[Pagina precedente]... birba matricolata...
Pinocchio aprì gli occhi e li richiuse subito.
- è un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo. Pinocchio si nascose la faccia sotto i lenzuoli.
- Quel burattino lì è un figliuolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo!...
A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e di singhiozzi. Figuratevi come rimasero tutti, allorché sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva e singhiozzava era Pinocchio.
- Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione, - disse solennemente il Corvo.
- Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, - soggiunse la Civetta, - ma per me, quando il morto piange è segno che gli dispiace a morire.
Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: Però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per gastigo gli cresce il naso.
Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone da non si dire.
Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d'acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente:
- Bevila, e in pochi giorni sarai guarito.
Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po' la bocca, e poi dimanda con voce di piagnisteo:
- è dolce o amara?
- è amara, ma ti farà bene.
- Se è amara, non la voglio.
- DÃ retta a me: bevila.
- A me l'amaro non mi piace.
- Bevila: e quando l'avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca.
- Dov'è la pallina di zucchero?
- Eccola qui, - disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d'oro.
- Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell'acquaccia amara...
- Me lo prometti?
- Sì...
La fata gli dette la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:
- Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!... Mi purgherei tutti i giorni.
- Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d'acqua, che ti renderanno la salute.
Pinocchio prese di mala voglia il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso: poi se l'accostò alla bocca: poi tornò a ficcarci la punta del naso: finalmente disse:
- è troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere.
- Come fai a dirlo se non l'hai nemmeno assaggiata?
- Me lo figuro! L'ho sentita all'odore. Voglio prima un'altra pallina di zucchero... e poi la beverò!...
Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po' di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere.
- Così non la posso bere! - disse il burattino, facendo mille smorfie.
- Perché?
- Perché mi dà noia quel guanciale che ho laggiù sui piedi.
La Fata gli levò il guanciale.
- è inutile! Nemmeno così la posso bere...
- Che cos'altro ti dà noia?
- Mi dà noia l'uscio di camera, che è mezzo aperto.
La Fata andò e chiuse l'uscio di camera.
- Insomma, - gridò Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto, - quest'acquaccia amara, non la voglio bere, no, no, no!...
- Ragazzo mio, te ne pentirai...
- Non me n'importa...
- La tua malattia è grave...
- Non me n'importa...
- La febbre ti porterà in poche ore all'altro mondo...
- Non me n'importa...
- Non hai paura della morte?
- Punto paura!... Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva.
A questo punto, la porta della camera si spalancò ed entrarono dentro quattro conigli neri come l'inchiostro, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.
- Che cosa volete da me? - gridò Pinocchio, rizzandosi tutto impaurito a sedere sul letto.
- Siamo venuti a prenderti, - rispose il coniglio più grosso.
- A prendermi?... Ma io non sono ancora morto!...
- Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito dalla febbre!...
- O Fata, o Fata mia,- cominciò allora a strillare il burattino, - datemi subito quel bicchiere. Spicciatevi, per carità , perché non voglio morire no... non voglio morire...
E preso il bicchiere con tutt'e due le mani, lo votò in un fiato.
- Pazienza! - dissero i conigli. - Per questa volta abbiamo fatto il viaggio a ufo.
E tiratisi di nuovo la piccola bara sulle spalle, uscirono di camera bofonchiando e mormorando fra i denti.
Fatto sta che di lì a pochi minuti, Pinocchio saltò giù dal letto, bell'e guarito; perché bisogna sapere che i burattini di legno hanno il privilegio di ammalarsi di rado e di guarire prestissimo.
E la Fata, vedendolo correre e ruzzare per la camera, vispo e allegro come un gallettino di primo canto, gli disse:
- Dunque la mia medicina t'ha fatto bene davvero?
- Altro che bene! Mi ha rimesso al mondo!...
- E allora come mai ti sei fatto tanto pregare a beverla?
- Egli è che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male.
- Vergogna! I ragazzi dovrebbero sapere che un buon medicamento preso a tempo può salvarli da una grave malattia e fors'anche dalla morte...
- Oh! ma un'altra volta non mi farò tanto pregare! Mi rammenterò di quei conigli neri, colla bara sulle spalle... e allora piglierò subito il bicchiere in mano, e giù!...
- Ora vieni un po' qui da me e raccontami come andò che ti trovasti fra le mani degli assassini.
- Gli andò che il burattinaio Mangiafoco mi dette alcune monete d'oro, e mi disse: "Tò, portale al tuo babbo!" e io, invece, per la strada trovai una Volpe e un Gatto, due persone molto per bene, che mi dissero: "Vuoi che codeste monete diventino mille e duemila? Vieni con noi, e ti condurremo al Campo dei Miracoli". E io dissi: "Andiamo"; e loro dissero: "Fermiamoci qui all'osteria del Gambero Rosso e dopo la mezzanotte ripartiremo". Ed io, quando mi svegliai, loro non c'erano più, perché erano partiti. Allora io cominciai a camminare di notte, che era un buio che pareva impossibile, per cui trovai per la strada due assassini dentro due sacchi da carbone, che mi dissero: "Metti fuori i quattrini"; e io dissi: "Non ce n'ho"; perché le quattro monete d'oro me l'ero nascoste in bocca, e uno degli assassini si provò a mettermi le mani in bocca, e io con un morso gli staccai la mano e poi la sputai, ma invece di una mano sputai uno zampetto di gatto. E gli assassini a corrermi dietro e, io corri che ti corro, finché mi raggiunsero, e mi legarono per il collo a un albero di questo bosco, col dire: "Domani torneremo qui, e allora sarai morto e colla bocca aperta, e così ti porteremo via le monete d'oro che hai nascoste sotto la lingua".
- E ora le quattro monete dove le hai messe? - gli domandò la Fata.
- Le ho perdute! - rispose Pinocchio; ma disse una bugia, perché invece le aveva in tasca. Appena detta la bugia, il suo naso, che era già lungo, gli crebbe subito due dita di più.
- E dove le hai perdute?
- Nel bosco qui vicino.
A questa seconda bugia il naso seguitò a crescere.
- Se le hai perdute nel bosco vicino, - disse la Fata, - le cercheremo e le ritroveremo: perché tutto quello che si perde nel vicino bosco, si ritrova sempre.
- Ah! ora che mi rammento bene, - replicò il burattino, imbrogliandosi, - le quattro monete non le ho perdute, ma senza avvedermene le ho inghiottite mentre bevevo la vostra medicina.
A questa terza bugia, il naso gli si allungò in un modo così straordinario, che il povero Pinocchio non poteva più girarsi da nessuna parte. Se si voltava di qui batteva il naso nel letto o nei vetri della finestra, se si voltava di là , lo batteva nelle pareti o nella porta di camera, se alzava un po' di più il capo, correva il rischio di ficcarlo in un occhio alla Fata.
E la Fata lo guardava e rideva.
- Perché ridete? - gli domandò il burattino, tutto confuso e impensierito di quel suo naso che cresceva a occhiate.
- Rido della bugia che hai detto.
- Come mai sapete che ho detto una bugia?
- Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito! perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l'appunto è di quelle che hanno il naso lungo.
Pinocchio, non sapendo più dove nascondersi per la vergogna, si provò a fuggire di camera; ma non gli riuscì. Il suo naso era cresciuto tanto, che non passava più dalla porta.
Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto, e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo dè Miracoli.
Come potete immaginarvelo, la Fata lasciò che il burattino piangesse e urlasse una buona mezz'ora, a motivo di quel suo naso che non passava più dalla porta di camera; e lo fece per dargli una severa lezione perché si correggesse dal brutto vizio di dire le bugie, il più brutto vizio che possa avere un ragazzo. Ma quando lo vide trasfigurato e cogli occhi fuori della testa dalla gran disperazione, allora, mossa a pietà , battè le mani insieme, e a quel segnale entrarono in camera dalla finestra un migliaio di grossi uccelli chiamati Picchi, i quali, posatisi tutti sul naso di Pinocchio, cominciarono a beccarglielo tanto e poi tanto, che in pochi minuti quel naso enorme e spropositato si trovò ridotto alla sua grandezza naturale.
- Quanto siete buona, Fata mia, - disse il burattino, asciugandosi gli occhi, - e quanto bene vi voglio!
- Ti voglio bene anch'io, - rispose la Fata, - e se tu vuoi rimanere con me, tu sarai il mio fratellino e io la tua buona sorellina...
- Io resterei volentieri... ma il mio povero babbo?
- Ho pensato a tutto. Il tuo babbo è stato digià avvertito: e prima che faccia notte, sarà qui.
- Davvero?... - gridò Pinocchio, saltando dall'allegrezza. - Allora, Fatina mia, se vi contentate, vorrei andargli incontro! Non vedo l'ora di poter dare un bacio a quel povero vecchio, che ha sofferto tanto per me!
- Vai pure, ma bada di non ti sperdere. Prendi la via del bosco, e sono sicurissima che lo incontrerai.
Pinocchio partì: e appena entrato nel bosco, cominciò a correre come un capriolo. Ma quando fu arrivato a un certo punto, quasi in faccia alla Quercia grande, si fermò, perché gli parve di aver sentito gente fra mezzo alle frasche. Difatti vide apparire sulla strada, indovinate chi?... la Volpe e il Gatto, ossia i due compagni di viaggio, coi quali aveva cenato all'osteria del Gambero Rosso.
- Ecco il nostro caro Pinocchio! - gridò la Volpe, abbracciandolo e baciandolo. - Come mai sei qui?
- Come mai sei qui? - ripetè il Gatto.
- è una storia lunga, - disse il burattino, - e ve la racconterò a comodo. Sappiate però che l'altra notte, quando mi avete lasciato solo nell'osteria, ho trovato gli assassini per la strada...
- Gli assassini?... O povero amico! E che cosa volevano?
- Mi volevano rubare le monete d'oro.
- Infami!... - disse la Volpe.
- Infamissimi! - ripetè il Gatto.
- Ma io cominciai a scappare, - continuò a dire il burattino, - e loro sempre dietro: finché mi raggiunsero e m'impiccarono a un ramo di quella quercia.
E Pinocchio accennò la Quercia grande, che era lì a due passi.
- Si può sentir di peggio? - disse la Volpe. - In che mondo siamo condannati a vivere? Dove troveremo un rifugio sicuro noi altri galantuomini?...
Nel tempo che parlavano così, Pinocchio si accorse che il Gatto era zoppo dalla gamba destra davanti, perché gli mancava in fondo tutto lo zampetto cogli unghioli: per cui gli domandò:
- Che cosa hai fatto del tuo zampetto?
Il Gatto voleva rispondere qualche cosa, ma s'imbrogliò. Allora la Volpe disse subito:
- Il mio amico è troppo modesto,- e per questo non risponde. Risponderò io per lui. Sappi dunque che un'ora fa abbiamo incontrato sulla strada un vecchio lupo, quasi svenuto dalla fame, che ci ha chiesto un po' d'elemosina. Non avendo noi da dargli nemmeno una lisca di pesce, che cosa ha fatto l'amico mio, che ha davvero un cuore di Cesare?... Si è staccato coi denti uno zampetto delle sue gambe davanti e l'ha gettato a quella povera bestia, perché potesse sdigiunarsi. E la Volpe nel dir così, si asciugò una lacrima.
Pinocchio, commosso anche lui, si avvicinò al Gatto, sussurrandogli negli orecchi:
- Se tutti i gatti ti somigliassero, fortunati i topi!...
- E ora che cosa fai in questi luoghi? ...
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