'infiniti secoli, che nello infinito tempo si contengano ecc.
E questo non è in alcuno altro senso, perché sol s'astendano nelle cose che al continuo produce la natura, la qual non varia le ordinarie spezie delle cose da lei create, come si variano di tempo in tempo le cose create dall'omo, massimo strumento di natura, perché la natura sol s'astende alla produzion de' semplici.
Ma l'omo con tali semplici produce infiniti composti, ma non ha potestà di creare nessun semplice, se non un altro se medesimo, cioè li sua figlioli: e di questo mi saran testimoni li vecchi archimisti, li quali mai, o a caso o con volontaria sperienzia, s'abbattèro a creare la minima cosa che crear si possa da essa natura; e questa tal generazione merita infinite lalde, mediante la utilità delle cose da lor trovate a utilità delli omini, e più ne meriterebbono, se non fussino stati inventori di cose nocive, come veneni e altre simili ruine di vita o di mente, della quale lor non sono esenti, con ciò sia che con grande studio e esercitazione volendo creare, non la men nobile produzion di natura, ma la più eccellente, cioè l'oro, vero figliol del sole, perché più ch'a altra creatura a lui s'assomiglia, e nessuna cosa creata è più etterna d'esso oro.
Questo è esente dalla destruzion del foco, la quale s'astende in tutte l'altre cose create, quelle riducendo in cenere o in vetro o in fumo.
E se pur la stolta avarizia in tale errore t'invia, perché non vai alle miniere dove la natura genera tale oro e quivi ti fa' suo discepolo, la qual fedelmente ti guarirà della tua stoltizia, mostrandoti come nessuna cosa da te operata nel foco, non sarà nessuna di quelle che natura adoperi al generare esso oro? Quivi non argento vivo, quivi non zolfo di nessuna sorte, quivi non foco, né altro caldo che quel di natura vivificatrice del nostro mondo, la qual ti mosterrà le ramificazione dell'oro sparse per il lapis ovvero azzurro oltramarino, il quale è colore esente dalla potestà del foco.
E considera bene tale ramificazione dell'oro, e vederai nelli sua stremi, li quali co' lento moto al continuo crescano, e' convertano in oro quel che tocca essi stremi, e nota che quivi v'è un'anima vigitativa, la qua[l] non è in tua potestà di generare.
3.
Ma delli discorsi umani stoltissimo è da essere reputato quello il qual s'astende alla credulità della negromanzia, sorella della archimia, partoritrice delle cose semplice naturali; ma è tanto più degna di reprensione che l'archimia, quanto ella non partorisce alcuna cosa se non simili a sé, cioè bugie, il che non ne interviene nella archimia la quale è ministratrice de' semplici prodotti dalla natura, il quale uffizio fatto esser non può da essa natura, perché in lei non è strumenti organici, colli quali essa possa operare quel che adopera l'omo mediante le mani, che in tale uffizio ha fatti e vetri ecc., ma essa negromanzia, stendardo ovver bandiera volante mossa dal vento, guidatrice della stolta moltitudine, la quale al continuo è testimonia, collo abbaiamento, d'infiniti effetti di tale arte, e n'hanno empiuti i libri, affermando che l'incanti e spiriti adoperino e sanza lingua parlino, e sanza strumenti organici, sanza i quali parlar non si pò, parlino e portino gravissimi pesi, faccino tempestare e piovere, e che li omini si convertino in gatte, lupi e altre bestie, benché in bestia prima entran quelli che tal cosa affermano.
E certo se tale negromanzia fussi in essere, come dalli bassi ingegni è creduto, nessuna cosa è sopra la terra che al danno e servizio dell'omo fussi di tanta valitudine: perché se fussi vero che in tale arte si avessi potenzia di far turbare la tranquilla serenità dell'aria, convertendo quella in notturn' aspetto, e far le corruscazioni e venti con ispaventevoli toni e folgori, scorrenti in fra le tenebre, e con impetuosi venti ruinare li alti edifizi, e diradicare le selve, e con quelle percotere li eserciti, e quelli rompendo e atterrando, e oltra di questo le dannose tempeste, privando li cultori del premio delle lor fatiche, o! qual modo di guerra pò essere che con tanto danno possa offendere il suo nemico, aver potestà di privarlo delle sue ricolte? qual battaglia marittima pò essere che si assomigli a quella di colui che comanda alli venti, e fa le fortune ruvinose e sommergitrici di qualunche armata? Certo quel che comanda a tali impetuose potenzie sarà signore delli popoli, e nessuno umano ingegno potrà resistere alle sue dannose forze: li occulti tesori e gemme riposte nel corpo della terra, fieno a costu[i] tutti manifesti, nessun serrame o fortezze inespugnabili saran quelle che salvar possino alcuno, sanza la voglia di tal negromante.
Questo si farà portare per l'aria dall'oriente all'occidente, e per tutti li oppositi aspetti dell'universo.
Ma perché mi vo io più oltre astendendo? quale è quella cosa che, per [t]ale artefice, far non si possa? quasi nessuna, eccetto il levarsi la morte.
Addunque è concluso, in parte, il danno e la utilità che in tale arte si contiene, essendo vera.
E s'ella è vera, perché non è restata infra li omini che tan[to la] desiderano, non avendo riguardo a nessuna deità? E sol che infiniti ce n'è che per saddisfare a un suo appetito ruinerebbono Iddio con tutto l'universo.
E s'ella non è rimasta infra li omini, essendo a lui tanto necessaria, essa non fu mai, né mai è per dovere essere, per la difinizion dello spirito, il quale è invisibile, incorporeo, e dentro alli elementi non è cose incorporee, perché, dove non è corpo, è vacuo, e il vacuo non si dà dentro alli elementi, perché subito sarebbe dall'elemento riempiuto.
4.
DELLI SPIRITI.
Abbiamo insin qui, dirieto a questa faccia, detto come la difinizion dello spirito è «una potenzia congiunta al corpo, perché per se medesimo reggere non si può, né pigliare alcuna sorte di moto locale».
E se tu dirai che per sé si regga, questo essere non pò dentro alli elementi, perché se lo spirito è quantità incorporea, questa tal quantità è detta vacuo, e il vacuo non si dà in natura, e, dato che si dessi, subito sarebbe riempiuto dalla ruina di quello elemento, nel qual tal vacuo si generassi.
Adunque, per la difinizion del peso, che dice: «la gravità è una potenzia accidentale, creata dall'uno elemento tirato o sospinto nell'altro», seguita che nessuno elemento non pesando nel medesimo elemen[to], e' pesa nell'elemento superiore, ch'è più lieve di lui; come si vede la parte dell'acqua non ha gravità o levità nell'altra acqua, ma se tu la tirerai nell'aria, allora ella acquisterà gravezza, e se tu tirerai l'aria sotto l'acqua, allora l'acqua che si trova sopra tale aria acquista gravezza, la qual gravezza per sé sostener non si pò; onde l'è necessario la ruina, è così cade infra l'acqua, in quel loco ch'è vacuo d'essa acqua.
Tale accaderebbe nello spirito, stando infra li elementi, che al continuo genererebbe vacuo in quel tale elemento dove lui si trovassi, per la qual cosa li sarebbe necessario la continua fuga inverso il cielo, insin che uscito fussi di tali elementi.
5.
SE LO SPIRITO TIENE CORPO INFRA LI ELEMENTI.
Abbiam provato, come lo spirito non può per sé stare infra li elementi sanza corpo, né per sé si pò movere per moto volontario, se none allo in su, ma al presente direno, come, pigliando corpo d'aria, che tale spirito è necessario che s'infonda infra essa aria, perché, s'elli stessi unito, e' sarebbe separato, e cadrebbe alla generazion del vacuo, come di sopra è detto.
Addunque è necessario che, a volere restare infra l'aria, che esso s'infonda 'n una quantità d'aria, e, se si mista coll'aria, elli seguita due inconvenienti, cioè, che elli levifica quella quantità dell'aria dove esso si mista, per la qual cosa l'aria levificata per sé vola in alto, e non resta infra l'aria più grossa di lei; e oltre a di questo, tal virtù spirituale sparsa si disunisce e altera sua natura, per la qual cosa essa manca della prima virtù.
Aggiugnecisi un terzo inconveniente, e questo è, che tal corpo d'aria preso dallo spirito, è sottoposto alla penetrazion de' venti, li quali al continuo disuniscano e stracciano le parti unite dell'aria, quelle rivolgendo e raggirando infra l'altra aria.
Adunque lo spirito in tale aria infuso, sarebbe ismembrato, ovvero sbranato e rotto, insieme collo sbranamento dell'aria, nella qual s'infuse.
6.
SE LO SPIRITO, AVENDO PRESO CORPO D'ARIA, SI PO' PER SÉ MOVERE O NO.
Impossibile è che lo spirito infuso 'n una quantità d'aria, possa movere essa aria, e questo si manifesta per la passata dove dice: «lo spirito levifica quella quantità dell'aria, nella quale esso s'infonde».
Adunque tale aria si leverà in alto sopra l'altra aria, e sarà moto fatto dall'aria per la sua levità, e non per moto volontario dello spirito: e, se tale aria si scontra nel vento, per la terza di questo essa aria sarà mossa dal vento e non dallo spirito, in lei infuso.
7.
SE LO SPIRITO PO' PARLARE O NO.
Volendo mostrare se lo spirito può parlare o no, è necessario in prima definire che cosa è voce, e come si genera.
E direno in questo modo: «la voce è movimento d'aria confregata in corpo denso, o 'l corpo denso confregato nell'aria, che è il medesimo; la qual confregazion di denso con raro condensa il raro, e fassi resistente; e ancora il veloce raro nel tardo raro si condensano l'uno e l'altro ne' contatti, e fanno sono o grandissimo strepito.
E' il sono, ovver mormorio, fatto dal raro che si move nel raro con mediocre movimento, come la gran fiamma, generatrice di sono infra l'aria; e 'l grandissimo strepito fatto di raro con raro è quando il veloce raro penetra lo immobile raro, come la fiamma del foco uscita della bombarda e percossa infra l'aria, e ancora la fiamma uscita del nugolo, e percote l'aria nella generazion delle saette».
Addunque direno, che lo spirito non possa generar voce sanza movimento d'aria, e aria in lui non è, né la può cacciare da sé se elli non l'ha; e se vol movere quella nella quale lui è infuso, egli è necessario che lo spirito multiplichi, e multiplicar non può, se lui non ha quantità, e per la quarta che dice: «nessuno raro si move se non ha loco stabile donde lui pigli il movimento», e massimamente avendosi a movere lo elemento nello elemento, il qual non si move da sé, se non per vaporazione uniforme al centro della cosa vaporata, come accade nella spugna ristretta in nella mano, che sta sotto l'acqua, della qual l'acqua fugge per qualunche verso con equal movimento per le fessure interposte infra le dita della man che dentro a sé la strigne.
8.
Se lo spirito ha voce articulata, e se lo spirito pò essere uldito, e che cosa è uldire e vedere, e come l'onda de la voce va per l'aria e come le spezie delli obbietti vanno all'occhio.
9.
O matematici, fate lume a tale errore! Lo spirito non ha voce, perché dov'è voce è corpo, e do' è corpo, è occupazion di loco, il quale impedisce all'occhio il vedere delle cose poste dopo tale loco: adunque tal corpo emple di sé tutta la circustante aria, cioè colle sua spezie.
10.
Le cose mentali che non son passate per il senso, son vane e nulla verità partoriscano se non dannosa, e perché tal discorsi nascan da povertà d'ingegno, poveri son sempre tali discorsori, e se saran nati ricchi, e' moriran poveri nella lor vecchiezza, perché pare che la natura si vendichi con quelli che voglian far miraculi, abbin men che li altri omini più quieti, e quelli che vo[g]liano arricchire 'n un dì, vivino lungo tempo in gran povertà, come interviene e interverrà in eterno alli archimisti, cercatori di creare oro e argento, e all'ingegneri che voglian che l'acqua morta dia vita motiva a se medesima con continuo moto, e al sommo stolto, negromante e incantatore.
11.
I bugiardi interpriti di natura affermano lo argento vivo essere comune semenza a tutti i metalli non si ricordando che la natura varia le semenze secondo la diversità delle cose che essa vole produrre al mondo.
DISPUTA «PRO» E «CONTRA» LA LEGGE DI NATURA
CONTRA.
Perché la natura non ordinò che l'uno animale non vivessi della morte dell'altro?
PRO.
La natura essendo vaga e pigliando piacere del creare e fare continue vite e forme, perché cognosce che sono accrescimento della sua terreste materia, è volonterosa e più presta col suo creare che 'l tempo col suo consumare, e però ha ordinato che molti animali sieno cibo l'uno de l'altru, e non sodisfacendo questo a simile desidero, ispesso manda fuora certi avvelenati e pestilenti vapori e continua peste sopra le gran moltiplicazioni e congregazioni d'animali, e massime sopra gli omini che fanno grande accrescimento, perché altri animali non si cibano di loro, e tolto via le cagioni, mancheranno gli effetti.
CONTRA.
Adunque questa terra cerca di mancare di sua vita, desiderando la continua moltiplicazione, per la tua assegnata e mostra ragione.
Spesso gli effetti somigliano le loro cagioni.
Gli animali sono esemplio de la vita mondiale.
PRO.
Or vedi, la speranza e 'l desidero del ripatriarsi e ritornare nel primo caos fa a similitudine della farfalla al lume, dell'uomo, che con continui desideri sempre con festa aspetta la nuova primavera, sempre la nuova state, sempre e nuovi mesi, e nuovi anni, parendogli che le desiderate cose, venendo, sieno troppo tarde, e non s'avvede che desidera la sua disfazione.
Ma questo desidero ene in quella quintessenza, spirito degli elementi, che trovandosi rinchiusa per anima dello umano corpo, desidera sempre ritornare al suo mandatario.
E vo' che sappi che questo desiderio è 'n quella quinta essenza compagna della natura, e l'omo è modello dello mondo.
ABBOZZO PER UNA DIMOSTRAZIONE
1.
Dico la virtù visivale astendersi per li razzi visuali in sino alla superfizie de' corpi non transparenti, e la virtù d'essi corpi astendersi insino alla virtù visivale, e ogni simile corpo empiere tutta la antiposta aria della sua similitudine.
Ogni corpo per sé, e tutti insieme fanno il simile, e non solamente l'empiano della similitudine della forma, ma eziandio della similitudine della potenzia.
ESEMPLO.
Tu vedi il sole, quando si trova nel mezzo del nostro emisperio, e essere le spezie della sua forma per tutte le parte dove si dimostra, vedi essere le spezie del suo splendore in tutti quelli medesimi lochi; e ancora vi s'aggiugne la similitudine della potenza del calore; e tutte queste potenzie discendano dalla sua causa per linie radiose, nate nel suo corpo e finite ne li obbietti oppachi, sanza diminuzione di sé.
La tramontana sta continuamente colla similitudine della sua potenzia astesa e incorporata, non che ne' corpi rari, ma ne' densi, trasparenti e oppachi, e non diminuisce però di sua figura.
CONFUTARE.
Adunque questi matematici che dicano l'occhio non avere virtù spirituale che s'astenda fori di lui, imperò che se così fussi non sarebbe sanza gran sua diminuizione ne l'usare la virtù visiva, e che se l'occhio fussi grande quanto è 'l corpo della terra, converrebbe nel risguardare alle stelle che si consummassi, e per questa ragione assegnano l'occhio ricevere e non mandare niente di sé.
ESEMPLO.
O che diranno costoro del moscado il quale sempre tiene gran quantità d'aria ingombrata del suo odore, e se chi lo portassi addosso mille miglia, mille miglia di quella grossezza d'aria occuperà, sanza diminuizione di sé? Che diranno questi che 'l rom[b]o della campana, fatto col contatto del battaglio, empiendo di sé onni dì del suo sono un paese, abbi a consumare detta campana? Certo e' mi pare questi tali omini essere, e basta.
ESEMPLI.
Non si ved'elli tutto il giorno pe' villani quella biscia, chiamata lamia, attrarre a sé il lusignolo come calamita il ferro, per lo fisso sguardo, il quale con lamentevole canto corre alla sua morte?
Ancora si dice il lupo avere potenzia, col suo sguardo, di fare alli omini le voce rauche Del bavalischio si dice avere potenza di privare di vita ogni cosa vitate col suo vedere.
Lo struzzo, il ragno si dice covare l'ova colla vista Le pulzelle, si dice avere potenza nelli occhi d'attrarre a sé l'amore delli omini Il pescio detto linno, alcuni lo dicano di Santo Ermo, il quale nasce ne' liti di Sardigna, non è elli visto da li pescatori, la notte, alluminare co' li occhi, a modo di due candele,
...
[Pagina successiva]