LE LETTERE 1, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 15
...
.
Prego la sua cortesia di partecipare a' suoi nobili colleghi questo mio non volontario ringraziamento, e di non isdegnare le proteste della mia perfetta considerazione.
Di casa, 10 gennaio 1826
Il Suo dev.mo servitore e collega
G.
G.
Belli
LETTERA 55.
AL SIG.
SEGRETARIO ANNUALE (CAV.
PIETRO VISCONTI) - ROMA
[3 aprile 1826]
Chiarissimo Collega
Se alcune domestiche mie faccende non mi avessero tenuto lontano dall'Accademia e da Roma il giorno in cui dal Consiglio del 1825 fu eseguita la distribuzione delle medaglie di quell'anno, non Le recherei fastidio con questa mia lettera, diretta allo scopo di chiamarmi immune dalla taccia di poca consideratezza, in che possono forse essere incorsi que' miei valorosi Colleghi per certo trascuramento di riguardi dovuti ad alcuno accademico non meritatamente da essi negletto.
Come lo spirito delle leggi è intorno a ciò manifesto, così La prego rendere manifeste queste mie condoglianze all'Accademia, affinché si sappia per ognuno di quanta venerazione io mi senta verso quelle compreso.
E senza più me Le raccomando.
Lì 3 aprile 1826
Suo dev.mo aff.mo Servitore e collega
giuseppe gioachino belli
uno de' consiglieri dell'esercizio 1825
LETTERA 56.
AL SEGRETARIO DELL'ACCADEMIA PERGAMINEA - FOSSOMBRONE
(minuta)
[9 maggio 1826]
Ch.
Signore
Poche novelle saprebbero per avventura giungermi grate quanto quella datami dalla sua gentilezza con lettera uficiale del 12 marzo n° 15, alla quale purtuttavia ripensando, io non so se più debba gloriarmi od arrossire dell'onore, che da Codesto illustre istituto veggomi compartito, messa la gloria dal canto del favore, e il rossore dalla parte del merito.
E tanto in questa dubbiezza io vacillo, che dove il rifiuto di un fregio potesse non parere forse più indegno del demerito, e colorire la umiltà di villania, io preferirei piuttosto il ringraziare negando, un così chiaro collegio di valorosi, fra i quali non mi è lecito entrare che per amore d'obedienza e di studio.
Porto lusinga che dal Ch.
Sig.
Vice-Custode, da V.S.
e da' suoi nobili colleghi sarà concesso alla emissione del mio voto sulle leggi accademiche uno spazio sufficiente al potersi ripesare con maturata [...] da un solo cose già tanto gravemente ponderate per molti riuniti giudici.
- Intanto come quelle sembrano indicare preparata una formula speciale per le schedole obbligatorie de' candidati, nel che consiste una fra le condizioni da preceder la legale e definitiva investitura del titolo di accademico, così io mi faccio ardito di chiedervene i termini per non deviare dal rispetto dovuto alle forme, necessarie troppo alla incolumità della sostanza.
LETTERA 57.
AL CONTE VINCENZO PIANCIANI - ROMA
[10 maggio 1826]
Veneratissimo Sig.
Conte
Potrei dirle le seguenti cose oralmente: ma poiché so lo scritto restare più impresso che non fanno le parole, e dir meglio e più rispettosamente perché più misurato, Le mostrerò con ossequio, scrivendo, come io abbia ragioni di doglianze circa il trattamento avutomi sempre in amministrazione.
Io fui dal Cardinale Consalvi di ch.me.
nominato ad impiego di registro fuori dell'ufficio dell'Amministrazione con biglietto che terminava dicendo: doversi in seguito rettificare gl'impieghi secondo che la qualità delle persone e l'interesse del Governo avessero giustificato.
Su questa massima Monsignor Guerrieri, allora Tesoriere, sin dal bel primo giorno degl'installamenti 1° settembre 1816 mi trasferì all'ufficio dell'Amministrazione generale, dichiarandomivi commesso di seconda classe.
Entrai io dunque in esercizio contemporaneamente con tutti gli altri del medesimo grado, e con tutti gli altri copiai le prime lettere d'impianto, anzi ne minutai quando, dopo pochi giorni di servizio, fu il Segretario Cecconi destituito.
Venne allora il Segretario Sig.
Petti all'amministrazione e poi il Sig.
Stolz, di lui aiutante di studio, alla Direzione; e poi tutti gli altri, a noi posteriori ed estranei, benché di noi più veloci nella nostra carriera.
Ma questo non è il mio punto principale.
Dopo breve spazio dallo stabilimento dell'amministrazione, Ella mi fece dimanda, e poteva esser comando, se io volessi andare ad aiutare per due o tre mesi il preposto degli atti privati di Roma.
Io vidi tutto lo spiacevole e lungo avvenire che questo trapasso mi discopriva: ma a Lei piacque persuadermi operarsi ciò per mio bene e gran bene, ed ingannarmi io sul dubitare che una volta là confinato più non ne sarei o difficilmente tornato all'amministrazione, dove era il mio impiego, e dove io sarei rimasto indietro, se non di dritto, di fatto almeno e di cognizione.
Obbedii: e invece di tre mesi vi stetti tre anni.
Intanto qui nascevano leggi, memorie d'ordine e interni metodi, che io ignorava condannato nella peggiore metà di una sesta parte di prepositura perché io conduceva il monotono registro di dritto fisso in un uficio di Roma, dove in sei ufici tutta la somma prepositoriale si divide.
Poi il Preposto degli atti privati assunse i pubblici: ed io conservato nel suo uficio vi ordinai l'archivio, a cui non mai prima s'era pensato, In questo mezzo fu chiamato dalla Direzione altro impiegato per disimpegnare nell'amministrazione incombenze, alle quali avrei potuto bastare io.
Io reclamai molto, e tanto, che finalmente ottenni di ritornare in amministrazione col titolo di commesso di prima classe, in ricompensa di tre anni di fatiche veramente eccessive non meno che noiose.
Volli, e ne aveva i mezzi, supplicare Monsignor Tesoriere perché di accordo col titolo conferitomi come si rileva dai ruoli, mi fissasse la giunta di stipendio al medesimo titolo corrispondente, il quale Ella da qualche tempo prima mi andava somministrando con separata quietanza.
Ella me ne trattenne promettendomi d'impetrarlo per me: ed anzi un giorno si aspettava ad ore il rescritto.
La sperienza del passato mi incuteva timore per l'avvenire: Ella mi quietava coll'assicurarmi con parola d'onore che alla fine, in qualunque evento, quella giunta mi sarebbe sempre stata pagata finché l'amministrazione avesse avuto reggimento da Lei.
Questo in verità era assai meno che fissazione nel ruolo, come avrei desiderato, ma pure era qualche cosa: e così per allora mi tacqui.
Passato un certo tempo mi fu ritolto l'aumento.
Morì quindi il Sig.
Lepri commesso di la classe; e il Sig.
Poggioli che sempre allegò anteriorità sopra di me, benché entrati entrambi in esercizio col medesimo grado in un medesimo giorno, sollecitò il posto di primo commesso, e l'ottenne collo stipendio analogo, in preferenza di me, che di già ne godeva il titolo: a questo si rimediò col rifondere i ruoli, che più non presentassero l'antico metodo di precedenza.
Intanto il nuovo Commesso, chiamato dalla Direzione, e venuto certamente anni dopo di me, entrato al fatto delle cose aveva cominciato a lavorare, e lavorando bene, ottenne e gode un aumento mensile di scudi cinque: e per tacere di lui, non pur uno si conta forse fra i tanti miei compagni, il quale non lucri il suo soprassoldo segreto.
Io solo non ho mai nulla avuto, anzi quello perduto che aveva.
Ecco, Sig.
Conte, i vantaggi miei e i disegni che si facevano per favorirmi e sollevarmi.
Io abborrii sempre dallo stile de' pitocchi.
Oggi però che le mie circostanze, senza potersi dire pessime, assunsero pure aspetto peggiore delle antiche, io stimo non dover più osservare silenzio; convinto di più che quantunque quelle fossero ottime, come forse taluno vuol credere, ciò non entrerebbe nel nostro calcolo, perché le paghe degli ufici già stabiliti non si livellano in progresso sulle proprietà particolari come le dative: di che tanto nell'Amministrazione nostra quanto in tutti gli altri dicasterii del governo brillano luminosissimi esempi.
Demeriti morali forse non mi macchiano, né stupidità mi avvilisce.
Una malattia mi ha rimosso alcun tempo dall'uficio: ma questo ha recato più danno a me che allo Stato; ed altronde i miei pregiudizi economici erano già stati all'Amministrazione o compiuti o ben preparati quando Iddio mi chiamò a rovinarmi viaggiando gl'interessi per salvarmi la vita: iatture da me sostenute senza querela, e non implorando dai Superiori fuorché quello che lo stesso morbo da per sé mi accordava, o mi avrebbe concesso la morte; dico assenza dall'uficio.
Ma v'è ben altri, che, senza morbo, non per mesi ma sempre è lontano: eppure per solo merito di fedelissima assenza ha ottenuto nel ruolo quegli stessi vantaggi, che le fatiche, le promesse e i disastri a me non seppero mantenere.
Tutto questo è vero; ed io lo dico a Lei perché pel rispetto da me dovutole mi piace farla consapevole di quanto si muove nell'animo mio, disposto sì alla preghiera onde ottenere giustizia, ma sì ancora al coraggio di metter doglianze sulla negligenza e sullo avvilimento in che mi veggo tenuto.
10 maggio 1826.
Giuseppe Gioachino Belli
LETTERA 58.
ALLA MARCHESA MATILDE ROBERTI SOLARI - LORETO
[22 agosto 1826]
Vorrei darvi notizie, ma qui poche ne corrono perché questo è tempo di tregua, e la natura e la sorte sembrano riposare.
Quando si riscioglieranno o avranno finito le vacanze allora avremo di che intrattenerci sugli avvenimenti mondani.
Intanto vi dirò cosa che di già forse sapete.
Questo Messer Giovanni Paterni, uomo sufficientemente asinario, nato in maledicta Narnia trasportato qui dal tempo cattivo, e salito a grado di molto seguito e dipendenza; quest'uomo, rispettabile portatore di enormi brillanti sullo sparato imbuculare; quest'onestissimo gabelliere di bolli da pesi e misure; questo delicatissimo dispensator di bocconi, o imbeccature, o strozzi che siano, quest'onorato impresario mercatante di corna e faville nelle giostre e pirotecniche veglie romane; a mal grado dell'introdotto velario nel Mausoleo di Cesare Augusto, luogo destinato al cornificio diurno ed ai notturni sfavillamenti con fiacca imitazione benché gentile dell'antico velario Flavio, scarso profitto ricavava dall'aumentato prezzo d'ingresso al doppio spettacolo.
Fertile di trovate, come sagace consecutore di scopi, immaginò tre conventi di romani al suo anfiteatro per giocarci tre partite ossia farci tre tombole in tre consecutive domeniche; utile speculazione per lui, perché del suo non rimetteva, come si suol dire, che le cazzeruole.
Ottenuto il permesso dalla Segreteria di Stato, immaginati i modi, fatte le stampe, lavorata l'urna, bollate le cartelle e distribuite, affissi i manifesti, e messo il grembiule dell'opera, eccoti sabato mattina un Pontificio divieto ed eccoti fumo dove aspettavasi arrosto.
Si sta ora in sui compensi: e il chiedere e il negare fanno insieme un sapore terzo come d'olio e d'aceto...
LETTERA 59.
AL SEGRETARIO DELLA ACCADEMIA PERGAMINEA - FOSSOMBRONE
[16 settembre 1826]
Rendo all'illustre Accademia ed a Vostra Signoria le grazie maggiori che per me si sappiano in povero contraccambio del molto onore di cui mi veggo fregiato nel Diploma accademico.
Io so veramente di nulla valere, e tutto però riferisco pertanto il merito alla luce che gli dà apparenza.
Faccia di grazia conosciute queste mie novelle protestazioni al Chiarissimo ceto de' miei Colleghi e Signori, dei quali così come di Lei io mi pregio di essere e di considerarmi ammiratore rispettoso e servo devoto.
LETTERA 60.
AL PROF.
ANTONIO MEZZANOTTE - PERUGIA
Di Roma, 26 gennaio 1827
Gentilissimo amico
Non prima di ieri potei estrarre da questo babilonico ufficio delle dogane il bel libro che da voi speditomi mi recò franco la diligenza di Venerdì 20.
Io ve ne ringrazio con vero sentimento di riconoscenza, e vi aggiungo anche quello di venerazione, poiché vi veggo in ciò uomo più che evangelico, retribuendo voi il mille per uno dove il vangelo non promette che il cento, usura anch'essa che ne' tribunali della terra non troverebbe troppo facile passo.
Grazie, caro Mezzanotte, grazie: questa andrà a prendere posto fra le altre interessanti vostre opere di cui aspetto la provenienza da Bologna.
Tanto in riscontro alla onorevole e grata vostra del 17; e finisco abbracciandovi di cuore.
Il v.
aff.mo a.co
G.
G.
Belli
LETTERA 61.
A TOMMASO GNOLI, AVV.TO CONCISTORIALE - ROMA
[gennaio] Mercoledì 31 1827
O Gnoli amico che le palle e l'asta
Tratti con gagliardia da Concistoro:
Bozzoli amico, al cui pregio non basta
Solo un quartin, ma ben merti un tesoro
Tosini amico, o uom di buona pasta
Che quanto pesi vali argento ed oro
Venite questa sera; e avrete il seno
Di pizza avvocataria onusto e pieno.
Il pizzaio
Belli
LETTERA 62.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Fuligno, 29 luglio 1827 - ore 10 della sera
Mia cara Mariuccia
Prima di tutto mi pare che mi lasciasti fredda fredda! Ci ho pensato sempre.
Non ti parlo della mia compagnia che di volo, come di volo il resto, perché muoio di sonno, e mi duole piuttosto assai un dente.
Sono con me un tal Corradi con la moglie, abitanti a Roma nell'appartamento di Lelmi.
Vi è poi uno studente che viaggia per Pergola sua patria con una scipita e goffa moglie allattante una bambina di 73 giorni.
Accanto a me in serpa (dico meglio cabriolet) viene una brutta Marchegiana di Monte Alboddo che mi secca furiosamente colla menz'ora, colla menza notte, e col non gi sta.
Io le rispondo assai di rado, e leggo.
Si dormì due ore e mezzo a Narni.
Siamo passati questa mattina appena fatto giorno da Terni.
Lasciata la vettura in piazza sono corso a svegliare Vagnuzzi e gli ho frettolosamente detto due parole, anche per Borzacchini che non ho trovato.
A Spoleto ho parlato con Plinj.
Scrivo qui per servirmi delle buone penne di Fuligno: del resto recherò meco la lettera per impostarla più in là che sia possibile pel passo del corriere che giungerà a Roma giovedì: almeno se cosa di nuovo vi sarà, la dirò.
Pel corriere di domani lunedì 30 non è stato combinabile.
A Spoleto non era più ora; a Terni non mi sono fermato; a Narni era troppo vicino a Roma in un viaggio piuttosto lunghetto; e poi, arrivato alle 11, e ripartito alle 2 e mezza con in mezzo tutti gli amminicoli della cena, lavanda, e sonno, come si faceva?
Saluto le case Dolce e Spada con tutti gli annessi e connessi.
Gli altri poi secundum quid: tu conosci i gradi delle mie inclinazioni.
Ti abbraccio insieme col mio Ciro: addio
Il tuo P.
LETTERA 63.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Bologna, 6 agosto 1827
Mia cara Mariuccia
Pochi momenti dopo impostata da te la tua del 2 corrente devi avere ricevuto la mia scrittati da Tolentino; nella quale ti diceva i motivi per cui non ti aveva scritto prima.
Il giorno 4 poi ti sarà arrivata l'altra mia di Sinigallia.
Vedi dunque, Mariuccia mia, che io non ti ho mancato di nulla, né lo saprei fare giammai.
Giunsi qui sabato sera accolto dalla famiglia Celsi come un fratello: e debbo usare violenza per partire dimani (martedì 7).
Sto dunque in moto per la partenza.
Oggi pranzerò coll'ottimo Mazza (che infinitamente ti saluta e abbraccia Ciro mio) in casa di un francese, chimico di questa fabbrica di pannine.
Ho esatto questa mattina gli Sc.
40 e ti ringrazio di cuore.
Dopo impostata la mia di Sinigallia vidi la duchessa d'Altemps col padre e con Fidanza.
Le dimandai se v'era Marcolini: mi disse di sì e mi insegnò la casa.
Ci andai, e fui veduto con gran piacere.
Stan tutti bene e salutano tanto te e Pippo.
Il giorno dopo pranzo andammo a spesso insieme perché i Sig.ri Vetturini mi tennero là 24 ore.
- Passai da Pesaro di notte.
- A Rimini vidi Ferrari che saluta te e casa Dolce.
- Non ho ancora potuto vedere Muratori: oggi andrò a casa sua, che mi è stata insegnata.
- Menguzzi di Bagnacavallo vorrebbe vedere i conti: io ho risposto essergli stati dati, e adesso il Conto essere il Mandato: su questo, quando egli paghi, gli rilascerò qualche cosetta.
- Verrà dopo il 20 a Roma il Sig.
Germano Rusconi, nuovo Ispettore delle ipoteche invece di Carnevali.
Condurrà la moglie.
Sono brave persone che ho conosciute e mi han chiesto di venire la sera da me.
Te le dirigerà Celsi con due righe: così siamo d'intelligenza.
Per S.
Lorenzo sarò in Milano.
Quanto godo, Mariuccia mia, della tua rinuncia alla deputazione di beneficenza! Che diranno? Ti vorrebbero veder morta? Io no però.
Dunque abbiti cura per carità: fa i bagni, cammina il meno possibile, e pensa a star bene per me e per Ciro nostro.
Mariuccia mia, il 15 è la tua festa.
Vedi che io non me ne scordo: e fo mille e mille voti per la tua felicità.
Ricevine in pegno un tenero bacio.
Parlai a Sinigallia con Bondì che ti saluta.
Ci vidi Roverella che saluta Gnoli e Pieromaldi etc.
etc.
- Mi incarica Celsi di pregarti che se mai vedi Carluccio Canori lo saluti da parte di tutta la sua famiglia.
Ricordami a tutti quelli che chiedono di me: addio.
Ti abbraccio.
Il tuo P.
LETTERA 64.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Bologna, mercoldì 8 agosto 1827
Cara Mariuccia
Sono qui ancora per mancanza di vetture.
Veramente lunedì al giorno venne da me un vetturino, ma come io stava chiuso in camera leggendo un libro, la affezionata famiglia Celsi prese quel pretesto di mio riposo onde licenziarlo e non farmi partire.
Ieri poi me lo confessarono, ed io che nulla di negozii ho che mi chiami a Milano ora per ora, sopportai in pace questa obligante soperchieria dettata dalla buona amicizia.
- Partirò peraltro sul fare del giorno di dimani, e arriverò sicuramente a Milano a mezza mattina della prossima domenica 12 corrente.
Di là darò riscontro a quella tua che tu senza dubbio mi ci devi inviare in risposta alle tre mie antecedenti a questa.
Oltre a Celsi, Mazza e Scarabelli seguono a colmarmi di favori o di gentilezze.
Cento lettere commendatizie mi sono qui offerte per Milano: io però ringrazio, non sapendo bastare a tanti rapporti; solamente ho accettato due: la prima del fratello di Cardinali, (Clemente) il quale è ora qui per qualche giorno con la moglie bolognese, quella tale Signora bellina che tu conoscesti in casa Tarnassi quel giorno della processione di donne nel giubileo.
Cardinali dunque mi ha dato una lettera pel celebre Dottore Giovanni Labus, e un libro da portargli.
Ho poi un'altra lettera per un locandiere, datami da un locandiere e insieme banchiere di questa Bologna, amicissimo di Celsi.
Questi mi ha fatto anche una cambialetta alla pari, a vista, sopra Milano, mancando qui assolutamente oro da trasportare.
Mariuccia mia, come stai? Seguono i bagni a giovarti? Pensa che gran parte della mia salute dipende dalla tua, e da quella di Ciro, il quale mi lusingo che stia, al solito, benone.
Oggi ad otto è la tua festa.
Invita qualcuno, e sollevati.
Io corrisponderò da Milano alla tua allegrezza col chiamarti molti e molti altri anni tranquilli.
- Del libro prestatomi da Dolce, e delle calze provvedutemi da Orsini, il primo mi fa compagnia nell'andata, le seconde me la faranno al ritorno.
Salutami tutti, che non distinguo per timore di lasciarne fuori qualcuno per errore.
Ti abbraccio: baciami Ciro.
Addio.
Il tuo P.
P.S.
Pianciani rilasciò quella fede per la Pulizia?
LETTERA 65.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 13 agosto 1827
Mia cara Mariuccia
Eccomi in questa città bellissima da ieri.
Sperava di trovare tue lettere alla posta, ma nulla vi era e neppure ne sono venute col corriere di un momento fa.
In tutti i modi voglio scriverti una parola per dirti che io sto bene, e che appena arrivai cercai e trovai Moraglia, il quale trasecolò al vedermi.
Egli è in questo momento a me presente, e le cose che mi dice per te non so ripeterle.
Fra due o tre giorni mi conduce ad una gita con lui ne' bei contorni di Milano.
Come stai, cuore mio? Ciro mio sta bene? Abbiti cura; e credi che se più per oggi non ti scrivo è effetto del corriere, che parte adesso.
Moraglia mi ha trovato una buona stanza.
Addio, addio.
Vidi Olmi a Parma, e cenai seco: dillo, se lo vedi, a Biagini.
Ti abbraccio di nuovo, pregandoti di mille baci a Ciro mio.
Che penna! Locande!
Il tuo P.
LETTERA 66.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 18 agosto 1827
Mia cara e buona Mariuccia
Dalla mia anteriore n.° 5 avrai udito come io stava in pena non vedendo i tuoi caratteri.
La presente dovrebbe dileguare ogni idea di timore e di dispiacere ma come farlo, se tu mi dici di non star bene? Non puoi credere quanto questa cosa mi agiti e mi faccia vivere inquieto! Vedo con dolore che le tante brighe nelle quali tu devi certamente trovarti avvolta ti tolgono sino il tempo di fare i bagni, da cui si potrebbe sperare un gran bene.
È questa una gran fatalità che la salute ti vada così abbandonando, ed è stata di più una grande ingiustizia che io che alla fin fine non aveva niente sia venuto a divertirmi, e tu al contrario che soffri davvero abbi dovuto restartene alla fatica ed ai dispiaceri, sola e senza un conforto! Ti assicuro che se tu mi dicevi a tempo quel che mi dici oggi, io non partiva di certo.
E fra le altre cose mancavano ancora questa benedetta congregazione di carità, e quel birbante del tuo zio, pel quale, se non ci fosse un inferno, bisognerebbe fabbricarlo apposta.
Mariuccia mia, abbici sofferenza fin che puoi, e quindi io direi che te lo togliesti sino dal pranzare con te, ponendoti del tutto dietro un salvaguardia, che sarebbe quello di manifestar tutto a qualche persona di autorità; né il curato mi parrebbe fuor di proposito, tanto più che io sospetto che l'avvocato lo visiti spesso.
Basta, io parlo così per modo di dire: tu poi medita se ciò ti convenga per la tua pace, di cui abbisogni.
Non dubitare: Celsi non ci abbandona, ma pensa che Menguzzi è un disperato.
Non puoi credere le attenzioni di Moraglia e di tutta la famiglia.
Egli si dispera per non avere una casa in cui poter darmi una stanza: è piccola assai, e ci vive coi genitori, col fratello, con la moglie e due cari figlioletti.
Avrebbe voluto vedermi piuttosto nell'anno venturo, in cui dice che starà più largo.
Tutte le feste devo pranzare da lui: gli altri giorni sono tutti troppo intrigati, e mancano si può dire di ora fissa per riunirsi.
Giovedì 16 mi condussero in campagna a Magenta, 20 miglia da Milano, dov'è un'altra loro figlietta a balia: ha 10 mesi e va sola, carina come un angioletto.
Eravamo Moraglia, il buon fratello, la ottima moglie ed io.
Questa donnina non totalmente bella, ha maniere obligantissime: è però anche graziosa di viso e di figura.
Essa divide col marito il vivo desiderio di farmi piacere, e mentre giovedì Moraglia per più di dieci volte pranzando ti desiderava presente con una commozione veramente da amico essa brillava di gioia.
Che buona famiglia! Qualunque ora o mezza giornata Moraglia può rubare alle sue occupazioni, è subito meco, e finora ad ora non ho girato che con lui per questa superba Città.
Ieri sera mi portarono al teatro Carcano.
Oggi partiamo per Monza e per la Brianza, e torniamo lunedì.
Quest'altra settimana mi conducono a Pavia ed ai laghi.
Insomma non so che dirti.
Ho veduto Narducci, Calvi, e i Manzi: anch'essi esibizioni senza fine.
Cattaneo e Crivelli son morti.
Questo Crivelli era quello a cui de Mortara tagliò il dito.
Egli faceva furiosamente l'amore colla sorella, Clotilde, del nostro Aniceto Orsini.
Moraglia mi ha preso in affitto una stanza in casa di un tal macchinista de' Carli, il quale ha inventato e offerto al Papa una macchina intitolata sorgente di moto.
Non ho ancora potuto vedere i Borgia, né il Muller di Pippo.
A proposito di Pippo, Moraglia avrebbe bisogno di sapere se vi è (oltre la solita delle guide di Roma) qualche opera particolare che tratti esclusivamente della Basilica di S.
Pietro.
Egli crede che un tal Domenico Fontana (se non erro) ne abbia scritto.
Vedendo Pippo, o anche Puccinelli, mi faresti il piacere d'impegnarti a prendere in ciò qualche lume.
La roba di vestiario va qui precisamente ad un terzo dei prezzi di Roma: quel che da noi sta a 10 qui si ha per 4 o per 3.
Se io avessi danari mi provvederei davvero di qualche cosa; ma pure un soprabitino di cammellotto per quest'altr'anno vorrei farmelo.
Figurati tutto insieme arriverà a poco sopra gli Sc.
4! Che ne dici? - Vedendo Spada salutalo con tutta la famiglia tanto tanto, e digli che Labus, letterato celebre di qui, attende da Pietruccio Visconti quelle notizie intorno allo zio Ennio Quirino.
- Non so se ti ho mai detto che a Bologna vidi Muratori, il quale ti riverisce benché non ti conosca, e saluta casa Dolce, che saluterai anche per me.
Saluta altresi tutti gli altri maschi e femine, o per dir meglio uomini e donne.
Che ti dirò poi del mio Ciro? Non voglio dirti nulla: tu puoi comprendermi.
Ti abbraccia di cuore.
Il tuo P.
aff.mo
P.S.
Io sto bene.
LETTERA 67.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 25 agosto 1827
Cara Mariuccia
Dopo impostata una lettera per Pippo, il quale mi aveva richiesto di una notizia che gli premeva, mi è stata data la cara tua del 18 cad.
Convengo che le tue lettere non mi giungono troppo consolanti, avuto specialmente riguardo al mio carattere mobile ed apprensivo pel quale anche le paglie divengono travi: ma ora mi riconosco nel medesimo tempo abbastanza giusto e ragionevole per attribuire non a te affatto, ma tutto alle circostanze contrarie l'amarezza del tuo dire.
Povera Mariuccia mia! Sarebbe bella che mentre tu soffri tanto e tanto fatichi e ti martorii per mandare avanti meno male che si può la nostra casa, dovessi poi anche fingere tranquillità in mio servigio, avendo l'animo turbato dal cattivo aspetto de' nostri interessi! Circa però al molto urto che certo deve aver lor dato questo altro mio viaggio confessami Mariuccia mia che io non avrei voluto farlo perché molto più che non apparisce al di fuori so io penetrarmi di tutto ciò che va nella vita conosciuto e apprezzato.
Ma tu tenera della mia salute non solo volesti prenderne cura con un nuovo viaggio il quale senza dubbio non si rendeva poi necessario pel dileguamento di qualche incomodo estivo e passeggiero, ma bensì ti piacque accelerare la mia partenza.
Io voglio far tutto quello che a te piace, ma esiggo da te un parere per andare di accordo: dimmi verso qual tempo ti piacerebbe che io fossi a Terni.
Tu sai quanto io mi sia in certe cose sempre incerto, e come spesso un tuo consiglio mi determini, e, rompendo quella specie di mia irresolutezza mi sembri divenire il consiglio mio proprio.
Dimmelo Mariuccia mia.
Troppo più tardi di quel tu penseresti mi spiacerebbe di andarci: troppo più presto mi spiacerebbe egualmente, perché con sincerità dico che Milano Bologna e Loreto mi offrono migliore soggiorno che Terni e Casa Vannuzzi.
Circa i crediti recuperabili non so che dirti se la mia personale presenza sia utile o no: tu conosci la mia flessibilità e quasi puerilità contro chi sugli occhi miei chiede e prega.
Circa poi alle vendite io non so davvero accordarti che io serva meglio in persona per trovar compratori: assicurati che acciò val meglio un terzo per la speranza di un piccolo guadagno che non lo stesso padrone (benché io non lo sia) il quale quando mancano oblatori nuoce più che non giovi coll'andarli cercando e suscitando: io poi che son tanto bravo! Ma pure voglio in tutto e assolutamente fare il tuo piacere, per consolarti almeno colla mia buona volontà.
In quanto al silenzio di Vannuzzi ti mando le accluse due righe: inviale se credi ben fatto, altrimenti replica tu medesima; se io fossi costì ti allevierei volentieri da queste fatiche di più.
Non posso capire come non ti risposi intorno a M.
Samin alla tua degli 11 agosto.
Ecco dunque.
Bochet mi disse in una sua che si pensava di mutare ordine alla pensione, e che mi avrebbe però detto qualche cosa di preciso.
Io voleva aspettare e aspettava da un giorno all'altro queste migliori notizie onde recarmi da M.
Samin con qualche cosa che valesse la pena.
Se tu prendi la posizione Bochet nel credenzino sinistro del mio scrittoio troverai la lettera Bochet in cui se ne parla, la quale dev'essere l'ultima o la penultima del fascetto intitolato Corrispondenza diretta.
Se mi fosse giunta la tua qualche ora prima avrei unito la presente a quella per Pippo onde risparmiava una impostatura che qui costa circa un paolo, e lettere che si ricevono da Roma si pagano circa bai 13.
Dunque ogni lettera tra missiva e responsiva vale intorno a 24 baiocchi: che sonata! Ciononostante debbo chiamarmi fortunato se questo prezzo mi procaccia le tue nuove e mi significa la tua volontà.
Ti ripeterò i saluti di Moraglia, che riceverai da Pippo.
Gli altri amici pure mi dicono sempre mille cose per te.
Mercoldì andai a pranzo da Calvi.
Lunedì mi conduce a un suo casino a Monza per tornare la sera.
La di lui moglie e la moglie del fratello sono un poco pigrucce.
Stringo al cuore Ciro, saluto tutti, e ti abbraccio affettuosamente.
Il tuo P.
LETTERA 68.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 10 settembre 1827
Mia cara Mariuccia
Rispondo contemporaneamente a tre tue lettere de' 25 ag., del 1° sett.
e del 4 d.
Alla prima non diedi riscontro tra perché varie cose in essa dimandatemi te le aveva dette nella mia ultima, allora corrente in viaggio, e perché aspettando da te replica ad una mia mi riserbai dirti tutto insieme onde evitare altresì le incrociature.
Le due poi del primo e del 4 corr.
mi sono state date oggi unitamente.
- Certo è che Fioravanti è un gran vassallo! - Le tue ragioni per persuadermi del perché sagrifichi tutto alla mia salute non possono che parermi amorosissime, e come tali eccitarmi alla più viva gratitudine.
Circa a Peppino, godo che siasi scosso; e tu avrai veduto che io non aveva poi osservato con lui quel silenzio di cui pare che tu dubitassi.
Egli nudre un poco di pigrizia, la quale unita alla scarsa sua educazione lo fa sembrare anche più cattivo che non è.
Stando così le cose, e potendo tu mandarmi qualche altro baiocco, mi farai certo gran piacere.
Assicurati che io non getto nulla, e quando vedrai con che mi mantengo ti farà sorpresa.
Ma il tutto insieme, indispensabile fuori di casa, è quello che porta avanti.
Per questa volta voglio che al mio ritorno tu osservi la mia lista di spese, e vedrai il minimo fra gli articoli apparire quello del mantenimento, benché non saprai insieme quale degli altri escludere e chiamare superfluo e assolutamente risparmiabile.
Io conterei sui primi di ottobre di trovarmi a Bologna, a ciò sembrandomi che le tue ultime lettere mi diano largo.
Di là passerò per pochi giorni a Loreto donde mi scrivono volermi assolutamente vedere dopo due anni che al mio passaggio si trovano sempre in campagna.
Sugli ultimi dieci giorni di ottobre sarò a Terni, e là starò sino verso alla metà di novembre, e anche più se ti parrà che l'interesse de' nostri affari lo persuada.
Se questo mio itinerario ti piace avvisamene, mentre se con qualche prontezza mi rispondi al tuo solito, vi è benissimo tempo che io possa ricevere qui un'altra tua lettera.
Allora quel danaro che tu crederai poter essere in grado di mandarmi, potrai spedirmelo a Bologna col solito ottimo mezzo dell'amm.ne del registro.
Grazie a te e al caro Spada pel sonetto di Mimma.
Ci vai tu alla vestizione? Già credo di sì perché le vuoi bene, e poi sai che mi dai con ciò consolazione: povera Mimma! è stata tanto disgraziata.
Meno male se l'azienda de' poveri ti si allegerisce: potrai tirare un po' più avanti, e farti questo merito avanti l'umanità.
Moraglia ti ringrazia delle notizie sulla Basilica di S.
Pietro.
Egli e la sua famiglia mi usano sempre le maggiori attenzioni, e se io abusassi sarei padrone di casa loro.
Per lo studio di Ciro ci penserò io: non ti dar pena; è tanto tenero che un ritardo di qualche giorno non gli nuocerà certo, tanto meno con quel piccolo cervello che si ritrova.
Affogalo di baci per me.
Ringrazio l'ottimo nostro Rossi della buona memoria in che mi ha.
Risaluta tutti, e ricevi da me mille abbracci.
Il tuo P.
LETTERA 69.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 10 settembre 1827
Carissima Consorte
Il consenso che tu mi dimandi per la prossima vendita al Sig.
Antonio Corazza del tuo pezzo di terra ereditato in Cesi sotto vocabolo la Croce delle fabbriche per la somma di scudi Centonovantatre e bai: 80, eccolo qui amplissimo, e quale potrei dartelo in persona dove io mi trovassi in questa circostanza con te.
Serva anzi la presente per metterti in diritto di disporre di questo e di ogni altra tua cosa sotto qualunque estremo e condizione ti piaccia, troppo io sapendo per prova che a nulla tu sai andar risoluta se non a ciò che di vero utile riuscir sappia alle cose della nostra famiglia.
E con ciò di vero cuore ti abbraccio.
Il tuo aff.mo marito
Giuseppe Gioachino Belli
LETTERA 70.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 23 settembre 1827
Cara mia Mariuccia
Rispondo alla tua de' 15 andante.
Poiché il mio itinerario incontra la tua approvazione io penso di partire di qui domenica 30, seppure gl'incagli ordinarii delle vetture non mi ritarderanno di uno o due giorni.
Ai primi dunque di Ottobre io sarò a Bologna, dove attendo da te riscontro alla presente.
D.
Cesare Borgia vuol ripartire da Milano nel prossimo mercoledì 26.
Ieri sera che pranzammo insieme da D.
Francesco questi e la moglie volevano in ogni modo obbligarlo a partire al fine del mese per andare con me a Bologna, dove egli si dirigge: non so cosa farà.
Egli ti saluta e così D.
Fr.co.
- D.
Alless.o sta da qualche tempo ammalato con reuma.
Ti ringrazio della notizia del libro di Torricelli: penserò io a scrivergli direttamente.
Fa veramente meraviglia la faccenda di Peppino: e più che la sua mancanza mi dà pena l'imbarazzo e il dispiacere che reca a te.
Speriamo che troverà il modo.
Oggi dunque Mimma sarà monaca! Possa essere felice! Nell'andare o non andare tu avrai fatto benissimo quel che avrai fatto.
Bravo il Sig.
Checchino delle orecchie lunghe! - Godo molto della guarigione di Natalina: fa con lei i miei sinceri rallegramenti.
- Salutami la Mazzanti tanto.
La Battaglini partì? La sua causa come va? Che ne dice il Dottor Biscontini? Quanto è brutto quell'uomo vestito da Abate! - Martedì vado a Pavia con Moraglia e Calvi, a visitare la Certosa così celebre, la Università, la Cattedrale, e le così dette Conche di Ticino etc.
Anche qui fa un tempo del diavolo.
Il giorno che andai al lago di Como, fece là fra quelle Alpi un temporale d'inferno.
Mi ci condusse il fratello di Moraglia che tu a Roma hai conosciuto.
Moraglia ti rende saluti centuplicati.
Oggi, al solito di tutte le feste, pranzo da lui; e fra un quarto d'ora la Moglie sua, egli, ed io andiamo a far colazione all'Isola bella, sontuosa osteria fuori di porta Nuova.
Mangeremo la buzzeca, cioè la trippa.
Quanto godo di udire che quel caro Ciro vada fissando la ragione e divenga più docile.
Coprilo di baci per me.
Io sto bene, e prego te di averti cura.
Saluta tutti al solito e di' a Pippo che gli porterò il Manuscritto che mandò a Müller.
Gli Spada che fanno? Non gli ho scritto mai, ma gli ho tenuti sempre nel cuore.
Addio: ti abbraccio affettuosamente.
Il tuo P.
LETTERA 71.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Bologna, 3 ottobre 1827 - ore 11,30 antimeridiane
Cara Mariuccia
Sono partito domenica 30 da Milano: sono qui arrivato orora: appena cambiatomi sono andato alla posta, dove ho trovato le tue carissime del 27 e 29.
Cercando il Sig.
Rusconi, ho poi saputo essere il Direttore della posta: sono dunque tornato alla posta, e ho trovato essere fuori Bologna e tornare dimani: non posso dunque darti notizie dell'incasso della somma da te favoritami, di cui ti ringrazio davvero senza fine, conoscendone sempre più il tuo attaccamento per me.
Le notizie che mi dai della Barberi e della Falconieri mi affliggono assai: né manca ancora di disturbarmi molto l'intrigo in cui ti trovi per colpa di Coletti.
Povera Mariuccia mia quanti disturbi! Ma benché lontano io li divido con te, bramando invano di assisterti.
Godo tanto tanto del bene stare di Ciro nostro: bacialo 1000 volte per me.
Non ti dico altro perché il corriere sta a momenti per partire: il resto nel venturo.
Ti abbraccio addio.
Il tuo P.
LETTERA 72.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, 5 ottobre 1827
Mia cara Mariuccia
Jeri mattina questo Sig.
Cavaliere Giacomo Rusconi, Direttore delle poste mi pagò gli scudi trenta che tu ti sei compiaciuta di mandarmi.
Letto appena il nome Rusconi nelle due carissime tue 27 e 29 pp.
settembre, dubitai sulle prime del pagamento, vivendo qui alcuni soggetti di quel nome molto cattivi pagatori; né il Giacomo che lo precedeva poteva darmi miglior sicurezza, mentre io non ricordava il nome di battesimo di questi.
Ma pure il pensiere della puntualità e prudenza del Marchese Mornado, e quindi la notizia avuta dell'essere questo nostro Rusconi il solidissimo Direttore della posta, mi posero in quiete; e il buon esito della faccenda coronò la novella fiducia.
Ti rinnovo pertanto qui i più sinceri ringraziamenti per la premura con la quale vieni incontro a tutti i miei bisogni.
Così gli altri fossero diligenti con te! Ti assicuro che quel saperti in tanta angustia pel ritardo del pagamento Vannuzzi da te assegnato con tua firma a soddisfazione di appunti così imminenti, mi ha fatto e fa stare in molta pena.
Come avrai fatto dentro uno spazio così limitato? E non bastavano dunque questi tuoi disturbi, che altri ancora dovessero aggiungersi loro per tormentarti? La morte inattesa della Barbèri, e il colpo della Falconieri debbono certamente averti assai indisposta; ed anche a me danno grande rammarico.
Figuro la desolazione di Barbèri e dei Lepri; figuro la pena dell'ottimo Cavaliere Falconieri; l'imbarazzo della eccellente famiglia Battaglia, ed il tuo insieme per essere stata destinata a presiedere alla cerimonia disgustosa del trasporto della malata, particolarmente in un modo tanto eccitatore della pubblica curiosità.
Evviva! tutte le mosche addosso ai cavalli magri! Sempre così!
Nella mia lettera dello scorso ordinario nulla potei dirti della mia partenza di qui, né del mio itinerario preciso, per norma del nostro carteggio.
Celsi era partito per Lugo poche ore prima del mio arrivo, dimodoché senza averlo riveduto, nulla potevo né posso decidere sul giorno del mio proseguimento di viaggio.
Non so quando tornerà: deve però accader presto.
Per metterci dunque al sicuro, puoi rispondermi il giorno 13 e farmi trovare la tua lettera il giorno 15 a Loreto, dove intorno a quell'epoca spero certamente di essere.
Non mettere sull'indirizzo il ricapito in Casa Solari.
Essi stanno in campagna, ed io vorrei, se arrivassi di buon'ora a Loreto, ritirare la tua carissima prima di recarmi alla loro villeggiatura.
- Dopo veduta e gustata Milano, Bologna mi par divenuta un paesetto da cicoriari.
Stringi di cento abbracci Ciro nostro, saluta gli amici e credimi sempre.
il tuo aff.mo P.
LETTERA 73.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, mercoledì 10 ottobre 1827
Mia cara Mariuccia
Nella prossima notte partirò per Loreto, siccome ti dissi nella mia antecendente de' 5, la quale così come l'altra de' 3 spero che avrai ricevuta.
M'è stata ieri data alla posta una lettera che Giorgio Votrontò mi diresse da Firenze a Roma.
Questa lettera era aperta, e non so se ciò sia accaduto per opera dei ministri postali, i quali si sarebbero tolti una curiosità molto vaga.
Se poi fosse essa stata prima data a te, e l'avessi aperta tu per vedere di qual premura potesse quella essere, la cosa muterebbe aspetto e nulla vi resterebbe da dire.
Intanto circa a Giorgio, sappi che mentre domenica io andava sotto il portico del pavaglione pensando di cercare qualche greco suo conoscente per chiedergliene notizie, ecco che me lo vedo all'improvviso davanti.
Egli era arrivato la sera avanti da Firenze.
È venuto a Livorno da poco, e là fra breve spazio ritorna per stamparvi una sua opera, non so quale.
Forse darà una fuggita in Roma prima di tornare alle Isole Ionie.
- Fra due giorni parte quel Sig.
Germano Rusconi di cui ti parlai quest'agosto: ti porterà una lettera mia.
- Ha scritto a Celsi il suo commissionato di Lugo pel nostro affare Menguzzi che in breve tempo si deve vendere la casa di lui: allora etc.
Intanto il debitore richiede una copia del conto: bisognerà dargliela: anzi in un momento che tu avessi di tempo potresti prendere il mazzo de' conti legali, e fatta estrarre detta copia, spedirla franca al Sig.
Giovanni Celsi, Bologna.
Ciò per sollecitare l'invio che io non potrei eseguire che tardi.
- A Parma quando io vi passai per tornar qui, non vi era Olmi: stava in Firenze, e quindi dava una fuggita per pochi giorni a Roma: l'hai veduto? Bacia Ciro; saluta tutti e credimi sempre.
Il tuo P., che sta bene e altrettanto desidera di te.
LETTERA 74.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Loreto, 14 ottobre 1827
Cara Mariuccia
Sono arrivato verso sera, oggi domenica 14, a Loreto.
Ho fatto cercare del Direttore della posta per vedere se vi fossero lettere tue non ve n'erano.
Dimani mattina riparto pel Casino di Solari.
Ho qui trovato un fascio di biglietti di tutta la famiglia affinché mi decida a non tardare neppure un minuto per andarli a trovare.
La presente serva solamente per darti notizie di me: quando avrò avuto da questa posta tue lettere, giusta quello che ti dissi nelle mie ultime di Bologna, allora ti scriverò più categoricamente.
Intanto alla presente non dovrai risposta.
Io sono giunto qui felicissimamente, benché una piena orribile abbia nella notte dal 6 al 7 portato via tutti i ponti delle Marche, che non son pochi, e mutato quasi la faccia della terra.
Addio: amami come ti amo, baciami Ciro; e credimi
Il tuo P.
LETTERA 75.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Dalla villeggiatura Solari
alle Cervare, 4 miglia da Loreto
[19 ottobre 1827]
Mia cara Mariuccia
Tu dici benissimo essersi rotto un ponte presso Fano; anzi io ti aggiungo che da Fano in poi non si trova ponte il quale non sia fracassato.
I piccoli, sovrapposti ai fiumicelli o a men grossi torrenti, hanno già ricevuto un precario riparo pel momentaneo passaggio de' viaggiatori, e così il più grande tra Fano e Sinigallia: il ponte però del fiume Esino e l'altro del Musone sono in modo fracassati che non può neppure pensarsi al riparo; ma un poco a spalla di uomini, un poco in barca, un poco a guado di legno, tanto sufficientemente si passa purché non sopravvengano piene novelle.
Di ciò mi pare, se non erro, averti dato qualche cenno nella mia de' 15.
Io trovai presso Rimini due diligenze, che procedevano a Bologna unite, e altrettante si suppose andarne insieme alla volta di Roma; anzi dicesi che, giunte esse al fiume Esino di qua e di là, si cambino per ora i forestieri e le merci e retrocedano alle loro origini.
Con tutte queste circostanze che hanno quasi cambiato l'aspetto di queste campagne io arrivai qua sano e salvo senza il più piccolo contrario incidente, fuorché quello della non valutabile spesa di qualche paolo di più.
In generale poi sappi che quando io viaggio prendo in modo le mie misure con freddissimo animo, che, eccettuati quei piccoli sagrifici economici, mi avviene sempre di trovarmi fuori da molti imbarazzi e ottenere le cose secondo il mio desiderio.
Al Po per esempio, trovai un mare invece di un fiume, e un mare rotto a velocissimo corso.
Le dighe di Lombardia vinte, ogni cosa un lago.
Moltissime vetture, tanto dal confine austriaco quanto alla riva Piacentina giacevano timorose del passo, e aspettavano che il fiume fatto più mite, e abbassate le acque, loro concedesse il ristoro del ponte di barche o il compenso delli sciolti battelli, ai quali molti non osavano ancora fidarsi.
Un di Londra, un di Parigi, un di Milano, ed io, socii nel legno scandagliammo l'ora, i mezzi, e la circostanza, e risolvemmo il passaggio onde ripararci piuttosto in Città comoda che non in un casolare in mezzo a squallide lacune.
Un battello si offerse: e introdottovi il legno in un modo veramente curioso, e dopo i cavalli e quindi noi, dopo tre quarti di ora, arrivammo all'annottare presso le mura di Piacenza soddisfattissimi di ciò che altri prima di noi avevano a torto temuto.
Lunedì mattina, lasciata a Loreto la mia lettera antecedente per te, ne partii, e per la via carrozzabile di Macerata, anziché per il cavalcabile, scomparsa quasi per le alluvioni, percorrendo 23 miglia in breve spazio di tempo giunsi in questo casino atteso e ricevuto con non comuni segni di buona e sincera amicizia.
Il legno, in cui io era, soffrì l'incomodo di un'ora di diluvio universale; e la faccenda andò bene.
Tutta la ottima famiglia Solari, benché non ti conosca, e il Marchese D'Oria, il quale crede di averti veduta in Ancona, ti dicono mille cose amichevoli e ti avvertono essere partita, o star per partire, Maddalena Reschi, la quale provvisoriamente ritorna da Chigi.
Degli affari nulla ti rispondo perché non saprei trovare termini per arrabbiarmi a dovere con questi infami soggetti coi quali abbiamo la sfortuna da agire.
Ecco i frutti delle promesse di Deangelis circa ad Antaldi; ecco le conseguenze della nostra gentilezza con Fioravanti, ecco...
gran manica di birbi tutti.
Noto poi di Corazza e di Borzacchini! Non dubitare, mi tengo nell'animo ciò che per ora toccherà a me di tentare al mio ritorno per Terni; e il resto a Roma.
Intanto armiamoci di pazienza.
Caro quel Ciro! Digli che Papà tornerà e passerà delle ore con lui.
Ho fatto udire il tuo paragrafo a questi signori, che ne hanno assai riso.
Questa mia ti giungerà tarda risposta alla tua de' 13, ma i pessimi tempi hanno ritardato le occasioni tra Loreto e qui.
Essa andrà dimani a Loreto, partirà sabato a sera, e ti giungerà lunedì 22.
Sarà perciò impossibile che un tuo nuovo riscontro mi ritrovi qui.
Rispondi però a Terni, e intanto io ti andrò informando delle mie mosse.
Questi signori avrebbero su me lunghe intenzioni, ma io farò violenza, e manterrò l'itinerario annunziatoti.
- La povera Natalina è forse morta? Le ho scritto una lettera di rallegramenti, e non ne so nuova: se però è viva transeat, perché val più un ciucarello vivo che un dottore morto.
Ti abbraccio di cuore.
Addio.
Il tuo P.
LETTERA 76.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Dalle Cervare, villeggiatura
Solari, mercoledì 24 ottobre 1827
Cara Mariuccia
Avrei dovuto partire dimani per Macerata, distante di qui cinque miglia, per quindi trovato un posto per Terni dirigermi a quella volta.
Ma i tempi sono così dirotti e talmente infuriano che non so se questo tragitto per istrade di sola terra cretosa, e scoscesissime potrà essere effettuato, tanto sono dette strade lubriche e rovinate; e tanto più poi perché il baulle non potendo entrare dietro la carrettella di Solari, con la quale andrò a Macerata, dovrà portarsi a schiena; e le bestie non attaccano i piedi, ma sdrucciolano orribilmente.
Il ritardo però non potrà eccedere l'uno o i due giorni, finché venga uno scarso in cui le acque siano alquanto scolate.
Intanto te ne avviso con questa mia.
Andrò in seguito istruendoti delle mie mosse, come ti ho nella mia precedente promesso.
Questi signori ti salutano: io ti prego di abbracciare il nostro Ciro; e dare i saluti a tutti.
Ti abbraccio di cuore.
Il tuo P.
LETTERA 77.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, lunedì 20 ottobre 1827
Cara Mariuccia
All'avemaria son giunto qui sano e salvo.
Sabato 27 devi avere avuto una mia ultima e lunga dalle Cervare.
Ho veduto Antinori e ti mando a suo nome le accluse carte che favorirà consegnarti la Sig.ra C.ssa Marcolini.
Un giorno prima di me passò da Macerata Gnoli, e parlò con Antinori di Gagliole: hanno combinato il modo da tenere.
Qui è la M.sa Antaldi: procurerò di parlarle.
Si presenterà da te il sig.
Fossati letterato reduce da Parigi.
È amico del nostro Pippo, e ha viaggiato per qualche tratto con me.
Esso è brava persona e ti darà mie nuove.
Con la posta di giovedì avrai miei più lunghi caratteri.
Abbraccio Ciro dopo di te.
Addio.
Il tuo P.
LETTERA 78.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 31 ottobre 1827
Mia cara Mariuccia
Avrai a quest'ora veduta la C.ssa Marcolini, la quale io incontrai a Spoleto, ed a cui consegnai per te a Terni una mia lettera contenente altre due datemi a Macerata dal Sig.
Antinori, intorno all'affare poco buono del Migliorelli.
- Sperava trovare qui tue lettere siccome ti pregai di Loreto: sperava riceverne col corriere di questa mattina; ma non ne ho vedute: a buon conto spero che tu abbi ricevute tutte le mie scritteti l'una dopo l'altra dalla villeggiatura Solari; l'ultima delle quali fu da me mandata a impostare espressamente a Macerata la sera di giovedì 25.
Mi lusingo che non da motivo di salute o da altra spiacevole causa procederà il tuo silenzio.
Circa a Gagliole ti dissi nella mia consegnata alla Marcolini essere Gnoli passato per Macerata un giorno prima di me: avendo dunque parlato con Antinori, restarono fra loro di concerto che Gnoli da Fuligno gli avrebbe spedito un foglio di riassunzione.
Antinori però pretende che sino a che il B.
Governo si contenterà del solo comandare il pagamento senza assegnare alla Com.tà questa spesa nel preventivo, ne riuscirà ad essa impossibile l'effettuazione, e parimenti alla Delegazione rimarrà legata la mano alla esecuzione degli ordini.
Da Gnoli poi udrai meglio tutto, se, come credo, sarà prima di me a Roma.
Io non l'ho veduto; forse sarà andato al solito a Perugia.
Sul registro della locanda postale di Macerata vidi il suo nome segnato il 7 ottobre per la volta di Ferrara.
Mi disse ieri sera Peppino Capocci, che con tutta la famiglia ti saluta, che egli, Gnoli e Tosini vinsero cinquanta zecchini fra tutti e tre in una tombola di Fuligno circa un mese fa.
Ho parlato con l'Antaldi, la quale con fredda gentilezza mi ha risposto che il marito è tuttora a Bologna onde esigere danaro dal Governo; che Deangelis sta a Pesaro, e che ella vive al buio dello stato attuale della nostra faccenda: in generale però mi disse che il Marchese aveva approvato le disposizioni di Deangelis.
Io però gli obbiettai la mancanza de' pagamenti mensili, e quella della procura facoltativa a comporre: ella ritornò allora alla sua ignoranza.
Vedo io peraltro andare adesso a finire a buon conto l'anno che Deangelis dimandò di proroga, onde o sia scorso questo sopra uno scritto o sopra una parola, è sempre passato; e noi restiamo padroni di eseguire i mandati, sempre consigliandoci prima se l'avuto al conto pregiudichi in nulla l'azione libera primitiva.
Io intanto, se stessi in te, scriverei col prossimo corso una lettera al Deangelis a Pesaro, in termini generali che non compromettessero: la farei io stesso di qui ma non ricordo il di lui nome di battesimo, né ho modo di rintracciarlo non volendo chiederlo alla Marchesa che forse neppure vedrò più.
Ho scritto a Corazza che venga a Terni: ci era stato due giorni prima onde condurre alla caduta la Angelici di Porta Settimiana.
La Malagotti voleva venire lunedì sera a trovare la figlia, ma avendo saputo il mio arrivo, se ne astenne.
Io le ho scritto un biglietto.
Se non accede, le faccio intimare il mandato.
- Mi dice Borzacchini avere già a te scritto che il padre è alla sua tenuta per assistere alla sementa così difficile in questi tempi piovosi: appena tornerà, ciò che deve accadere in breve, parleremo dei nostri affari, non potendo farlo egli solo.
Io non so che rispondergli.
Mi assicura il Maggiore Marco Setacci (che ti saluta) che oggi manderà da me il De Sanctis debitore di Sc.
3,42 per due annate di censo.
- Peppino dice averti spedito per la posta il danaro per Ballanti, e che darà a me il residuo della sua rata di Sc.
450.
È restato assai mortificato del ritardo di questo suo pagamento, ma assicura che avendo già preparati da quasi un anno i danari, per non tenerli oziosi gli aveva investiti in olio a Sc.
29 la soma.
Questo é poi calato a Sc.
20 in 21, senza neppure trovarsene compratori.
Coletti poi ha prodotto il resto del ritardo.
Tuttociò può esser vero.
Regolerò con lui i conti.
- Sento che al primo dell'anno ritornò la dativa all'antico stato di aggravio.
Bella diminuzione è stata dunque, foriera di nuove leggerezze! - Un certo tale di Todi, se non erro, aveva offerto a Garavita pe' nostri fondi di Terni un prezzaccio, che Garavita ha ributtato con mal'umore.
Vi è ora un certo trattato lontano per quel terreno sterile che già chiedeva un tal Benedetti per mezzo di Francolini; cioè il terreno Fornaro.
Fa' una cosa: in uno de' sportelloni del mio scrittoio prendi il più grosso protocollo, vedine l'indice in principio e al fascicolo Fornaro etc.
Forse troverai (che ci dev'essere) la perizia che ne facemmo elevare col mezzo di Corazza dal perito Teosoli allorché si trattò col Benedetti: se la trovi, mandamela.
-Vedrò Silvestro e se mi parla di acquisto di Piedelmonte, ci andrò prestando un orecchio.
- Pagò Mirabelli al 25 d'agosto gli Sc.
9? di Stocchi mi si dice di sì.
Francesco Diomede deve farlo a momenti.
- Temo molto che, o paghi o siavi costretto, la Magalotti cavi fuori la pretensione della riduzione, perché qui l'estinzione di Mazzoneschi è conosciuta, e forse si è anche parlato della nostra differenza: onde la Magalotti ne avrà tirato lume.
Dimmi un poco Mariuccia mia, non si potrebbe ottenere coll'esempio di altri anni un lasciapassare per me? Forse la fissazione della dogana nuova a porta del popolo, se già è andata in vigore, renderà più difficili queste licenze che si accordavano già per risparmiare ai viaggiatori l'andare a Piazza di Pietra.
E poi non so se venendo io dall'estero, potrei...
basta, vedi un poco, e se mai l'ottieni, o mandamelo o dimmi da dove hai affacciato la mia provenienza, se da Milano cioè o da Terni: onde io non mi trovi in contraddizione: parrebbe però meglio dire tutta la verità onde non avere un cattivo testimonio nel passaporto.
- Quel Fossati che ti diriggo con la lettera della Marcolini è cognito anche a Tavani: mi mostra piacere di conoscere la mia famiglia, di cui aveva spesso parlato con Mariannina Zuccardi con cui fece già l'amore.
Bacia tanto Ciro.
Ti salutano tutti; e saluta tutti.
Ti abbraccio di cuore.
Il tuo P.
P.S.
Io non porto niente, ma sempre è bene evitare le dogane.
LETTERA 79.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 9 novembre 1827
Cara Mariuccia mia
I baffi già sono partiti! Sei contenta?
Non ho avuto oggi tue lettere: comprendo che ieri la mia ti sarà arrivata troppo tardi; ed oltre a ciò era secondo il solito un processo.
Ho fatto i conti con Peppino: non ti ho mandato ancora quel poco che ho raccolto, per non fare tante mandatelle nel caso che mi fosse riuscito di riscuotere qualche altra cosa.
- Il P.
Ferrini di Cesi non voleva comprare la quercia, ma il dritto di tagliarne qualche ramo figurati tutto l'albero è stato stimato quattro paoli! Non ho dunque voluto più parlarne, essendomi sembrato d'incontrare un gran ridicolo e una gran fama di affamato, se avessi conchiuso fra quattro persone cioè Stocchi, il di lui subaffittuario, il frate, e me un contratto di quattro o cinque baiocchi.
- Il ricevuto di Ballanti lo manderai per occasione: anzi ci penserò io al mio ritorno, piacendomi di vedere come Ballanti lo abbia concepito.
Di Borzacchini nulla si sa, stando nel cuore della sementa.
Questa mattina ho scritto al figlio un biglietto polito e forte.
Io vedo che andremo alla fine del mese con tutti e duecento gli scudi, oltre i pochi frutti etc.
Ho riparlato alla Pelucca: mi burla, come udrai.
- Ho fatto la intimazione alla Magalotti: vedremo.
- Hai avuto la mia lettera recata da Peppe Serafini? Hai veduto Labella? Hai veduto Matteucci, Emiliani, Miss Anna Trail? Quanti ne passano, tanti te ne spingo a darti mie nuove.
In tutti gli anni il rivederti mi è stato assai caro: quest'anno però non vedo l'ora: forse, oltre al piacere grande di riabbracciar te si aggiunge l'interesse di riunirmi al vantaggio del nostro Ciro più grandicello e più bisognoso di assistenza che non negli anni passati.
Con te sta ottimamente, ma sei tanto occupata! In due faremo qualche cosa di più.
- Nella lettera che consegnai a Serafini, ti dava notizie che avrò il passaporto di qui pel ritorno, onde tu parlassi subito all'avv.
Ricci.
Noi ci vedremo sui primi giorni della settimana ventura, perché assicurati che stanno in modo le cose da fare meglio a Roma che qui.
Corazza mi ha dato parola d'onore, che appena accomodato il suo affare con Borzacchini, vende dell'olio, e manda a Roma gli Sc.
100 e la procura.
Sul resto risolvi liberamente a tutto tuo piacere, perchè quando sei contenta tu sono contentone ancor io.
Ti abbraccio.
Il tuo P.
LETTERA 80.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Terni, 11 novembre 1827
C.
Mariuccia
Ho impostato altra lettera alla ora legale cioè mezzogiorno.
Ora sono le 4 e ricevo la tua di ieri.
Babocci mezzo addetto alla posta mi fa il bel piacere di inserire la presente fra i pacchi già chiusi pel corriere che arriva ora.
Farò chiamare Silvestro: per questa rag.e, se non vedi gli Sc.
170 come ti dissi nell'altra mia di questa mattina non stare in pena, giacchè se Silvestro stringe manderò tutto insieme mentre altrimenti per Sc.
400 pagherei Sc.
4.
Ti sarò docile in tutto: va bene? Sei contenta? - Garavita si è malato: si spera che non sarà nulla.
La tua lettera potrebbe forse obligarmi a stare qui qualche altro giorno: se dunque non mi vedi non ti prender pena.
Addio.
Abbraccio te e il caro Ciro.
Sono il tuo Duca.
LETTERA 81.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
[Terni, 12 novembre 1827]
Mia Cara Mariuccia
E un'altra lettera: ti avrò seccato: ma non mi par vero di poter conversare con te ogni giorno, o darti le notizie così, come si suol dire, a botta calda.
- Come avrai udito da altra mia mandai a chiamare Silvestro, il quale è disceso questa mattina.
L'ho condotto da Garavita e lì abbiamo parlato; ma inutilmente: sono disceso a poco a poco agli Sc.
2300 e Garavita mi faceva il ruffiano: non vuole aggiungere nulla sugli Sc.
2200, dicendo di pagare a rigore di stima il terreno, e il casino più di quello che lo stato suo e le condizioni de' tempi possono meritare.
Mi sono sdegnato, e dopo molte parole l'ho lasciato con Garavita e sono partito, sperando che Garavita l'avrebbe convertito.
Al contrario: egli ha seguitato a protestare che malgrado tutto il dispiacere che sente pel probabile di lui allontanamento da quei luoghi dove è nato, non può assolutamente fondare più degli Sc.
2200 sopra una possessione fallacissima, soggetta a rischi, patita nel fabbricato etc.
etc., e della quale non vi sarà alcuno che ci offra di più.
In quanto a quest'ultimo punto, sia detto qui in silenzio fra noi, lo credo fermamente anch'io; e vorrei esser bugiardo.
- Finalmente è partito protestando che se l'affare fosse così buono per lui come io glielo do a credere, egli non sarebbe così sciocco di abbandonarlo.
- In tutti i modi io dimani credo di soddisfare alle tue vedute andando su a distaccare gli arazzi e portarli in Terni, mentre o il terreno resti a te o lo comprino altri è meglio levarli.
Conduco meco Babocci per fattorino.
Ecco che mi sono attenuto agli estremi del tuo permesso, mentre l'accondiscendere agli Sc.
2200 poteva meritarmi da te un rimprovero, stando fuori dalle conferitemi facoltà.
- Circa all'invio de' danari attienti alla lettera che ti farò giungere giovedì 15, mentre potrebbe darsi che dimani Silvestro si cambiasse ma non lo credo.
Visiterò bene dimani i telai delle finestre che egli mi dice essere sgangherati e farò altre diligenti inspezioni.
Però è certo, che ammesso anche tutto ciò che si può dire contro alcune vendite, il possedere beni bisognosi di manutenzione e possederli distanti dal domicilio è una gran faccenda.
Ti dissi che Borzacchini mi pagò Sc.
100, e il resto e i frutti li darà al fine del mese venendo egli a Roma per la stipulazione.
- La presente ti sarà ricapitata da Gnoli.
Addio: ti abbraccio di cuore e do un bacio a Ciro.
Il tuo P.
P.S.
Mi pare che Venerdì io non sarò più qui certo: pure se per metterti al sicuro da tutti i casi volessi giovedì mattina scrivermi un rigo, mi farai piacere; ed io parlerò a Babocci, il quale se io sarò partito avrà da me le mie istruzioni sul sicuro destino di tua lettera.
Già io sapeva la notificazione sul vestire di panni nostrani: lo faremo: poco bene e poco male: io vesto di nero, e il panno nero a Roma si fa bene o almeno passabilmente.
LETTERA 82.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 14 novembre 1827
Mariuccia mia
Grazie del lasciapassare.
Per non vivere in gran pena mi è necessario sperare che il freddo di ieri non ti abbia prodotto il male di cui temi.
Non sono ancora partito per l'affare di Silvestro e degli arazzi.
Il primo è restato sgomentato, ma ancora non cede; Garavita crede che cederà di certo dopo che colla partenza mia avrà conosciuto la mia fermezza.
Forse tu, per qualche residuo della massima in cui eri, godrai quasi di questa precaria sconclusione; ma io che esamino tutte le cose con più cognizione di fatto credo sempre che per qualche e qualche anno ti convenga meglio il non posseder stabili, e che inoltre quello di Piedelmonte non è mal venduto al prezzo in questione.
Staccai ieri arazzi e cornici e già sono a Terni.
Li batterò bene in oggi, e poi bene condizionati resteranno qui perchè il vetturale si aspetta.
Allora verranno a Roma dentro un sacco dello stesso vetturale, e non si sciuperanno di certo.
Avrò in oggi la fede di questa segreteria Comunale.
- In tutti i modi imposterò dunque dimani Sc.
270, in cui sono compresi gli Sc.
22:75 di Macchietti, de' quali mi ha pagato l'impostatura.
Se poi dopo il mio ritorno Silvestro volesse conchiudere, farò in modo che i suoi Sc.
410 vengano insieme coi 100 di Corazza onde formare il pieno di 500 meno dispendioso per la posta.
Ci abbraccieremo in breve: ora dipende tutto dalle vetture.
Avesti la mia portata da Neroni? Essa ti avrà dato lumi sulla mancanza della spediz.
de' denari.
Gnoli l'hai veduto? Abbraccia Ciro come io abbraccio te.
Il tuo Pecora
LETTERA 83.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 15 novembre 1827
Mariuccia mia
Eccoti il danaro in otto cartocci
1° Piastre: Sc.
55
2° Idem: 55
3° Papetti: 20
4° Idem: 20
5° Grossetti: 10
6° Idem: 10
7° Piastre: 50
8° Oro, e argento sciolto: 50
Sc.: 270
Di Macchietti: 22:75
Per te: 247:25
Al mio arrivo faremo i conti.
Ieri sera, stando al caffè, si parlava della difficoltà attuale di trovare qui posti per Roma.
Disse allora l'avv.
Ciatti di avere in quel punto fermato due posti in una vettura buona per sabato mattina, ed esservene ancora due vuoti.
Mi feci insegnare il vetturino, e subito corsi a fermarne per me.
Partirò dunque dopodimani con buona compagnia, e arriverò a Roma domenica, meno qualche circostanza imprevista.
Quasi contemporaneamente con me giungerà la vettura cogli arazzi.
È un vetturale con cui Peppino ti mandò del danaro, e tiene stalla qui in casa.
Ancora non so quanto dovrai dargli: te ne avviserò dimani per la posta.
Il sacco è di Peppino.
Ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo Pecora.
LETTERA 84.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 16 novembre 1827
Mariuccia mia
Ancora sono qui, e la causa di ciò consiste tanto nel perdimento di tempo per l'affare di Silvestro, quanto nel non avere prima trovato vettura.
Ieri impostai per la diligenza Sc.
270, e unii nel pacco un foglio in cui ti avvisava che io partirei dimani mattina sabato 17 onde arrivare a Roma nel dopo pranzo di domenica 18, salve circostanze accidentali.
Temeva quasi però che detta notizia che ti avrebbe dovuto giungere oggi, non ti giungesse che Dio sa quando, ed anche dopo il mio arrivo perché ieri al giorno la diligenza non passò e si temette che tarderebbe qualche giorno per le molte nevi cadute a Colfiorito.
Finalmente è passata questa mattina circa le 10, cosicché tu avrai il danaro, il mio foglio accluso e la presente, tutto contemporaneamente.
- Mi dispiace assai che tu abbia a perdere la buona occasione che ti si era presentata di rinvestire il danaro di Silvestro; ma che vuoi fare? Adesso non sarei più in tempo neppure di farlo avvisare: e poi non vi sarebbe neppure la nostra convenienza di cedere così presto.
Lascia fare, che ho bene istruito Garavita (il quale è guarito) e ci sentiremo fra lui e me per lettera.
Egli crede che Silvestro cederà: in tutti i modi per adesso è bene che io parta un poco alto con lui.
Peraltro non è mica vero che Silvestro abbia di sicuro aff.to sedici mesi e mezzo: io non sono così gonzo, e nella quietanza fattagli per gli Sc.
90 ho ben detto che quantunque io riceva adesso l'annata invece che al primo Aprile 1828, io non dovrò per ciò esser vincolato nella libertà di vendere il terreno a chi mi capiti in questi quattro mesi e mezzo; nel qual caso gli si dovranno rendere gli Sc.
90, come di ragione.
Questa per lui può essere una spina acuta che Garavita farà giuocare, quando lo vedrà.
La lettera portata da Gnoli mancava di data, è vero, e me ne venne il sospetto mentre io andava a letto.
Ma che vuoi che ti dica: lasciai Gnoli per andare a scrivere quella lettera, mentre egli si metteva a cenare per poi andar subito a dormire, dovendo ripartire assai di buon'ora.
Nel piccolo spazio di tempo ti dissi molte cose, e la fretta mi fece dimenticare la data.
Però ti era facile supporla da te, perché quella di Neroni era del giorno avanti, e quella di Gnoli del giorno appresso.
Gnoli impiegò due giorni a venire a Roma; vi deve essere giunto mercoledì 14: dunque la mia lettera era della sera di lunedì 12.
Il vetturale che porterà gli arazzi le cornici ed i chiodi doveva partire dimani: forse starà un altro o due altri giorni: sarò dunque io in Roma al di lui arrivo.
Non gli si dovranno dare che paoli sette: sei contenta? Ti abbraccio, Mariuccia mia: fallo tu con Ciro: e domenica lo faremo tutti e tre insieme.
Addio.
Il tuo P.
LETTERA 85.
A GIUSEPPE DEANGELIS - PESARO
[1 gennaio 1828]
G.mo mio Sig.
Deangelis
È già compiuto l'anno dacché per effetto di Sua mediazione noi abbiamo sospeso le due cause contro la famiglia Antaldi per le quali già anteriormente avevamo i mandati spediti.
Pochissimo abbiamo avuto in quest'anno; e intanto oltre i frutti arretrati vanno correndo gli attuali; giace il capitale derivante da Conti di funzioni e spese fatte dal defunto mio suocero e non se ne paga compenso; resta il censo senza fondo censito, venduto con poca fede dai Sig.ri Antaldi etc.
etc.
- Io dunque indignato da tante mancanze di parola, distrutta in me ogni reliquia di pazienza, e fin anche di ogni riguardo verso le promesse di V.S.
feraci sino ad ora di sì poco frutto, Le protesto col presente biglietto di andare senza alcun altro momento d'indugio a por termine ai mezzi legali, onde ottener tutti i fini qui espressi, in via la più rigorosa.
Non si maravigli del mio procedere giustissimo: io invece mi maraviglio altamente della spensieratezza biasimevole dei Sig.ri Antaldi, e dirò ancora delle fallaci promesse di V.S.
- Mi creda pieno di riguardi.
Di casa primo del 1828.
D.mo obb.mo serv.re
Giuseppe Gioachino Belli
LETTERA 86.
A FERDINANDO MALVICA,
SEGRETARIO DELL'ACCADEMIA TIBERINA - ROMA
[7 gennaio 1828]
Chiarissimo Sig.
Segretario
Corre già qualche anno da che que' rispettosi nostri Colleghi i quali, chiamati dagli annuali suffragi a reggere l'Accademia nostra coll'opera e col consiglio, seggono in alto dove voi oggi sedete: tutti o Padri onorati di famiglia, o gravi Ecclesiastici, o dotti dottori, o integri magistrati, o splendidi patrizii, o studiosissimi giovani; corre già qualche anno, ripeto, che que' nostri rispettabil colleghi mentre singolarmente presi uno per uno vi allacciano con la soavità delle maniere, vi edificano con la giustizia del cuore, e v'incantano con la finezza del giudicio, associati poi appena in collegio e accinti alle consigliari deliberazioni, perdono tosto miseramente la stella polare, e balzano là a modo di naufraghi ad un posto, che quasi sempre per verità lor si propizia non perché intendono eglino drittamente a cercarlo, ma sì perché con meravigliosa aberrazione della natura va loro il posto stupendamente all'incontro.
Ammissioni di candidati, cacciate di accademici, formazioni di terne, collezioni di uficii, decreti di onori, negazione di premii, censura di opere, collezione di pecunia, chiamate di socii, inviti a comporre, applicazione di principii, uso finalmente di mezzi, tutto per non so quale destino quasi dirò deputato allo sforzo della nostra Accademia, rinchiude alcun vizio di forma, e qualche germe di vergogna.
Di varie cose mi sono io di tratto in tratto richiamato, sopra molte ho mormorato, in moltissime ho usato pazienza.
Oggi però che fuori di bisogno dell'Accademia, in onta delle leggi sue, e contro il rispetto della formalità, cotanto pur necessarie alla incolumità della sostanza, veggo essersi dal testè cessato Consiglio proceduto il 31 dicembre a deliberazioni immature, alzo liberamente la voce e me ne dolgo al consiglio novello, del quale voi tenete i segreti.
Il giorno 5 dicembre fu a me dal bidello dell'Accademia presentata una lettera data pel Consiglio pro tempore dal Segretario annuale Sig.
Pietro Sterbini il 22 allor recente novembre nella quale a ciascun socio si proponevano sei articoli di esame intorno ad una innovazione desiderabile in comune nell'ultima adunanza generale dell'anno; cioè la nomina di un archivista perpetuo a cui venisse affidata la cura e il buon ordine di tutti gli atti riguardanti il nostro letterario Instituto.
Lessi io la lettera e mi ingegnai di ponderarne le gravi ragioni che persuasero la sapienza del consiglio ad accettare a pieni voti la proposizione fatta di quella novità da due egregi suoi membri: ma o fosse tardità del mio ingegno nel penetrare le troppo recondite utilità del progetto, o soverchia tenacità di amore verso quelle leggi che, in riforma delle vecchie, io insieme con altri quattro miei colleghi fondatori compilai il 14 gennaio 1816 per facoltà delegataci nell'Adunanza generale del Xbre 1815; o fosse in fine vera inefficacia di esse ragioni a convincere chi non si trovasse preoccupato di mente e di cuore; quest'una cosa è certa che la persuasione del Consiglio in me punto non trapassò.
Preparatomi però sopra cadauno de' sei articoli un buon corredo di rilievi, io me ne stava tranquillo aspettando l'adunanza generale del 31 dicembre bandita ordinariamente nel consueto elenco di prose già distribuito fin dal principio dell'anno.
Giunse finalmente quel giorno, e qui, ch.
Sig.
Segretario, comincia il soggetto del mio attuale richiamo, col quale intendo di provare e di chiedere che l'adunanza generale del 31 dicembre 1827 sia nulla essenzialmente, e come tale se ne debbono cancellare tutti gli atti che possano esservi nati.
Io mi recava dunque in quella data all'Accademia Tiberina onde assistere all'adunanza generale ordinaria dopo il solito letterario esercizio, e in quella perorare a difesa della integrità delle nostre leggi, quando mi venne saputo per via essere l'adunanza già terminata e sciolta dal Sig.
Presidente, e in quel punto andarsi tenendo il letterario esercizio fra que' pochi soci che vi avevano assistito.
Me ne ritornai allora indietro stringendomi nelle spalle come uomo incapace di spiegare il come e il perché quella cosa accadesse.
Ma nel giorno consecutivo tutto divenne palese, quando dimandatine varii accademici, alcuni mi risposero di nulla saperne meglio di me, e altri mi favorirono la spiegazione del fatto dicendomi il Sig.
Presidente avere opinato e per intimo speciale procacciato di anticipare straordinariamente alle ore 23 1/2 quell'adunanza che ordinavasi doveva tenersi dopo il solito letterario esercizio, affinché non si protraesse troppo in lungo la sera destinata a certa solennità che con pompa magnifica di parole e di atti in effetto si consumò: e mi dissero di più come terminata e sciolta quell'adunanza straordinariamente già intimata per apposito biglietto, il presidente dopo il letterario esercizio con appello verbale ai presenti ne convocasse una seconda, per darvi compimento alle cose che per difetto di numero legale fra i membri del consiglio non eransi nella prima adunanza potute completamente ordinare né definitivamente risolvere.
Voi sapete, ch.
Sig.
Segretario, e con voi tutti coloro lo sanno ai quali non è occulto lo spirito delle nostre leggi né fosco il generale lume del discorso, che onde possa dirsi legale un'assemblea in cui abbiano voce tutti i domiciliati nella terra dove si aduna, a tutti quelli ne deve precedere ufficiale notifica e intimazione e ciò al giudizioso ed ovvio fine che tutti intervengano a usare lor dritto, a dire loro sentenza, e udire l'altrui, onde chiarire la materia in discussione e scambievolmente persuadere o essere persuasi.
Che se si comportasse il mal uso di intimare chi sì e chi no, tosto inverrebbe l'abuso di far chiamata a coloro soltanto de' quali anticipatamente si fosse esplorato il consiglio favorevole alla massima controversa e così vincerebbesi pienamente ogni partito: lo che è sempre con ogni diligenza di cure e severità di sanzioni, da vietarsi prima e punirsi dopo del fatto.
Ora delle due adunanze tenute il 31 io non potei assistere alla prima, perché non ne ricevetti l'invito: non potei assistere alla seconda, perché la convocazione e il successivo scioglimento della prima me la fece ritenere quale era di fatto disintimata; e quello che accadde a me avvenne eziandio ad altri socii, de' quali io non nominerò qui per cagioni di esempio che i soli Sig.
Lovery e Tenerani.
Così le ragioni che io aveva per operare contro il progetto di legge andarono in vano; e s'impedì che io con argomenti da altri non avvisati potessi volgere i consenzienti al mio voto, o che i consenzienti con le riflessioni loro da me non sapute, potessero svolgermi dalla mia opinione: in ambedue i quali casi un lodevole effetto doveva sempre risultare alla incerta giustizia della causa in arringa.
E che molto io mi tenessi buono a dire non dubitate, ch.
Sig.
Segretario; ma piuttosto, se volete, maravigliatevi pure della vanità di mia presunzione.
La conseguenza avrebbe risoluto il problema, e il fine provati i mezzi.
In verità molto avrei detto e prima e dopo la nomina dell'archivista: prima della nomina, dimostrando agli accademici la vanità di tutto il progetto; e aprendo loro gli occhi con vergini prove sulla malizia precipuamente, e sul rischio del sesto articolo di quello: dopo la nomina, sostenendo che l'atto disteso per dar forza di legge al partito già vinto, implicava ed implica una imperfezione ed un bivio, di cui si vedrebbero gli effetti appena il nuovo segretario e l'Istoriografo dell'Accademia si accorgessero non essere nel detto atto con esplicite parole state cancellate le disposizioni degli art.li 18, 19 e 20 delle leggi nostre, in virtù de' quali possono e debbono entrambi contrastare all'eletto archivista per l'esercizio delle conferitegli attribuzioni rivendicandole a se stessi dacché l'inclusione di una cosa posteriore non importa esclusione di un'altra preesistente.
Intanto io non potei parlare, né con me poteronlo altri socii, e di questi quando anche non fosse seguita alcuna scambievole persuasione delle parti discordi, s'ignora poi infine quale sarebbe stato il colore de' voti segreti.
Io, ripeto ancora, non potei parlare perché non intimato; e se la non intimazione di un accademico avente diritto fa nullo tutto ciò che lui insciente si delibera e si risolve, la prima adunanza straordinaria del 31 e molto più la seconda convocata senza alcuna regola, e, direi, quasi con sorpresa e per modo d'insorgenza, sono di dritto nulle e come non fatte.
Né gioverebbe a chi venisse mai in capo questa bizzarra eccezione, l'oppormi una negligenza del bidello.
Gli atti che si emanano senza preventiva citazione non sono già nulli per ciò che non fosse consegnata la citazione al cursore, ma sì dove dal cursore non fu presentata al citando.
Il tribunale potrà sì gastigare il cursore, ma gli atti mal fatti per sua negligenza non saranno perciò meno nulli, perché nati insciente la parte, la quale doveva, e non il cursore, essere avvertita.
L'Accademia deve chiamare me: io riconosco lei: ella vigili sulla diligenza di chi può comprometterla.
E qui vi dimando ossequiosamente, ch.
Sig.
Segretario, che la presente mia lettera sia da voi passata al Consiglio, e quindi letta alla prima adunanza generale in figura di formale protesta e di speciale mozione per la nullità delle ripetute due adunanze e degli atti usciti da quelle.
E pieno di tutti i sentimenti degni di voi, ho l'onore di dichiararmi
oggi, 7 gennaio 1828
Vostro servitore e collega
G.
G.
Belli
LETTERA 87.
DICHIARAZIONE FATTA DAL SOTTOSCRITTO NELL'ADUNANZA GENERALE DELL'ACCADEMIA TIBERINA LA SERA DEL 28 GENNAIO 1828.
Quando io, con alcuni compagni eguali tutti di studii e di desiderio di gloria, fondai questa oggi famosa Accad.a Tiberina, ebbi in pensiero di stabilire un nodo di pace e di amore, che molte persone unisse ad una medesima lode.
- Oggi, che vedo deluso il mio scopo vi rinunzio per sempre, e mi dichiaro cancellato dall'albo degli Accademici tiberini, non piacendomi di partecipare di un onore amareggiato per l'una parte dell'Accademia da soverchia offesa, e per l'altra da eccessiva pazienza.
- La mia perdita è di niun momento, siccome saggiamente opinò un rispettabile membro dell'attuale Consiglio.
La Accademia ha molto e moltissimo può avere di che ristorarla.
Nulla però ha l'Accademia Tiberina di che riparare al mio amor proprio oltraggiato, dapoiché sa così umanamente soffrire i colpi che si danno alle sue leggi fondamentali.
Questo è l'atto della mia ultima volontà e libertà accademica.
Giuseppe Gioachino Belli
uno de' fondatori dell'Acc.a Tib.a
LETTERA 88.
AL CAV.
PIETRO E.
VISCONTI ACC.° TIB.° - ROMA
[10 febbraio 1828]
Chiarissimo amico,
Ho udito che voi incliniate a credermi disposto a ritirare la mia rinuncia tiberina, qualora il Consiglio non l'accetti.
Questa opinione, nata forse nel vostro animo da qualche mal inteso che sia occorso ne' nostri colloquii in proposito, mi pare meritare di essere da me chiarita onde, non faccia sì luogo in alcun tempo ad equivoci sulla natura della mia volontà.
Io vi lasciai padrone di insinuare al Consiglio il rifiuto delle tre note rinuncie, perché padrone realmente ne siete, né autorità alcuna potrebbe da me partire per allontanarvi dal vostro divisamento: ma aggiunsi poi essere mia intenzione di considerare sempre la rinuncia mia per valida e ferma.
In questo pensiero, caro amico, io sto e starò immutabile.
E lo ripeto a voi in questo foglio, siccome in voce a tutti, affinché non accada che allorquando, come spero, il Consiglio Accademico mi cancellerà dell'albo de' socii, quell'atto sembri anzi un commiato che una partenza.
Fate voi ciò che le vostre cortesi massime vi dicono bello: io continuerò quello che il mio carattere mi fece giudicar buono, e restiamo, se non più colleghi nel fiacco vincolo tiberino, colleghi nel modo più saldo della reciproca stima e dell'amore sociale.
E con tutti i sentimenti degni di voi mi confermo vostro amico e servitore
Gius.e Gioach.o Belli
LETTERA 89.
A MADAME HORTENSE ALLART DE THÉRASE
[Le 20 mars 1828]
Madame,
J'ai lu vôtre beau roman, et je vous en dire un mot, bien que je connaisse cette règle établie par la prudence de ne jamais donner des conseils et d'avis à qui n'en démande pas.
Vous trouverez par conséquent dans ma démarche plus de franchise que de politesse.
Mais comme je crois vous avoir comme femme supérieure et dégagée des outrances qui constituent la pluspart des bienséances de la société, je hazarde d'enfreindre auprès de vous cette loi vigoureuse pour m'éléver jusqu'à vôtre caractère, ou, si vous voulez, jusqu'à vôtre indulgente.
Ce sera tout dit sur les impressions que la lecture de vôtre ouvrage m'éxcita, lorsque je vous aurai assurée que je l'eusse répétée très-volontiers si ce n'eût été la crainte d'abuser de vôtre prêt.
L'attention suppléa cependant au retour; et je conserve et conserverai pour long-temps cet enthousiasme de pensées, ces émotions de coeur et ce trouble d'esprit, dont vous savez si bien le secret.
Peu de livres de cette éspèce peuvent amener un lecteur non commun à réfiéchir autant que vôtre Gertrude le fait; très-peu lui inspirer un intérét si vif et si constant dans des bornes aussi étroites que le salon d'une société à la mode, la maison d'une famille, les murs d'une rétraite, et le coeur de deux amants.
Il faut beaucoup connaître la nature humaine, les ressorts des passions et les mysthères de la méthaphisique pour s'emparer de la sorte de l'esprit des hommes avec si peu de moyens et sans le divertir.
Il est nécessaire d'avoir profondement médité sur la politique des états, sur les bésoins des peuples et sur les verités de la philosophie pour dévélopper avec tant de vigueur et de noblesse des principes sublimes, importants, vrais, mais égarant à la fois une raison non radicalement affermée à faide de la méditation et à l'école de l'expérience.
Vous devez avoir reçu, Madame, une âme assez mâle et énergique; vous avez dû beacoup voir et entendre, mais plus encore écouter et comprendre; vous avez dû sentir plus que vous n'ayez observé et compris.
Vôtre genie vous traça une route sur la quelle vôtre coeur et vôtre âme furent vos meilleurs guides; vous avez visé à un but, dont les plus grands modèles de l'art vous dévoilérent la hauteur tandis que vôtre originalité vous en applanit l'atteinte.
Un langage plein de grace et de persuasion; un style par moment modeste et hardi, mais toujours passionné et enchanteur; une exposition salutaire des troubles du monde; un essai frappant des dangers et des espérances de la vie; une peinture animée des longues douleurs et des courtes consolations humaines; un contraste bizarre de la destinée inevitable avec celle que les hommes se créent; un tableau expressif des dommages et des ressources qu'on peut trouver en soi même et au déhors; une nuance délicate mais apercevable entre les lois de la nature et celles de la providence; voila, Madame, ce que vôtre ouvrage renferme digne de fixer les regards des gens éclairés.
Aussi je pense que les personnes d'une classe inférieure ne sauront guère s'y amuser et par conséquent ils l'appreciéront au dessous de sa valeur, car ce qui donne du prix au mérite c'est toujours l'agrément.
Mais du fond même d'où nait l'objet de mon admiration, je vois, Madame, s'éléver le sujet de mes doutes.
Je veux plutôt m'éxposer à avoir le tort qu'à vous cacher ce qui prend àmes yeux un aspect de raison.
Je crains, Madame, deux choses qui seront pourtant l'une et l'autre sans fondement; la première que vous n'ayez pas assez suivi les événements qui pour la pluspart eússent peut-être donné à l'ensemble le charme sûr de la varieté sans nuire à l'unité et à l'intérêt principal; la seconde que vous ayez un peu trop poussé quelques caractères, et précisement ceux de votre héroine et de son amant.
Et, quant à la première, passe que vous tranchiez aussi brusquement sur la société de Paris et sur ses intrigues, dont vous vous étiez si heureusement servie dans vótre machine jusqu'à un certain point de l'ouvrage; l'on pourrait me repondre que il n'en était plus bésoin.
Passe encore cet oubli soudain des ennemis de Gertrude et de leur vengéance irritée; passe le silente sur le denoûment du sort périlleux de Charles livré aux poursuites d'une police rusée chez un protecteur équivoque qui agissait par seul intérêt personnel choqué bientôt et détruit dans le mauvais accueil de ses voeux.
Passe enfin le départ mystherieux de cette pauvre Juliane, les passions et les malheurs de laquelle nous avaient trop émus pour ce que sa fin ne méritât pas encore des paroles et des larmes.
Ce mysthère, j'en conviens, ne manque pas son effet avec l'éspèce d'effroi qu'il nous jette dans fame attendrie; cependant, je ne sais, j'y trouve un vide que j'aimerais mieux rempli autrement que par la seule terreur.
Mais Léonor! La bonne, la chaste, l'aimable Léonor! Mais Pélage! cet amant si épris de ses attraits et de ses vertus! Mais Mr.
Müller! ce mortel généreux qui ne craint pas de sacrifier les dernières affections de sa vie à une femme adorable si non adorée, à un amour presque autant fatal à son bonheur domestique qu'il l'était à sa vanité.
Ne nous pas dire même un mot de leur félicité ou infélicité reciproques après ce divorce annoncé à peine!
Hedwige part, Hedwige meurt, et sa mort nous est rapportée en des termes si touchants! Certes, dans l'action général elle avait joué un rôle bien tendre et affectueux; mais pourrait-on le comparer à celui de sa soeur, ou du moins le lui préférer?
Vous reduisez donc tout-à-coup vótre roman presqu'à deux personnages, vous employez le 3.me volume presque tout entier à anatomiser pour ainsi dire deux coeurs, à analyser une fiamme jusqu'à ses éléments les plus étherées, à occuper le lecteur d'abstractions des choses aux idées, à leur rétracer l'image d'une passion trop souvent sans limites et trop parfois limitée par une puissance d'âme miraculeuse et par des subtilités intellectuelles mieux singulières que rares.
Là tout l'univers a disparu devant vos yeux.
Pour un traité de moeurs cela irait à merveille; mais pour de moeurs en action, pour des passions considerées en rapport avec leurs sujets, enfin pour un roman qui doit ressembler à une histoire, peut-être foudrait-il ménager d'avantage les esprits et ne les pas fatiguer avec un luxe de speculative qui les épuise tout en les extasiant.
Or c'est précisement là que s'appuye la deuxième partie de mes timides plaintes contre cet ouvrage, ainsi d'ailleurs admirable par tant de sublimité.
Je le répète: me tromperais-je, Madame, ou n'auriez-vous point poussé trop loin vos principaux caractères? Vous avez du talent et de la conscience plus qu'il n'en faudrait à plusieurs écrivains à la fois.
Examinez donc sans prévention et sans amour propre si mon opinion est juste ou non; et daignez m'éclairer si je vis dans l'erreur.
En général j'ai toujours cru incontestable à l'égard des peintures morales que tout ce qu'on n'ait pas trouvé en soi méme, il faille le chercher dans la société moyennant une observation mûre et une analyse assidue et scrupuleuse.
C'est pas ce seul moyen qu'on surprend la nature et qu'on la copie.
Ce qui n'est d'aprés nature n'est vrai; et l'imaginaire pourra bien frapper, émouvoir, ébranler, mais il ne laissaira aprèes lui rien de solide, il ne fera jamais du bien.
Il est hors de question que la nature se plait quelquefois des éxtrémités et se jette à l'extraordinaire: cependant Aristote qui prévit l'écueil où échoueraient les auteurs dont l'imagination fouguese se laisserait séduire par ces efforts, leur remontra de se défier de la vérité elle-même quand elle ne portàt la masque de la vraisemblance; ce que Boileau a depuis répeté en ces termes:
"Jamais au spectateur n'offrez rien d'incroyable:
Le vrai peut quelquefois n'étre pas vraisemblable".
Je finis, Madame, pour vous avouer ingénuement qu'en lisant de quelle manière vous raisonnez sur l'amour, je fermai souvent mon livre pour me proposer ce problème, que je ne sus pas résoudre: ou personne au Monde n'a connu l'amour comme Elle, ou Elle est trop au dessus de l'amour.
Pardonnez, de grace, une témérité que je vous prie de répéter à deux causes différentes, c'est à dire vôtre grandeur et ma petitesse.
Je suis avec tous les sentiments dignes de vous, Madame,
vôtre tres-dévoué serviteur J.
J.
Belli.
LETTERA 90.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Narni 10 settembre 182[8] ore 10 antimerid.e
Cara Mariuccia
Otto orzaroli! Chi li cercasse non li metterebbe insieme, e io gli ho trovati senza cercarli! Mi stanno tre dirimpetto, uno di fianco, due in serpa, e due sulla canestra sovrapposta alla volticella.
Non parlerò delle belle camiciuole di vellutino e di tela rigatina; non de' soavi berrettini di lanetta livida e di refe incorniciati di filetto rosso; non de' sudori beneolenti aglio o simile senso piccante sotto il senso piccato.
Tutti o di Novara o di Domodossola parlano la gentilezza del loro gergo, e si rivolgono tutti con certo rispetto orzarolesco al mio vicino, il quale perché si dimostri per di più di essi basti il dire che porta le falde, benché non abbia cappello.
Lo compra a Milano, dove si risparmiano due paoli e anche 25 baiocchi.
La buona gente non sa risolversi di prendere per un orzarolo anche me quantunque si conosca loro negli occhi che ne muoiano di voglia: ma le falde mie pare che abbiano sin qui più virtù delle già sullodate.
Per me se muoiono di voglia, povera gente muoia pure, non parlo sino a Milano.
A porta del Popolo dove montarono ad associarmi alla loro sorte, quel dalle falde principiò, brusquement et sans trop me ménager, a stringermi con le sue dimande quasi sotto il torchio de' suoi maccheroni (e dice di averne uno bello nella stanza di dietro; aggiungeremo alla bottega).
Ma alla quarta dimanda, se pure ci si arrivò, i muscoli della mia faccia già gli avevano dato le risposte per cento; cosicché tutto orzarolo che fosse conobbe il suo tempo e vide che aria tirava.
Un altro, che io dentro di me chiamo il Balafré perché è concio nel muso come il Duca di Guisa, la prese per la strada del tabacco: Ne gradite una presa? - E io: Grazie, e viso duro.
Se accettavo era finita, perché tabacco preso, amicizia fatta: questo è un assioma sociale.
Brava gente, ed anche istruita! Nel passar da Nepi seppe dire che quell'acquidotto porta a Roma l'acqua di Trevi, sotto alla quale terra noi passeremo domani, dopo valicate aspre montagne che l'acqua salta a piedi pari.
Già tutti sanno, e chi non lo sapesse lo impari, che l'acqua di Trevi viene da Trevi Umbra dove si muore di sete.
Che se i condotti romani accennassero un'altra direzione, si chiude gli occhi e col cervello si rivolgono a qual punto cardinale si vuole.
Buona gente, e anche civile! Ieri sera a cena tutti dicevano che bisognava proferire agli altri, mettere in precedenza agli altri, insomma favorire il Signore (cioè quel dalle falde più lunghe: io); e però tutti e otto mi dicevano in concerto: si servisca, soré.
E fra la verità del vino chi mi diede la notizia stupenda che il granturco ha chiesto al Papa il passo libero per Ripagrande perché fa la guerra col Re di Moscovia; chi mi narrava le ricchezze che il padre aveva lasciato a loro dodici fratelli di due madri, specialmente in vacche che ne aveva quindici.
Ogni persona che sappia di conti, trova con poca fatica che toccò una vacca e un quarto a fratello.
- Quale mi dava gli indizii per distinguere l'olio buono dal cattivo, il più sicuro de' quali faceva consistere nell'assaggio; e quale finalmente alzandosi da tavola mi ruttò assai urbanamente in faccia, e servì per saluto.
Che ti pare? Veh mihi, beato me! Ma io mi serro in una camera solo, ma io ho un buon libro, ma io sto in umore di godermeli.
E questi tre riserbi li metto qui per calma di chi, per dannata ipotesi, dubitasse della realtà della buona compagnia che il cielo mi ha largita.
Or ora a Terni.
- Dalla presente arguisci della mia salute.
Saluta tutti, dentro e fuori; particolarmente chi ci favorisce la sera di qualunque età e sesso, e chi è talora la sera da me incomodato: dico gli eccellenti inquilini del primo strato calcareo del Signore del Piombo.
Mille baci a Ciro, e mille a te.
Io sono il tuo
996
LETTERA 91.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
[Foligno, 12 settembre 1828]
Te l'aveva detto io, Mariuccia mia? L'avrebbe capito un tonto che in quell'ottavario d'orzaroli si annidava grande dottrina.
Questa mattina all'alba abbiamo avuto una lezione di fisica e poi subito appresso un'altra di filologia.
Sin ch'è stata notte si è mantenuto quel silenzio in cui gl'ignoranti e i dottori fanno una stessa figura: ma non appena il sole è comparso ad illuminare i cocuzzoli delle montagne della Castagna, che tosto una simpatia, esistente senza dubbio fra gli esseri di questo sublunare, mettendo in consonanza e in mutuo rapporto la interna luce morale de' miei novaresi e domodossolani colla esterna luce fisica di lassù, han tutti e otto principiato a dar fuori con bei ragionari che un francese tradurrebbe col nome illustre di Caquet.
Il Sole è stato definito per un fuoco, il fulmine per un altro fuoco, e l'acqua per una cosa che non si sa veramente cosa sia ma che è nemica del fuoco; e all'acqua e al fuoco il Signore dia loco.
E i fiumi vengono tutti dal mare, e, grandezza di Dio!, vi ritornano tutti: perché il mare è una gran quantità d'acqua, più alta delle montagne: e però va su su e poi scende giù giù; e non è più salata perché le montagne son dolci! Povere Colonie se se ne accorgono i caffettieri.
E molti torrenti non arrivano mai al mare perché si perdono per la secca, perché quando la terra è secca non viene acqua che non si lecca.
E l'acqua in francese si chiama Aò, ha risposto un altro dottore degli otto: e così è stato che dalle investigazioni naturali si passasse con belle transizioni alle disquisizioni dialettiche.
Io sono stato assoldato con Napuglione, seguitava a dire l'ottavino artebianca, e so come che si parla in francese.
Lo sapete voi come si chiama il brodo? Abbujò.
E l'osteria? Obbergè.
E il cacio? Frummag.
E il prosciutto? Ciampò; e via discorrendo.
Ora chiunque ha buon naso si accorge subito in quali situazioni abbia l'alunno dei galli appreso tanta glottica perizia.
Dica chi vuole; viva Dio e la lingua francese!
Un uomo che conosce questo idioma cattolico può viaggiare per tutto il mondo a occhi chiusi, e può andare, Dio scampi ognuno, anche in terra de' Turchi, dove si ammazza tanta carne battezzata.
E non crediate, gente mia, che non si dasse di barba alla povera Storia naturale che se ne stava in un cantone zitta zitta senza dar fastidio a nessuno.
Iddio passò un giorno per una strada (quando ancora non erano inventate le diligenze) e incontrato Adamo gli domandò se avesse messo il nome a tutte le bestie.
Sissignore, Signore, rispose Adamo: da Eva sino alle formiche e alli moschini (non erano inventati neppure i Microscopi per andare più in là) nessuna n'è restata senza.
Ecco perché le bestie hanno tante cognizioni.
E qui fila fila tutte le genealogie animalesche, fra le quali osservazioni ho imparato per la prima volta, confesso la mia ignoranza, che la Golpa è figlia della cagna e del lupo: e così si spiega perché pare un cane e non è un cane, pare un lupo e non è lupo, ma aggradisce le galline in bocconi come l'uno e l'altro parente.
Il Re di Torino le distruì tutte prima che nel Piemonte se ne trovassero tante come adesso; e però beati in quel Regno i capponi! Un'altra volta sulle stregonerie, argomento serio.
Per oggi è notte: buona sera.
Hai avuto le lettere di Babocci e Vannuzzi? Circa gli Sc.
12 rispondi con buona maniera di no alla dimanda di dilazione.
- Per la Pelucca e per Malagotti vedo che ce n'andremo a novembre.
- Giannocchi pagò que' due scudi che pretende aver dati mesi addietro; e dice Vannuzzi che ne ha quietanza dell'avvocato.
Dunque restano Sc.
8.
- Ho scritto a Mirabelli che se la intenda teco.
- A tempo opportuno Vannuzzi manderà a te i denari per Ballanti.
- Avendo esso pagato le dative di varij mesi, il suo conto del trimestre scaduto residua a così poco che se tu credi posso conteggiarlo con lui al mio ritorno.
Ho parlato con Sanzi, conservatore delle ipoteche di Spoleto.
Per la radiaz.e di Castelli basta un atto di consenso di brevetto, e già ho scritto a Garavita di Spoleto; per la radiaz.e dell'avvocato basta la fede di morte legalizzata e la faremo al mio ritorno in Roma.
Il Sig.
Plinj ti scrive in quest'ordinario per un affare di Marcotte da consultarsene Biscontini.
Fra brevi giorni ti spedirà un ordine di Sc.
52: 43 a beneficio dello stesso Marcotte.
Gli esiggerai per l'uso già fra noi stabilito.
Ti salutano Procacci, Plinj e Fontana.
Salutami anche tu sotto e sopra come il testo: baciami Cirone, e ricevi una buona stretta dal tuo Pecorino, che va a mutarsi in Parmegiano.
LETTERA 92.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Rimini, 14 settembre 1828, alle 9 3/4 di sera
Cara Mariuccia
Manco male che ho sonno: se no poveri Orzaroli! Ti dovevo fare il racconto delle stregonerie e di una specie di astrologia giudiziaria in cui sembrano molto dottamente iniziati; ma ho sonno; e poi hanno principiato a seccarmi, anzi stiamo bene in là nella seccatura.
- Bàstiti il sapere che gli stregoni, le streghe, i maghi (anche quelli innocenti del lotto) i fattucchieri e simili gentilezze, furono tutti da Gesù Crocifisso accondannati in ne le nozzi di Canna e Galilea dove che fu fatto il Conciglio di trenta, indove Iddio disse che lui aveva creato Roma, la Francia, l'Angrinterra, e tutto il mondo là...
nel mondo fin che ce n'è, per amallo e servillo in tutta un'internità e per questo Nové gli fece l'arca perché se salvassi dal diluvio di acqua come fece quanno che vinne tutto quel malanno dal Paradiso; e allora c'erano l'astrigoni, che se so poi aritrovati li libbri de Magia sotto terra per opera del diavolo, che se voleva addifenne al tiritolio del Regno suo, che il Signore ci addelibberi a tutti.
Vidi Torricelli che mi volle seco la sera e la notte in una sua villetta.
Combinò tutto così bene che la mattina si trovò pronta la carrozza onde proseguire il viaggio.
Voleva disfare la mia scrittura e tenermi con lui per una settimana.
Egli e Bertinelli ti salutano.
Passai da Fano molto a buon'ora, e appena potei lasciare alle Zuccardi (che anch'esse ti salutano) le carte di Pippo per Marcolini.
La Battaglia è tuttora lì.
- Ho qui veduto Ferrari che ti dice mille cose.
Mariuccia mia, ti scriverò da Milano dove, salvo errore, sarò la sera di venerdì 19.
Saluto tutti tutti e ti abbraccio con Ciro mio.
LETTERA 93.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Da S.
Ilario, 17 settembre 1828
Cara Mariuccia
Bisognerebbe far spolverare le fratte almeno tre volte la settimana: così diceva oggi seriamente il mio orzarolo colle falde lunghe, vedendo a destra e a sinistra tanta polvere ch'era una miseria.
Chi avrebbe mai pensato a un simile mezzo-termine, ho esclamato io tosto, con una certa rispettosa cera da spaventato! Siete bravo assai, Sig.
Andrea.
-Non saprei, ha risposto il Sig.
Andrea, dimenando la testa, i fianchi e tutta la persona come un'anguilla di Comacchio: Non saprei, a me m'é piasso sempre d'entrà dentro in nelle cose; ma poi so' un ignorante perché la diollogia la sanno li scultori che leggheno tutti li libbri.
- Oh vedete mo quanta sagacità e umiltà unite insieme come una minestra di riso e cavoli! Così mi piacciono gli uomini! Sapere, e nascondere; che questi altri saputelli sputaperle per lo più non sanno neppure dove il diavolo tiene la coda, cosa così chiara che basta chiederne a un caudatario, te ne dice tanto da farti dottore.
Dio volesse però che il comandare le feste toccasse una volta al mio artebianca (che fa pure il fornaio a socero) sarebbe così sempre giorno di lavoro, e le cose camminerebbero meglio, che adesso, bisogna dirlo, è una babilonia.
Sissignora, ogni mattina spazzare le fratte, e io ci metto del mio anche gli alberi, con una scopettina da destinarsi.
In questo modo, oltre al bel ristoro del viaggiatore, (che giacché soffre tanto, con rispetto, nel culo, godesse almeno un poco negli occhi) arrogerebbe altresì il conseguimento di quel primo secondo fine tanto essenziale nella vita umana, dico la mundizia ossia proprietà, cosa così necessaria alla conservazione della pulizia: e andatelo a negare senza pigliarvi una patente di jacomantonio.
Basta, Signore Iddio, confrontare le due parole onde convincersi di quanta analogia e corrispondenza passi fra le loro peculiari e corrispettive significazioni.
Bravo artebianca compellegrino mio! E non si vedrebbero mica più al mercato que' fruttacci impolverati e inzaccherati dalla cima dei capelli sino alle punte delli piedi, di modo che nemmeno col raschiatore se ne torrebbe via la sozzura incozzata: e il coltello, Dio guardi! perché persica, come dice il proverbio? persica, pira, poma cum corticibus sunt meliora.
L'orzarolo mio non sa il tedesco: però quest'ultima frase per verità non la disse, ma gli si leggeva negli occhi, e anche di peggio.
- Ah! un pezzo per ogni terra murata vi vorrebbe d'uomini simili; e non vi rimarrebbe un cane, quel che sia un cane, che non ne godesse il suo boccone.
Già si sa, si dice così per modo di dire, perché poi poi, alla fine dei fini, il paragonare gli uomini ai cani, ehm ehm, sarebbe veramente ciò che si dice da can barbone.
Non v'è nessuna bestia, propriamente detta, a cui l'uomo non possa stare di sopra, e coi piedi, o colla rotondità posteriore della sua persona: sentimento del Sig.
Andrea, tutta farina di quel testone d'uomo che bisognerebbe imbalsamarlo adesso proprio pel minor decoro che gli si potesse fare.
E ognuno può capirlo da sé cosa si dica quando vi dice balsamo! Non per niente è stata fabbricata la città di Cantiano, che Iddio ce la conservi in eterno come un'indulgenza plenaria.
E dite che l'orzarolo, anzi, che ambidue i quadrati di due orzaroli non l'abbiano capita; cuccù! Saltarono giù come otto saltimbanchi, che sono gli animaletti i più saltatori; e dentro di slancio nella officina del Sig.
Restituto Achilli; e poi fuori di trotto carichi di caraffine e scarichi di paoletti, perché imparate anche questa, ogni caraffina costa un paolo, di maniera che una decina torna a uno scudo romano: conto che si fa subito senza il ministero delle dita.
- Forse costano care? Lo so, lo so, c'è stato qualche panbianco, vero panbianco, che ha detto essere troppi dieci baiocchi per una sola, con licenza, coglioneria; come che la roba buona non costasse danari! Oh perbacco baccone vorrei mo vedere anche questa! Con una gocciola di quel portentoso esixir anti-stomatico si può comodamente far restituire il fiato a dieci uomini, e il Cielo sa quanto valga la vita di un uomo; e si troverà chi ama più un giulio che una tale boccetta! Coraggio, Sig.
Restituto mio, Ella seguiti allegramente a fare balsamo, e sino a che nel mondo vivranno orzaroli, ascolti bene la mia amichevole imprecazione, Ella non potrà morire di fame.
- Tutte queste cose, cara Mariuccia, io le dico per mostrare che so viaggiare, e racconto le cose come stanno e dove stanno, e non faccio come qualche svizzero cattolico, il quale dopo stato in un Cantone per 57 anni, finalmente si mosse pel mondo nella età della discrezione; e avendo udito a Roma che un pover'uomo si era gettato giù dall'Arco di Parma, egli che scriveva sempre giornali e recitava notturni, saltò a casa, e, traffete, schiccherò giù come in Parma vi è un bellissimo arco antico e alto alto, da cui è pio costume che si gettino a capo sotto tutti i casi detti disperati; e qui diede il Sig.
Tedesco in erudizione perché s'incalzò per modo di similitudine il salto di Leucade.
E un'altra volta, e poi ho finito, all'udir narrare di una festa fatta alla Madonna di Costantinopoli con pubblici fuochi d'artifizio a piazza Barberini, raccontò nel suo giornale medesimo con una cristiana esultanza essere una voce maligna che i barbari facciano tanta oltranza alla gente battezzata, perché benché i turchi non sappiano neppure il credo, tuttavia hanno permesso nella stessa città di Costantinopoli un simile spettacolo etc.
etc.
e qui veniva la descrizione di tutti i razzi.
Impara, Mariuccia mia, e convinciti che il Mondo è come un banco di scuola: più vi si sta, più vi s'impara: quantunque circa alla seconda proporzione vi sia chi parteggi per la negativa.
Il vetturino ha cambiato tutte le tappe onde non ispendere troppo negli ordinari della Città.
Dunque non ho potuto vedere né Piccardi, né Emiliani, né Papotti, né Oloni, né...
chi altro? Non lo so: insomma nessuno.
Dillo a Spada perché Spada lo dica a Biagini onde Biagini lo dica a chi gli pare.
Scrivo questa lettera da S.
Ilario, villaggio di assoluto confino dello Stato di Modena sette miglia prima di Parma.
Sono le dieci: vado a letto.
Un bacio a Cirone.
Ricevi mille abbracci dal tuo P.
P.S.
Porto meco la presente già scritta per impostarla dove potrò prima.
Dopo dimani spero sicuramente di aver già fatto il solenne ingresso a Milano.
È colà un susurro per questa notizia portata avanti dal vento che mi soffia dietro.
Dicono che non vi si trovi più polvere l'ho presa tutta io in viaggio.
LETTERA 94.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 4 dicembre 1828
Gentilissimo amico
Eccovi una lettera scritta procuratorio nomine cum clausula ut alter ego.
Il vostro amabile fratello, occupato oggi dalla guardia e immerso tutti questi giorni in un mare di faccende, alla vigilia com'è di una partenza per lungo e glorioso viaggio; ha incaricato me di rappresentarlo negli uffici che doveva con Voi compiere: né in ciò le circostanze mi potevano meglio servire tanto è il debito di grazie che mi corre da riferire alla veramente obbligante memoria in che io sono rimasto presso di voi esempio di rara e delicata amicizia.
Dal più riconoscente animo ho ricevuto i saluti vostri dal Cav.
Filippo sempreché me ne ha recati, e con tanta maggiore allegrezza quanto più il tempo crescente avrebbe dovuto lasciarmi rassegnato, se non all'oblio, a quella specie almeno d'indifferenza in che sogliono almeno gli uomini riporre coloro dai quali molti anni e molte miglia li divisero.
Dalla quale vostra diversità di sentire e di fare io mi godo recenti freschissimi testimoni.
Io mi son qui da pochi giorni, reduce da Milano, dove mi piace assai più la vita che altrove.
Quella città benedetta pare stata fondata per lusingare tutti i miei gusti: ampiezza discreta, moto e tranquillità, eleganza e disinvoltura, ricchezza e parsimonia, buon cuore senza fasto, spirito e non maldicenza, istruzione disgiunta da pedanteria, conservazione piuttosto che società secondo il senso moderno, niuna curiosità de' fatti altrui, lustro di arti e di mestieri, purità di cielo, amenità di sito, sanità di opinioni, lautezza di cibi, abbondanza di agi, rispetto nel volgo, civiltà generale etc.
etc.: ecco quel ch'io vi trovo secondo il mio modo di vedere le cose e di giudicarle in rapporto con me; e però se a Roma non mi richiamasse la carità del sangue e la necessità de' negozii, là mi fermerei ad àncora, e direi: hic requies mea.
Non ho sin qui veduto Parigi, ma visitandola talora nei libri vi scopro eccessi di misura nel più e nel meno, ed io non amo di associarmi agli estremi.
Gli assaggio per curiosità di palato, ma poi cerco il ristoro nel mezzo: lì sta Milano, mi pare, o che piglio un granchio più grande del Gran Can de' Tartari.
- E voi mio buon Neroni? Avete voi più viaggiato? Menaste poi i vostri figliuoli a Bologna? E qui fate plauso alla mia felice memoria, se mai mi fosse già stato detto da Filippuccio.
Come va il violino in cui uno particolarmente fra i vostri figli così bene si distingueva sin da quando io empiva il Piceno de' miei dolori colici? (Ma adesso sto come un b.f.: indovinala grillo).
E siamo Nonni eh Neroni? V'è però una gran dolcezza in quei figli, dolce che non conoscono gli schifi de' nonni denotanti che l'età va come il Mondo.
- So le lodi della vostra amabile filodrammatica: so di lapidi...
so anche che la carta è finita e i saluti non incominciati.
Dunque Padre, Madre, sorelle e tutti, parenti amici e benefattori, deo gratias! Vi abbraccia di cuore il vostro primo de' secondi
G.
G.
Belli
Palazzo Poli 2° piano.
Se Mariuccia sa che la ho cacciata in un poscritto, con tutti i saluti suoi, la mi ammazza: misericordia! Dunque, Neroni, la mia vita sta nel vostro silenzio.
LETTERA 95.
AL PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA PERGAMINEA - FOSSOMBRONE
29 gennaio 1829
Chiarissimo Sig.
Presidente
Non in modo legale, è vero, ma per avventura ricordabile; non al Presidente dell'Accademia, ma alla persona del Presidente; non per iscritto in lettera, ma a voce nella stessa sala accademica, io ebbi l'onore nel passato novembre di partecipare la infelicità delle da me praticate ricerche intorno al quesito direttomi.
Se l'Iconografia ci abbia serbate le sembianze del Pergamino.
Se pertanto mi veggo oggi giungere nella sua lettera del 2 cadente un testimonio del suo dolore per ciò che io non abbia eseguito il lavoro commessomi dall'Ecc.mo Consiglio per l'anno V; parmi che mentre anch'io debba rammaricarmi di averle cagionato tanto disgusto, m'abbia nulladimeno alcun luogo di consolazione dal vedere che il vero motivo del rimprovero dalla Ch.
Sua Sig.ria indirizzatomi dipenda quasi più da dimenticanza d'incidenti e da uniformità di già stampata modula che non da mio fallo assoluto: da poi che la Ch.
S.S.
fra gli altri pensieri dell'accademico reggimento o non si è risovvenuta del fatto di Novembre, o sovvenutosene, pure non ha forse diliberato se quella particolare insinuazione avesse valore di salvarmi da porzione del meritato rimprovero delle benché umanissime note di biasimo, o, diliberatolo ancora non ha curato decidere se la mancanza di partecipazione di un atto importi sempre ed ineccezionabilmente la mancanza d'esercizio dell'atto medesimo, a malgrado dell'assioma forense che contra contumaces omnia jura clamant.
Sopra altri ricevuti incarichi avrei io bene incorso in accademiche censure, cioè per l'ozio della mia penna, ma in questo una benignità sproporzionata alle omissioni mie non farà sì che io non me ne accusi spontaneamente all'Accademia la quale con silenzio generoso volle risparmiarmi il maggior rossore di rimprovero meglio guadagnato.
Se però unita all'accusa siami lecito mandare incontro all'indulgenza accademica una scusa del mio fallo, io dirò che una vita agitata da diversi agenti tutti nemici dell'ingegno e dei quieti studii mi tolse agio e senno per corrispondere degnamente al giudizio della aspettazione di un Consesso elettissimo, il quale, attribuendo a tutti per gentilezza la stessa buona tempra di valore che in sé ritrova e sente, non deve poi essere ingiustamente ingannato con effetti troppo inferiori all'anticipato concetto.
Se mai nella presente mia lettera la sua perspicacia incontrasse frase o parola discordante col tutto umile rispetto e colla cieca rassegnazione che l'inferiore deve al superiore suo, me ne assolva la sua clemenza, da poi che quantunque io non ebbi ribelle intenzione o talento mormorante, pure già me ne pento per l'eventualità.
E voglia sempre graziosamente riguardare
Il suo servitore obbligatissimo
G.
G.
Belli
Socio pergamineo corrispondente
LETTERA 96.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - SAN BENEDETTO
[17 febbraio 1829]
Caro Amico
Ieri sera è arrivato vostro fratello carico di onori.
Non l'ho veduto ancora, ma l'ho saputo da chi l'ha veduto.
Eccovi una buona notizia, ma io non faccio nulla per nulla; e voglio da voi un piacere.
Il 17 gennaio p.to scrissi una lettera al Sig.
Luigi Tommasi di Ripatransone su certe vertenze in affari disgraziati che non debbono a voi riuscire un mistero.
Egli non mi ha mai risposto.
Non potreste voi semplicemente da qualcuno fargli dire che io (abitante al Palazzo Poli 2° piano) aspetto da lui un riscontro alla mia del 17 gennaio? Esco or ora da una malattia di reuma, e Mariuccia contemporaneamente da un'altra.
Abbiamo poi Ciro malato anch'egli da 10 giorni di gastrica e attacco di petto.
Ah! ma speriamo un migliore avvenire.
Voi? I vostri? Fatemene tranquillo in questa stagione da Samoiedi.
Vi abbraccio di cuore
Di Roma, 17 febbraio 1829
Il Vostro amico Vero
G.
G.
Belli
LETTERA 97.
AD ANONIMO SVIZZERO
[30 luglio 1829]
Pregiabilissimo mio Sig.
[...] Michele
Ho bisogno di alcune notizie svizzere delle quali niuno meglio di Lei, vicino come ella è al centro del governo federale, potrebbe favorirmi, e tanto meno altri lo potrebbe quanto più ai lumi che in copia debbono a Lei aver procacciati il Suo domicilio e la qualità Sua.
In codesti luoghi, Ella accoppia altresì la cognizione intima di questo nostro paese, e sa in conseguenza discernere sino a qual punto possano non discordare fra loro in una stessa persona i moderni principii che ne' due Stati le vecchie consuetudini e le nuove vicende abbiano conservato, cambiato o rifuso.
L'esordio non l'adombri, né Le dia troppo magnifica idea delle mie dimande: le troverà semplicissime e non temerarie, e solo importanti dal lato della sollecitudine che deve stringere i padri al pensiero dei figli.
Mi si suppone essere nella Svizzera varii stabilimenti pubblici dove si prenda a pensione giovinetti anche di tenera età, i quali vi acquistano scienze, lettere, lingue, morale, e ginnastica, qualche ornamento etc.
etc.
vivendovi possibilmente senza morbi e senza disordini.
Vorrei dunque sapere quale fosse nella Svizzera lo stabilimento che fra tutti potesse essere a Suo giudizio il più convenire a un fanciullo romano, destinato dal padre a divenire, per quanto le felici sue disposizioni lo consentano, uomo religioso e non superstizioso, amico più dell'onore che della riputazione, coraggioso e non temerario, franco e non impertinente, obbediente e non vile, rispettoso senza adulare, emulatore senza invidia, giusto, leale, vegeto, agile, amabile, dotto, erudito: insomma un uomo da riuscire la compiacenza de' genitori e l'esempio de' concittadini.
Inoltre quanto e sotto quali condizioni (tutto compreso) sia il carico pecunario da sostenersi dalla famiglia.
Quali i rudimenti preliminari e l'età, necessari all'ammissione, quale sommariamente il piano d'istruzione e di educazione morale.
Quanta la durata del convitto etc.
etc.
Ella m'ha a sufficienza intese: ho anzi troppo detto per la Sua penetrazione.
Dalla lettura e dalla conversazione io ho bene raccolto qualche indizio, ma tale che non mi mette in quiete né può equivalermi al voto d'una persona di mia fiducia, illuminata, amica, e conoscitrice come dissi de' diversi rapporti sociali del giorno.
Più: in caso di Sua partenza da codesti climi, potrebbe Ella indicarmi persona colla quale io avessi all'uopo una corrispondenza?
Insomma io ho ardito d'incomodarla: ma prima, oltre al sentimento della Sua gentilezza, me ne sono accresciuto il coraggio parlandone col Dottore Suo fratello che ha gli stessi Suoi sentimenti.
Ella ora col favorirmi da quel cortese che mi si è sempre mostrato, mi provi di avermi perdonato l'ardire.
E riverendolo con effuse di rispetto e di amicizia me Le offero tutto a' suoi servigi
Di Roma, 30 luglio 1829
Il Suo dev.e obbl.
[firma cancellata]
Palazzo Poli 2° piano
P.S.
L'instituto di Fellemberg non sarebbe al caso?
LETTERA 98.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
La sera de' 12 agosto 1829; Dal
più odioso de' paesi che s'incontrano
nella vita: Acquapendente!
Mia cara Mariuccia
Otto e quattro? in numeri arabi, 12 - I signori Mercadanti genovesi che non potevano soffrire il Sole partendo da Roma di giorno, per istrana metamorfosi operata dal Dio Redicolo o Ridicolo si sono cambiati in quattro bravi Carbonai di Via Tomacelli che viaggiano a redeundo e tornano a Chiavari: due de' quali vanno davanti e uno di dietro; lo che tradotto in lingua più volgare vuol dire: Va sui baulli.
Quel di dentro forse meriterebbe di star di fuori; ma come que' di fuori non meriterebbero di star dentro, così vi sta bene anche lui.
Dunque, 8 dell'altro anno, e 4 di quest'anno, abbiamo compiuto la dozzina sotto gli auspici dell'orzo e del carbone.
Degli altri due ad aliam.
Anticipo la presente ad imitazione di un Duca del Sirmio onde ti arrivi il giorno in cui ti fu dato il nome di quel med.mo giorno: non so se ho detto bene.
Voleva dire un beau-mot, ma le testate nelle carrozze non sono le più proprie a risvegliare lo spirito.
Dunque, Mariuccia mia, abbiti vita lunga quanto posso desiderarlo io e lo saprà desiderare il nostro Ciro, supposto in noi affetto.
In questo viaggio è curiosa! Dove non è passato il Corriere non vi è uficio postale: dove è uficio postale trovo passato il Corriere.
Però anticipo oggi nel sabato 15, seppure una pulce che ora mi mette pel capo l'Ostessa, non dica la verità, cioè che di qui passino due soli Corrieri per settimana, e il terzo per la via di Perugia.
Allora sabato non ti arriverebbe la presente, e tu t'ingrugneresti.
Ma che colpa n'ho io? L'augurio l'ho fatto, e di cuore; ed ho sempre udito che gli auguri sono come le indulgenze e i suffragi: quando debbono arrivare arrivano secondo la intenzione di chi ne manda, e non secondo il calcolo di chi ne aspetta.
Dunque, vada: e tu rispondi, venga.
Ti do vinto il quindici, la caccia e la partita.
Salutami tutti; e ricevi un abbraccio del tuo P.
Ciro mio caro.
Papà tuo pensa sempre a te.
Ricordati delle promesse che mi hai fatte: obbedienza e studio: allora ti vorrò sempre bene.
Ti benedico.
LETTERA 99.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Firenze, 18 agosto 1829
Mia cara Mariuccia
Sabato a sera giunsi in questa Città, dove non ho trovato quasi nessuno di coloro che conosco.
La Torriglioni col marito e Landucci sono a' Bagni in Livorno.
Il Sig.
D.
Carlo Pinotti a cui nella med.ma sera del mio arrivo ricapitai la lettera di Biscontini, era co' Rondinelli a Fiesole.
Il giorno consecutivo, cioè domenica 16, venne a Firenze per me; ma in tutto il giorno non mi trovò mai.
Il Sig.
Tagliani però mi aspettò la sera alla locanda per ricapitarmi un grazioso biglietto del Sig.
D.
Carlo.
- Ieri pranzai col Generale Antonelli che ti saluta, e verso novembre passerà da Roma per Napoli.
- I miei due compagni di viaggio non Carbonai furono un Sig.
Gordoa Messicano di 32 anni versatissimo nelle letterature antiche e moderne d'Europa.
Conosce la moglie di Gaetano Paris da prima che sposasse.
Quando tornerà al Messico, dopo i suoi lunghi viaggi che ora ha compiuto, ciò che succederà presto, mi saluterà i Paris.
Se anzi vedi Checco Spada, a cui dirai mille cose per me, pregalo che racconti in Casa Belli avere io mandato saluti al Messico anche per parte loro.
- L'altro compagno di viaggio fu un fiorentino ciarlone, al quale l'americano ed io abbiamo dato varie lezioni.
- Dietro poi il legno, sotto le chiappe del quarto Carbonaio, viaggiava con noi una cassa di candelieri inargentati, come che in Toscana non vivessero candelierari.
Eppure la dogana ci ha messo le mani sopra, non badando all'interdetto che salva i beni di Chiesa.
- Di' al Canonico Spaziani che se quel Signore dell'ombrella, del delfino che parla, quell'uomo che in latino significa Arte, va ancora da Falconieri, amerei che in di lui presenza dicesse o al Cavaliere o alla Sig.ra Teresa: un mio amico mi ha scritto da Firenze che dassi a lor Signori i saluti della famiglia Marracci.
Forse vedrà qualche bel moto del Signore dell'Arte, autore forse del libro dell'arte e di tutte le cabalette del lotto.
A Roma racconterò al Canonico storie da farlo trasecolare.
Altro che ombrella!
Alla presente rispondimi a Genova per dove partirò questa notte.
- La mia salute è ottima; e la tua? Fai nessun bagno? Fallo, Mariuccia mia.
- A tuo comodo passa mille saluti ai Ricci e alle Terziani; come pure riveriscimi tutti i Signori della tua società.
Ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo P.
P.S.
Avesti la mia di Acquapendente?
Ciro mio caro, se vedessi che graziosi ragazzetti sono qui a Firenze! Studiano, rispettano tutti, sono composti, savii, gentili...
E tu, Ciro mio? Pensa che ti fai grande, e devi essere la consolazione di Mammà e di Papà.
Abbi quindi in mente l'obbligo tuo.
LETTERA 100.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Genova, 26 agosto 1829
Mia cara Mariuccia
Sono in questa superba Città dalla sera del giorno 23.
Vi starò sino al 3 di settembre, essendo troppe le cose da vedere, e non basterebbe un buon mese stancandosi.
Il 5 o il 6 sarò a Milano.
Sto scrivendo la storia del mio passaporto.
Allorché sarò tornato a Roma credo che messo in bilancio con l'oro varrà più dell'equipollente metallo: e i giri poi e le firme di tre quattro e 5 ufficii per ogni Città sono cose da poema: udrai.
Se vedi Fossati digli che Orsolini non è mai tornato a Milano.
Tanto egli che il Sig.
Parodi mi guidano.
Io però faccio molto anche da me.
Se vedi Biagini, narragli che quantunque egli mancasse di lasciarmi l'indirizzo del libro che voleva da Minucci, pure credo di essermi con questo spiegato; ed egli l'avrà colle solite spedizioni.
Un altro se vedi.
Se vedi il M.se Morando, fagli da mia parte ringraziamento dell'avermi procurato la conoscenza del Sig.
Pagano Direttore della Gazzetta.
Mariuccia mia cara, sappi che i quattrini corrono come barberi, benché io non abbia preso un divertimento propriamente detto.
Questo è un discorso d'ogni anno, mi risponderai.
È vero, benché però altri nelle mie stesse circostanze, essendo anche più tirchi di me all'occasione, spendono pure alla fin de' conti di più.
Ma Dio te lo perdoni! Io spendo, e la colpa è quasi tua.
Me ne sto buono buono a Roma come un angeletto, e tu mi vieni a provocare! Un altr'anno ti faccio cantare.
Bella gratitudine! tu ripeti.
No, Mariuccia mia, io ti sono gratissimo di quanto tu fai per me, e Dio mi vede il cuore; ma allorché considero l'aggravio che questi miei viaggi resi ormai non necessarii arrecano alla casa, me ne vergogno.
Ma di ciò basti.
Smanio di ricevere una tua lettera.
Spero di averne dimani dapoiché, secondo i calcoli che faccio, il sabato 22 tu devi avere risposto alla mia di Firenze del 18.
Temo sempre che o tu o Ciro stiate poco bene.
Non v'è alcuna ragione; lo vedo; ma provo ogni anno di più che l'amore della casa e della famiglia si va in me accrescendo con l'età.
Ieri sera trovai in un caffè il fratello di Tavani, quello che ha per moglie la Frantz.
È stato a Milano, e viaggia.
Temo però che non ritrarrà dai viaggi lo stesso profitto che può ritrarre il fratello.
Questo è un buon ragazzotto, ma a lumi si sta male.
Insomma è il sartore.
A Pisa, giovedì, pranzai con un pulitissimo e graziosissimo uomo, Aubert Muradgià Livornese, di circa 50 anni, figlio di A...
[nome illeggibile], e negoziante e possidente in detta Città marittima.
Finito il pranzo mi salutò colla maggiore cordialità e andò a gettarsi dalla cima della torre pendente.
Dalle carte trovategli si rilevò avere già tutto premeditato.
Io però non ho mai veduto uomo più presente a se stesso, più tranquillo e più indifferente.
Mi dolse assai, tanto più che aveva la stessissima faccia del fu Giuseppe Mazio mio zio.
Forse colla morte volle prevenire qualche fallimento.
Che fa Ciro mio? Ti ubbidisce? Si ricorda le promesse che mi ha date? Studia? - Ah! Mi pare mille anni che non vi ho veduto! Ti abbraccio coi soliti sentimenti di affetto
Il tuo P.
LETTERA 101.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 5 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Non ho subito risposto alla cara tua del 22 agosto, da me ricevuta a Genova essendo che il giorno anteriore a quello in cui mi giunse detta tua lettera te ne aveva già inviata un'altra mia in cui ti dava avviso del mio buono arrivo in quella bella Città.
Altronde mi riserbava risponderti appena arrivassi a Milano, onde anche non accumulare tante lettere contro la probabilità delle incrociature: e appresso a tutto la spesa della posta è da queste parti veramente eccessiva tanto nel mandare che nel ricevere lettere.
- Eccomi dunque a Milano sin da ieri mattina all'un'ora pomeridiana, essendo partito da Genova il Mercoldì 2 siccome credo che ti prevenissi.
Se non mi mancassi tu, se non mi mancasse Ciro, se non mancasse la mia cameretta, crederei d'essere a casa mia, tanto è gentile e affettuosa l'accoglienza che mi vanno facendo i buoni Moraglia.
Scrivo in questo momento nello studio del caro Giacomo il quale lavora accanito, e ti dice infinite cose.
Così ti saluta il fratello Peppe che ricorda anche Biscontini.
- Trovai a Genova Gaggini, e mi rivide con estremo piacere, facendomi molte e molte dimande di te.
- La lettera che mi dici avermi scritta a Firenze non mi pervenne: forse vi sarà arrivata dopo la mia partenza.
- Credo che Parriani ti avrà incaricata egli stesso di spedirgli il danaro per la posta: altrimenti il danaro dell'impostatura andrebbe a nostro carico.
Dopo l'avviso di tenere il danaro a sua disposizione egli doveva farti presentare ordine e persona ad esigere.
Ma questa è piccola cosa.
- Il foglio di Stocchi, che il messo ha perduto, fu cavato da me da vari altri fogli di perizie: mi dispiace però sempre simile perdita, in vista della estrema difficoltà che mi era costato l'indurre Stocchi a firmare dal 1826 in poi, difficoltà forse aumentabile in una ripetizione di firma.
Io meco non ho le carte necessarie alla rinnovazione del foglio smarrito, né potrò però al mio passaggio per Terni fare altro che parlare con Peppino e con Stocchi.
- Cercherò D.
Antonio.
La cognata di Moraglia non lo vide che una volta sola, e non se ne seppe più nulla.
La curiosa è che detta cognata di Moraglia un giorno prima che io arrivassi a Milano aveva impostata una lettera di riscontro ad una che io aveva inclusa per lei fra molte altre agli altri amici, in quel pacco che consegnai alla Frosconi per Calvi: il qual pacco è stato da Calvi ricevuto di recente.
Ed anche Moraglia, circa 20 giorni fa, consegnò una lettera per me ad un Milanese, muratore di professione, che si recava a Viterbo e poi forse a Roma.
Dunque dette lettere hanno ricevuto il riscontro della mia bocca prima che io le abbia lette; ciocché farò al mio ritorno.
- So che qui è Baruzzi, incaricato da te di salutarmi: lo cercherò.
- Sino ad ora ti ho giuocato a coppe: ora mi è necessario di bussarti a danari.
Mi dispiace assai di dovertelo dire; ma verso i 25 di questo mese non ne avrò più.
È vero che quantunque mi tardassero da Roma qualche giorno oltre il 25, non per questo qui mi mancherebbe da ricorrere.
Fa il piacere di salutarmi chi ti chiede di me, e ricevi da me un abbraccio affettuoso.
Il tuo P.
Bravo Cirone! Mi volevi scrivere in carta bollata eh? Studia, Ciro mio caro; e intanto io farò vedere a D.
Antonio le due righe che mi hai scritto a Genova.
Ti abbraccio e benedico.
LETTERA 102.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 14 settembre 1829
C.
Mariuccia
Ricevo la tua carissima, data il 5 corrente settembre.
Questa è la seconda lettera tua che mi è pervenuta, non avendo io avuto prima di essa che l'altra del 22 agosto mentre io stava a Genova.
Per la qual cosa ignoro quale specie di foglio, relativo a Vulpiani tu mi abbia dimandato.
M'immagino dal contesto della tua a cui oggi rispondo, che forse tu avrai inteso volere qualche carta di approvazione intorno alla cinquina di dilazione da accordarsi a quel debitore.
In caso che la sia così, qui annesso ti scrivo un foglio in cui ti do ampie facoltà di far tutto ciò che ti piace: se poi si tratta d'altro, tornerai a parlarmene, ed avrai pazienza, giacché io non ho ricevuto la lettera in cui me ne devi aver tenuto discorso.
- Il giorno 5 ti scrissi altra lettera in cui ti tastava il polso con espressioni anche più chiare, come avrai udito.
Ma siccome è probabile, anzi quasi certo che, dopo il 20, Moraglia ed io andiamo a fare un giretto sui laghi, e a Lugano, e a Morcò, a vedere i parenti di Fossati, nel qual giro impiegheremo circa otto o dieci giorni, affinché la lettera in cui mi spedirai (credo al solito) una cambiale, non giaccia tanto in posta, non sapendo io il preciso sul giorno della mia andata né su quello del mio ritorno, potrai indirizzare la lettera a G.
G.
Belli, il tutto in caratteri tondarelli e distinti.
- Ho trovato presto D.
Antonio.
Egli sta bene, celebra qualche messa di discreta elemosina, e sta vicino ad andare a Marsiglia.
Pare però che il pensiero di un ritorno a Roma lo vada tentando; ed io coopero alla tentazione.
Non puoi credere quante cose mi dice per te e per Ciro; e saluta poi Rossi e tutta la conversazione.
Qui a Milano è un nipote di Rossi.
- Le Frosconi partirono per Parigi due giorni prima che io arrivassi a Milano: la madre lasciò al marito una graziosa letterina da spedirsi a Roma al mio indirizzo, piena di belle espressioni per me e per te.
La Battaglini le aveva scritto di volere andare a Parigi con loro, e poi non si è fatta più sentire.
- Cencio Galli da pochi giorni è qui reduce da Londra.
C'è anche Zuccoli; c'è Frecavalli, c'è un mondo di gente che conosco.
Goditi, se puoi, qualche festa; ricevi mille saluti da Moraglia; abbracciami tanto tanto il nostro Ciro che benedico; e ricevi un bacio dal tuo P.
LETTERA 103.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 28 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Domenica 20 del cadente mese era il giorno in cui io doveva andare con Moraglia a fare il giro di cui ti parlai in altra mia.
Ma siccome nel precedente ordinario io non aveva ricevuto tue lettere, così immaginandomi ricevere in d.° giorno in cui arrivava il corriere feci trattenere il legno fino ad ora di apertura di posta.
Vi trovai infatti la cara tua del 15 contenente la cambiale Torlonia sopra Marietti per Lire austriache 305:50.
- Già dal giorno innanzi io aveva dato all'amico Baruzzi un mio foglio per te.
Ricevuta pertanto la tua lettera del 15 tornai a casa e scrissi in fretta un altro biglietto a Baruzzi, al quale feci ricapitarlo dal mio padrone di casa, per dirgli che giungendo a Roma te lo consegnasse insieme colla lettera datagli il giorno avanti, onde tu avessi notizia dell'arrivo di d.a cambiale.
Fatto ciò montai in legno e partii.
Tornato ieri seppi da Frecavalli che Baruzzi partì realmente il martedì 22 come aveva stabilito, ma che per certe ragioni avrebbe consumato in viaggio circa quindici giorni benché andando col corriere.
Vedendo io dunque che le mie notizie le porterebbe troppo più tardi di quello che io avrei creduto, ho pensato di rimediare al possibile con la presente, onde tu non abbia a stare in pena né per me né per la cambiale, quantunque l'avviso datoti da me precedentemente del mio giro per questi laghi etc.
ti potesse pure spiegare in qualche modo il mio silenzio.
- Il mio viaggetto adunque è terminato come cominciò, felicemente in verità, ma fra diluvii continui.
Ho veduto spettacoli prodotti dall'acqua.
I danni di queste provincie subalpine, e le rovine della Svizzera e de' luoghi circostanti sono orrendi ed incalcolabili.
Il terribile di questa Natura commossa presenta pure un non so che d'imponente in riflesso specialmente della qualità de' luoghi sopra i quali ha infierito e infierisce.
A voce ti narrerò in parte le scene di desolazione che s'incontrano, e si odono qui raccontare.
- Spero che il foglio che ti mandai per Vulpiani avrà appagato il desiderio che dovevi avere espresso nella tua lettera che non arrivò mai.
Le circostanze che mi accenni intorno a' tuoi occhi, alle tue fatiche e ai tuoi imbarazzi mi disturbano assai.
Da' mille baci a Ciro nostro che benedico.
- Cercherò del Sig.
Lucchi.
- Circa alla valuta della cambiale te ne dico qui unite due parole che se vedrà anche Spada non mi dispiacerò.
Ti abbraccio di tutto cuore.
Il tuo P.
[In foglio separato, continua:]
LETTERA 104.
Di Milano, 28 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Ebbi in tempo la cambiale Torlonia sopra Marietti per L.
austriache 305:50 unitamente alla tua lettera in cui mi dicevi in data del 15 che su detta cambiale avrei avuto la perfetta valuta di pareggio di colonnati 50, avendo tu pagato costì tutto il di più che costì e qua si sarebbe potuto pretendere pel cambio etc., onde nulla di meno mi giungesse dei detti colonnati 50 - Vedo tuttavia che il Sig.
Torlonia è più amico di S.
Matteo pubblicano che di S.
Matteo divenuto apostolo.
Il cambio de' colonnati era ed è di Lire 6 e centesimi 22 per ogni pezzo.
Ecco il conteggio
I colonnati Lire: 50.
moltiplicati p.
Lire austriache: 6:22
formano: L.
311:00
Ho avuto: L.
305:50
Scapito: L.5:50
cioè bai: 88.
- Non so perché dunque il sig.
Torlonia abbia conteggiato a 6:11 invece di 6:22, a quanti il giusto cambio giungeva, quandoché ancora quantunque il Cambio fosse stato al saggio più sfavorevole, tu eri disposta a pagare a Roma la differenza.
E neppure questo scapito si può imputare a provvigione del Banco Marietti, poiché tocca sempre la ragione che tu ti esprimesti di sborsare ogni peso al Torlonia onde a me giungessero netti i 50 colonnati.
E già sono persuaso che uniti questi 88 baiocchi, indebitamente ritenuti in onta del Cambio del giorno, al molto più che tu avrai pagato a Roma, per questa miseria di somma si sarà sopportato il 5, o il 6 per Cento.
Bel mestiere quello di S.
Matteo! - Questo santo però divenuto apostolo predicò l'obbligo della restituzione.
Ti abbraccio di nuovo e sono il tuo Belli.
LETTERA 105.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 14 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Nulla più disordinato del nostro carteggio di quest'anno.
Per me tu sai che ti ho regolarmente scritto da ogni luogo dove sono stato.
Vorrei lodarmi altrettanto delle lettere tue, non che tu non me ne abbia spedite, ma che le avessi io ricevute.
Già si smarrì quella prima in cui cominciasti a parlarmi di Vulpiani, la quale neppure ho più saputo dove mi fosse stata da te diretta, come non so altresì se abbi tu ricevuto il foglio che per Vulpiani ti spedii, né se andasse bene in quel modo.
Insomma dalla tua del 15 settembre latrice della Cambiale di L.
305:50 io nulla ho più veduto de' miei caratteri.
Eppure te ne riscontrai il 20 settembre per l'occasione di Baruzzi e quindi al mio ritorno da Lugano avendo udito da Frecavalli che Baruzzi partito di qui il 22 settembre si sarebbe fermato alquanti giorni in viaggio benché andando col corriere, ti ripetei alla lettera per la posta sotto il 28 onde tu non fossi in pena, quantunque da' miei precedenti avvisi tu dovessi sapere che io era andato fuori di Milano.
Da quell'epoca sino a questa mattina sono andato regolarmente alla posta tre volte la settimana all'arrivo di ogni corriere e mai nulla vi ho trovato.
Sono persuaso che ciò provenga da impicci passati ma pure ti confesso che ciò non lascia di tenermi un poco inquieto, sapendo da te che in Roma vi erano grandi malattie: senza di che tu conosci quanto silenzio incertezza e lontananza siano insieme di fastidio.
Intanto eccomi giunto all'ultimo giorno da me fissato per la mia dimora in questa Città, cosa di cui ti avrei avvisato prima se non avessi aspettato il tuo riscontro almeno alla mia del 28.
Così stando le cose e avendo io già da tre giorni preso la caparra dal vetturino per Bologna contava di avvisarti di non spedirmi qui altra lettera e mi duole che forse ve ne arriverà una allorché sarò partito: spero almeno che non vi sarà nulla di premuroso altrimenti adesso non saprei neppure dove dovrei invitarti a ripetermene il contenuto.
Eccone la ragione.
Per la stessa occasione di Baruzzi io mandai a Fossombrone una lettera a Torricelli per avvisarlo che dentro il mese corrente sarei andato a trovarlo, riservandomi a dargliene più precisa notizia circa al giorno in cui sarei arrivato, allorché fossi sulle mosse di partire da Milano oppure appena arrivato a Bologna.
Difatti oggi stesso mi disponeva a fargli la promessa partecipazione; ma che! andando alla posta - per cercare tue lettere ne ho trovata invece una di lui che mi scrive da Firenze dove si trova - per suoi affari: e dai brevi termini della sua lettera arguisco che neppure può avere avuto quel mio foglio spintogli per Baruzzi.
Ecco dunque variato tutto l'ordine del mio viaggio: e ti assicuro che qui su due piedi, stando a momenti per partire, non posso prendere nessuna risoluzione che in progresso di viaggio non mi vedessi in necessità di cambiare.
Passerò pel Furlo? passerò per la Marca? passerò per la Toscana? In poche ore che mi rimangono a restar qui e affollatissime non ho agio di poter risolvere con sicurezza.
Tu dunque dove mi scriverai? Per ora sospendi tutto.
Da Bologna ti darò più precisi dettagli e allora ti regolerai sopra quelli.
È una fatalità, ma, cuor mio, non è mia colpa.
Vado arguendo che quest'anno ci rivedremo assai prima: tanto meglio così.
Vidi il Sig.
Lucchi amabilissimo, che ti saluta.
- D.
Antonio partì per Marsiglia: ma mi pare che Roma gli ripasseggi per la fantasia.
Di' a Ciro nostro che studii e sia buono altrimenti non c'è regaletto.
Gli ho comprato una cosa per una pezzetta di Spagna.
Vedrai che vale di più: povero figlio, ci si divertirà e tu la terrai riposta come già accadde di qualche altra cosa.
Si trovava anche a Roma, ma oltre che vi sarebbe costata di più, i regali che vengono di fuori sono più graditi.
Saluti di qui, e saluti per costì.
Ti abbraccio di tutto cuore.
Il tuo P.
LETTERA 106.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, lunedì 19 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Son qui da sabato in ottima salute.
Ma quel benedetto Baruzzi è curioso! Mi disse che eccettuati due giorni di dimora in Imola, veniva direttamente a Roma col corriere, e oggi ho saputo che cinque giorni fa era ancor qui.
Chi sa se arriva a Roma nemmeno per novembre! Mi ebbe poi bene avvertito Frecavalli di qualche di lui ritardo in viaggio, ma non credevo mai tanto.
- Il vivo dispiacere di mancare in tanto tempo di nuove tue, di Ciro, e della casa mi è pure ieri stato di qualche momento alleviato dal Curiale Deangelis il quale mi dice che partì da Roma il 3, e che tre giorni avanti era stato da te senza trovarti in casa.
A buon conto dunque so qualche cosa indirettamente di te sino al fine di settembre.
Spero pertanto che da quell'epoca al giorno d'oggi nulla ti sia accaduto di sinistro.
La posta per Roma parte oggi alle 3 pomeridiane, e alle 5 arriva quella di Milano.
Smanio che arrivino dunque le 5 per vedere se Moraglia mi abbia spedito qualche tua ivi arrivata dopo la mia partenza da quella città.
Sto qui aspettando Torricelli che deve arrivare da Firenze nella settimana.
Arrivandoti la presente giovedì 22 in ora che tu possa aver tempo di rispondere azzarda una linea all'indirizzo di Bologna in cui tu mi dica queste sole parole: noi stiamo tutti bene addio.
E tanto dico azzarda un sol rigo, in quanto che conosco che quantunque ti riescisse di rispondermi in pronto corso, pure la tua lettera non giungerebbe qui che domenica 28, nel qual giorno io non so se potrò più trovarmi in questa Città; nel qual caso sarà minor male che vi resti una lettera che ti sia costata la minor fatica possibile.
Tuttociò poi che devi dirmi di esteso, scrivilo sabato 27 e indirizza la lettera, senz'altro ricapito, a Fano, dove io passerò o vada o no a Fossombrone.
Vedi quanta confusione produce questo incaglio di tue lettere per un mese, motivo per cui sperando io d'ordinario in ordinario di riceverne, mi fuggì l'opportunità di avvisarti in tempo il mio itinerario, al che si è poi aggiunta la improvvisa mutazione di esso per la repentina notizia della dimora di Torricelli.
Mariuccia mia, da me non dipende il non aver fatto di meglio.
- Intanto sappi che con Deangelis non ho parlato di nulla, perché mentre io pranzava nella trattoria di una locanda, egli passò colla valigia per andar su nella stanza destinatagli, essendo arrivato in quel punto.
Mi disse due parole e poi seguì il facchino.
Allora non volli disturbarlo: stamattina non l'ho trovato quando sono andato alla sua locanda a cercarlo.
- Un bacio a Ciro.
Cento a te.
Il tuo P.
LETTERA 107.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, venerdì 23 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Brava Mariuccia mia: hai pensato benissimo; e la tua lettera mi ha trovato a Bologna.
Ti assicuro che mi ha consolato più questa tua lettera che non lo avrebbe fatto un terno; mi ripongo in tranquillità dopo tanto tempo di mancanza di tue nuove; mentre è certo che dalla tua del 15 settembre nulla più ebbi, né mai vidi quel Sig.
Gamorra.
- Non so come tu abbia ad inculcarmi di passare da Terni, mentre questa è cosa che io faccio tutti gli anni, e parmi già noto fra noi che lo avrei praticato nell'anno corrente.
Ti sembrerebbe forse che io potessi chiuder gli occhi alla urgenza degli affari di casa quando riguardano te e Ciro? A me penserei meno.
Se la Cuccoma non minchiona io partirò di qui lunedì 26, e mi tratterrò una giornata in Pesaro per vedere il Sig.
Andreatini, e un altro giorno a Fano onde trovarmi allo spaccio delle lettere in caso che ve ne sia una tua.
Torricelli non può per ora lasciare Firenze.
Vorrebbe ad ogni costo che io lo rappresentassi come dice egli in casa sua perfino che egli tornasse; ma io gli ho risposto che per ogni riguardo non credo bene di andare dove manca il padrone.
Dunque tirerò di lungo, in modo che fra i Morti e S.
Carlo conto di essere in Terni.
- Ricevo grandi favori dal Dottor Mazza che ti saluta con Scarabelli; e ambidue abbracciano Ciro.
Dunque il nostro Cirone ancora non vuole studiar bene? Non dubitare, Mariuccia mia, che arriverà a tempo quanto ogni altro.
Intanto però convengo che si debba stargli sopra.
Ti salutano i coniugi Massari, ed i Celsi, e il Dottor Labella che ho veduto mezz'ora fa.
Ricordami agli amici e prendi un abbraccio dal tuo P.
LETTERA 108.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Fano, giovedì 29 ottobre 1829
Cara Mariuccia
Due righe, che il corriere parte.
Son qui da due ore.
Pesaro viene prima di Fano: dunque ciò che mi dici dell'affare Antaldi non è in tempo; ma non lo sarebbe stato neppure prima perché quantunque avessi fin da Bologna avvisato Andreatini del mio passaggio, egli non ebbe la mia lettera essendo da varii giorni assente da Pesaro e per varii altri giorni lo sarà.
La moglie e i giovani di studio ignorano tutto.
Da Antaldi non andai, perché non avendo potuto sapere da Andreatini lo stato dell'affare temei di compromettermi in qualche punto da me ignorato.
- Prendo delle intelligenze colla Marcolini (da cui pranzo oggi, e che è gravida, e ti saluta) perché potendo ritirare in tempo le carte da Pesaro le porti ella stessa a Roma per dove parte di qui il 4 di Novembre: in caso contrario ci penserà l'avvocato Cadabene.
- La Battaglini ti saluta, e ti loda del bel contratto fatto con Piombino.
La famiglia Borgogelli è in campagna: l'altra dell'abate non lo so.
- Baci mille a te, e a Ciro.
- Se io trovo vettura parto domani: se no appena la trovo.
Scrivo con le penne della Battaglini...
dunque...
Il tuo P.
La Marcolini sarà a Roma il 7 e va ad abitare tra la Stamperia camerale e i SS.
Angeli custodi in casa di un certo Bellini.
LETTERA 109.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Lettera sigillata a sigillo la mattina del
sabato vigilia di tutti i Santi dell'anno
1829, a mezzodì.
Cara Mariuccia
La vettura fu trovata appunto la stessa sera in cui ti scrissi l'ultima mia.
Partii dunque da Fano la mattina di ieri Venerdì 30, e giungerò a Terni verso il mezzodì del lunedì 2, appunto nel momento in cui il portalettere ti ricapiterà questa mia.
Già per lettera ho avvisato il Sig.
Pietro Spada di Cesi, onde avanzar tempo.
Ti ripeto quel che ti dissi, cioè di aver preso bene dei concerti fra la Marcolini e l'avv.
Cadabene sul ritiro e l'invio a Roma delle carte Antaldi.
Se giungeranno in tempo a Fano prima della partenza della Marcolini, le porterà ella stessa.
Nella combinazione attuale non ho potuto far di meglio.
- Trovai nella vettura sei orzaroli.
Gli orzaroli mi perseguitano! Uno mi sedeva accanto, tre incontro, e due in serpa.
Ma a Fossombrone, primo rinfresco a 15 miglia da Fano, passai in altra vettura con 4 gesuiti.
Ora vado facendomi santo sino a Terni.
Dico rosarii, ufizi di tutte le razze, litanie, deprofundis, salmi penitenziali, giaculatorie.
Se fosse un frate solo, alzerei un poco la testa; ma contro quattro, un solo secolare ha brutto giuoco.
Dunque mi adatto di buona grazia alle circostanze, e faccio buon viso.
Nelle ore poi di ricreazione o narriamo tutti e cinque a vicenda dei belli esempii edificanti che io per la parte mia m'invento, ovvero io leggo dei bei libri di orazione alla latina intitolati Dies Sacra, che i buoni gesuiti mi hanno offerto per divertirmi in grazia di Dio.
- Ho con me un certo mio povero libretto non scritto dal diavolo ma neppure dall'angiolo Gabriello: ma figurati, non ha più faccia di comparire, e riposa nel sacco sino a nuov'ordine.
- Sai che dicono per la locanda? Ih! guarda che bel giovanotto si portano a Roma i gesuiti per novizio.
Ecco la prima parola di vanità che da ieri mattina mi è uscita di bocca: sia detta però in semplice via di relazione de verbo alieno.
Tanti baci a Ciro e la benedizione.
- A te mille abbracci.
Il tuo P.
Cristaldi non è più lui.
Ricci forse anch'egli.
Mattei...
ma chi glielo dice? Dunque quest'anno senza dubbio si va in dogana.
LETTERA 110.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 4 novembre 1829
Mia cara Mariuccia
Ricevo la tua di ieri.
- Gli Sc.
25 di Silvestro sono già in mie mani: così gli altri Sc.
15 del fratello Francesco Diomede.
Circa alle altre riscossioni periodiche non manca che De Sanctis e Peppino.
Il dare di De Sanctis per frutti del censo è di paoli i quali al ritiro prossimo del capital di Sc.
28 gli si dovranno abbuonare in diffalco della rata comodi non concessagli mai dall'ab.
Conti sin dal principio della legge che la prescrisse.
Ho poi detto prossimo ritiro del Capitale perchè il Maggiore Marco Setacci sicurtà del De Sanctis è attuale amministratore di certi fondi spettanti alla eredità del suddetto, dimodoché è suo interesse di ritenere la somma per la estinzione di un debito che graverebbe anche lui.
Mi ha dunque giurato che ne' primi mesi del 1830 questo affare sarà terminato.
- Con Peppino non ho ancora fatto i conti, ma temo anche io che pel saldo delle somme dovute da lui si dovrà accordargli qualche poco d'indugio.
Cosa faresti se non paga ora? Lo vorresti citare quando non lo abbiamo citato per emergenze più serie?
L'affare Cardinali prende sotto il mandato che si può prendere da un momento all'altro.
Egli ora si raccomanda perché lo aspettiamo fino a che si purifichi il vino della recente raccolta, lo che accaduto promette di vendere subito e pagarci.
Io voglio fargli il progetto di prendere invece la entrante quantità di vino da vendersi piuttosto a nostro conto, onde sollecitare la cosa e prevenire il caso che il contadinaccio si venda il chiaro e il torbido e si mangi i quattrini.
Se egli accudisce al progetto la cosa è fatta: se ricusa, è indizio di frode futura; e allora ordino la estrazione del mandato che vorrei eseguire sul med.° vino anziché sul terreno, giacché le esecuzioni sui fondi sono algebra ed espongono spesso al meno che sia al pericolo di dovergli aggiudicare il fondo colla rifaz.e del di più del valore, lo che nel caso nostro, stante le modicità del nostro credito, ci darebbe da fare.
Ma pare che il vino non lo tenga a casa sua, né so se riusciremo nello stratagemma di andare ad assaggiarlo per iscoprire dove si trova.
Basta, sta tranquilla: Cardinali non è attualmente in Terni, andando in giro per le fiere con la polvere da caccia: se lo vedrò ci parlerò io: se no, lascierò le cose istruite al Peppino.
Il danaro del compratore del terreno Pelucca, il danaro cioè che noi sequestrammo è già depositato in mano del negoziante Camilli.
Vi sono altri sequestri contemporanei al nostro, ma pare certo che ne avanzi per quietar tutti.
Si anderà avanti colle citazioni declarari et consignari, se bene ho ripetuto questi gerghi forensi.
Quando i Pelucca andassero in Segnatura, ciò sarebbe sempre avanti l'uditore e non in pieno tribunale stante la bassezza della somma: e questo rifugio del debitore svanirebbe mercé pochi altri scudi di spesa e poco altro tempo di indugio.
Oggi dopo pranzo, se non pioverà, salirò a Miranda per vedere il terreno Valle Caprina.
Voglio un poco vedere se si può preparare un affitto per la scadenza della Colonia che succederà al prossimo Marzo.
Certo è però che quell'oliveto è mal situato.
Pare intanto che per quest'anno dovrà produrre circa le 5 some d'olio, due e mezzo delle quali toccherebbero a noi.
Vi è per tutto una grande abondanza di olive, e l'olio abbassa il prezzo.
Il tempo però è crudo assai; e se gela addio abondanza.
La proposizione di Pietro Spada è quella stessa che rifiutammo anni addietro, l'acquisto cioè della Caprareccia.
Ho tornato a rispondergli che la Caprareccia è la dote del resto, e distratta sola pregiudica in pregio gli altri terreni.
Babocci ha qualche speranza di condurre il Monastero di Cesi ad impiegare nell'acquisto di que' fondi certe somme che va ad incassare fra non molto tempo.
Io l'ho impegnato ad occuparsene.
Venerdì dovrebbe di qui passare la famiglia Marcolini per essere a Roma o sabato o domenica, purché il Conte sempre afflussionato abbia potuto partire oggi da Fano com'era stabilito.
Allora sentirò se portano loro le carte Antaldi.
Mi dissero a Fossombrone che se non si combina con la Marchesa Antaldi stiamo male perchè il Marchese Antaldi non ha più niente del suo.
Sarebbe una bella buggiancata anche questa!
Del lasciapassare alla finfine m'importa sino ad un certo punto; dunque ti ringrazio, ma non ti dar troppa pena.
Lo vedi che D.
Antonio aveva per la testa Roma? Proprio proprio ho gran piacere del di lui ritorno, e salutatemelo tanto tanto tanto.
- La vivacità di Ciro nostro mi dà poco paura.
Lascia fare al tempo.
Qualche poco di disturbo ce lo darà, ma paura non deve darla.
Ciro, Mariuccia mia, verrà un brav'uomo.
- A Spoleto vidi Uguccioni che ti saluta.
Hai riso sui Gesuiti miei compagni? cioè, il Cielo me lo perdoni, hai riso sui fatti che accaddero fra noi? Questa lettera è già troppo piena, ma nel venturo spero dirti qualche altra cosetta ancor ella curiosa.
- Vorrei far sì che per la sera di Martedì 10 io fossi a Roma.
Addio, cara Mariuccia mia, abbraccio te e Ciro, e saluto gli altri.
Il tuo P.
LETTERA 111.
A GIOVANNI BATTISTA MAMBOR - ROMA
[1829]
Sia ammazzataccio tutti li gargantacci fracichi che accimenteno li poveri fijji de madre che nun danno fastidio a gnisuno.
Ma varda sì che bella legge de canaccio arinegato che ce vorrebbe lo spadone de San Paolo prima arremita ce vorrebbe, pe' fragneje l'animaccia drento in de la merda a ste carogne de gente ciovile che vonno parlà cor quinni e'r quinnici e cor ciovè, e poi, Cristo pe le case, te sbrodoleno giù certe azzione che nun le faria nemmanco er boja che se l'impicchi a quanti che so, ste crape che strilleno Roma e Toma e ce batteno de cassa, e rugheno come cagnacci de macello; e poi ch'edè? Si sentono un rogito de somaro fanno a fugge pe lo scacarcio.
Sentime, Titta, primo de mo te tienevo in condizione de giuvenotto de monno, ma mo te sbaratto pe' carogna quant'è vero la Madonna Santissima che nemmanco semo indegni d'anominalla.
Come, sangue de mi padre! Malappena me dicheno: Moà, Peppe, lo sai de chi è la festa oggi? - No, de chi? - De Titta Marmoro.
- e io do de guanto a la penna, che accidentaccio quanno che l'ho pijjiata in mano, che averebbe avuto in cammio da maneggià er cortelluccio.
Me viè lo sgaribbizzo de stennete sur un sonetto da Dante Argeri, e poi te manno a scrive 'na lettera de discurso de sagnatario liquida nus fragnete come brodo di trippa pe aringretatte de la povesia che m'è amancato er tempo de misuralla; me metto le cianche in collo, e m'ariscallo er fedigo e tutti l'intestibili pe arrivà ar portoncino tuo, prima che quella paciocca de tu sorella me lo sbattessi in der grugno; l'arrivo dereto, je l'appoggio; je dico de famme l'obbrigazione d'acconsegnallo ar Sor Titta che se pulisce er culo co la man dritta; e tutte ste graziosità che ecquine! E tu panzaccia de vermini d'un porcaccio da va affogato drento a un pantano de piscio de somaro piagoso de porta Leone, me vienghi a risardà cor lanzo balordo de le millanta grazie e antrettante quarantine, pe' buttamme insinente l'imprecazione de famme crepà in sanitate rospite d'er prossimo mio comm'e'tte stesso a li quinnici de st'antra settimana eh? Accidenti, va', si nun pregassi er Signore, ch'è tanto misericordioso, de fatte sciojje er bellicolo a te.
E che fa che nun caschi de faccia avanti proprio mo? - Sentime Titta: San Giovanni nun vo tracagna; e tie' all'ammente ste parole mia: nemmanco er sommo pontefice Pio Ottavio co la stora e la mitria; e er capitan Pifero co' li suoi suizzori co le guainelle fatte a pisilonne; e er Cardinal Ruzzela cor vigereggente, e li palafragneri, e li scopatori, e Monsignor Governatore co quer negozio c'arinfresca le chiappe, e tutti li cristiani e l'aretichi der monno cattolico me poderebbero tienè che si te trovo p'er vicoletto nun te mettessi un deto in bocca e un antro ner persichino pe famme de te un manicotto cor pelo indove sì e indove no, pe er tempo d'er rifriggerio; e accusì imparerai a avè un tantino più d'ingratitudine a chi te fa bene; che già come dice quello? Lava la testa ar somaro, ce perdi la lescia e er sapone; fa' carezze all'orzo, e chiamerai soccorzo; giuca co li cardi, e te n'accorgerai presto o tardi; gratta la rogna ar mulo, e te paga a carci in culo.
E mica me l'invento io sti fonnamenti che cquine, sai? Va' a sguerciatte in ner Tasso Bardasso e te li troverai drento in ner parafrigo de
Intratanto Arminia in vallombrose piante
D'antica sèrva d'er cavallo ascorta
T'ho vorsuto fa tutta sta chiacchierata pe fatte vede che nun semo carogne 'na buggiarata, e che sto pezzo de carne ce sta be' in de la bocca come a querchidunantro.
De restante io nun tiengo er dente avvelenato co gnisuno, e fa conto che ste cose te l'abbi ditte come ceci bianchi spassatempo.
Si vo' fa pace, vie' stasera da Manfredonio a li tre scalini, che c'è un vinetto badialaccio de tre fichi la baggiarola ch'arifiata li vivi e li morti ammenne.
Ce troverai Caterina la guercia, Luscia la santola, Rosa ficamoscia, Nunziatella de li Bordati de Sora, Giartruda Ciancarella, la mojje d'er froscio, la Cicoriara de ponte rotto, la peracottara de li paini, la fijja zitella de Salataccia, Tribuzzia la sediara d'er catichisimo, Menica la bagarinella de Mercato, Nanna quattrochiappe, e Agnesa mia quella che je dicheno: quanto sei bona.
- E poi ce viengheno lo Stracciaroletto de Borgo, er tornitore de San Mautte, Gurgumella, Panzella, Rinzo, Chiodo, Roscio, Cacaritto, Puntattacchi, Dograzzia, Bebberebbè, Napugliello, Cacasangue, Codone, Magnamerda, Panzanera, er cechetto de le quarantora, Feliscetto d'er mannolino, er cavarcante de Guidoni, er mozzo Russio d'er principe Cacarini, er cammoriere d'Artemisis, er Maniscarco de la linia, Galluzzo er baffutello de Monte Brianzo, er Rigattiere de la pulinara, er barbieretto de San Tomasso imperiore, lo spennitore de Palazzo, Grespigno lo scarpinello de la Subburra, li du' chirichi de San Neo e Tacchineo, Pazziani lo spazzino e er cerusico Campanile a braccetto.
Lì facemo bardoria, cantamo li ritornelli, je la toccamo co la tarantella, bevemo quer goccio, facemo le passatelle, ballamo er sartarello, tastamo er sedici a quelle paciocche: insoma ce divertimo senza l'offesa der Signore.
Dunque viecce si ce voi vienì; e si nun ce voi vienì, cocete in dell'acqua tua come li spinaci.
LETTERA 112.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Pesaro, sabato 15 maggio 1830
Mia cara Mariuccia
Appena parlato con me, mercoledì 12, l'Avvocato Bottoni dovette andare a Fano, e questa mattina ritorna.
Però non si è potuto parlare della minuta che ti annunziai nella mia antecedente.
In mancanza di affari ti racconterò alla buona un fattarello affinché tu che ami trattenerti in discorsi di nuove, trovi in questa mia lettera un poco di pascolo alla tua inclinazione.
Cominceremo col dire che per la crescente civiltà del nostro povero secolo, non v'ha più asino, per somaro che sia, che non istudii oggimai come un cane, per lasciarsi addietro i suoi emuli nella carriera delle lettere dell'alfabeto.
Così ogni onesto spacciatore di caffè in tazze, il quale non ami la sua bottega convertita in un deserto della Tebaide, deve procacciarsi al meno uno zibaldone o alla peggio un Courier des Dames, pronti uno e l'altro a pascere i faticosi ozii dell'erudito avventore bisognoso di assaporare con pausa il suo bicchier d'acqua.
- Dietro tali principii, il Caffettiere de' Nobili di questa città, Nunzio Righetti, pensando come soddisfare all'uopo, senza pagare ai ministri della posta pontificia i soliti beveraggi di agenzia, pregò un suo amorevole cliente, Banchiere della Ripa, ebreo, onde alcuno de' di lui corrispondenti di Milano lo associasse direttamente a certo foglio periodico.
Scrisse il fedele israelita al confratello cristiano, pubblicani entrambi, e gli commise di oprar sì che il Sig.
Nunzio Righetti venisse inscritto nell'Albo di tanti altri benemeriti della letteratura.
Giunto il tempo di venire la prima spedizione, la prima spedizione arrivò, puntuale come il giorno delle Ceneri appresso all'ultimo di Carnevale.
Arrivò, dico, e si vide rispettosamente diretta "A SUA ECCELLENZA R.ma MONSIG.re RIGHETTI NUNZIO APO.co IN PESARO".
- Il caro Direttore della posta, che aveva le sue buone ragioni per dichiarare ad ogni modo scismatica quella disgraziata gazzetta, letto appena l'indirizzo scandaloso, pensò di coalizzare uno contextu il lucro cessante delle sue tasche col danno emergente della dignità prelatizia: e poiché alle generose risoluzioni non va dato tempo di raffreddarsi, preso fra mani il corpo dei due peccati salì di corsa all'uficio del collega Sig.
f.f.
di Direttore di pulizia, che c'entrava come il Gloria nella messa di requie.
In quale altro modo doveva andare la faccenda? Le lacune di una stampata cedola intimatoria, buona tanto al sesso mascolino che al feminino, furono tosto riempiute a penna da uno scriba di genere neutro; e dopo un'ora appena, il Nunzio di conio lombardo stava già avanti al suo giudice per essere degradato.
- Dite un po', temerario, da quando in quà siete voi Nunzio? - Da trent'anni, otto mesi e sei giorni, Eccellenza.
- Chi vi ci ha fatto? - Il padre Curato del Duomo, Sig.
Direttore.
- Recitate voi l'imbecille? - Perdoni: avanti a V.E.
non mi sarebbe possibile.
- Volete dirmi un'ingiuria? - Non glie la voglio dire.
-Dunque voi vi spacciate all'estero per Nunzio Apostolico? - Veramente io mi spaccio per Nunzio Righetti, e quell'Apostolico sarà probabilmente un titolo disertore della corte Austriaca; poiché vorrei aver l'onore di morire qui addosso a S.E.
se ho mai avuto pel capo altri apostolati che quello di predicare indegnamente la gloria delle mie bevande calde e fredde, e di bandire la riputazione delle mie marmellate.
- Ma dunque quella Ecc.za Rev.ma come vi si è ella appiccata? - Senza merito mio, Eccellenza, e poco più poco meno come si appiccano de' cordoni rossi e delle sciarpe turchine a tanti petti indegni forse di chiudere un cuore anche da caffettiere e da tripparolo.
- Siete un impertinente.
- Sig.
Direttore, mi armonizzo per non far dissonanze.
Il Sig.
f.f., buon dilettante di chitarra francese, intese subito la malignità del frizzo; e mi duole dover ripetere tre parole lubriche nelle quali a quel punto proruppe.
Ma a storico fedele disconviene meno una oscenità che una negligenza.
-Cazzus! esclamò dunque il Sig.
faciente-funzioni, fottetemi in profosso questa carogna.
Con tutto ciò, intorno al vocabolo Carogna, non debbo dissimulare a discarico del Magistrato, che le opinioni dei filologi non vanno d'accordo: poiché se da un canto è vero che un dignitario di Roma vietò un giorno a me stesso che col ministero di quella voce io potessi indicare onestamente pure un asino morto, chi non ricorda dall'altro la purità, il candore, e la eleganza con che il piissimo Cesari di cruschevole memoria chiamò Divina Carogna, il Sacrosanto Corpo di Cristo? - Era la quistione a tai termini, quando il Circonciso, fatto avvisato dell'abbaglio del gazzettiere e del pericolo di Monsignore, comparve col copia-lettere sotto il braccio a difendere per acta et probata la innocenza del Nunzio.
L'onesto Giudeo, possessore in giro di Banca e in metallici per circa un milione, doveva chiarire ogni dubbio con somma facilità.
E così fu.
Solo si vuole, che il Caffettiere, al consueto fornimento dei dessert mosaici, si obbligasse per articolo segreto di aggiungere un'appendice in servigio de' politici e degli Epistolarii, al prezzo da liquidarsi colle differenze delle dignità e delle sportule hinc inde.
Avvisato quindi l'editor Milanese del grancio, il Caffettiere rimase e rimane in pace a costruire i pasticci.
- Buono per me intanto che il Sig.
f.f.
è andato a riunirsi a' suoi antenati!
Questi f.f.
sono lettere assai ficcanaso: ed altronde un abile poliziaco deve sapere anche quello che ignora, nella stessa guisa che un'onesta spia dice la verità fino allorquando mentisce.
Siamo al solito giuoco del corriere.
Se arriva in tempo, aggiungo: altrimenti abbraccio te, abbraccio Ciro, saluto gli amici, e spedisco.
Il tuo P.
Mi arriva la tua di giovedì 13.
La scorro con l'occhio, e vedo che tra questa mia e le precedenti ho esaurito quanto potrei qui solo ripeterti.
Solamente ti aggiungo che vidi giovedì il Corriere Belli che ti portava le carte da giuoco.
Da lui avrai avuto le mie notizie orali.
Ti abbraccio nuovamente con Ciro.
LETTERA 113.
ALLA MARCHESA VINCENZA ROBERTI - MORROVALLE
[Da Pesaro, 8 giugno 1830]
...
È vero, il tempo non è mai lungo, e la regolarità abbrevia tutto.
Oltre a ciò, le medesime occupazioni ogni giorno ripetute dietro la guida del dovere e sotto lo stimolo delle affezioni domestiche acquistano ben presto ne' cuori bennati un genere di dolcezza che vanamente si cercherebbe fuori delle virtuose abitudini.
La stessa monotonia de' luoghi diviene per noi allora una particolare sorgente di piacere.
In ogni oggetto crediamo di riconoscere un testimonio delle nostre azioni lodevoli, e un compagno fidato delle care emozioni che ci premiarono l'anima al compimento di quelle.
Chi troppo cambia di esercizi e di stanza, educa i suoi pensieri al desiderio, i desideri alla cupidità, la cupidità all'intemperanza; e così da sensazioni soverchiamente variate ed attive, esce finalmente il mal frutto della trista indifferenza e del tedio tormentoso.
Al contrario in un ritiro tranquillo, in un ritorno continuo d'idee sperimentate, l'uomo moderato raccoglie la propria imaginazione in se stesso, e la impiega ad esaminare meglio le risorse ed il fine della esistenza.
Famigliarizzato ogni dì più con que' suoni, con que' colori, con quelle forme, con quelle fisionomie del giorno precedente, si ritrova in costante accordo con loro, e fingendosi del resto un mondo a suo modo, lo accomoda facilmente alle modificazioni del suo spirito.
Quando le passioni dell'uomo ristretto dentro un circolo angusto di terra si celano alla onnipotenza dei casi, il di lui cuore trova nell'ozio di esse quella placida spensieratezza che ne deriva i benefici elementi della felicità.
E quando la mente di lui, affrancata dall'esterne distrazioni, conservi la libertà di se stessa, può allora conoscere l'intenzione della natura, seguirne le leggi, adoperarne i soccorsi, ad aspettare in pace dalla di lei fedeltà l'adempimento delle speranze della vita.
Per dirvi ora due parole di me vi assicuro che al punto della vita a cui sono, cominciano già assai a potere su di me i pensieri di riposo, di semplicità e di futura consolazione.
La vita umana, oltrepassato di poco il suo mezzo, non si compone più che di reminiscenze, le speranze e i progetti periscono in un fascio appena la mano fredda del tempo ne addita la tardità in ogni nuova intrapresa.
Senz'altro avviene che di un dolore esasperato ogni dì più dall'idea della distruzione che si avvicina, la virilità precipita nella vecchiezza, e guai, guai a que' vecchi che non si saranno preparati di buon'ora una riserva di conforto! Schivati nell'universo, espulsi dirò quasi dal posto che occupano nella società, costretti a cedere vigore, bellezza, salute, carezze a chi gl'incalza senza posa alcuna, essi rivolgonsi indietro aridi e afflitti spettatori degli altrui godimenti, a cui non è più loro lecito aspirare.
La gioventù, oltre all'allegrezza sua propria, può trovare de' piaceri dovunque, e fino negli stessi difetti degli uomini; laddove la vecchiezza sfortunata non può rifugiarsi che nelle loro scarse virtù; al giovane è sempre aperto il gran teatro delle illusioni a traverso alle quali i contemporanei si offrono a lui; pel vecchio non rimangono che le risorse della realtà, quasi tutte pur troppo dure e desolanti.
L'anima sua s'inasprisce, e i suoi difetti non più velati da alcun'apparenza di amabilità, lo abbandonano al solo conforto della pazienza e della compassione.
Per risparmiarmi pertanto al possibile la umiliazione di que' generosi sentimenti, io penso di fabbricarmi una felicità domestica, una felicità tutta indipendente dalle vicende del mondo; e ringrazio la Provvidenza che mi abbia concesso un piccolo amico, il quale, ricordevole forse un giorno dei diritti acquistati dalle mie cure alla sua riconoscenza, mi amerà, spero senza le viste interessate della personalità.
Ancor io, dunque, se potessi, sceglierei asilo in un angolo ignorato di terra, dove l'elezione congiunta con la necessità mi abituassero poi grado a grado a far di meno di agi di strepito, di varietà, di appetiti, di gloria, di tutto ciò insomma che aggirandosi nell'eterno vortice delle cose peribili, ci vieta di pensare a noi stessi.
L'amicizia di un mio figlio, e quella al più di un altro compagno che io avessi incontrato per la strada solitaria scelta per mio viaggio all'eternità, potrebbero bastarmi per dire: Ecco una vita che finirà senza rammarico...
LETTERA 114.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
D'in sull'Isauro, il giorno de'
SS.
Giovanni e Paolo M.M.
[26 giugno 1830]
Caro Checco
Sono molti giorni trascorsi dacché io doveva e voleva rispondere alla tua giunta, venutami nel riscontro del Sig.
Biagini, il quale si azzarda a scrivermi su carta intonsa! Questo lusso incivile non ancora dai libri si era esteso ai pistolarii.
Tanto ti dico e basta:
Il resto lo saprai nella catasta.
(Chiari)
Tenerissimo l'epitaffio per la cara defunta! Parmi che già da lungo tempo meditandolo tra me ne facessi lettura.
Ti ringrazio ora di questo dolore, che mi è piaciuto di rinnovare.
Ma guarda che orecchiaccio egli è il mio! E non mi si è ficcato mo in capo che il volle fare del titolo avrebbe giovato meglio alla malinconia posto prima di Della sorella sua?
È una mia incaponatura (badiamo alla p.); ma questo vuol dire avere una testa.
Bell'essere acefalo.
Ho mandato incartati a Torricelli i saluti tuoi e quelli del Sig.
Domenico Cianca, pel quale ho pure riverito il conte Cassi.
Torricelli poi vi rifà salutati (come Coluccio) entrambi.
E già che siamo sulle spalle del Cianca, calchiamole un'altra volta, e poi basta.
Digli così: il gran Padre Destino ha dato un'accettata sulla corda che doveva legare Gazzani e la Ducrò.
Quella si è spezzata e questi se ne sono portati un pezzo per uno.
Silenzio tanto sulla corda che si fabbricava quanto sul taglio che l'ha troncata.
Se ne parlerà a suo tempo.
E voi che diavolo v'impasticciate di nuove, di passione e di gazzette? Faccio quello che mi pare, disse figurino.
- De' nostri progetti parleremo meglio a voce: spero presto.
Auguro davvero di cuore un ristabilimento a quella povera Erminiuccia! Abbracciami Peppe, e il buono...
no, ottimo Giorgieri.
Ma eh? Povero Giorgio IV! ad uso di ricetta.
-
Ed ora avremo forse un recipe Guilhelm pro usu.
Pillola dura! E il Lord Wellintone, che farà? -
Oh pure i grandi romori nel gabinetto di Queluz!
La Porta si sganghera.
Santa-Fé gronda: Gallia arde.
A Buenos Ayres tira aria cattiva.
Megico dà in ciampanelle: Don Fernando cogliona i figli maschi di S.
Luigi: Dante Algeri prepara una tragicommedia cum notis variorum.
S.
Nicholaosko piglia Armeni in Salviano, se non li compera a sconto di pigione.
Intanto le nuove elezioni oltre-monte si affrettano; i Dipartimenti bestemmiano per carità; e il Ministero cerca di lavorarli alla Polignacca.
Lauda finem.
Tanto ti aggiungo e basta:
Il resto lo saprai nella catasta.
(aut.
cit.)
Ecco, c........!, come si sviscera il Mondo!
Spero di partire di qui tra pochissimi giorni.
-
Mettiti sulla porta, e quando passano amici, fa loro un baciamano per me.
Ma quel P.L., p.e.
o ex gr? Scrive, canta e stampa, che l'andrà bene? Veramente questa la indovinerebbe anche Giona che non dava sempre nel segno.
Oh buon Cavalierino! In Africa avrebbe ragione Maometto; e la profezia prudente rivolterebbe la testa.
Tutto il vaticinio è infiammato dallo spiro di Domus-aurea.
Ma se poi si apre la foederis-arca che qualche altro profeta minaccia? Allora...
ma perché si ha da aprire? Lasciamola chiusa; e abbracciamoci che è tempo.
Il tuo 996.
LETTERA 115.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
Di Pesaro 13 luglio 1830 alle 10 antimeridiane
Checco mio
Bene fecisti, Caterinella.
A Ferretti voglio sempre bene; e diglielo.
Dunque sta meglio? Gaudeo.
- Sai? Da queste parti tutti mi dimandano che sia certo Avv.
Andrea Bàrberi che scrive circolari onde spacciare una traduzione sua del prezzo di 4 paoli.
Io rispondo: è un giudice.
- Che razza di giudizii va dunque facendo degli uomini? essi rispondono: - ed io: Uhm! - Sarà due ore un tal Piatelletti Ministro di Casa Antaldi mi ha domandato se io conosceva Piccardi.
Il Piatelletti non sa che fare del segreto lasciatogli da Piccardi in corpo.
Ed eccoti la tua lettera che mi parla di Piccardi.
Lo troverò in istrada perché io parto a mezzogiorno in diligenza.
Ecco perché scrivo male; ché del resto...
eh! eh! - Abbraccia te e lo Sdiquilito
Il tuo Belli
LETTERA 116.
A LUIGI VIVIANI
[6 agosto 183]
Ho finalmente avuto gli elementi del metodo Jacobot, concernenti i principii d'insegnamento universale secondo il principio della emancipazione intellettuale, da cui la Francia e più il Belgio vanno attualmente ottenendo conquiste di dottrina assai vicine al prodigio.
Non più i processi barbari dall'incognito al cognito, ma dal manifesto all'occulto: non il falso spirito di sintesi, fra non intesi elementi; ma la benefica ragione d'analisi stabilita sopra idee già possedute: ecco quel che prepara nell'età nostra alle menti puerili uno sviluppo maraviglioso di quelle facoltà che non negate dalla Natura quasi ad alcuno, la educazione conserva in così pochi alla società defraudata.
Ma io la prego di credermi: l'opposizione completa e dirò diametrale che questa moderna scoperta presenta incontro ad ogni vecchia pratica d'istruzione, dovrà in Roma richiamare gl'istruttori alla qualità de' discepoli, prima che possa dare alla patria un allievo: danno, da durare ai figli e ai padri che gli amano, finché la prepotenza del pregiudizio e dell'interesse non sarà vinta negli educatori dalla verità e dalla filantropia.
Per me, voglio io stesso fare una prova sopra me stesso onde il mio Ciro colga il frutto di un sistema di associazione ideologica, stato sempre consono co' miei principii, tanto che vado quasi orgoglioso d'averla presentito in certi miei lavori di storia, delineati presso a poco sul disegno che oggi nel Nord si colorisce con sì bel premio di successi.
Del resto mi piacerà di sapere se la enciclopediola che ho avuto l'onore di procurarle Le sembri almeno capace d'insinuare ne' Suoi cari bambini le elementari nozioni delle quali il Mondo Nuovo non permette più la ignoranza...
LETTERA 117.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, martedì 28 settembre 1830
Mia cara Mariuccia
Mentre sto aspettando la tua lettera di oggi, che il corriere di dimani mi dovrebbe certamente recare, ti andrò dicendo due parole e sulla tua del 25 e sulle altre nostre cosette di affari.
In primo luogo ti confesso che la mancanza di tuoi caratteri nell'ordinario di domenica scorsa mi aveva un poco sorpreso, stante la talquale importanza delle tue risposte: ma lungi dall'attribuire il tuo silenzio a tua omissione, io lo riferiva ad impicci di posta.
E quasi fu così.
Appena pranzato ieri vidi arrivarmi Gnoli correndo, il quale avendo rifrescato a Narni era solamente di passaggio, ed aveva lasciato in piazza il legno e i suoi tre compagni di viaggio.
Da lui seppi la dimenticanza dell'impostamento, ed ebbi la tua lettera.
Uscii per riaccompagnarlo alla carrozza, e trovai la sua compagnia essere tre curiali: Caramelli e Polidori diretti a Venezia, e Federici (quello che sposò la figlia vedova dell'Ambrosi) incaminato a Milano.
Tredici miglia lontano da Roma aveva ribaltato per un ruotino uscito dall'asse: essi però fortunatissimi non si fecero neppure un livido, né il legno soffrì nemmeno una graffiatura.
A Civita il vetturino ebbe la nuova della morte di un suo fratello, e qui poi ha dovuto prendere un rinforzo di cavalli.
Malgrado tutto ciò i 4 viaggiatori hanno in due giorni allegramente potuto percorrere la via da Roma a Spoleto.
- Mentre io rimetteva in legno l'avv.
Gnoli fra le corna di due o trecento bovi perugini che passavano per Roma, eccoti un'altra vettura di passo! Chi è? È Puccinelli con tutta la sua famiglia che va a visitare il figlio maggiore nel Collegio di Spello.
E qui toccate di mano, addii, etc.
etc.
Gnoli ha ritratto dal viaggio molto giovamento, e questo puoi farlo credere con sicurezza alla moglie che mi saluterai.
- Nulla ti dissi di Spoleto, non avendo ciò merito di occuparmi.
In quattro giorni ho veduto, letto, e disposto.
Credo che potrà andar bene.
- Va bene dell'inscri.e Trivisani.
E Deminicis non risponde! Uhm! - Circa a Frosconi avrai comunicato la risposta a Zuccardi.
Insomma, cos'è? È poi svanita la fortuna dello zio della moglie? o che sia morto? Ma se fosse morto lasciandole bene, esse non avrebbero abbandonato la loro benedetta Parigi.
Mi confondo.
- Se rivedi il Marchese Antici salutamelo; anzi per suo mezzo vorrei (se fosse possibile) far chiedere scusa al Sig.
Honory se nell'unico momento in cui lo vidi, il bisogno del dire e del dimandare altre cose mi fece mancare al dovere di offerirgli la società ristretta della nostra casa.
Potresti per mezzo del Marchese Antici, a tuo e mio nome, far supplire? - Le notizie di Ciro nostro mi consolano assai.
Io penso di occuparmi molto della sua vita, se Iddio prolunga la mia.
Dagli tanti baci per me; e ringrazia Stanislao.
- Venendo ora all'affare con Peppino, non credere che mentre io procuro di persuaderti pro bono pacis, io non traveda il punto vero della ragione; ma che vuoi fare con questi cervelli duri e storti come corni? Se Fratocchi non ti farà per la tua porz.e qualche agevolezza avremo evitato con 25 paoli un'altra tiritera che finirebbe il giorno del giudizio.
Tu sai che con altre persone e in altri affari ho voluto e saputo sostenere il tuo diritto, ma qui mangio ad una tavola e tratto con gente diversa, e mi parrebbe aver l'aria di un cursore sotto le cibarie, malgrado tutto lo splendore del dritto che esercitassi.
Quindi accetto con riconoscenza l'arbitrio che mi dai.
Se peraltro fosse in tempo (come credo bene) di togliere dalla procura l'espressione delle spese del rogito di essa, potrei procurare di fare un altro tentativo per fartele risparmiare: altrimenti lasciamo correre.
- Saluta e ringrazia Pippo.
Qui piove sempre, e vi son feste d'ogni genere per la fiera di Campitello.
Io non esco mai di casa, e passeggio assai pel salone.
- Ricevo la tua del giorno corrente: qui non c'è più carta: dunque ti aggiungerò un altro mezzo foglio.
Ti abbraccio di cuore.
LETTERA 118.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, venerdì 1° ottobre 1830
Mia cara Mariuccia
Avrai avuto la mia di mercoledì 29 settembre.
In quest'ordinario non ho avuto tue lettere: spero che ciò sia per aver tu mancato ieri di tempo in cui rispondere alla sudd.a mia.
Nella notte da mercoledì a giovedì alle 11 meno 10 secondi pomeridiane, si è sentito un terremoto molto forte e ondulatorio a quanto mi parve.
Io aveva cenato da mezz'ora e stava scrivendo appunto la parola terremoto per servirmene in certo mio lavoro.
Appena chiamato rispose.
Scrivo in una bottega: che penna! Ti abbraccio, e mi riporto all'ultima mia.
Sono il tuo P.
Mille baci a Ciro.
LETTERA 119.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, giovedì 26 maggio 1831
Mia cara Mariuccia
Parve un destino! Non dirti neppure addio prima di partire benché fra noi ne fosse poco prima stato parlato! Ma Publio stava alla finestra del camerino fumando; Menicuccio andava su e giù seguitando i facchini: io in sala a far la guardia alla casa e al bagaglio che restava tuttavia su.
Quindi dovetti scendere io stesso per invigilare alla collocazione e alla salvezza degli oggetti: allora chiamato discese anche Publio, e Menicuccio salì.
In questo io avrei dovuto ritornare su a salutarti, ma il vetturino m'intontì colla fretta e partì.
A Fontana di Trevi mi accorsi del mio mancamento, e ne mostrai gran rammarico.
Publio voleva tornare indietro, ma a me parve tardi, ed oltre a ciò cosa irregolare il ribussare alla porta, e far rialzare Menicuccio che forse già rientrava nel letto.
Tu mi avrai peraltro aspettato, e ti sarai maravigliata del mio procedere; e se forse il moto del legno non ti avesse avvertita della mia partenza, non avresti saputo che pensare non vedendo più alcuno.
Publio però e questi della famiglia possono essermi testimonii del rammarico che fin qui ho sempre dimostrato del fatto.
- Alle 4 uscimmo dalla porta Maggiore, cioè circa alla levata del sole; ed all'avemaria eravamo già sotto le mura di Veroli: viaggio felicissimo, eseguito con rapidità, interrotto da sole tre ore di rinfresco cioè due a Valmontone, 25 miglia da Roma ed una all'osteria di Alatri, 5 miglia distante da Veroli: viaggio, ripeto, felicissimo, in ottimo legno, con eccellente vetturino, pieno di libertà e comodo, sotto begninissimo cielo, e sopra una lieta strada fra amene campagne.
Qui ho trovato affettuosa ospitalità, casa superba, e clima eccellente, benché ancora alquanto freschetto.
Io arrivai così leggiero come quanto partii: 60 miglia mi parvero una delle trottate fatte da noi insieme per Roma.
Sto bene, ho appetito, e odo dirmi che di ora in ora mostro un viso più chiaro e più vivo.
Miracoli, so bene, l'aria non ne fa; ma pure il buon'animo che accompagna queste assicurazioni de' miei ospiti mi riempie di gratitudine e di fiducia nell'avvenire.
Della festa qui celebrata martedì a sera e ieri per la...
LETTERA 120.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, martedì 7 giugno 1831
Mia cara Mariuccia
Sono al solito dispiacere, di udirti così oppressa di fatiche, delle quali quando sono lontano non posso darti un sollievo, e quando son vicino neppure, mentre tu sempre mi ripeti esser la nostra una barca da condursi da una sola mano: la qual cosa per dir la verità nella massima parte la credo.
Ma almeno allorché la perversità de' tempi vorrà permettertelo, procura di prendere qualche poco di svario.
Anche qui la stagione va strana.
Allorché arrivai, trovai freddo; poi il tempo parve rivolgersi al buono: da qualche giorno però sono tornate acque, venti e stravaganze.
Intanto io sto coperto della mia lana, e non soffro di simili variazioni.
L'appetito regge e le guance pare che si rigonfino alquanto.
- Io stesso ho secondato i tuoi sproni su Publio onde fissi con la madre la mia dozzina.
Egli però soffre di una porzioncella di quella indolenza che rimprovera nel fratello Icilio; questo non nuocendo nulladimeno alle di lui buone qualità.
Ma spero che lo farà quanto prima e te ne darà ragguaglio.
Egli già non è affatto capace di dolo; perciò solamente per tuo avviso ti faccio sapere che la vettura sin qui con tutte le spesette straordinarie di viaggio fu da noi due pagato a metà.
Col vetturino verolano avrebbe pagato lui avendoci affari particolari.
Ma questo motivo non sussisteva più con un altro conduttore.
- Vedremo cosa saprà fare quel capo-d'opera di Vulpiani.
Io credo che se egli si approfitterà della ospitalità che noi già gli offrimmo per un mese, non ci sarà lecito di tirarci più indietro.
Dio volesse che ciò potesse contribuire a far risorgere i di lui affari onde migliorino anche i nostri con esso.
Ma particolarmente in queste circostanze di tempi, chi sa! - Dimmi un poco: trovasti un tomo del Giraud che Publio lesse la sera antecedente alla nostra partenza? Mariuccia mia da' mille baci a Ciro nostro, e benedicilo.
Amami poi e credimi il tuo P.
che ti abbraccia di cuore.
LETTERA 121.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, martedì 14 giugno 1831
Di molta soddisfazione mi sarebbe riuscito e mi riuscirà quandunque sia il vedere il carattere del nostro caro Ciro ed in esso una prova del di lui ben essere.
Ma poiché, siccome benissimo tu dici, una lettera, per quanto breve la si voglia, egli da per sé non potrebbe né concepirla né farla, così sono contentissimo che ciò accada allorquando la necessaria assistenza ti resterà meno incomoda a prestargliela.
Intanto abbraccialo di tutto cuore per me.
- Publio mi risponde che egli ti ha scritto nell'ordinario scorso, cioè sabato 11.
Sul proposito però della mia dozzina non ha fatto fin qui nulla, e questa mattina alle mie istanze assai premurose opponeva l'essere a me facilissimo l'offrire quello che mi paresse secondo la proporzione del trattamento che io vedo farmisi.
Il trattamento è quale in una famiglia si può desiderare; ma che io mi avanzi a fare offerte o contrattare su ciò che deve non solo risguardare un interesse mio personale ma la stessa mia propria delicatezza, lo vedo oltre le forze del mio carattere.
Quindi alle nuove preghiere da me avanzategli affinché accomodi egli questo affare secondo il già convenuto concerto, mi ha promesso che certamente lo farà, e che tu poi senza complimenti conchiuderai a piacer tuo.
Circa al Sig.
Bochet, qualora dietro buona giustificazione tu avrai sborsato del denaro al di lui raccomandato,
...
[Pagina successiva]