SCRITTI LETTERARI, di Leonardo da Vinci - pagina 18
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8.
Padre carissimo, a l'ultimo del passato ebbi la lettera mi scrivesti, la quale in brieve spazio mi dette piacere e tristizia.
Piacere, in quanto che per quella io intesi voi essere sano, di che ne rendo grazia a Dio; ebbi dispiacere intendendo il disagio vostro.
9.
a) (Ill.mo mio Signore aven)
(Assai mi rallegro illustrissimo mio Signore del vostro).
Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità che quasi el mal mio da me s'è fuggito della quasi rintegrata sanità di vostra Eccellenza.
Ma assai mi rincresce il non avere io potuto integralmente saddisfare alli desideri di vostra Eccellenzia mediante la malignità di cotesto ingannatore, al quale non ho lasciato indirieto cosa alcuna colle quale io li abbia potuto giovare che per me non il sia stata fatta e prima la sua provvisione innanzi al tempo immediate li era pagata, la quale io credo che volentieri negherebbe negata se io non avessi la scritta e testata di man dello interpetre, e, vedendo io che per me non si lavorava se non quando i lavori d'altri li mancavano, de' quali lui era sollecito investigatore, io lo pregai che dovessi mangiare con meco e lavorare di lime appresso di me perché oltre al conto...
ben l'opere, elli acquisterebbe il linguaggio taliano.
Lui sempre (lo promise e mai lo volle fare).
E questo facevo ancora perché quel Giovàn tedesco, che fa li specchi, ogni dì li era in bottega e voleva vedere e intendere ciò che si faceva, e pubblicava per la terra biasimando...
quel che lui non ne intendea.
E questo facevo perché lui mangiava (colli tedeschi che so) con quel della guardia del Papa e poi se n'andava in compagnia, colli scoppietti ammazzando uccelli per queste anticaglie, e così seguitava da dopo desinare a sera.
E se io mandavo Lorenzo a sollecitarli il lavoro lui si scrucciava e diceva che non voleva tanti maestri sopra ['l] capo e che il lavorar suo era per il guarderoba di vostra Eccellenzia, e passò dua mesi, e così seguitavo, e un dì trovando Giannicolò della guardaroba domanda'lo se 'l tedesco avea finito l'opere del Magnifico, (e lui) mi disse non esser vero, ma che solamente li avea dato a nettar dua scoppiette.
Di poi facendolo io sollecitare, lui lasciò la bottega e cominciò a lavorare in camera e perde[r] assai tempo nel fare un'altra morsa e lime e altri strumenti a vite, e quivi lavorava mulenelli da torcere seta e o[ro], i quali nascondeva, quando nessun de' mia v'entrava, e con mille bestemmie e rimbrotti in modo che nessun de' mia voleva più entrare.
b) Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità, che quasi il male mio da me s'è fuggito.
Ma assai mi rincresce il non avere io potuto integralmente saddisfare alli desideri di Vostra Eccellenza, mediante la malignità di cotesto ingannatore tedesco; per il quale non ho lasciato indirieto cosa alcuna, colle quale io abbia creduto farli piacere.
E prima invitarlo ad abitare e vivere con meco, per la qual cosa io vedrei al continuo l'opera che lui facessi, e con facilità ricorreggere' li errori, e oltre a di questo imparerebbe la lingua taliana, mediante la quale lui con facilità potrebbe parlare sanza interprete.
E prima li sua dinari li furon sempre dati innanzi al tempo al tutto Di poi, la richiesta di costui fu di avere li modelli finiti di legname, com'elli aveano a essere di ferro, e quali volea portare nel suo paese; la qual cosa io li negai, dicendoli ch'io li darei in disegno la larghezza, lun[gh]ezza e grossezza e figura di ciò ch'elli avesse a fare; e così restammo mal volentieri.
c) La seconda cosa fu che che si fece un'altra bottega, con nove morse e strumenti nella camera dove dormiva, e quivi lavorava per altri; dipoi andava a desinare co' Svizzeri della guardia, dove sta gente sfaccendata, della qual cosa lui tutti li vinceva.
Di lì se ne usciva e 'l più delle volte se n'andavan dua o tre di loro, colli scoppietti, ammazzando uccelli per le anticaglie, e questo durava insino a sera.
d) Alfine ho trovato come questo maestro Giovanni delli specchi è quello che ha fatto il tutto per due cagioni.
E la prima è perché lui ha uto a dire che la venuta mia qui li ha tolto la conversazione e 'l favore di Vostra Signoria, che sempre ve..., l'altra è che la stanzia di questo ferreri dice convenirsi a lui per lavorare li specchi e di questo n'è fatto dimostrazione che, oltre al farmi costui nimico, li ha fatto vendere ogni sua...
e lasciare a lui la sua bottega, nella qual lavora con molti lavoranti assai specchi per mandare alle fiere.
10.
Io ho uno che, per aversi di me promesse cose assai men che debite, essendo rimaso ingannato del suo prosuntuoso desiderio, ha tentato di tormi tutti li amici, e perché li ha trovati savi e non leggeri al suo volere, m'ha minacciato che troverà tale [inven]zione che mi torrà e benifattori; onde io ho di questo informato Vostra Signoria, acciò (che, volendo questo seminare li usati scandoli, non trovi terreno atto a ricevere i pensieri e li atti della sua mala natura).
([A ciò] che, tentando lui fare di Vostra Eccellenzia strumenti della sua iniqua e malvagia natura, rimanga ingannato di suo desiderio).
11.
a) Lo volli tenere a mangiar meco, stando a...
b) Andava a mangiare colla guardia, dove, oltre allo star due o tre ore a tavola, ispessi[ssi]me volte il rimanente del giorno era consumato coll'andare in collo scoppietto ammazzando uccelli per queste anticaglie.
E se nessun de' mia li entrava in bottega, e' faceva lor rabbuffi, e, se alcun lo riprendeva, elli diceva che lavorava per il guarderoba, e nettare armadure e scoppietti.
Alli danari subito il principio del mese sollecitissimo a riscoterli.
E per non essere sollecitato lasciò la bottega, e se ne fece una in camera, e lavorava per altri e se in ultimo li feci dire...
Vedendo io costui rare volte stare a bottega, e che consumava assai, io li feci dire che, se li piaccia, che i' farei co' lui mercato di ciascuna cosa che lui facessi, e a stima, e tanto li darei quanto noi fussimo d'accordo; elli si consigliò col vicino e lasciolli la stanza, vendendo ogni cosa e venne a trovare...
Quest'altro m'ha impedito l'anatomia col Papa biasimandola, e cosi allo spedale, e empiè di botteghe da specchi tutto questo Belvedere o lavoranti, e così ha fatto nella stanza di maestro Giorzo.
c) Questo non fece opera nessuna, che ogni giorno non conferissi con Giovanni, el quale le bandiva e bandiva per la terra, dicendo lui esser maestro di tale arte, e quel che lui non intendeva diceva io non sapere quello che far mi volessi, accusando me della sua ignoranza.
d) Non posso per via di costui far cosa segreta, perché quell'altro li è sempre alle spalli, perché l'una stanza riesce nell'altra.
e) Ma tutto il suo intento era insignorirsi di quelle due stanze per far lavorar di specchi.
E s'io li mettevo a fare la mia centina, ella si pubricava, etc.
f) Disse che otto ducati li fu promesso ogni mese, cominciando il primo dì che si misse in via, o, il più tardo, quando e' vi parlò, e che voi l'accettasti, e...
12.
Sommi accertificato che esso lavora a tutti e che fa bottega per il popolo; per la qual cosa io non voglio che lavori per me a provvisione, ma che e' si paghi de' lavori che fa per me; e perch'elli ha bottega e casa del Magnifico, che sia tenuto a mandare i lavori del Magnifico innanzi a tutti.
13.
Tutti i mali che sono e che furono essendo messi in opera da costui, non saddisferebbono al desiderio del suo iniquo animo.
I' non potrei con lunghezza di tem[po] desc[r]ivervi la natura di costui, ma ben conchiudo che...
14.
Magnifico Presidente, essendomi io più volte ricordato delle profferte fattomi da Vostra Eccellenzia, più volte ho preso sicurtà di scrivere, e di ricordare a quella la promessa fattomi a l'ultima partita, cioè la possessione di quelle dodici once d'acqua donatomi dal Cristianissimo Re.
Vostra Signoria sa che io non entrai in essa possessione, perché in quel tempo ch'ella mi fu donata, era carestia d'acqua nel Navilio, sì pel gran secco, come pel non essere ancora moderato li sua bocchelli, ma mi fu promesso da Vostra Eccellenzia che, fatta tal moderazione, io avrei l'attento mio.
Di poi, intendendo essere acconcio il Navilio, io scrissi più volte a Vostra Signoria e a Messer Girolamo da Cusano, che ha appresso di sé la carta di tal donagione, e così scrissi al Corigero, e mai ebbi risposta.
Ora io mando costì Salai, mio discepolo, apportatore di questa, al quale V.
S.
potrà dire a bocca tutto quel ch'è seguito, della qual cosa i' priego Vostra Eccellenzia.
15.
M.° Signore mio, l'amore che V.
Eccellenzia m'ha sempre dimostro, e benifizi ch'io ho ricevuti da quella al continuo mi son dinanzi.
Io ho sospetto che la poca remunerazion de' gran benifizi ch'i' ho ricevuta da Vostra Eccellenzia, non v'abbino fatto alquanto turbare con meco; e questo è che di più lettere che io ho scritte a Vostra Eccellenzia i' non ho mai auta risposta.
Ora io mando costì Salai per fare intendere a V.
Signoria come io son quasi al fine del mio letigio co' mia fratelli, e come io credo essere costì in questa Pasqua, e portare con meco due quadri, dov'è sù due Nostre Donne di varie grandezze, le quale io ho cominciate pel Cristianissimo Re o per chi a voi piacerà.
Arei ben caro di sapere, alla mia tornata di costà, dove io ho a stare per istanzia, perché non vorrei dare più noia a Vostra Signoria; e ancora, avendo io lavorato pel Cristianissimo Re, se la mia provvisione è per correre o no.
Io scrivo al Presidente di quell'acqua che mi donò il
Re, della quale non fui messo in possessione, per esserne carestia nel Navilio, per causa de' gran secchi, e perché i sua bocchegli non eran moderati; ma ben mi promisse che fatta tal moderazione, e ne sarei messo in possessione; si che io vi priego che scontrandosi in esso Presidente, non vi incresca che, ora che tali bocchelli son moderati, di ricordare a detto Presidente di farmi dare la possessione d'essa acqua, che mi parve intendere che in gran parte stava a lui.
Altro non mi accade.
I' sono sempre a' vostri comandi.
16.
Buon dì, messer Francesco, puollo fare Iddio che, di tante lettere ch'io v'ho scritto, che mai voi non m'abbiate risposto? Or aspettate ch'io venga costà, per Dio, ch'io vi farò tanto scrivere, che forse vi rincrescerà.
Caro mio messer Francesco, io mando costì Salai, per intendere della Magnificenzia del Presidente che fine ha 'uta quella moderazione dell'acqua, che alla mia partita fu ordinata per li bocchelli del Navilio: perché el Magnifico Presidente mi promise che subito fatta tal moderazione, io sarei spedito.
Ora egli è più tempo che io intesi che ['l] Navilio s'acconciava e similmente i sua bocchelli, e immediate scrissi al Presidente e a Voi, e poi ripricai, e mai ebbi risposta.
Adunque voi degnerete di rispondermi quel ch'è seguito, e, non essendo per ispedirsi, non v'incresca per mio amore, di sollecitarne un poco il Presidente e così Messer Girolamo da Cusano, al quale voi mi raccomanderete, e offereretemi a Sua Magnificenzia.
17.
a) Piacenzia è terra di passo, come Fiorenza.
b) Magnifici Fabbriceri, intendendo io vostre magnificenze avere preso partito di fare certe magne opere di bronzo, delle quali io vi darò alcuno ricordo, prima che voi non siate tanto veloci e tanto presti a fare essa allocazione, che, per essa celerità, sia tolto qualche omo che per la sua insoffizienzia abbia appresso a' vostri successori a vituperare sé e la vostra età...
iudicando che questa età fussi mal fornita [sia] d'omini di bon giudizio, che di boni maestri, vedendo nell'altre città, e massime nelle città de' fiorentini, quasi ne' medesimi tempi essere dotata di sì belle e magne opere di bronzo, infra le quali le porte del loro battisterio; la qual Fiorenzia, sì come Piacenzia, è terra di passo, dove concorre assai forestieri, i quali vedendo le opere belle o bone, d'elle fanno a sé medesimi impressione quella città essere fornita di degni abitatori, vedendo l'opere testimonie d'essa openione e per lo contradio vedendo tanta spesa di metallo operata sì tristamente, che men vergogna alla città sarebbe che esse porte fussino di semplice legname, perché la poca spesa della materia non parrebbe meritevole di grande spesa di magisterio, ond'è che...
c) Le principali parti che per le città si ricerca si sono i domi di quelle, delli quali appressatosi le prime cose che all'occhio appariscano sono le porte donde in esse chiese passare si possa.
d) Guardate, Signori Fabbriceri, che la troppa celerità del volere voi con tanta prestezza dare ispedizione alla locazione di tanta magna opera quanto io sento che per voi s'è ordinata, non sia cagione che quello che per onore di Dio e delli omini si fa, non torni in gran disonore de' vostri iudizi e della vostra città, dove, per essere terra degna e di passo, è concorso d'innumerabili forestieri.
E questo disonore accaderebbe quando per le vostre indiligenzie voi prestassi fede a qualche vantato[re] che per le sue frappe o per favore che di qua dato li fussi, da voi avessi a impetrare simile opera, per la quale a sé e a voi avessi a partorire lunga e grandissima infamia; che non posso fare che io non mi iscrucci a ripensare quali omini sieno quelli che con me abbino conferito volere in simile impresa entrare, sanza pensare alla loro soffizienzia, [sanza] dirne altro: chi è maestro da boccali, chi di corazze, chi campanaro, alcuno sonaglieri, e insino a bombardiere, fra i quali uno del Signore s'è vantato che tra l'essere lui compare de Messere Ambrosio Ferrere che à qualche commessione, dal quale lui à buone promessioni, e se quello non basterà, che monterà a cavallo, e andrà dal Signore e impet[r]erà tale lettere che per voi mai simile opera non gli sa[rà] dinegata.
Mo' guardate dove i miseri studiosi, atti a simile opere sono ridotti, quando con simili omini hanno a gareggiare! con che speranza e' possano aspettare premio di lor virtù! aprite li occhi, e vogliate ben vedere che i vostri dinari non si spendino in comperare le vostre vergogne.
Io vi so annunziare che di questa terra voi non trarrete se none opere di sorte e di vile e grossi magisteri; non ci è omo che vaglia e credetelo a me, salvo Lonar Fiorentino che fa il cavallo del duca Francesco di bronzo, che non ne bisogna fare stima, perché ha che fare il tempo di sua vita, e dubito che, per l'essere sì grande opera, che non la finirà mai.
18.
a) Signori padri diputati, si come ai medici, tutori, curatori de li ammalati, bisogna intendere che cosa è omo, che cosa è vita, che cosa è sanità, e in che modo una parità, una concordanza d'elementi la mantiene, e così una discordanza di quelli la ruina e disfà, e conosciuto ben le sopra dette nature, potrà meglio riparare che chi n'è privato.
b) Voi sapete le medicine, essendo bene adoperate, rendon sanità ai malati.
Questo bene adoperate sarà, quando il medico con lo intendere la lor natura intenderà che cosa è omo, che cosa è vita, che cosa è complessione e così sanità.
Conosciute ben queste, ben conoscerà il suo contrario.
Essendo così, ben vi saperà riparare.
c) Voi sapete le medicine, essendo bene adoperate, rendon sanità ai malati, e quello che bene le conosce, ben l'adopererà, quando ancora lui conoscerà che cosa è omo, che cosa è vita e complessione, che cosa è sanità; conoscendo queste, bene conoscerà i sua contrari; essendo così, più visino sarà al riparo ch'alcun altro.
Questo medesimo bisogna al malato domo, cioè uno medico architetto, che 'ntenda bene che cosa è edifizio, e da che regole il retto edificare diriva, e donde dette regole sono tratte, e 'n quante parte sieno divise, e quale sieno le cagione che tengano lo edifizio insieme, e che lo fanno premanente, e che natura sia quella del peso, e quale sia il disiderio de la forza, e in che modo si debbono contessere e collegare insieme, e congiunte che effetto partorischino.
Chi di queste sopra dette cose arà vera cognizione, vi lascerà di sua rason e opera sadisfatto.
d) Onde per questo io m'ingegnerò, non ditraendo, non infamando alcuno, di saddisfare in parte con ragioni e in parte coll'opere, alcuna volta dimostrando li effetti per le cagioni, alcuna vol[t]a affermando le ragioni colle sperienze, (e 'nsieme con) queste accomodando alcuna alturità de li architetti antichi, le pruove de li edifizi fatti, e quali sieno le cagioni di lor ruina e di lor premanenzia ecc.
e) E con quelle dimostrare qual è prima del carico, e quale e quante sieno le cagioni che danno ruina a li edifizi, e quale è il modo della loro stabilità e premanenza.
f) Ma per non essere plorisso a Vostr'Eccellenze, dirò prima la invenzione del primo architetto del domo, e chiaramente vi dimosterò qual fussi sua intenzione, affermando quella collo principiato edifizio; e facendovi questo intendere, chiaramente potrete conoscere il modello da me fatto avere in sé quella simetria, quella corrispondenzia, quella conformità, quale s'appartiene al principiato edifizio.
g) Che cosa è edifizio e donde le regole del retto edificare hanno dirivazione, e quante e quali sieno le parte appartenente a quelle.
h) O io, o altri che lo dimostri me' di me, pigliatelo, mettete da canto ogni passione.
TRADUZIONI E TRASCRIZIONI
1.
O Greci, io non penso che miei fatti vi sieno d[a raccon]tare, però che voi li avete veduti.
Dica U[lisse] gli suoi, ch'egli fa senza testimoni de qua[li] è sola consapevole la oscura notte.
2.
O tempo, consumatore delle cose, e o invidiosa antichità, tu distruggi tutte le co[se] e consummate tutte le cose da' duri denti della vecchiezza a poco a poco con lenta morte.
Elena, quando si specchiava, vedendo le v[i]zze grinze del suo viso fatte per la vecchiezza, piagne e pensa seco perché fu rapita du' volte.
3.
De' non m'avere a vil ch'i non son povero; povero è quel che assai cose desidera.
Dove mi poserò? Dove, di qui a poco tempo tu 'l saprai, risposi, per te stessi, di qui a poco tempo.
4.
Mal fai se lodi e peggio istu riprendi la cosa, quando bene tu non la 'ntendi.
5.
Quando Fortuna vien, prendil' a man salva; dinanti dico, perché direto è calva.
6.
Se voi star sano osserva questa norma
non mangiar sanza voglia, e cena leve,
mastica bene, e quel che in te riceve
sia ben cotto e di semplice forma.
Chi medicina piglia mal s'informa.
Guarti dall'ira e fuggi l'aria grieve;
su diritto sta, quando da mensa leve;
di mezzogiorno fa che tu non do[r]ma.
El vin sia temperato, poco e spesso,
non for di pasto né a stomaco voto;
non aspectar né indugiare il cesso;
se fai esercizio sia di picciol moto.
Col ventre resuppino e col capo depresso
non star, e sta coperto ben di notte;
el capo ti posa e tien la mente lieta.
Fuggi lussuria e attienti alla dieta.
7.
Chi perde il tempo e virtù non acquista
quanto più pens' e l'animo più s'attrista.
8.
Virtù non ha ni poterebbe avere, chi lassa onore per acquistare avere.
9.
Non vale fortuna a chi non s'affatica;
perfetto don non s'ha senza gran pena;
colui si fa felice che vertù investiga.
10.
Passano nostri triunfi, nostre pompe.
11.
La gola e 'l sonno e l'oziose piume
hanno del mondo ogni virtù sbandita,
12.
Ormai convien così che tu ti spoltri,
disse il maestro, che seggendo in piuma,
in fama non si vien né sotto coltri;
sanza la qual chi sua vita consuma,
tal vestigia in terra di sé lascia,
qual fumo in aria o nell'acqua la schiuma.
13.
TERZETTO FATTO PER LI CORPI REGOLARI E LORO DERIVATIVI
El dolce fructo vago e sì diletto
constrinse già filosafi cercare
causa di noi per pascere lo 'ntelletto.
14.
Se 'l Petrarca amò sì forte il lauro
fu perché gli è bon fra la salsiccia e tor[do];
i' non posso di lor giance far tesauro.
15.
O se d'un mezzo circol far si pote
triangol si ch' un recto non avessi
e che gli altri due un retto non facessi.
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