[Pagina precedente]...ni. Su, dunque, da bravo! Vieni con me nel Circo, e là ti insegnerà a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballaré il valzer e la polca, stando ritto sulle gambe di dietro.
Il povero Pinocchio, per amore o per forza, dovè imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo.
Venne finalmente il giorno, in cui il suo padrone poté annunziare uno spettacolo veramente straordinario. I cartelloni di vario colore, attaccati alle cantonate delle strade, dicevano cosi:
Quella sera, come potete figurarvelo, un'ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato.
Non si trovava più né un posto distinto, né un palco, nemmeno a pagarlo a peso d'oro.
Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età , che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.
Finita la prima parte dello spettacolo, il direttore della compagnia, vestito in giubba nera, calzoni bianchi a coscia e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si presentò all'affollatissimo pubblico, e, fatto un grande inchino, recitò con molta solennità il seguente spropositato discorso:
"Rispettabile pubblico, cavalieri e dame! L'umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre metropolitana, ho voluto procrearmi l'onore nonché il piacere di presentare a questo intelligente e cospicuo uditorio un celebre ciuchino, che ebbe già l'onore di ballare al cospetto di Sua Maestà l'Imperatore di tutte le Corti principali d'Europa.
"E col ringraziandoli, aiutateci della vostra animatrice presenza e compatiteci!"
Questo discorso fu accolto da molte risate e da molti applausi: ma gli applausi raddoppiarono e diventarono una specie di uragano alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie e borchie d'ottone; due camelie bianche agli orecchi; la criniera divisa in tanti riccioli legati con fiocchettini d'argento attraverso alla vita, e la coda tutta intrecciata con nastri di velluto amaranto e celeste. Era, insomma, un ciuchino da innamorare!
Il direttore, nel presentarlo al pubblico, aggiunse queste parole:
"Miei rispettabili auditori! Non starò qui a farvi menzogne delle grandi difficoltà da me soppressate per comprendere e soggiogare questo mammifero, mentre pascolava liberamente di montagna in montagna nelle pianure della zona torrida. Osservate, vi prego, quanta selvaggina trasudi dà suoi occhi, conciossiaché essendo riusciti vanitosi tutti i mezzi per addomesticarlo al vivere dei quadrupedi civili, ho dovuto più volte ricorrere all'affabile dialetto della frusta. Ma ogni mia gentilezza invece di farmi da lui benvolere, me ne ha maggiormente cattivato l'animo. Io però, seguendo il sistema di Galles, trovai nel suo cranio una piccola cartagine ossea che la stessa Facoltà Medicea di Parigi riconobbe essere quello il bulbo rigeneratore dei capelli e della danza pirrica. E per questo io lo volli ammaestrare nel ballo nonché nei relativi salti dei cerchi e delle botti foderate di foglio. Ammiratelo, e poi giudicatelo! Prima però di prendere cognato da voi, permettete, o signori, che io v'inviti al diurno spettacolo di domani sera: ma nell'apoteosi che il tempo piovoso minacciasse acqua, allora lo spettacolo invece di domani sera, sarà posticipato a domattina, alle ore undici antimeridiane del pomeriggio".
E qui il direttore fece un'altra profondissima riverenza: quindi rivolgendosi a Pinocchio, gli disse:
- Animo, Pinocchio!... Avanti di dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e ragazzi!
Pinocchio, ubbidiente, piegò subito i due ginocchi davanti, fino a terra, e rimase inginocchiato fino a tanto che il direttore, schioccando la frusta, non gli gridò:
- Al passo!
Allora il ciuchino si rizzò sulle quattro gambe, e cominciò a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo.
Dopo un poco il direttore grido:
- Al trotto! - e Pinocchio, ubbidiente al comando, cambiò il passo in trotto.
- Al galoppo!... - e Pinocchio staccò il galoppo.
- Alla carriera! - e Pinocchio si dette a correre di gran carriera.
Ma in quella che correva come un barbero, il direttore, alzando il braccio in aria, scaricò un colpo di pistola.
A quel colpo il ciuchino, fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero.
Rizzatosi da terra, in mezzo a uno scoppio di applausi, d'urli e di battimani, che andavano alle stelle, gli venne naturalmente di alzare la testa e di guardare in su... e guardando, vide in un palco una bella signora, che aveva al collo una grossa collana d'oro, dalla quale pendeva un medaglione.
Nel medaglione c'era dipinto il ritratto d'un burattino.
- Quel ritratto è il mio!... quella signora è la Fata! - disse dentro di sé Pinocchio, riconoscendola subito: e lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si provò a gridare:
- Oh Fatina mia! oh Fatina mia!
Ma invece di queste parole, gli uscì dalla gola un raglio cosi sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori, e segnatamente tutti i ragazzi che erano in teatro.
Allora il direttore, per insegnargli e per fargli intendere che non è buona creanza mettersi a ragliare in faccia al pubblico, gli diè col manico della frusta una bacchettata sul naso.
Il povero ciuchino, tirato fuori un palmo di lingua, durò a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse così di rasciugarsi il dolore che aveva sentito.
Ma quale fu la sua disperazione quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era sparita!...
Si sentì come morire: gli occhi gli si empirono di lacrime e cominciò a piangere dirottamente. Nessuno però se ne accorse e, meno degli altri, il direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, gridò:
- Da bravo, Pinocchio! Ora farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi.
Pinocchio si provò due o tre volte: ma ogni volta che arrivava davanti al cerchio, invece di attraversarlo, ci passava più comodamente di sotto. Alla fine spiccò un salto e l'attraversò: ma le gambe di dietro gli rimasero disgraziatamente impigliate nel cerchio: motivo per cui ricadde in terra dall'altra parte tutto in un fascio.
Quando si rizzò, era azzoppito, e a malapena poté ritornare alla scuderia.
- Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! - gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso.
Ma il ciuchino per quella sera non si fece rivedere.
La mattina dopo il veterinario, ossia il medico delle bestie, quando l'ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita.
Allora il direttore disse al suo garzone di stalla:
- Che vuoi tu che mi faccia d'un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piazza e rivendilo.
Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla:
- Quanto vuoi di cotesto ciuchino zoppo?
- Venti lire.
- Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo per la banda musicale del mio paese.
Lascio pensare a voi, ragazzi, il bel piacere che fu per il povero Pinocchio, quando sentì che era destinato a diventare un tamburo!
Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sopra uno scoglio ch'era sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli diè improvvisamente uno spintone e lo gettò nell'acqua.
Pinocchio, con quel macigno al collo, andò subito a fondo; e il compratore, tenendo sempre stretta in mano la fune, si pose a sedere sullo scoglio, aspettando che il ciuchino avesse tutto il tempo di morire affogato, per poi levargli la pelle.
Pinocchio, gettato in mare, è mangiato dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima; ma mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile Pesce-cane.
Dopo cinquanta minuti che il ciuchino era sott'acqua, il compratore disse, discorrendo da sé solo:
- A quest'ora il mio povero ciuchino zoppo deve essere bell'affogato. Ritiriamolo dunque su, e facciamo con la sua pelle questo bel tamburo.
E cominciò a tirare la fune, con la quale lo aveva legato per una gamba: e tira, tira, tira, alla fine vide apparire a fior d'acqua... indovinate? Invece di un ciuchino morto, vide apparire a fior d'acqua un burattino vivo che scodinzolava come un'anguilla.
Vedendo quel burattino di legno, il pover'uomo credé di sognare e rimase lì intontito, a bocca aperta e con gli occhi fuori della testa.
Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse piangendo e balbettando:
- E il ciuchino che ho gettato in mare dov'è?
- Quel ciuchino son io! - rispose il burattino, ridendo.
- Tu?
- Io.
- Ah! mariuolo! Pretenderesti forse burlarti di me?
- Burlarmi di voi? Tutt'altro, caro padrone: io vi parlo sul serio.
- Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino, ora, stando nell'acqua sei diventato un burattino di legno?...
- Sarà effetto dell'acqua del mare. Il mare ne fa di questi scherzi.
- Bada, burattino, bada!... Non credere di divertirti alle mie spalle. Guai a te, se mi scappa la pazienza.
- Ebbene, padrone: volete sapere tutta la vera storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconterò.
Quel buon pasticcione del compratore, curioso di conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell'aria prese a dirgli così:
- Sappiate dunque che io ero un burattino di legno come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo mondo ce n'è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa... e un bel giorno, svegliandomi, mi trovai cambiato in un somaro con tanto di orecchi... e con tanto di coda!... Che vergogna fu quella per me!... Una vergogna, caro padrone, che Sant'Antonio benedetto non la faccia provare neppure a voi! Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal Direttore di una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di me un gran ballerino e un gran saltatore di cerchi; ma una sera durante lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata, e rimasi zoppo da tutt'e due le gambe. Allora il direttore non sapendo che cosa farsi d'un asino zoppo, mi mandò a rivendere, e voi mi avete comprato!
- Pur troppo! E ti ho pagato venti soldi. E ora chi mi rende i miei poveri venti soldi?
- E perché mi avete comprato? Voi mi avete comprato per fare con la mia pelle un tamburo!... un tamburo!...
- Pur troppo!... E ora dove troverò un'altra pelle?
- Non vi date alla disperazione, padrone. Dei ciuchini ce n'è tanti, in questo mondo!
- Dimmi, monello impertinente: e la tua storia finisce qui?
- No, - rispose il burattino, - ci sono altre due parole, e poi è finita. Dopo avermi comprato, mi avete condotto in questo luogo per uccidermi; ma poi, cedendo a un sentimento pietoso d'umanità , avete preferito di legarmi un sasso al collo e di gettarmi in fondo al mare. Questo sentimento di delicatezza vi onora moltissimo, e io ve ne serberò eterna riconoscenza. Per altro, caro padrone, questa volta avete fatto i vostri conti senza la Fata...
- E chi è questa Fata?
- E la mia mamma, la quale somiglia a tutte quelle buone mamme, che vogliono un gran bene ai loro ragazzi e non li perdono mai d'occhio, e li assistono amorosamente in ogni disgrazia, anche quando questi ragazzi, per le loro scapataggini e per i loro cattivi portamenti, meriterebbero di essere abbandonati e lasciati in balia a se stessi. Dicevo, dunque, che la buona Fata, appena mi vide in pericolo di affogare, mandò subito intorno a me un branco infinito di pesci, i quali credendomi davvero un ciuchino bell'e morto, cominciarono a mangiarmi! E che bocconi che facevano! Non avrei mai creduto che...
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