LE LETTERE 1, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 19
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Circa a Gagliole ti dissi nella mia consegnata alla Marcolini essere Gnoli passato per Macerata un giorno prima di me: avendo dunque parlato con Antinori, restarono fra loro di concerto che Gnoli da Fuligno gli avrebbe spedito un foglio di riassunzione.
Antinori però pretende che sino a che il B.
Governo si contenterà del solo comandare il pagamento senza assegnare alla Com.tà questa spesa nel preventivo, ne riuscirà ad essa impossibile l'effettuazione, e parimenti alla Delegazione rimarrà legata la mano alla esecuzione degli ordini.
Da Gnoli poi udrai meglio tutto, se, come credo, sarà prima di me a Roma.
Io non l'ho veduto; forse sarà andato al solito a Perugia.
Sul registro della locanda postale di Macerata vidi il suo nome segnato il 7 ottobre per la volta di Ferrara.
Mi disse ieri sera Peppino Capocci, che con tutta la famiglia ti saluta, che egli, Gnoli e Tosini vinsero cinquanta zecchini fra tutti e tre in una tombola di Fuligno circa un mese fa.
Ho parlato con l'Antaldi, la quale con fredda gentilezza mi ha risposto che il marito è tuttora a Bologna onde esigere danaro dal Governo; che Deangelis sta a Pesaro, e che ella vive al buio dello stato attuale della nostra faccenda: in generale però mi disse che il Marchese aveva approvato le disposizioni di Deangelis.
Io però gli obbiettai la mancanza de' pagamenti mensili, e quella della procura facoltativa a comporre: ella ritornò allora alla sua ignoranza.
Vedo io peraltro andare adesso a finire a buon conto l'anno che Deangelis dimandò di proroga, onde o sia scorso questo sopra uno scritto o sopra una parola, è sempre passato; e noi restiamo padroni di eseguire i mandati, sempre consigliandoci prima se l'avuto al conto pregiudichi in nulla l'azione libera primitiva.
Io intanto, se stessi in te, scriverei col prossimo corso una lettera al Deangelis a Pesaro, in termini generali che non compromettessero: la farei io stesso di qui ma non ricordo il di lui nome di battesimo, né ho modo di rintracciarlo non volendo chiederlo alla Marchesa che forse neppure vedrò più.
Ho scritto a Corazza che venga a Terni: ci era stato due giorni prima onde condurre alla caduta la Angelici di Porta Settimiana.
La Malagotti voleva venire lunedì sera a trovare la figlia, ma avendo saputo il mio arrivo, se ne astenne.
Io le ho scritto un biglietto.
Se non accede, le faccio intimare il mandato.
- Mi dice Borzacchini avere già a te scritto che il padre è alla sua tenuta per assistere alla sementa così difficile in questi tempi piovosi: appena tornerà, ciò che deve accadere in breve, parleremo dei nostri affari, non potendo farlo egli solo.
Io non so che rispondergli.
Mi assicura il Maggiore Marco Setacci (che ti saluta) che oggi manderà da me il De Sanctis debitore di Sc.
3,42 per due annate di censo.
- Peppino dice averti spedito per la posta il danaro per Ballanti, e che darà a me il residuo della sua rata di Sc.
450.
È restato assai mortificato del ritardo di questo suo pagamento, ma assicura che avendo già preparati da quasi un anno i danari, per non tenerli oziosi gli aveva investiti in olio a Sc.
29 la soma.
Questo é poi calato a Sc.
20 in 21, senza neppure trovarsene compratori.
Coletti poi ha prodotto il resto del ritardo.
Tuttociò può esser vero.
Regolerò con lui i conti.
- Sento che al primo dell'anno ritornò la dativa all'antico stato di aggravio.
Bella diminuzione è stata dunque, foriera di nuove leggerezze! - Un certo tale di Todi, se non erro, aveva offerto a Garavita pe' nostri fondi di Terni un prezzaccio, che Garavita ha ributtato con mal'umore.
Vi è ora un certo trattato lontano per quel terreno sterile che già chiedeva un tal Benedetti per mezzo di Francolini; cioè il terreno Fornaro.
Fa' una cosa: in uno de' sportelloni del mio scrittoio prendi il più grosso protocollo, vedine l'indice in principio e al fascicolo Fornaro etc.
Forse troverai (che ci dev'essere) la perizia che ne facemmo elevare col mezzo di Corazza dal perito Teosoli allorché si trattò col Benedetti: se la trovi, mandamela.
-Vedrò Silvestro e se mi parla di acquisto di Piedelmonte, ci andrò prestando un orecchio.
- Pagò Mirabelli al 25 d'agosto gli Sc.
9? di Stocchi mi si dice di sì.
Francesco Diomede deve farlo a momenti.
- Temo molto che, o paghi o siavi costretto, la Magalotti cavi fuori la pretensione della riduzione, perché qui l'estinzione di Mazzoneschi è conosciuta, e forse si è anche parlato della nostra differenza: onde la Magalotti ne avrà tirato lume.
Dimmi un poco Mariuccia mia, non si potrebbe ottenere coll'esempio di altri anni un lasciapassare per me? Forse la fissazione della dogana nuova a porta del popolo, se già è andata in vigore, renderà più difficili queste licenze che si accordavano già per risparmiare ai viaggiatori l'andare a Piazza di Pietra.
E poi non so se venendo io dall'estero, potrei...
basta, vedi un poco, e se mai l'ottieni, o mandamelo o dimmi da dove hai affacciato la mia provenienza, se da Milano cioè o da Terni: onde io non mi trovi in contraddizione: parrebbe però meglio dire tutta la verità onde non avere un cattivo testimonio nel passaporto.
- Quel Fossati che ti diriggo con la lettera della Marcolini è cognito anche a Tavani: mi mostra piacere di conoscere la mia famiglia, di cui aveva spesso parlato con Mariannina Zuccardi con cui fece già l'amore.
Bacia tanto Ciro.
Ti salutano tutti; e saluta tutti.
Ti abbraccio di cuore.
Il tuo P.
P.S.
Io non porto niente, ma sempre è bene evitare le dogane.
LETTERA 79.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 9 novembre 1827
Cara Mariuccia mia
I baffi già sono partiti! Sei contenta?
Non ho avuto oggi tue lettere: comprendo che ieri la mia ti sarà arrivata troppo tardi; ed oltre a ciò era secondo il solito un processo.
Ho fatto i conti con Peppino: non ti ho mandato ancora quel poco che ho raccolto, per non fare tante mandatelle nel caso che mi fosse riuscito di riscuotere qualche altra cosa.
- Il P.
Ferrini di Cesi non voleva comprare la quercia, ma il dritto di tagliarne qualche ramo figurati tutto l'albero è stato stimato quattro paoli! Non ho dunque voluto più parlarne, essendomi sembrato d'incontrare un gran ridicolo e una gran fama di affamato, se avessi conchiuso fra quattro persone cioè Stocchi, il di lui subaffittuario, il frate, e me un contratto di quattro o cinque baiocchi.
- Il ricevuto di Ballanti lo manderai per occasione: anzi ci penserò io al mio ritorno, piacendomi di vedere come Ballanti lo abbia concepito.
Di Borzacchini nulla si sa, stando nel cuore della sementa.
Questa mattina ho scritto al figlio un biglietto polito e forte.
Io vedo che andremo alla fine del mese con tutti e duecento gli scudi, oltre i pochi frutti etc.
Ho riparlato alla Pelucca: mi burla, come udrai.
- Ho fatto la intimazione alla Magalotti: vedremo.
- Hai avuto la mia lettera recata da Peppe Serafini? Hai veduto Labella? Hai veduto Matteucci, Emiliani, Miss Anna Trail? Quanti ne passano, tanti te ne spingo a darti mie nuove.
In tutti gli anni il rivederti mi è stato assai caro: quest'anno però non vedo l'ora: forse, oltre al piacere grande di riabbracciar te si aggiunge l'interesse di riunirmi al vantaggio del nostro Ciro più grandicello e più bisognoso di assistenza che non negli anni passati.
Con te sta ottimamente, ma sei tanto occupata! In due faremo qualche cosa di più.
- Nella lettera che consegnai a Serafini, ti dava notizie che avrò il passaporto di qui pel ritorno, onde tu parlassi subito all'avv.
Ricci.
Noi ci vedremo sui primi giorni della settimana ventura, perché assicurati che stanno in modo le cose da fare meglio a Roma che qui.
Corazza mi ha dato parola d'onore, che appena accomodato il suo affare con Borzacchini, vende dell'olio, e manda a Roma gli Sc.
100 e la procura.
Sul resto risolvi liberamente a tutto tuo piacere, perchè quando sei contenta tu sono contentone ancor io.
Ti abbraccio.
Il tuo P.
LETTERA 80.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Terni, 11 novembre 1827
C.
Mariuccia
Ho impostato altra lettera alla ora legale cioè mezzogiorno.
Ora sono le 4 e ricevo la tua di ieri.
Babocci mezzo addetto alla posta mi fa il bel piacere di inserire la presente fra i pacchi già chiusi pel corriere che arriva ora.
Farò chiamare Silvestro: per questa rag.e, se non vedi gli Sc.
170 come ti dissi nell'altra mia di questa mattina non stare in pena, giacchè se Silvestro stringe manderò tutto insieme mentre altrimenti per Sc.
400 pagherei Sc.
4.
Ti sarò docile in tutto: va bene? Sei contenta? - Garavita si è malato: si spera che non sarà nulla.
La tua lettera potrebbe forse obligarmi a stare qui qualche altro giorno: se dunque non mi vedi non ti prender pena.
Addio.
Abbraccio te e il caro Ciro.
Sono il tuo Duca.
LETTERA 81.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
[Terni, 12 novembre 1827]
Mia Cara Mariuccia
E un'altra lettera: ti avrò seccato: ma non mi par vero di poter conversare con te ogni giorno, o darti le notizie così, come si suol dire, a botta calda.
- Come avrai udito da altra mia mandai a chiamare Silvestro, il quale è disceso questa mattina.
L'ho condotto da Garavita e lì abbiamo parlato; ma inutilmente: sono disceso a poco a poco agli Sc.
2300 e Garavita mi faceva il ruffiano: non vuole aggiungere nulla sugli Sc.
2200, dicendo di pagare a rigore di stima il terreno, e il casino più di quello che lo stato suo e le condizioni de' tempi possono meritare.
Mi sono sdegnato, e dopo molte parole l'ho lasciato con Garavita e sono partito, sperando che Garavita l'avrebbe convertito.
Al contrario: egli ha seguitato a protestare che malgrado tutto il dispiacere che sente pel probabile di lui allontanamento da quei luoghi dove è nato, non può assolutamente fondare più degli Sc.
2200 sopra una possessione fallacissima, soggetta a rischi, patita nel fabbricato etc.
etc., e della quale non vi sarà alcuno che ci offra di più.
In quanto a quest'ultimo punto, sia detto qui in silenzio fra noi, lo credo fermamente anch'io; e vorrei esser bugiardo.
- Finalmente è partito protestando che se l'affare fosse così buono per lui come io glielo do a credere, egli non sarebbe così sciocco di abbandonarlo.
- In tutti i modi io dimani credo di soddisfare alle tue vedute andando su a distaccare gli arazzi e portarli in Terni, mentre o il terreno resti a te o lo comprino altri è meglio levarli.
Conduco meco Babocci per fattorino.
Ecco che mi sono attenuto agli estremi del tuo permesso, mentre l'accondiscendere agli Sc.
2200 poteva meritarmi da te un rimprovero, stando fuori dalle conferitemi facoltà.
- Circa all'invio de' danari attienti alla lettera che ti farò giungere giovedì 15, mentre potrebbe darsi che dimani Silvestro si cambiasse ma non lo credo.
Visiterò bene dimani i telai delle finestre che egli mi dice essere sgangherati e farò altre diligenti inspezioni.
Però è certo, che ammesso anche tutto ciò che si può dire contro alcune vendite, il possedere beni bisognosi di manutenzione e possederli distanti dal domicilio è una gran faccenda.
Ti dissi che Borzacchini mi pagò Sc.
100, e il resto e i frutti li darà al fine del mese venendo egli a Roma per la stipulazione.
- La presente ti sarà ricapitata da Gnoli.
Addio: ti abbraccio di cuore e do un bacio a Ciro.
Il tuo P.
P.S.
Mi pare che Venerdì io non sarò più qui certo: pure se per metterti al sicuro da tutti i casi volessi giovedì mattina scrivermi un rigo, mi farai piacere; ed io parlerò a Babocci, il quale se io sarò partito avrà da me le mie istruzioni sul sicuro destino di tua lettera.
Già io sapeva la notificazione sul vestire di panni nostrani: lo faremo: poco bene e poco male: io vesto di nero, e il panno nero a Roma si fa bene o almeno passabilmente.
LETTERA 82.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 14 novembre 1827
Mariuccia mia
Grazie del lasciapassare.
Per non vivere in gran pena mi è necessario sperare che il freddo di ieri non ti abbia prodotto il male di cui temi.
Non sono ancora partito per l'affare di Silvestro e degli arazzi.
Il primo è restato sgomentato, ma ancora non cede; Garavita crede che cederà di certo dopo che colla partenza mia avrà conosciuto la mia fermezza.
Forse tu, per qualche residuo della massima in cui eri, godrai quasi di questa precaria sconclusione; ma io che esamino tutte le cose con più cognizione di fatto credo sempre che per qualche e qualche anno ti convenga meglio il non posseder stabili, e che inoltre quello di Piedelmonte non è mal venduto al prezzo in questione.
Staccai ieri arazzi e cornici e già sono a Terni.
Li batterò bene in oggi, e poi bene condizionati resteranno qui perchè il vetturale si aspetta.
Allora verranno a Roma dentro un sacco dello stesso vetturale, e non si sciuperanno di certo.
Avrò in oggi la fede di questa segreteria Comunale.
- In tutti i modi imposterò dunque dimani Sc.
270, in cui sono compresi gli Sc.
22:75 di Macchietti, de' quali mi ha pagato l'impostatura.
Se poi dopo il mio ritorno Silvestro volesse conchiudere, farò in modo che i suoi Sc.
410 vengano insieme coi 100 di Corazza onde formare il pieno di 500 meno dispendioso per la posta.
Ci abbraccieremo in breve: ora dipende tutto dalle vetture.
Avesti la mia portata da Neroni? Essa ti avrà dato lumi sulla mancanza della spediz.
de' denari.
Gnoli l'hai veduto? Abbraccia Ciro come io abbraccio te.
Il tuo Pecora
LETTERA 83.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 15 novembre 1827
Mariuccia mia
Eccoti il danaro in otto cartocci
1° Piastre: Sc.
55
2° Idem: 55
3° Papetti: 20
4° Idem: 20
5° Grossetti: 10
6° Idem: 10
7° Piastre: 50
8° Oro, e argento sciolto: 50
Sc.: 270
Di Macchietti: 22:75
Per te: 247:25
Al mio arrivo faremo i conti.
Ieri sera, stando al caffè, si parlava della difficoltà attuale di trovare qui posti per Roma.
Disse allora l'avv.
Ciatti di avere in quel punto fermato due posti in una vettura buona per sabato mattina, ed esservene ancora due vuoti.
Mi feci insegnare il vetturino, e subito corsi a fermarne per me.
Partirò dunque dopodimani con buona compagnia, e arriverò a Roma domenica, meno qualche circostanza imprevista.
Quasi contemporaneamente con me giungerà la vettura cogli arazzi.
È un vetturale con cui Peppino ti mandò del danaro, e tiene stalla qui in casa.
Ancora non so quanto dovrai dargli: te ne avviserò dimani per la posta.
Il sacco è di Peppino.
Ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo Pecora.
LETTERA 84.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 16 novembre 1827
Mariuccia mia
Ancora sono qui, e la causa di ciò consiste tanto nel perdimento di tempo per l'affare di Silvestro, quanto nel non avere prima trovato vettura.
Ieri impostai per la diligenza Sc.
270, e unii nel pacco un foglio in cui ti avvisava che io partirei dimani mattina sabato 17 onde arrivare a Roma nel dopo pranzo di domenica 18, salve circostanze accidentali.
Temeva quasi però che detta notizia che ti avrebbe dovuto giungere oggi, non ti giungesse che Dio sa quando, ed anche dopo il mio arrivo perché ieri al giorno la diligenza non passò e si temette che tarderebbe qualche giorno per le molte nevi cadute a Colfiorito.
Finalmente è passata questa mattina circa le 10, cosicché tu avrai il danaro, il mio foglio accluso e la presente, tutto contemporaneamente.
- Mi dispiace assai che tu abbia a perdere la buona occasione che ti si era presentata di rinvestire il danaro di Silvestro; ma che vuoi fare? Adesso non sarei più in tempo neppure di farlo avvisare: e poi non vi sarebbe neppure la nostra convenienza di cedere così presto.
Lascia fare, che ho bene istruito Garavita (il quale è guarito) e ci sentiremo fra lui e me per lettera.
Egli crede che Silvestro cederà: in tutti i modi per adesso è bene che io parta un poco alto con lui.
Peraltro non è mica vero che Silvestro abbia di sicuro aff.to sedici mesi e mezzo: io non sono così gonzo, e nella quietanza fattagli per gli Sc.
90 ho ben detto che quantunque io riceva adesso l'annata invece che al primo Aprile 1828, io non dovrò per ciò esser vincolato nella libertà di vendere il terreno a chi mi capiti in questi quattro mesi e mezzo; nel qual caso gli si dovranno rendere gli Sc.
90, come di ragione.
Questa per lui può essere una spina acuta che Garavita farà giuocare, quando lo vedrà.
La lettera portata da Gnoli mancava di data, è vero, e me ne venne il sospetto mentre io andava a letto.
Ma che vuoi che ti dica: lasciai Gnoli per andare a scrivere quella lettera, mentre egli si metteva a cenare per poi andar subito a dormire, dovendo ripartire assai di buon'ora.
Nel piccolo spazio di tempo ti dissi molte cose, e la fretta mi fece dimenticare la data.
Però ti era facile supporla da te, perché quella di Neroni era del giorno avanti, e quella di Gnoli del giorno appresso.
Gnoli impiegò due giorni a venire a Roma; vi deve essere giunto mercoledì 14: dunque la mia lettera era della sera di lunedì 12.
Il vetturale che porterà gli arazzi le cornici ed i chiodi doveva partire dimani: forse starà un altro o due altri giorni: sarò dunque io in Roma al di lui arrivo.
Non gli si dovranno dare che paoli sette: sei contenta? Ti abbraccio, Mariuccia mia: fallo tu con Ciro: e domenica lo faremo tutti e tre insieme.
Addio.
Il tuo P.
LETTERA 85.
A GIUSEPPE DEANGELIS - PESARO
[1 gennaio 1828]
G.mo mio Sig.
Deangelis
È già compiuto l'anno dacché per effetto di Sua mediazione noi abbiamo sospeso le due cause contro la famiglia Antaldi per le quali già anteriormente avevamo i mandati spediti.
Pochissimo abbiamo avuto in quest'anno; e intanto oltre i frutti arretrati vanno correndo gli attuali; giace il capitale derivante da Conti di funzioni e spese fatte dal defunto mio suocero e non se ne paga compenso; resta il censo senza fondo censito, venduto con poca fede dai Sig.ri Antaldi etc.
etc.
- Io dunque indignato da tante mancanze di parola, distrutta in me ogni reliquia di pazienza, e fin anche di ogni riguardo verso le promesse di V.S.
feraci sino ad ora di sì poco frutto, Le protesto col presente biglietto di andare senza alcun altro momento d'indugio a por termine ai mezzi legali, onde ottener tutti i fini qui espressi, in via la più rigorosa.
Non si maravigli del mio procedere giustissimo: io invece mi maraviglio altamente della spensieratezza biasimevole dei Sig.ri Antaldi, e dirò ancora delle fallaci promesse di V.S.
- Mi creda pieno di riguardi.
Di casa primo del 1828.
D.mo obb.mo serv.re
Giuseppe Gioachino Belli
LETTERA 86.
A FERDINANDO MALVICA,
SEGRETARIO DELL'ACCADEMIA TIBERINA - ROMA
[7 gennaio 1828]
Chiarissimo Sig.
Segretario
Corre già qualche anno da che que' rispettosi nostri Colleghi i quali, chiamati dagli annuali suffragi a reggere l'Accademia nostra coll'opera e col consiglio, seggono in alto dove voi oggi sedete: tutti o Padri onorati di famiglia, o gravi Ecclesiastici, o dotti dottori, o integri magistrati, o splendidi patrizii, o studiosissimi giovani; corre già qualche anno, ripeto, che que' nostri rispettabil colleghi mentre singolarmente presi uno per uno vi allacciano con la soavità delle maniere, vi edificano con la giustizia del cuore, e v'incantano con la finezza del giudicio, associati poi appena in collegio e accinti alle consigliari deliberazioni, perdono tosto miseramente la stella polare, e balzano là a modo di naufraghi ad un posto, che quasi sempre per verità lor si propizia non perché intendono eglino drittamente a cercarlo, ma sì perché con meravigliosa aberrazione della natura va loro il posto stupendamente all'incontro.
Ammissioni di candidati, cacciate di accademici, formazioni di terne, collezioni di uficii, decreti di onori, negazione di premii, censura di opere, collezione di pecunia, chiamate di socii, inviti a comporre, applicazione di principii, uso finalmente di mezzi, tutto per non so quale destino quasi dirò deputato allo sforzo della nostra Accademia, rinchiude alcun vizio di forma, e qualche germe di vergogna.
Di varie cose mi sono io di tratto in tratto richiamato, sopra molte ho mormorato, in moltissime ho usato pazienza.
Oggi però che fuori di bisogno dell'Accademia, in onta delle leggi sue, e contro il rispetto della formalità, cotanto pur necessarie alla incolumità della sostanza, veggo essersi dal testè cessato Consiglio proceduto il 31 dicembre a deliberazioni immature, alzo liberamente la voce e me ne dolgo al consiglio novello, del quale voi tenete i segreti.
Il giorno 5 dicembre fu a me dal bidello dell'Accademia presentata una lettera data pel Consiglio pro tempore dal Segretario annuale Sig.
Pietro Sterbini il 22 allor recente novembre nella quale a ciascun socio si proponevano sei articoli di esame intorno ad una innovazione desiderabile in comune nell'ultima adunanza generale dell'anno; cioè la nomina di un archivista perpetuo a cui venisse affidata la cura e il buon ordine di tutti gli atti riguardanti il nostro letterario Instituto.
Lessi io la lettera e mi ingegnai di ponderarne le gravi ragioni che persuasero la sapienza del consiglio ad accettare a pieni voti la proposizione fatta di quella novità da due egregi suoi membri: ma o fosse tardità del mio ingegno nel penetrare le troppo recondite utilità del progetto, o soverchia tenacità di amore verso quelle leggi che, in riforma delle vecchie, io insieme con altri quattro miei colleghi fondatori compilai il 14 gennaio 1816 per facoltà delegataci nell'Adunanza generale del Xbre 1815; o fosse in fine vera inefficacia di esse ragioni a convincere chi non si trovasse preoccupato di mente e di cuore; quest'una cosa è certa che la persuasione del Consiglio in me punto non trapassò.
Preparatomi però sopra cadauno de' sei articoli un buon corredo di rilievi, io me ne stava tranquillo aspettando l'adunanza generale del 31 dicembre bandita ordinariamente nel consueto elenco di prose già distribuito fin dal principio dell'anno.
Giunse finalmente quel giorno, e qui, ch.
Sig.
Segretario, comincia il soggetto del mio attuale richiamo, col quale intendo di provare e di chiedere che l'adunanza generale del 31 dicembre 1827 sia nulla essenzialmente, e come tale se ne debbono cancellare tutti gli atti che possano esservi nati.
Io mi recava dunque in quella data all'Accademia Tiberina onde assistere all'adunanza generale ordinaria dopo il solito letterario esercizio, e in quella perorare a difesa della integrità delle nostre leggi, quando mi venne saputo per via essere l'adunanza già terminata e sciolta dal Sig.
Presidente, e in quel punto andarsi tenendo il letterario esercizio fra que' pochi soci che vi avevano assistito.
Me ne ritornai allora indietro stringendomi nelle spalle come uomo incapace di spiegare il come e il perché quella cosa accadesse.
Ma nel giorno consecutivo tutto divenne palese, quando dimandatine varii accademici, alcuni mi risposero di nulla saperne meglio di me, e altri mi favorirono la spiegazione del fatto dicendomi il Sig.
Presidente avere opinato e per intimo speciale procacciato di anticipare straordinariamente alle ore 23 1/2 quell'adunanza che ordinavasi doveva tenersi dopo il solito letterario esercizio, affinché non si protraesse troppo in lungo la sera destinata a certa solennità che con pompa magnifica di parole e di atti in effetto si consumò: e mi dissero di più come terminata e sciolta quell'adunanza straordinariamente già intimata per apposito biglietto, il presidente dopo il letterario esercizio con appello verbale ai presenti ne convocasse una seconda, per darvi compimento alle cose che per difetto di numero legale fra i membri del consiglio non eransi nella prima adunanza potute completamente ordinare né definitivamente risolvere.
Voi sapete, ch.
Sig.
Segretario, e con voi tutti coloro lo sanno ai quali non è occulto lo spirito delle nostre leggi né fosco il generale lume del discorso, che onde possa dirsi legale un'assemblea in cui abbiano voce tutti i domiciliati nella terra dove si aduna, a tutti quelli ne deve precedere ufficiale notifica e intimazione e ciò al giudizioso ed ovvio fine che tutti intervengano a usare lor dritto, a dire loro sentenza, e udire l'altrui, onde chiarire la materia in discussione e scambievolmente persuadere o essere persuasi.
Che se si comportasse il mal uso di intimare chi sì e chi no, tosto inverrebbe l'abuso di far chiamata a coloro soltanto de' quali anticipatamente si fosse esplorato il consiglio favorevole alla massima controversa e così vincerebbesi pienamente ogni partito: lo che è sempre con ogni diligenza di cure e severità di sanzioni, da vietarsi prima e punirsi dopo del fatto.
Ora delle due adunanze tenute il 31 io non potei assistere alla prima, perché non ne ricevetti l'invito: non potei assistere alla seconda, perché la convocazione e il successivo scioglimento della prima me la fece ritenere quale era di fatto disintimata; e quello che accadde a me avvenne eziandio ad altri socii, de' quali io non nominerò qui per cagioni di esempio che i soli Sig.
Lovery e Tenerani.
Così le ragioni che io aveva per operare contro il progetto di legge andarono in vano; e s'impedì che io con argomenti da altri non avvisati potessi volgere i consenzienti al mio voto, o che i consenzienti con le riflessioni loro da me non sapute, potessero svolgermi dalla mia opinione: in ambedue i quali casi un lodevole effetto doveva sempre risultare alla incerta giustizia della causa in arringa.
E che molto io mi tenessi buono a dire non dubitate, ch.
Sig.
Segretario; ma piuttosto, se volete, maravigliatevi pure della vanità di mia presunzione.
La conseguenza avrebbe risoluto il problema, e il fine provati i mezzi.
In verità molto avrei detto e prima e dopo la nomina dell'archivista: prima della nomina, dimostrando agli accademici la vanità di tutto il progetto; e aprendo loro gli occhi con vergini prove sulla malizia precipuamente, e sul rischio del sesto articolo di quello: dopo la nomina, sostenendo che l'atto disteso per dar forza di legge al partito già vinto, implicava ed implica una imperfezione ed un bivio, di cui si vedrebbero gli effetti appena il nuovo segretario e l'Istoriografo dell'Accademia si accorgessero non essere nel detto atto con esplicite parole state cancellate le disposizioni degli art.li 18, 19 e 20 delle leggi nostre, in virtù de' quali possono e debbono entrambi contrastare all'eletto archivista per l'esercizio delle conferitegli attribuzioni rivendicandole a se stessi dacché l'inclusione di una cosa posteriore non importa esclusione di un'altra preesistente.
Intanto io non potei parlare, né con me poteronlo altri socii, e di questi quando anche non fosse seguita alcuna scambievole persuasione delle parti discordi, s'ignora poi infine quale sarebbe stato il colore de' voti segreti.
Io, ripeto ancora, non potei parlare perché non intimato; e se la non intimazione di un accademico avente diritto fa nullo tutto ciò che lui insciente si delibera e si risolve, la prima adunanza straordinaria del 31 e molto più la seconda convocata senza alcuna regola, e, direi, quasi con sorpresa e per modo d'insorgenza, sono di dritto nulle e come non fatte.
Né gioverebbe a chi venisse mai in capo questa bizzarra eccezione, l'oppormi una negligenza del bidello.
Gli atti che si emanano senza preventiva citazione non sono già nulli per ciò che non fosse consegnata la citazione al cursore, ma sì dove dal cursore non fu presentata al citando.
Il tribunale potrà sì gastigare il cursore, ma gli atti mal fatti per sua negligenza non saranno perciò meno nulli, perché nati insciente la parte, la quale doveva, e non il cursore, essere avvertita.
L'Accademia deve chiamare me: io riconosco lei: ella vigili sulla diligenza di chi può comprometterla.
E qui vi dimando ossequiosamente, ch.
Sig.
Segretario, che la presente mia lettera sia da voi passata al Consiglio, e quindi letta alla prima adunanza generale in figura di formale protesta e di speciale mozione per la nullità delle ripetute due adunanze e degli atti usciti da quelle.
E pieno di tutti i sentimenti degni di voi, ho l'onore di dichiararmi
oggi, 7 gennaio 1828
Vostro servitore e collega
G.
G.
Belli
LETTERA 87.
DICHIARAZIONE FATTA DAL SOTTOSCRITTO NELL'ADUNANZA GENERALE DELL'ACCADEMIA TIBERINA LA SERA DEL 28 GENNAIO 1828.
Quando io, con alcuni compagni eguali tutti di studii e di desiderio di gloria, fondai questa oggi famosa Accad.a Tiberina, ebbi in pensiero di stabilire un nodo di pace e di amore, che molte persone unisse ad una medesima lode.
- Oggi, che vedo deluso il mio scopo vi rinunzio per sempre, e mi dichiaro cancellato dall'albo degli Accademici tiberini, non piacendomi di partecipare di un onore amareggiato per l'una parte dell'Accademia da soverchia offesa, e per l'altra da eccessiva pazienza.
- La mia perdita è di niun momento, siccome saggiamente opinò un rispettabile membro dell'attuale Consiglio.
La Accademia ha molto e moltissimo può avere di che ristorarla.
Nulla però ha l'Accademia Tiberina di che riparare al mio amor proprio oltraggiato, dapoiché sa così umanamente soffrire i colpi che si danno alle sue leggi fondamentali.
Questo è l'atto della mia ultima volontà e libertà accademica.
Giuseppe Gioachino Belli
uno de' fondatori dell'Acc.a Tib.a
LETTERA 88.
AL CAV.
PIETRO E.
VISCONTI ACC.° TIB.° - ROMA
[10 febbraio 1828]
Chiarissimo amico,
Ho udito che voi incliniate a credermi disposto a ritirare la mia rinuncia tiberina, qualora il Consiglio non l'accetti.
Questa opinione, nata forse nel vostro animo da qualche mal inteso che sia occorso ne' nostri colloquii in proposito, mi pare meritare di essere da me chiarita onde, non faccia sì luogo in alcun tempo ad equivoci sulla natura della mia volontà.
Io vi lasciai padrone di insinuare al Consiglio il rifiuto delle tre note rinuncie, perché padrone realmente ne siete, né autorità alcuna potrebbe da me partire per allontanarvi dal vostro divisamento: ma aggiunsi poi essere mia intenzione di considerare sempre la rinuncia mia per valida e ferma.
In questo pensiero, caro amico, io sto e starò immutabile.
E lo ripeto a voi in questo foglio, siccome in voce a tutti, affinché non accada che allorquando, come spero, il Consiglio Accademico mi cancellerà dell'albo de' socii, quell'atto sembri anzi un commiato che una partenza.
Fate voi ciò che le vostre cortesi massime vi dicono bello: io continuerò quello che il mio carattere mi fece giudicar buono, e restiamo, se non più colleghi nel fiacco vincolo tiberino, colleghi nel modo più saldo della reciproca stima e dell'amore sociale.
E con tutti i sentimenti degni di voi mi confermo vostro amico e servitore
Gius.e Gioach.o Belli
LETTERA 89.
A MADAME HORTENSE ALLART DE THÉRASE
[Le 20 mars 1828]
Madame,
J'ai lu vôtre beau roman, et je vous en dire un mot, bien que je connaisse cette règle établie par la prudence de ne jamais donner des conseils et d'avis à qui n'en démande pas.
Vous trouverez par conséquent dans ma démarche plus de franchise que de politesse.
Mais comme je crois vous avoir comme femme supérieure et dégagée des outrances qui constituent la pluspart des bienséances de la société, je hazarde d'enfreindre auprès de vous cette loi vigoureuse pour m'éléver jusqu'à vôtre caractère, ou, si vous voulez, jusqu'à vôtre indulgente.
Ce sera tout dit sur les impressions que la lecture de vôtre ouvrage m'éxcita, lorsque je vous aurai assurée que je l'eusse répétée très-volontiers si ce n'eût été la crainte d'abuser de vôtre prêt.
L'attention suppléa cependant au retour; et je conserve et conserverai pour long-temps cet enthousiasme de pensées, ces émotions de coeur et ce trouble d'esprit, dont vous savez si bien le secret.
Peu de livres de cette éspèce peuvent amener un lecteur non commun à réfiéchir autant que vôtre Gertrude le fait; très-peu lui inspirer un intérét si vif et si constant dans des bornes aussi étroites que le salon d'une société à la mode, la maison d'une famille, les murs d'une rétraite, et le coeur de deux amants.
Il faut beaucoup connaître la nature humaine, les ressorts des passions et les mysthères de la méthaphisique pour s'emparer de la sorte de l'esprit des hommes avec si peu de moyens et sans le divertir.
Il est nécessaire d'avoir profondement médité sur la politique des états, sur les bésoins des peuples et sur les verités de la philosophie pour dévélopper avec tant de vigueur et de noblesse des principes sublimes, importants, vrais, mais égarant à la fois une raison non radicalement affermée à faide de la méditation et à l'école de l'expérience.
Vous devez avoir reçu, Madame, une âme assez mâle et énergique; vous avez dû beacoup voir et entendre, mais plus encore écouter et comprendre; vous avez dû sentir plus que vous n'ayez observé et compris.
Vôtre genie vous traça une route sur la quelle vôtre coeur et vôtre âme furent vos meilleurs guides; vous avez visé à un but, dont les plus grands modèles de l'art vous dévoilérent la hauteur tandis que vôtre originalité vous en applanit l'atteinte.
Un langage plein de grace et de persuasion; un style par moment modeste et hardi, mais toujours passionné et enchanteur; une exposition salutaire des troubles du monde; un essai frappant des dangers et des espérances de la vie; une peinture animée des longues douleurs et des courtes consolations humaines; un contraste bizarre de la destinée inevitable avec celle que les hommes se créent; un tableau expressif des dommages et des ressources qu'on peut trouver en soi même et au déhors; une nuance délicate mais apercevable entre les lois de la nature et celles de la providence; voila, Madame, ce que vôtre ouvrage renferme digne de fixer les regards des gens éclairés.
Aussi je pense que les personnes d'une classe inférieure ne sauront guère s'y amuser et par conséquent ils l'appreciéront au dessous de sa valeur, car ce qui donne du prix au mérite c'est toujours l'agrément.
Mais du fond même d'où nait l'objet de mon admiration, je vois, Madame, s'éléver le sujet de mes doutes.
Je veux plutôt m'éxposer à avoir le tort qu'à vous cacher ce qui prend àmes yeux un aspect de raison.
Je crains, Madame, deux choses qui seront pourtant l'une et l'autre sans fondement; la première que vous n'ayez pas assez suivi les événements qui pour la pluspart eússent peut-être donné à l'ensemble le charme sûr de la varieté sans nuire à l'unité et à l'intérêt principal; la seconde que vous ayez un peu trop poussé quelques caractères, et précisement ceux de votre héroine et de son amant.
Et, quant à la première, passe que vous tranchiez aussi brusquement sur la société de Paris et sur ses intrigues, dont vous vous étiez si heureusement servie dans vótre machine jusqu'à un certain point de l'ouvrage; l'on pourrait me repondre que il n'en était plus bésoin.
Passe encore cet oubli soudain des ennemis de Gertrude et de leur vengéance irritée; passe le silente sur le denoûment du sort périlleux de Charles livré aux poursuites d'une police rusée chez un protecteur équivoque qui agissait par seul intérêt personnel choqué bientôt et détruit dans le mauvais accueil de ses voeux.
Passe enfin le départ mystherieux de cette pauvre Juliane, les passions et les malheurs de laquelle nous avaient trop émus pour ce que sa fin ne méritât pas encore des paroles et des larmes.
Ce mysthère, j'en conviens, ne manque pas son effet avec l'éspèce d'effroi qu'il nous jette dans fame attendrie; cependant, je ne sais, j'y trouve un vide que j'aimerais mieux rempli autrement que par la seule terreur.
Mais Léonor! La bonne, la chaste, l'aimable Léonor! Mais Pélage! cet amant si épris de ses attraits et de ses vertus! Mais Mr.
Müller! ce mortel généreux qui ne craint pas de sacrifier les dernières affections de sa vie à une femme adorable si non adorée, à un amour presque autant fatal à son bonheur domestique qu'il l'était à sa vanité.
Ne nous pas dire même un mot de leur félicité ou infélicité reciproques après ce divorce annoncé à peine!
Hedwige part, Hedwige meurt, et sa mort nous est rapportée en des termes si touchants! Certes, dans l'action général elle avait joué un rôle bien tendre et affectueux; mais pourrait-on le comparer à celui de sa soeur, ou du moins le lui préférer?
Vous reduisez donc tout-à-coup vótre roman presqu'à deux personnages, vous employez le 3.me volume presque tout entier à anatomiser pour ainsi dire deux coeurs, à analyser une fiamme jusqu'à ses éléments les plus étherées, à occuper le lecteur d'abstractions des choses aux idées, à leur rétracer l'image d'une passion trop souvent sans limites et trop parfois limitée par une puissance d'âme miraculeuse et par des subtilités intellectuelles mieux singulières que rares.
Là tout l'univers a disparu devant vos yeux.
Pour un traité de moeurs cela irait à merveille; mais pour de moeurs en action, pour des passions considerées en rapport avec leurs sujets, enfin pour un roman qui doit ressembler à une histoire, peut-être foudrait-il ménager d'avantage les esprits et ne les pas fatiguer avec un luxe de speculative qui les épuise tout en les extasiant.
Or c'est précisement là que s'appuye la deuxième partie de mes timides plaintes contre cet ouvrage, ainsi d'ailleurs admirable par tant de sublimité.
Je le répète: me tromperais-je, Madame, ou n'auriez-vous point poussé trop loin vos principaux caractères? Vous avez du talent et de la conscience plus qu'il n'en faudrait à plusieurs écrivains à la fois.
Examinez donc sans prévention et sans amour propre si mon opinion est juste ou non; et daignez m'éclairer si je vis dans l'erreur.
En général j'ai toujours cru incontestable à l'égard des peintures morales que tout ce qu'on n'ait pas trouvé en soi méme, il faille le chercher dans la société moyennant une observation mûre et une analyse assidue et scrupuleuse.
C'est pas ce seul moyen qu'on surprend la nature et qu'on la copie.
Ce qui n'est d'aprés nature n'est vrai; et l'imaginaire pourra bien frapper, émouvoir, ébranler, mais il ne laissaira aprèes lui rien de solide, il ne fera jamais du bien.
Il est hors de question que la nature se plait quelquefois des éxtrémités et se jette à l'extraordinaire: cependant Aristote qui prévit l'écueil où échoueraient les auteurs dont l'imagination fouguese se laisserait séduire par ces efforts, leur remontra de se défier de la vérité elle-même quand elle ne portàt la masque de la vraisemblance; ce que Boileau a depuis répeté en ces termes:
"Jamais au spectateur n'offrez rien d'incroyable:
Le vrai peut quelquefois n'étre pas vraisemblable".
Je finis, Madame, pour vous avouer ingénuement qu'en lisant de quelle manière vous raisonnez sur l'amour, je fermai souvent mon livre pour me proposer ce problème, que je ne sus pas résoudre: ou personne au Monde n'a connu l'amour comme Elle, ou Elle est trop au dessus de l'amour.
Pardonnez, de grace, une témérité que je vous prie de répéter à deux causes différentes, c'est à dire vôtre grandeur et ma petitesse.
Je suis avec tous les sentiments dignes de vous, Madame,
vôtre tres-dévoué serviteur J.
J.
Belli.
LETTERA 90.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Narni 10 settembre 182[8] ore 10 antimerid.e
Cara Mariuccia
Otto orzaroli! Chi li cercasse non li metterebbe insieme, e io gli ho trovati senza cercarli! Mi stanno tre dirimpetto, uno di fianco, due in serpa, e due sulla canestra sovrapposta alla volticella.
Non parlerò delle belle camiciuole di vellutino e di tela rigatina; non de' soavi berrettini di lanetta livida e di refe incorniciati di filetto rosso; non de' sudori beneolenti aglio o simile senso piccante sotto il senso piccato.
Tutti o di Novara o di Domodossola parlano la gentilezza del loro gergo, e si rivolgono tutti con certo rispetto orzarolesco al mio vicino, il quale perché si dimostri per di più di essi basti il dire che porta le falde, benché non abbia cappello.
Lo compra a Milano, dove si risparmiano due paoli e anche 25 baiocchi.
La buona gente non sa risolversi di prendere per un orzarolo anche me quantunque si conosca loro negli occhi che ne muoiano di voglia: ma le falde mie pare che abbiano sin qui più virtù delle già sullodate.
Per me se muoiono di voglia, povera gente muoia pure, non parlo sino a Milano.
A porta del Popolo dove montarono ad associarmi alla loro sorte, quel dalle falde principiò, brusquement et sans trop me ménager, a stringermi con le sue dimande quasi sotto il torchio de' suoi maccheroni (e dice di averne uno bello nella stanza di dietro; aggiungeremo alla bottega).
Ma alla quarta dimanda, se pure ci si arrivò, i muscoli della mia faccia già gli avevano dato le risposte per cento; cosicché tutto orzarolo che fosse conobbe il suo tempo e vide che aria tirava.
Un altro, che io dentro di me chiamo il Balafré perché è concio nel muso come il Duca di Guisa, la prese per la strada del tabacco: Ne gradite una presa? - E io: Grazie, e viso duro.
Se accettavo era finita, perché tabacco preso, amicizia fatta: questo è un assioma sociale.
Brava gente, ed anche istruita! Nel passar da Nepi seppe dire che quell'acquidotto porta a Roma l'acqua di Trevi, sotto alla quale terra noi passeremo domani, dopo valicate aspre montagne che l'acqua salta a piedi pari.
Già tutti sanno, e chi non lo sapesse lo impari, che l'acqua di Trevi viene da Trevi Umbra dove si muore di sete.
Che se i condotti romani accennassero un'altra direzione, si chiude gli occhi e col cervello si rivolgono a qual punto cardinale si vuole.
Buona gente, e anche civile! Ieri sera a cena tutti dicevano che bisognava proferire agli altri, mettere in precedenza agli altri, insomma favorire il Signore (cioè quel dalle falde più lunghe: io); e però tutti e otto mi dicevano in concerto: si servisca, soré.
E fra la verità del vino chi mi diede la notizia stupenda che il granturco ha chiesto al Papa il passo libero per Ripagrande perché fa la guerra col Re di Moscovia; chi mi narrava le ricchezze che il padre aveva lasciato a loro dodici fratelli di due madri, specialmente in vacche che ne aveva quindici.
Ogni persona che sappia di conti, trova con poca fatica che toccò una vacca e un quarto a fratello.
- Quale mi dava gli indizii per distinguere l'olio buono dal cattivo, il più sicuro de' quali faceva consistere nell'assaggio; e quale finalmente alzandosi da tavola mi ruttò assai urbanamente in faccia, e servì per saluto.
Che ti pare? Veh mihi, beato me! Ma io mi serro in una camera solo, ma io ho un buon libro, ma io sto in umore di godermeli.
E questi tre riserbi li metto qui per calma di chi, per dannata ipotesi, dubitasse della realtà della buona compagnia che il cielo mi ha largita.
Or ora a Terni.
- Dalla presente arguisci della mia salute.
Saluta tutti, dentro e fuori; particolarmente chi ci favorisce la sera di qualunque età e sesso, e chi è talora la sera da me incomodato: dico gli eccellenti inquilini del primo strato calcareo del Signore del Piombo.
Mille baci a Ciro, e mille a te.
Io sono il tuo
996
LETTERA 91.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
[Foligno, 12 settembre 1828]
Te l'aveva detto io, Mariuccia mia? L'avrebbe capito un tonto che in quell'ottavario d'orzaroli si annidava grande dottrina.
Questa mattina all'alba abbiamo avuto una lezione di fisica e poi subito appresso un'altra di filologia.
Sin ch'è stata notte si è mantenuto quel silenzio in cui gl'ignoranti e i dottori fanno una stessa figura: ma non appena il sole è comparso ad illuminare i cocuzzoli delle montagne della Castagna, che tosto una simpatia, esistente senza dubbio fra gli esseri di questo sublunare, mettendo in consonanza e in mutuo rapporto la interna luce morale de' miei novaresi e domodossolani colla esterna luce fisica di lassù, han tutti e otto principiato a dar fuori con bei ragionari che un francese tradurrebbe col nome illustre di Caquet.
Il Sole è stato definito per un fuoco, il fulmine per un altro fuoco, e l'acqua per una cosa che non si sa veramente cosa sia ma che è nemica del fuoco; e all'acqua e al fuoco il Signore dia loco.
E i fiumi vengono tutti dal mare, e, grandezza di Dio!, vi ritornano tutti: perché il mare è una gran quantità d'acqua, più alta delle montagne: e però va su su e poi scende giù giù; e non è più salata perché le montagne son dolci! Povere Colonie se se ne accorgono i caffettieri.
E molti torrenti non arrivano mai al mare perché si perdono per la secca, perché quando la terra è secca non viene acqua che non si lecca.
E l'acqua in francese si chiama Aò, ha risposto un altro dottore degli otto: e così è stato che dalle investigazioni naturali si passasse con belle transizioni alle disquisizioni dialettiche.
Io sono stato assoldato con Napuglione, seguitava a dire l'ottavino artebianca, e so come che si parla in francese.
Lo sapete voi come si chiama il brodo? Abbujò.
E l'osteria? Obbergè.
E il cacio? Frummag.
E il prosciutto? Ciampò; e via discorrendo.
Ora chiunque ha buon naso si accorge subito in quali situazioni abbia l'alunno dei galli appreso tanta glottica perizia.
Dica chi vuole; viva Dio e la lingua francese!
Un uomo che conosce questo idioma cattolico può viaggiare per tutto il mondo a occhi chiusi, e può andare, Dio scampi ognuno, anche in terra de' Turchi, dove si ammazza tanta carne battezzata.
E non crediate, gente mia, che non si dasse di barba alla povera Storia naturale che se ne stava in un cantone zitta zitta senza dar fastidio a nessuno.
Iddio passò un giorno per una strada (quando ancora non erano inventate le diligenze) e incontrato Adamo gli domandò se avesse messo il nome a tutte le bestie.
Sissignore, Signore, rispose Adamo: da Eva sino alle formiche e alli moschini (non erano inventati neppure i Microscopi per andare più in là) nessuna n'è restata senza.
Ecco perché le bestie hanno tante cognizioni.
E qui fila fila tutte le genealogie animalesche, fra le quali osservazioni ho imparato per la prima volta, confesso la mia ignoranza, che la Golpa è figlia della cagna e del lupo: e così si spiega perché pare un cane e non è un cane, pare un lupo e non è lupo, ma aggradisce le galline in bocconi come l'uno e l'altro parente.
Il Re di Torino le distruì tutte prima che nel Piemonte se ne trovassero tante come adesso; e però beati in quel Regno i capponi! Un'altra volta sulle stregonerie, argomento serio.
Per oggi è notte: buona sera.
Hai avuto le lettere di Babocci e Vannuzzi? Circa gli Sc.
12 rispondi con buona maniera di no alla dimanda di dilazione.
- Per la Pelucca e per Malagotti vedo che ce n'andremo a novembre.
- Giannocchi pagò que' due scudi che pretende aver dati mesi addietro; e dice Vannuzzi che ne ha quietanza dell'avvocato.
Dunque restano Sc.
8.
- Ho scritto a Mirabelli che se la intenda teco.
- A tempo opportuno Vannuzzi manderà a te i denari per Ballanti.
- Avendo esso pagato le dative di varij mesi, il suo conto del trimestre scaduto residua a così poco che se tu credi posso conteggiarlo con lui al mio ritorno.
Ho parlato con Sanzi, conservatore delle ipoteche di Spoleto.
Per la radiaz.e di Castelli basta un atto di consenso di brevetto, e già ho scritto a Garavita di Spoleto; per la radiaz.e dell'avvocato basta la fede di morte legalizzata e la faremo al mio ritorno in Roma.
Il Sig.
Plinj ti scrive in quest'ordinario per un affare di Marcotte da consultarsene Biscontini.
Fra brevi giorni ti spedirà un ordine di Sc.
52: 43 a beneficio dello stesso Marcotte.
Gli esiggerai per l'uso già fra noi stabilito.
Ti salutano Procacci, Plinj e Fontana.
Salutami anche tu sotto e sopra come il testo: baciami Cirone, e ricevi una buona stretta dal tuo Pecorino, che va a mutarsi in Parmegiano.
LETTERA 92.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Rimini, 14 settembre 1828, alle 9 3/4 di sera
Cara Mariuccia
Manco male che ho sonno: se no poveri Orzaroli! Ti dovevo fare il racconto delle stregonerie e di una specie di astrologia giudiziaria in cui sembrano molto dottamente iniziati; ma ho sonno; e poi hanno principiato a seccarmi, anzi stiamo bene in là nella seccatura.
- Bàstiti il sapere che gli stregoni, le streghe, i maghi (anche quelli innocenti del lotto) i fattucchieri e simili gentilezze, furono tutti da Gesù Crocifisso accondannati in ne le nozzi di Canna e Galilea dove che fu fatto il Conciglio di trenta, indove Iddio disse che lui aveva creato Roma, la Francia, l'Angrinterra, e tutto il mondo là...
nel mondo fin che ce n'è, per amallo e servillo in tutta un'internità e per questo Nové gli fece l'arca perché se salvassi dal diluvio di acqua come fece quanno che vinne tutto quel malanno dal Paradiso; e allora c'erano l'astrigoni, che se so poi aritrovati li libbri de Magia sotto terra per opera del diavolo, che se voleva addifenne al tiritolio del Regno suo, che il Signore ci addelibberi a tutti.
Vidi Torricelli che mi volle seco la sera e la notte in una sua villetta.
Combinò tutto così bene che la mattina si trovò pronta la carrozza onde proseguire il viaggio.
Voleva disfare la mia scrittura e tenermi con lui per una settimana.
Egli e Bertinelli ti salutano.
Passai da Fano molto a buon'ora, e appena potei lasciare alle Zuccardi (che anch'esse ti salutano) le carte di Pippo per Marcolini.
La Battaglia è tuttora lì.
- Ho qui veduto Ferrari che ti dice mille cose.
Mariuccia mia, ti scriverò da Milano dove, salvo errore, sarò la sera di venerdì 19.
Saluto tutti tutti e ti abbraccio con Ciro mio.
LETTERA 93.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Da S.
Ilario, 17 settembre 1828
Cara Mariuccia
Bisognerebbe far spolverare le fratte almeno tre volte la settimana: così diceva oggi seriamente il mio orzarolo colle falde lunghe, vedendo a destra e a sinistra tanta polvere ch'era una miseria.
Chi avrebbe mai pensato a un simile mezzo-termine, ho esclamato io tosto, con una certa rispettosa cera da spaventato! Siete bravo assai, Sig.
Andrea.
-Non saprei, ha risposto il Sig.
Andrea, dimenando la testa, i fianchi e tutta la persona come un'anguilla di Comacchio: Non saprei, a me m'é piasso sempre d'entrà dentro in nelle cose; ma poi so' un ignorante perché la diollogia la sanno li scultori che leggheno tutti li libbri.
- Oh vedete mo quanta sagacità e umiltà unite insieme come una minestra di riso e cavoli! Così mi piacciono gli uomini! Sapere, e nascondere; che questi altri saputelli sputaperle per lo più non sanno neppure dove il diavolo tiene la coda, cosa così chiara che basta chiederne a un caudatario, te ne dice tanto da farti dottore.
Dio volesse però che il comandare le feste toccasse una volta al mio artebianca (che fa pure il fornaio a socero) sarebbe così sempre giorno di lavoro, e le cose camminerebbero meglio, che adesso, bisogna dirlo, è una babilonia.
Sissignora, ogni mattina spazzare le fratte, e io ci metto del mio anche gli alberi, con una scopettina da destinarsi.
In questo modo, oltre al bel ristoro del viaggiatore, (che giacché soffre tanto, con rispetto, nel culo, godesse almeno un poco negli occhi) arrogerebbe altresì il conseguimento di quel primo secondo fine tanto essenziale nella vita umana, dico la mundizia ossia proprietà, cosa così necessaria alla conservazione della pulizia: e andatelo a negare senza pigliarvi una patente di jacomantonio.
Basta, Signore Iddio, confrontare le due parole onde convincersi di quanta analogia e corrispondenza passi fra le loro peculiari e corrispettive significazioni.
Bravo artebianca compellegrino mio! E non si vedrebbero mica più al mercato que' fruttacci impolverati e inzaccherati dalla cima dei capelli sino alle punte delli piedi, di modo che nemmeno col raschiatore se ne torrebbe via la sozzura incozzata: e il coltello, Dio guardi! perché persica, come dice il proverbio? persica, pira, poma cum corticibus sunt meliora.
L'orzarolo mio non sa il tedesco: però quest'ultima frase per verità non la disse, ma gli si leggeva negli occhi, e anche di peggio.
- Ah! un pezzo per ogni terra murata vi vorrebbe d'uomini simili; e non vi rimarrebbe un cane, quel che sia un cane, che non ne godesse il suo boccone.
Già si sa, si dice così per modo di dire, perché poi poi, alla fine dei fini, il paragonare gli uomini ai cani, ehm ehm, sarebbe veramente ciò che si dice da can barbone.
Non v'è nessuna bestia, propriamente detta, a cui l'uomo non possa stare di sopra, e coi piedi, o colla rotondità posteriore della sua persona: sentimento del Sig.
Andrea, tutta farina di quel testone d'uomo che bisognerebbe imbalsamarlo adesso proprio pel minor decoro che gli si potesse fare.
E ognuno può capirlo da sé cosa si dica quando vi dice balsamo! Non per niente è stata fabbricata la città di Cantiano, che Iddio ce la conservi in eterno come un'indulgenza plenaria.
E dite che l'orzarolo, anzi, che ambidue i quadrati di due orzaroli non l'abbiano capita; cuccù! Saltarono giù come otto saltimbanchi, che sono gli animaletti i più saltatori; e dentro di slancio nella officina del Sig.
Restituto Achilli; e poi fuori di trotto carichi di caraffine e scarichi di paoletti, perché imparate anche questa, ogni caraffina costa un paolo, di maniera che una decina torna a uno scudo romano: conto che si fa subito senza il ministero delle dita.
- Forse costano care? Lo so, lo so, c'è stato qualche panbianco, vero panbianco, che ha detto essere troppi dieci baiocchi per una sola, con licenza, coglioneria; come che la roba buona non costasse danari! Oh perbacco baccone vorrei mo vedere anche questa! Con una gocciola di quel portentoso esixir anti-stomatico si può comodamente far restituire il fiato a dieci uomini, e il Cielo sa quanto valga la vita di un uomo; e si troverà chi ama più un giulio che una tale boccetta! Coraggio, Sig.
Restituto mio, Ella seguiti allegramente a fare balsamo, e sino a che nel mondo vivranno orzaroli, ascolti bene la mia amichevole imprecazione, Ella non potrà morire di fame.
- Tutte queste cose, cara Mariuccia, io le dico per mostrare che so viaggiare, e racconto le cose come stanno e dove stanno, e non faccio come qualche svizzero cattolico, il quale dopo stato in un Cantone per 57 anni, finalmente si mosse pel mondo nella età della discrezione; e avendo udito a Roma che un pover'uomo si era gettato giù dall'Arco di Parma, egli che scriveva sempre giornali e recitava notturni, saltò a casa, e, traffete, schiccherò giù come in Parma vi è un bellissimo arco antico e alto alto, da cui è pio costume che si gettino a capo sotto tutti i casi detti disperati; e qui diede il Sig.
Tedesco in erudizione perché s'incalzò per modo di similitudine il salto di Leucade.
E un'altra volta, e poi ho finito, all'udir narrare di una festa fatta alla Madonna di Costantinopoli con pubblici fuochi d'artifizio a piazza Barberini, raccontò nel suo giornale medesimo con una cristiana esultanza essere una voce maligna che i barbari facciano tanta oltranza alla gente battezzata, perché benché i turchi non sappiano neppure il credo, tuttavia hanno permesso nella stessa città di Costantinopoli un simile spettacolo etc.
etc.
e qui veniva la descrizione di tutti i razzi.
Impara, Mariuccia mia, e convinciti che il Mondo è come un banco di scuola: più vi si sta, più vi s'impara: quantunque circa alla seconda proporzione vi sia chi parteggi per la negativa.
Il vetturino ha cambiato tutte le tappe onde non ispendere troppo negli ordinari della Città.
Dunque non ho potuto vedere né Piccardi, né Emiliani, né Papotti, né Oloni, né...
chi altro? Non lo so: insomma nessuno.
Dillo a Spada perché Spada lo dica a Biagini onde Biagini lo dica a chi gli pare.
Scrivo questa lettera da S.
Ilario, villaggio di assoluto confino dello Stato di Modena sette miglia prima di Parma.
Sono le dieci: vado a letto.
Un bacio a Cirone.
Ricevi mille abbracci dal tuo P.
P.S.
Porto meco la presente già scritta per impostarla dove potrò prima.
Dopo dimani spero sicuramente di aver già fatto il solenne ingresso a Milano.
È colà un susurro per questa notizia portata avanti dal vento che mi soffia dietro.
Dicono che non vi si trovi più polvere l'ho presa tutta io in viaggio.
LETTERA 94.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 4 dicembre 1828
Gentilissimo amico
Eccovi una lettera scritta procuratorio nomine cum clausula ut alter ego.
Il vostro amabile fratello, occupato oggi dalla guardia e immerso tutti questi giorni in un mare di faccende, alla vigilia com'è di una partenza per lungo e glorioso viaggio; ha incaricato me di rappresentarlo negli uffici che doveva con Voi compiere: né in ciò le circostanze mi potevano meglio servire tanto è il debito di grazie che mi corre da riferire alla veramente obbligante memoria in che io sono rimasto presso di voi esempio di rara e delicata amicizia.
Dal più riconoscente animo ho ricevuto i saluti vostri dal Cav.
Filippo sempreché me ne ha recati, e con tanta maggiore allegrezza quanto più il tempo crescente avrebbe dovuto lasciarmi rassegnato, se non all'oblio, a quella specie almeno d'indifferenza in che sogliono almeno gli uomini riporre coloro dai quali molti anni e molte miglia li divisero.
Dalla quale vostra diversità di sentire e di fare io mi godo recenti freschissimi testimoni.
Io mi son qui da pochi giorni, reduce da Milano, dove mi piace assai più la vita che altrove.
Quella città benedetta pare stata fondata per lusingare tutti i miei gusti: ampiezza discreta, moto e tranquillità, eleganza e disinvoltura, ricchezza e parsimonia, buon cuore senza fasto, spirito e non maldicenza, istruzione disgiunta da pedanteria, conservazione piuttosto che società secondo il senso moderno, niuna curiosità de' fatti altrui, lustro di arti e di mestieri, purità di cielo, amenità di sito, sanità di opinioni, lautezza di cibi, abbondanza di agi, rispetto nel volgo, civiltà generale etc.
etc.: ecco quel ch'io vi trovo secondo il mio modo di vedere le cose e di giudicarle in rapporto con me; e però se a Roma non mi richiamasse la carità del sangue e la necessità de' negozii, là mi fermerei ad àncora, e direi: hic requies mea.
Non ho sin qui veduto Parigi, ma visitandola talora nei libri vi scopro eccessi di misura nel più e nel meno, ed io non amo di associarmi agli estremi.
Gli assaggio per curiosità di palato, ma poi cerco il ristoro nel mezzo: lì sta Milano, mi pare, o che piglio un granchio più grande del Gran Can de' Tartari.
- E voi mio buon Neroni? Avete voi più viaggiato? Menaste poi i vostri figliuoli a Bologna? E qui fate plauso alla mia felice memoria, se mai mi fosse già stato detto da Filippuccio.
Come va il violino in cui uno particolarmente fra i vostri figli così bene si distingueva sin da quando io empiva il Piceno de' miei dolori colici? (Ma adesso sto come un b.f.: indovinala grillo).
E siamo Nonni eh Neroni? V'è però una gran dolcezza in quei figli, dolce che non conoscono gli schifi de' nonni denotanti che l'età va come il Mondo.
- So le lodi della vostra amabile filodrammatica: so di lapidi...
so anche che la carta è finita e i saluti non incominciati.
Dunque Padre, Madre, sorelle e tutti, parenti amici e benefattori, deo gratias! Vi abbraccia di cuore il vostro primo de' secondi
G.
G.
Belli
Palazzo Poli 2° piano.
Se Mariuccia sa che la ho cacciata in un poscritto, con tutti i saluti suoi, la mi ammazza: misericordia! Dunque, Neroni, la mia vita sta nel vostro silenzio.
LETTERA 95.
AL PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA PERGAMINEA - FOSSOMBRONE
29 gennaio 1829
Chiarissimo Sig.
Presidente
Non in modo legale, è vero, ma per avventura ricordabile; non al Presidente dell'Accademia, ma alla persona del Presidente; non per iscritto in lettera, ma a voce nella stessa sala accademica, io ebbi l'onore nel passato novembre di partecipare la infelicità delle da me praticate ricerche intorno al quesito direttomi.
Se l'Iconografia ci abbia serbate le sembianze del Pergamino.
Se pertanto mi veggo oggi giungere nella sua lettera del 2 cadente un testimonio del suo dolore per ciò che io non abbia eseguito il lavoro commessomi dall'Ecc.mo Consiglio per l'anno V; parmi che mentre anch'io debba rammaricarmi di averle cagionato tanto disgusto, m'abbia nulladimeno alcun luogo di consolazione dal vedere che il vero motivo del rimprovero dalla Ch.
Sua Sig.ria indirizzatomi dipenda quasi più da dimenticanza d'incidenti e da uniformità di già stampata modula che non da mio fallo assoluto: da poi che la Ch.
S.S.
fra gli altri pensieri dell'accademico reggimento o non si è risovvenuta del fatto di Novembre, o sovvenutosene, pure non ha forse diliberato se quella particolare insinuazione avesse valore di salvarmi da porzione del meritato rimprovero delle benché umanissime note di biasimo, o, diliberatolo ancora non ha curato decidere se la mancanza di partecipazione di un atto importi sempre ed ineccezionabilmente la mancanza d'esercizio dell'atto medesimo, a malgrado dell'assioma forense che contra contumaces omnia jura clamant.
Sopra altri ricevuti incarichi avrei io bene incorso in accademiche censure, cioè per l'ozio della mia penna, ma in questo una benignità sproporzionata alle omissioni mie non farà sì che io non me ne accusi spontaneamente all'Accademia la quale con silenzio generoso volle risparmiarmi il maggior rossore di rimprovero meglio guadagnato.
Se però unita all'accusa siami lecito mandare incontro all'indulgenza accademica una scusa del mio fallo, io dirò che una vita agitata da diversi agenti tutti nemici dell'ingegno e dei quieti studii mi tolse agio e senno per corrispondere degnamente al giudizio della aspettazione di un Consesso elettissimo, il quale, attribuendo a tutti per gentilezza la stessa buona tempra di valore che in sé ritrova e sente, non deve poi essere ingiustamente ingannato con effetti troppo inferiori all'anticipato concetto.
Se mai nella presente mia lettera la sua perspicacia incontrasse frase o parola discordante col tutto umile rispetto e colla cieca rassegnazione che l'inferiore deve al superiore suo, me ne assolva la sua clemenza, da poi che quantunque io non ebbi ribelle intenzione o talento mormorante, pure già me ne pento per l'eventualità.
E voglia sempre graziosamente riguardare
Il suo servitore obbligatissimo
G.
G.
Belli
Socio pergamineo corrispondente
LETTERA 96.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - SAN BENEDETTO
[17 febbraio 1829]
Caro Amico
Ieri sera è arrivato vostro fratello carico di onori.
Non l'ho veduto ancora, ma l'ho saputo da chi l'ha veduto.
Eccovi una buona notizia, ma io non faccio nulla per nulla; e voglio da voi un piacere.
Il 17 gennaio p.to scrissi una lettera al Sig.
Luigi Tommasi di Ripatransone su certe vertenze in affari disgraziati che non debbono a voi riuscire un mistero.
Egli non mi ha mai risposto.
Non potreste voi semplicemente da qualcuno fargli dire che io (abitante al Palazzo Poli 2° piano) aspetto da lui un riscontro alla mia del 17 gennaio? Esco or ora da una malattia di reuma, e Mariuccia contemporaneamente da un'altra.
Abbiamo poi Ciro malato anch'egli da 10 giorni di gastrica e attacco di petto.
Ah! ma speriamo un migliore avvenire.
Voi? I vostri? Fatemene tranquillo in questa stagione da Samoiedi.
Vi abbraccio di cuore
Di Roma, 17 febbraio 1829
Il Vostro amico Vero
G.
G.
Belli
LETTERA 97.
AD ANONIMO SVIZZERO
[30 luglio 1829]
Pregiabilissimo mio Sig.
[...] Michele
Ho bisogno di alcune notizie svizzere delle quali niuno meglio di Lei, vicino come ella è al centro del governo federale, potrebbe favorirmi, e tanto meno altri lo potrebbe quanto più ai lumi che in copia debbono a Lei aver procacciati il Suo domicilio e la qualità Sua.
In codesti luoghi, Ella accoppia altresì la cognizione intima di questo nostro paese, e sa in conseguenza discernere sino a qual punto possano non discordare fra loro in una stessa persona i moderni principii che ne' due Stati le vecchie consuetudini e le nuove vicende abbiano conservato, cambiato o rifuso.
L'esordio non l'adombri, né Le dia troppo magnifica idea delle mie dimande: le troverà semplicissime e non temerarie, e solo importanti dal lato della sollecitudine che deve stringere i padri al pensiero dei figli.
Mi si suppone essere nella Svizzera varii stabilimenti pubblici dove si prenda a pensione giovinetti anche di tenera età, i quali vi acquistano scienze, lettere, lingue, morale, e ginnastica, qualche ornamento etc.
etc.
vivendovi possibilmente senza morbi e senza disordini.
Vorrei dunque sapere quale fosse nella Svizzera lo stabilimento che fra tutti potesse essere a Suo giudizio il più convenire a un fanciullo romano, destinato dal padre a divenire, per quanto le felici sue disposizioni lo consentano, uomo religioso e non superstizioso, amico più dell'onore che della riputazione, coraggioso e non temerario, franco e non impertinente, obbediente e non vile, rispettoso senza adulare, emulatore senza invidia, giusto, leale, vegeto, agile, amabile, dotto, erudito: insomma un uomo da riuscire la compiacenza de' genitori e l'esempio de' concittadini.
Inoltre quanto e sotto quali condizioni (tutto compreso) sia il carico pecunario da sostenersi dalla famiglia.
Quali i rudimenti preliminari e l'età, necessari all'ammissione, quale sommariamente il piano d'istruzione e di educazione morale.
Quanta la durata del convitto etc.
etc.
Ella m'ha a sufficienza intese: ho anzi troppo detto per la Sua penetrazione.
Dalla lettura e dalla conversazione io ho bene raccolto qualche indizio, ma tale che non mi mette in quiete né può equivalermi al voto d'una persona di mia fiducia, illuminata, amica, e conoscitrice come dissi de' diversi rapporti sociali del giorno.
Più: in caso di Sua partenza da codesti climi, potrebbe Ella indicarmi persona colla quale io avessi all'uopo una corrispondenza?
Insomma io ho ardito d'incomodarla: ma prima, oltre al sentimento della Sua gentilezza, me ne sono accresciuto il coraggio parlandone col Dottore Suo fratello che ha gli stessi Suoi sentimenti.
Ella ora col favorirmi da quel cortese che mi si è sempre mostrato, mi provi di avermi perdonato l'ardire.
E riverendolo con effuse di rispetto e di amicizia me Le offero tutto a' suoi servigi
Di Roma, 30 luglio 1829
Il Suo dev.e obbl.
[firma cancellata]
Palazzo Poli 2° piano
P.S.
L'instituto di Fellemberg non sarebbe al caso?
LETTERA 98.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
La sera de' 12 agosto 1829; Dal
più odioso de' paesi che s'incontrano
nella vita: Acquapendente!
Mia cara Mariuccia
Otto e quattro? in numeri arabi, 12 - I signori Mercadanti genovesi che non potevano soffrire il Sole partendo da Roma di giorno, per istrana metamorfosi operata dal Dio Redicolo o Ridicolo si sono cambiati in quattro bravi Carbonai di Via Tomacelli che viaggiano a redeundo e tornano a Chiavari: due de' quali vanno davanti e uno di dietro; lo che tradotto in lingua più volgare vuol dire: Va sui baulli.
Quel di dentro forse meriterebbe di star di fuori; ma come que' di fuori non meriterebbero di star dentro, così vi sta bene anche lui.
Dunque, 8 dell'altro anno, e 4 di quest'anno, abbiamo compiuto la dozzina sotto gli auspici dell'orzo e del carbone.
Degli altri due ad aliam.
Anticipo la presente ad imitazione di un Duca del Sirmio onde ti arrivi il giorno in cui ti fu dato il nome di quel med.mo giorno: non so se ho detto bene.
Voleva dire un beau-mot, ma le testate nelle carrozze non sono le più proprie a risvegliare lo spirito.
Dunque, Mariuccia mia, abbiti vita lunga quanto posso desiderarlo io e lo saprà desiderare il nostro Ciro, supposto in noi affetto.
In questo viaggio è curiosa! Dove non è passato il Corriere non vi è uficio postale: dove è uficio postale trovo passato il Corriere.
Però anticipo oggi nel sabato 15, seppure una pulce che ora mi mette pel capo l'Ostessa, non dica la verità, cioè che di qui passino due soli Corrieri per settimana, e il terzo per la via di Perugia.
Allora sabato non ti arriverebbe la presente, e tu t'ingrugneresti.
Ma che colpa n'ho io? L'augurio l'ho fatto, e di cuore; ed ho sempre udito che gli auguri sono come le indulgenze e i suffragi: quando debbono arrivare arrivano secondo la intenzione di chi ne manda, e non secondo il calcolo di chi ne aspetta.
Dunque, vada: e tu rispondi, venga.
Ti do vinto il quindici, la caccia e la partita.
Salutami tutti; e ricevi un abbraccio del tuo P.
Ciro mio caro.
Papà tuo pensa sempre a te.
Ricordati delle promesse che mi hai fatte: obbedienza e studio: allora ti vorrò sempre bene.
Ti benedico.
LETTERA 99.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Firenze, 18 agosto 1829
Mia cara Mariuccia
Sabato a sera giunsi in questa Città, dove non ho trovato quasi nessuno di coloro che conosco.
La Torriglioni col marito e Landucci sono a' Bagni in Livorno.
Il Sig.
D.
Carlo Pinotti a cui nella med.ma sera del mio arrivo ricapitai la lettera di Biscontini, era co' Rondinelli a Fiesole.
Il giorno consecutivo, cioè domenica 16, venne a Firenze per me; ma in tutto il giorno non mi trovò mai.
Il Sig.
Tagliani però mi aspettò la sera alla locanda per ricapitarmi un grazioso biglietto del Sig.
D.
Carlo.
- Ieri pranzai col Generale Antonelli che ti saluta, e verso novembre passerà da Roma per Napoli.
- I miei due compagni di viaggio non Carbonai furono un Sig.
Gordoa Messicano di 32 anni versatissimo nelle letterature antiche e moderne d'Europa.
Conosce la moglie di Gaetano Paris da prima che sposasse.
Quando tornerà al Messico, dopo i suoi lunghi viaggi che ora ha compiuto, ciò che succederà presto, mi saluterà i Paris.
Se anzi vedi Checco Spada, a cui dirai mille cose per me, pregalo che racconti in Casa Belli avere io mandato saluti al Messico anche per parte loro.
- L'altro compagno di viaggio fu un fiorentino ciarlone, al quale l'americano ed io abbiamo dato varie lezioni.
- Dietro poi il legno, sotto le chiappe del quarto Carbonaio, viaggiava con noi una cassa di candelieri inargentati, come che in Toscana non vivessero candelierari.
Eppure la dogana ci ha messo le mani sopra, non badando all'interdetto che salva i beni di Chiesa.
- Di' al Canonico Spaziani che se quel Signore dell'ombrella, del delfino che parla, quell'uomo che in latino significa Arte, va ancora da Falconieri, amerei che in di lui presenza dicesse o al Cavaliere o alla Sig.ra Teresa: un mio amico mi ha scritto da Firenze che dassi a lor Signori i saluti della famiglia Marracci.
Forse vedrà qualche bel moto del Signore dell'Arte, autore forse del libro dell'arte e di tutte le cabalette del lotto.
A Roma racconterò al Canonico storie da farlo trasecolare.
Altro che ombrella!
Alla presente rispondimi a Genova per dove partirò questa notte.
- La mia salute è ottima; e la tua? Fai nessun bagno? Fallo, Mariuccia mia.
- A tuo comodo passa mille saluti ai Ricci e alle Terziani; come pure riveriscimi tutti i Signori della tua società.
Ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo P.
P.S.
Avesti la mia di Acquapendente?
Ciro mio caro, se vedessi che graziosi ragazzetti sono qui a Firenze! Studiano, rispettano tutti, sono composti, savii, gentili...
E tu, Ciro mio? Pensa che ti fai grande, e devi essere la consolazione di Mammà e di Papà.
Abbi quindi in mente l'obbligo tuo.
LETTERA 100.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Genova, 26 agosto 1829
Mia cara Mariuccia
Sono in questa superba Città dalla sera del giorno 23.
Vi starò sino al 3 di settembre, essendo troppe le cose da vedere, e non basterebbe un buon mese stancandosi.
Il 5 o il 6 sarò a Milano.
Sto scrivendo la storia del mio passaporto.
Allorché sarò tornato a Roma credo che messo in bilancio con l'oro varrà più dell'equipollente metallo: e i giri poi e le firme di tre quattro e 5 ufficii per ogni Città sono cose da poema: udrai.
Se vedi Fossati digli che Orsolini non è mai tornato a Milano.
Tanto egli che il Sig.
Parodi mi guidano.
Io però faccio molto anche da me.
Se vedi Biagini, narragli che quantunque egli mancasse di lasciarmi l'indirizzo del libro che voleva da Minucci, pure credo di essermi con questo spiegato; ed egli l'avrà colle solite spedizioni.
Un altro se vedi.
Se vedi il M.se Morando, fagli da mia parte ringraziamento dell'avermi procurato la conoscenza del Sig.
Pagano Direttore della Gazzetta.
Mariuccia mia cara, sappi che i quattrini corrono come barberi, benché io non abbia preso un divertimento propriamente detto.
Questo è un discorso d'ogni anno, mi risponderai.
È vero, benché però altri nelle mie stesse circostanze, essendo anche più tirchi di me all'occasione, spendono pure alla fin de' conti di più.
Ma Dio te lo perdoni! Io spendo, e la colpa è quasi tua.
Me ne sto buono buono a Roma come un angeletto, e tu mi vieni a provocare! Un altr'anno ti faccio cantare.
Bella gratitudine! tu ripeti.
No, Mariuccia mia, io ti sono gratissimo di quanto tu fai per me, e Dio mi vede il cuore; ma allorché considero l'aggravio che questi miei viaggi resi ormai non necessarii arrecano alla casa, me ne vergogno.
Ma di ciò basti.
Smanio di ricevere una tua lettera.
Spero di averne dimani dapoiché, secondo i calcoli che faccio, il sabato 22 tu devi avere risposto alla mia di Firenze del 18.
Temo sempre che o tu o Ciro stiate poco bene.
Non v'è alcuna ragione; lo vedo; ma provo ogni anno di più che l'amore della casa e della famiglia si va in me accrescendo con l'età.
Ieri sera trovai in un caffè il fratello di Tavani, quello che ha per moglie la Frantz.
È stato a Milano, e viaggia.
Temo però che non ritrarrà dai viaggi lo stesso profitto che può ritrarre il fratello.
Questo è un buon ragazzotto, ma a lumi si sta male.
Insomma è il sartore.
A Pisa, giovedì, pranzai con un pulitissimo e graziosissimo uomo, Aubert Muradgià Livornese, di circa 50 anni, figlio di A...
[nome illeggibile], e negoziante e possidente in detta Città marittima.
Finito il pranzo mi salutò colla maggiore cordialità e andò a gettarsi dalla cima della torre pendente.
Dalle carte trovategli si rilevò avere già tutto premeditato.
Io però non ho mai veduto uomo più presente a se stesso, più tranquillo e più indifferente.
Mi dolse assai, tanto più che aveva la stessissima faccia del fu Giuseppe Mazio mio zio.
Forse colla morte volle prevenire qualche fallimento.
Che fa Ciro mio? Ti ubbidisce? Si ricorda le promesse che mi ha date? Studia? - Ah! Mi pare mille anni che non vi ho veduto! Ti abbraccio coi soliti sentimenti di affetto
Il tuo P.
LETTERA 101.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Milano, 5 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Non ho subito risposto alla cara tua del 22 agosto, da me ricevuta a Genova essendo che il giorno anteriore a quello in cui mi giunse detta tua lettera te ne aveva già inviata un'altra mia in cui ti dava avviso del mio buono arrivo in quella bella Città.
Altronde mi riserbava risponderti appena arrivassi a Milano, onde anche non accumulare tante lettere contro la probabilità delle incrociature: e appresso a tutto la spesa della posta è da queste parti veramente eccessiva tanto nel mandare che nel ricevere lettere.
- Eccomi dunque a Milano sin da ieri mattina all'un'ora pomeridiana, essendo partito da Genova il Mercoldì 2 siccome credo che ti prevenissi.
Se non mi mancassi tu, se non mi mancasse Ciro, se non mancasse la mia cameretta, crederei d'essere a casa mia, tanto è gentile e affettuosa l'accoglienza che mi vanno facendo i buoni Moraglia.
Scrivo in questo momento nello studio del caro Giacomo il quale lavora accanito, e ti dice infinite cose.
Così ti saluta il fratello Peppe che ricorda anche Biscontini.
- Trovai a Genova Gaggini, e mi rivide con estremo piacere, facendomi molte e molte dimande di te.
- La lettera che mi dici avermi scritta a Firenze non mi pervenne: forse vi sarà arrivata dopo la mia partenza.
- Credo che Parriani ti avrà incaricata egli stesso di spedirgli il danaro per la posta: altrimenti il danaro dell'impostatura andrebbe a nostro carico.
Dopo l'avviso di tenere il danaro a sua disposizione egli doveva farti presentare ordine e persona ad esigere.
Ma questa è piccola cosa.
- Il foglio di Stocchi, che il messo ha perduto, fu cavato da me da vari altri fogli di perizie: mi dispiace però sempre simile perdita, in vista della estrema difficoltà che mi era costato l'indurre Stocchi a firmare dal 1826 in poi, difficoltà forse aumentabile in una ripetizione di firma.
Io meco non ho le carte necessarie alla rinnovazione del foglio smarrito, né potrò però al mio passaggio per Terni fare altro che parlare con Peppino e con Stocchi.
- Cercherò D.
Antonio.
La cognata di Moraglia non lo vide che una volta sola, e non se ne seppe più nulla.
La curiosa è che detta cognata di Moraglia un giorno prima che io arrivassi a Milano aveva impostata una lettera di riscontro ad una che io aveva inclusa per lei fra molte altre agli altri amici, in quel pacco che consegnai alla Frosconi per Calvi: il qual pacco è stato da Calvi ricevuto di recente.
Ed anche Moraglia, circa 20 giorni fa, consegnò una lettera per me ad un Milanese, muratore di professione, che si recava a Viterbo e poi forse a Roma.
Dunque dette lettere hanno ricevuto il riscontro della mia bocca prima che io le abbia lette; ciocché farò al mio ritorno.
- So che qui è Baruzzi, incaricato da te di salutarmi: lo cercherò.
- Sino ad ora ti ho giuocato a coppe: ora mi è necessario di bussarti a danari.
Mi dispiace assai di dovertelo dire; ma verso i 25 di questo mese non ne avrò più.
È vero che quantunque mi tardassero da Roma qualche giorno oltre il 25, non per questo qui mi mancherebbe da ricorrere.
Fa il piacere di salutarmi chi ti chiede di me, e ricevi da me un abbraccio affettuoso.
Il tuo P.
Bravo Cirone! Mi volevi scrivere in carta bollata eh? Studia, Ciro mio caro; e intanto io farò vedere a D.
Antonio le due righe che mi hai scritto a Genova.
Ti abbraccio e benedico.
LETTERA 102.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 14 settembre 1829
C.
Mariuccia
Ricevo la tua carissima, data il 5 corrente settembre.
Questa è la seconda lettera tua che mi è pervenuta, non avendo io avuto prima di essa che l'altra del 22 agosto mentre io stava a Genova.
Per la qual cosa ignoro quale specie di foglio, relativo a Vulpiani tu mi abbia dimandato.
M'immagino dal contesto della tua a cui oggi rispondo, che forse tu avrai inteso volere qualche carta di approvazione intorno alla cinquina di dilazione da accordarsi a quel debitore.
In caso che la sia così, qui annesso ti scrivo un foglio in cui ti do ampie facoltà di far tutto ciò che ti piace: se poi si tratta d'altro, tornerai a parlarmene, ed avrai pazienza, giacché io non ho ricevuto la lettera in cui me ne devi aver tenuto discorso.
- Il giorno 5 ti scrissi altra lettera in cui ti tastava il polso con espressioni anche più chiare, come avrai udito.
Ma siccome è probabile, anzi quasi certo che, dopo il 20, Moraglia ed io andiamo a fare un giretto sui laghi, e a Lugano, e a Morcò, a vedere i parenti di Fossati, nel qual giro impiegheremo circa otto o dieci giorni, affinché la lettera in cui mi spedirai (credo al solito) una cambiale, non giaccia tanto in posta, non sapendo io il preciso sul giorno della mia andata né su quello del mio ritorno, potrai indirizzare la lettera a G.
G.
Belli, il tutto in caratteri tondarelli e distinti.
- Ho trovato presto D.
Antonio.
Egli sta bene, celebra qualche messa di discreta elemosina, e sta vicino ad andare a Marsiglia.
Pare però che il pensiero di un ritorno a Roma lo vada tentando; ed io coopero alla tentazione.
Non puoi credere quante cose mi dice per te e per Ciro; e saluta poi Rossi e tutta la conversazione.
Qui a Milano è un nipote di Rossi.
- Le Frosconi partirono per Parigi due giorni prima che io arrivassi a Milano: la madre lasciò al marito una graziosa letterina da spedirsi a Roma al mio indirizzo, piena di belle espressioni per me e per te.
La Battaglini le aveva scritto di volere andare a Parigi con loro, e poi non si è fatta più sentire.
- Cencio Galli da pochi giorni è qui reduce da Londra.
C'è anche Zuccoli; c'è Frecavalli, c'è un mondo di gente che conosco.
Goditi, se puoi, qualche festa; ricevi mille saluti da Moraglia; abbracciami tanto tanto il nostro Ciro che benedico; e ricevi un bacio dal tuo P.
LETTERA 103.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 28 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Domenica 20 del cadente mese era il giorno in cui io doveva andare con Moraglia a fare il giro di cui ti parlai in altra mia.
Ma siccome nel precedente ordinario io non aveva ricevuto tue lettere, così immaginandomi ricevere in d.° giorno in cui arrivava il corriere feci trattenere il legno fino ad ora di apertura di posta.
Vi trovai infatti la cara tua del 15 contenente la cambiale Torlonia sopra Marietti per Lire austriache 305:50.
- Già dal giorno innanzi io aveva dato all'amico Baruzzi un mio foglio per te.
Ricevuta pertanto la tua lettera del 15 tornai a casa e scrissi in fretta un altro biglietto a Baruzzi, al quale feci ricapitarlo dal mio padrone di casa, per dirgli che giungendo a Roma te lo consegnasse insieme colla lettera datagli il giorno avanti, onde tu avessi notizia dell'arrivo di d.a cambiale.
Fatto ciò montai in legno e partii.
Tornato ieri seppi da Frecavalli che Baruzzi partì realmente il martedì 22 come aveva stabilito, ma che per certe ragioni avrebbe consumato in viaggio circa quindici giorni benché andando col corriere.
Vedendo io dunque che le mie notizie le porterebbe troppo più tardi di quello che io avrei creduto, ho pensato di rimediare al possibile con la presente, onde tu non abbia a stare in pena né per me né per la cambiale, quantunque l'avviso datoti da me precedentemente del mio giro per questi laghi etc.
ti potesse pure spiegare in qualche modo il mio silenzio.
- Il mio viaggetto adunque è terminato come cominciò, felicemente in verità, ma fra diluvii continui.
Ho veduto spettacoli prodotti dall'acqua.
I danni di queste provincie subalpine, e le rovine della Svizzera e de' luoghi circostanti sono orrendi ed incalcolabili.
Il terribile di questa Natura commossa presenta pure un non so che d'imponente in riflesso specialmente della qualità de' luoghi sopra i quali ha infierito e infierisce.
A voce ti narrerò in parte le scene di desolazione che s'incontrano, e si odono qui raccontare.
- Spero che il foglio che ti mandai per Vulpiani avrà appagato il desiderio che dovevi avere espresso nella tua lettera che non arrivò mai.
Le circostanze che mi accenni intorno a' tuoi occhi, alle tue fatiche e ai tuoi imbarazzi mi disturbano assai.
Da' mille baci a Ciro nostro che benedico.
- Cercherò del Sig.
Lucchi.
- Circa alla valuta della cambiale te ne dico qui unite due parole che se vedrà anche Spada non mi dispiacerò.
Ti abbraccio di tutto cuore.
Il tuo P.
[In foglio separato, continua:]
LETTERA 104.
Di Milano, 28 settembre 1829
Mia cara Mariuccia
Ebbi in tempo la cambiale Torlonia sopra Marietti per L.
austriache 305:50 unitamente alla tua lettera in cui mi dicevi in data del 15 che su detta cambiale avrei avuto la perfetta valuta di pareggio di colonnati 50, avendo tu pagato costì tutto il di più che costì e qua si sarebbe potuto pretendere pel cambio etc., onde nulla di meno mi giungesse dei detti colonnati 50 - Vedo tuttavia che il Sig.
Torlonia è più amico di S.
Matteo pubblicano che di S.
Matteo divenuto apostolo.
Il cambio de' colonnati era ed è di Lire 6 e centesimi 22 per ogni pezzo.
Ecco il conteggio
I colonnati Lire: 50.
moltiplicati p.
Lire austriache: 6:22
formano: L.
311:00
Ho avuto: L.
305:50
Scapito: L.5:50
cioè bai: 88.
- Non so perché dunque il sig.
Torlonia abbia conteggiato a 6:11 invece di 6:22, a quanti il giusto cambio giungeva, quandoché ancora quantunque il Cambio fosse stato al saggio più sfavorevole, tu eri disposta a pagare a Roma la differenza.
E neppure questo scapito si può imputare a provvigione del Banco Marietti, poiché tocca sempre la ragione che tu ti esprimesti di sborsare ogni peso al Torlonia onde a me giungessero netti i 50 colonnati.
E già sono persuaso che uniti questi 88 baiocchi, indebitamente ritenuti in onta del Cambio del giorno, al molto più che tu avrai pagato a Roma, per questa miseria di somma si sarà sopportato il 5, o il 6 per Cento.
Bel mestiere quello di S.
Matteo! - Questo santo però divenuto apostolo predicò l'obbligo della restituzione.
Ti abbraccio di nuovo e sono il tuo Belli.
LETTERA 105.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Milano, 14 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Nulla più disordinato del nostro carteggio di quest'anno.
Per me tu sai che ti ho regolarmente scritto da ogni luogo dove sono stato.
Vorrei lodarmi altrettanto delle lettere tue, non che tu non me ne abbia spedite, ma che le avessi io ricevute.
Già si smarrì quella prima in cui cominciasti a parlarmi di Vulpiani, la quale neppure ho più saputo dove mi fosse stata da te diretta, come non so altresì se abbi tu ricevuto il foglio che per Vulpiani ti spedii, né se andasse bene in quel modo.
Insomma dalla tua del 15 settembre latrice della Cambiale di L.
305:50 io nulla ho più veduto de' miei caratteri.
Eppure te ne riscontrai il 20 settembre per l'occasione di Baruzzi e quindi al mio ritorno da Lugano avendo udito da Frecavalli che Baruzzi partito di qui il 22 settembre si sarebbe fermato alquanti giorni in viaggio benché andando col corriere, ti ripetei alla lettera per la posta sotto il 28 onde tu non fossi in pena, quantunque da' miei precedenti avvisi tu dovessi sapere che io era andato fuori di Milano.
Da quell'epoca sino a questa mattina sono andato regolarmente alla posta tre volte la settimana all'arrivo di ogni corriere e mai nulla vi ho trovato.
Sono persuaso che ciò provenga da impicci passati ma pure ti confesso che ciò non lascia di tenermi un poco inquieto, sapendo da te che in Roma vi erano grandi malattie: senza di che tu conosci quanto silenzio incertezza e lontananza siano insieme di fastidio.
Intanto eccomi giunto all'ultimo giorno da me fissato per la mia dimora in questa Città, cosa di cui ti avrei avvisato prima se non avessi aspettato il tuo riscontro almeno alla mia del 28.
Così stando le cose e avendo io già da tre giorni preso la caparra dal vetturino per Bologna contava di avvisarti di non spedirmi qui altra lettera e mi duole che forse ve ne arriverà una allorché sarò partito: spero almeno che non vi sarà nulla di premuroso altrimenti adesso non saprei neppure dove dovrei invitarti a ripetermene il contenuto.
Eccone la ragione.
Per la stessa occasione di Baruzzi io mandai a Fossombrone una lettera a Torricelli per avvisarlo che dentro il mese corrente sarei andato a trovarlo, riservandomi a dargliene più precisa notizia circa al giorno in cui sarei arrivato, allorché fossi sulle mosse di partire da Milano oppure appena arrivato a Bologna.
Difatti oggi stesso mi disponeva a fargli la promessa partecipazione; ma che! andando alla posta - per cercare tue lettere ne ho trovata invece una di lui che mi scrive da Firenze dove si trova - per suoi affari: e dai brevi termini della sua lettera arguisco che neppure può avere avuto quel mio foglio spintogli per Baruzzi.
Ecco dunque variato tutto l'ordine del mio viaggio: e ti assicuro che qui su due piedi, stando a momenti per partire, non posso prendere nessuna risoluzione che in progresso di viaggio non mi vedessi in necessità di cambiare.
Passerò pel Furlo? passerò per la Marca? passerò per la Toscana? In poche ore che mi rimangono a restar qui e affollatissime non ho agio di poter risolvere con sicurezza.
Tu dunque dove mi scriverai? Per ora sospendi tutto.
Da Bologna ti darò più precisi dettagli e allora ti regolerai sopra quelli.
È una fatalità, ma, cuor mio, non è mia colpa.
Vado arguendo che quest'anno ci rivedremo assai prima: tanto meglio così.
Vidi il Sig.
Lucchi amabilissimo, che ti saluta.
- D.
Antonio partì per Marsiglia: ma mi pare che Roma gli ripasseggi per la fantasia.
Di' a Ciro nostro che studii e sia buono altrimenti non c'è regaletto.
Gli ho comprato una cosa per una pezzetta di Spagna.
Vedrai che vale di più: povero figlio, ci si divertirà e tu la terrai riposta come già accadde di qualche altra cosa.
Si trovava anche a Roma, ma oltre che vi sarebbe costata di più, i regali che vengono di fuori sono più graditi.
Saluti di qui, e saluti per costì.
Ti abbraccio di tutto cuore.
Il tuo P.
LETTERA 106.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, lunedì 19 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Son qui da sabato in ottima salute.
Ma quel benedetto Baruzzi è curioso! Mi disse che eccettuati due giorni di dimora in Imola, veniva direttamente a Roma col corriere, e oggi ho saputo che cinque giorni fa era ancor qui.
Chi sa se arriva a Roma nemmeno per novembre! Mi ebbe poi bene avvertito Frecavalli di qualche di lui ritardo in viaggio, ma non credevo mai tanto.
- Il vivo dispiacere di mancare in tanto tempo di nuove tue, di Ciro, e della casa mi è pure ieri stato di qualche momento alleviato dal Curiale Deangelis il quale mi dice che partì da Roma il 3, e che tre giorni avanti era stato da te senza trovarti in casa.
A buon conto dunque so qualche cosa indirettamente di te sino al fine di settembre.
Spero pertanto che da quell'epoca al giorno d'oggi nulla ti sia accaduto di sinistro.
La posta per Roma parte oggi alle 3 pomeridiane, e alle 5 arriva quella di Milano.
Smanio che arrivino dunque le 5 per vedere se Moraglia mi abbia spedito qualche tua ivi arrivata dopo la mia partenza da quella città.
Sto qui aspettando Torricelli che deve arrivare da Firenze nella settimana.
Arrivandoti la presente giovedì 22 in ora che tu possa aver tempo di rispondere azzarda una linea all'indirizzo di Bologna in cui tu mi dica queste sole parole: noi stiamo tutti bene addio.
E tanto dico azzarda un sol rigo, in quanto che conosco che quantunque ti riescisse di rispondermi in pronto corso, pure la tua lettera non giungerebbe qui che domenica 28, nel qual giorno io non so se potrò più trovarmi in questa Città; nel qual caso sarà minor male che vi resti una lettera che ti sia costata la minor fatica possibile.
Tuttociò poi che devi dirmi di esteso, scrivilo sabato 27 e indirizza la lettera, senz'altro ricapito, a Fano, dove io passerò o vada o no a Fossombrone.
Vedi quanta confusione produce questo incaglio di tue lettere per un mese, motivo per cui sperando io d'ordinario in ordinario di riceverne, mi fuggì l'opportunità di avvisarti in tempo il mio itinerario, al che si è poi aggiunta la improvvisa mutazione di esso per la repentina notizia della dimora di Torricelli.
Mariuccia mia, da me non dipende il non aver fatto di meglio.
- Intanto sappi che con Deangelis non ho parlato di nulla, perché mentre io pranzava nella trattoria di una locanda, egli passò colla valigia per andar su nella stanza destinatagli, essendo arrivato in quel punto.
Mi disse due parole e poi seguì il facchino.
Allora non volli disturbarlo: stamattina non l'ho trovato quando sono andato alla sua locanda a cercarlo.
- Un bacio a Ciro.
Cento a te.
Il tuo P.
LETTERA 107.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Bologna, venerdì 23 ottobre 1829
Mia cara Mariuccia
Brava Mariuccia mia: hai pensato benissimo; e la tua lettera mi ha trovato a Bologna.
Ti assicuro che mi ha consolato più questa tua lettera che non lo avrebbe fatto un terno; mi ripongo in tranquillità dopo tanto tempo di mancanza di tue nuove; mentre è certo che dalla tua del 15 settembre nulla più ebbi, né mai vidi quel Sig.
Gamorra.
- Non so come tu abbia ad inculcarmi di passare da Terni, mentre questa è cosa che io faccio tutti gli anni, e parmi già noto fra noi che lo avrei praticato nell'anno corrente.
Ti sembrerebbe forse che io potessi chiuder gli occhi alla urgenza degli affari di casa quando riguardano te e Ciro? A me penserei meno.
Se la Cuccoma non minchiona io partirò di qui lunedì 26, e mi tratterrò una giornata in Pesaro per vedere il Sig.
Andreatini, e un altro giorno a Fano onde trovarmi allo spaccio delle lettere in caso che ve ne sia una tua.
Torricelli non può per ora lasciare Firenze.
Vorrebbe ad ogni costo che io lo rappresentassi come dice egli in casa sua perfino che egli tornasse; ma io gli ho risposto che per ogni riguardo non credo bene di andare dove manca il padrone.
Dunque tirerò di lungo, in modo che fra i Morti e S.
Carlo conto di essere in Terni.
- Ricevo grandi favori dal Dottor Mazza che ti saluta con Scarabelli; e ambidue abbracciano Ciro.
Dunque il nostro Cirone ancora non vuole studiar bene? Non dubitare, Mariuccia mia, che arriverà a tempo quanto ogni altro.
Intanto però convengo che si debba stargli sopra.
Ti salutano i coniugi Massari, ed i Celsi, e il Dottor Labella che ho veduto mezz'ora fa.
Ricordami agli amici e prendi un abbraccio dal tuo P.
LETTERA 108.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Fano, giovedì 29 ottobre 1829
Cara Mariuccia
Due righe, che il corriere parte.
Son qui da due ore.
Pesaro viene prima di Fano: dunque ciò che mi dici dell'affare Antaldi non è in tempo; ma non lo sarebbe stato neppure prima perché quantunque avessi fin da Bologna avvisato Andreatini del mio passaggio, egli non ebbe la mia lettera essendo da varii giorni assente da Pesaro e per varii altri giorni lo sarà.
La moglie e i giovani di studio ignorano tutto.
Da Antaldi non andai, perché non avendo potuto sapere da Andreatini lo stato dell'affare temei di compromettermi in qualche punto da me ignorato.
- Prendo delle intelligenze colla Marcolini (da cui pranzo oggi, e che è gravida, e ti saluta) perché potendo ritirare in tempo le carte da Pesaro le porti ella stessa a Roma per dove parte di qui il 4 di Novembre: in caso contrario ci penserà l'avvocato Cadabene.
- La Battaglini ti saluta, e ti loda del bel contratto fatto con Piombino.
La famiglia Borgogelli è in campagna: l'altra dell'abate non lo so.
- Baci mille a te, e a Ciro.
- Se io trovo vettura parto domani: se no appena la trovo.
Scrivo con le penne della Battaglini...
dunque...
Il tuo P.
La Marcolini sarà a Roma il 7 e va ad abitare tra la Stamperia camerale e i SS.
Angeli custodi in casa di un certo Bellini.
LETTERA 109.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Lettera sigillata a sigillo la mattina del
sabato vigilia di tutti i Santi dell'anno
1829, a mezzodì.
Cara Mariuccia
La vettura fu trovata appunto la stessa sera in cui ti scrissi l'ultima mia.
Partii dunque da Fano la mattina di ieri Venerdì 30, e giungerò a Terni verso il mezzodì del lunedì 2, appunto nel momento in cui il portalettere ti ricapiterà questa mia.
Già per lettera ho avvisato il Sig.
Pietro Spada di Cesi, onde avanzar tempo.
Ti ripeto quel che ti dissi, cioè di aver preso bene dei concerti fra la Marcolini e l'avv.
Cadabene sul ritiro e l'invio a Roma delle carte Antaldi.
Se giungeranno in tempo a Fano prima della partenza della Marcolini, le porterà ella stessa.
Nella combinazione attuale non ho potuto far di meglio.
- Trovai nella vettura sei orzaroli.
Gli orzaroli mi perseguitano! Uno mi sedeva accanto, tre incontro, e due in serpa.
Ma a Fossombrone, primo rinfresco a 15 miglia da Fano, passai in altra vettura con 4 gesuiti.
Ora vado facendomi santo sino a Terni.
Dico rosarii, ufizi di tutte le razze, litanie, deprofundis, salmi penitenziali, giaculatorie.
Se fosse un frate solo, alzerei un poco la testa; ma contro quattro, un solo secolare ha brutto giuoco.
Dunque mi adatto di buona grazia alle circostanze, e faccio buon viso.
Nelle ore poi di ricreazione o narriamo tutti e cinque a vicenda dei belli esempii edificanti che io per la parte mia m'invento, ovvero io leggo dei bei libri di orazione alla latina intitolati Dies Sacra, che i buoni gesuiti mi hanno offerto per divertirmi in grazia di Dio.
- Ho con me un certo mio povero libretto non scritto dal diavolo ma neppure dall'angiolo Gabriello: ma figurati, non ha più faccia di comparire, e riposa nel sacco sino a nuov'ordine.
- Sai che dicono per la locanda? Ih! guarda che bel giovanotto si portano a Roma i gesuiti per novizio.
Ecco la prima parola di vanità che da ieri mattina mi è uscita di bocca: sia detta però in semplice via di relazione de verbo alieno.
Tanti baci a Ciro e la benedizione.
- A te mille abbracci.
Il tuo P.
Cristaldi non è più lui.
Ricci forse anch'egli.
Mattei...
ma chi glielo dice? Dunque quest'anno senza dubbio si va in dogana.
LETTERA 110.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, 4 novembre 1829
Mia cara Mariuccia
Ricevo la tua di ieri.
- Gli Sc.
25 di Silvestro sono già in mie mani: così gli altri Sc.
15 del fratello Francesco Diomede.
Circa alle altre riscossioni periodiche non manca che De Sanctis e Peppino.
Il dare di De Sanctis per frutti del censo è di paoli i quali al ritiro prossimo del capital di Sc.
28 gli si dovranno abbuonare in diffalco della rata comodi non concessagli mai dall'ab.
Conti sin dal principio della legge che la prescrisse.
Ho poi detto prossimo ritiro del Capitale perchè il Maggiore Marco Setacci sicurtà del De Sanctis è attuale amministratore di certi fondi spettanti alla eredità del suddetto, dimodoché è suo interesse di ritenere la somma per la estinzione di un debito che graverebbe anche lui.
Mi ha dunque giurato che ne' primi mesi del 1830 questo affare sarà terminato.
- Con Peppino non ho ancora fatto i conti, ma temo anche io che pel saldo delle somme dovute da lui si dovrà accordargli qualche poco d'indugio.
Cosa faresti se non paga ora? Lo vorresti citare quando non lo abbiamo citato per emergenze più serie?
L'affare Cardinali prende sotto il mandato che si può prendere da un momento all'altro.
Egli ora si raccomanda perché lo aspettiamo fino a che si purifichi il vino della recente raccolta, lo che accaduto promette di vendere subito e pagarci.
Io voglio fargli il progetto di prendere invece la entrante quantità di vino da vendersi piuttosto a nostro conto, onde sollecitare la cosa e prevenire il caso che il contadinaccio si venda il chiaro e il torbido e si mangi i quattrini.
Se egli accudisce al progetto la cosa è fatta: se ricusa, è indizio di frode futura; e allora ordino la estrazione del mandato che vorrei eseguire sul med.° vino anziché sul terreno, giacché le esecuzioni sui fondi sono algebra ed espongono spesso al meno che sia al pericolo di dovergli aggiudicare il fondo colla rifaz.e del di più del valore, lo che nel caso nostro, stante le modicità del nostro credito, ci darebbe da fare.
Ma pare che il vino non lo tenga a casa sua, né so se riusciremo nello stratagemma di andare ad assaggiarlo per iscoprire dove si trova.
Basta, sta tranquilla: Cardinali non è attualmente in Terni, andando in giro per le fiere con la polvere da caccia: se lo vedrò ci parlerò io: se no, lascierò le cose istruite al Peppino.
Il danaro del compratore del terreno Pelucca, il danaro cioè che noi sequestrammo è già depositato in mano del negoziante Camilli.
Vi sono altri sequestri contemporanei al nostro, ma pare certo che ne avanzi per quietar tutti.
Si anderà avanti colle citazioni declarari et consignari, se bene ho ripetuto questi gerghi forensi.
Quando i Pelucca andassero in Segnatura, ciò sarebbe sempre avanti l'uditore e non in pieno tribunale stante la bassezza della somma: e questo rifugio del debitore svanirebbe mercé pochi altri scudi di spesa e poco altro tempo di indugio.
Oggi dopo pranzo, se non pioverà, salirò a Miranda per vedere il terreno Valle Caprina.
Voglio un poco vedere se si può preparare un affitto per la scadenza della Colonia che succederà al prossimo Marzo.
Certo è però che quell'oliveto è mal situato.
Pare intanto che per quest'anno dovrà produrre circa le 5 some d'olio, due e mezzo delle quali toccherebbero a noi.
Vi è per tutto una grande abondanza di olive, e l'olio abbassa il prezzo.
Il tempo però è crudo assai; e se gela addio abondanza.
La proposizione di Pietro Spada è quella stessa che rifiutammo anni addietro, l'acquisto cioè della Caprareccia.
Ho tornato a rispondergli che la Caprareccia è la dote del resto, e distratta sola pregiudica in pregio gli altri terreni.
Babocci ha qualche speranza di condurre il Monastero di Cesi ad impiegare nell'acquisto di que' fondi certe somme che va ad incassare fra non molto tempo.
Io l'ho impegnato ad occuparsene.
Venerdì dovrebbe di qui passare la famiglia Marcolini per essere a Roma o sabato o domenica, purché il Conte sempre afflussionato abbia potuto partire oggi da Fano com'era stabilito.
Allora sentirò se portano loro le carte Antaldi.
Mi dissero a Fossombrone che se non si combina con la Marchesa Antaldi stiamo male perchè il Marchese Antaldi non ha più niente del suo.
Sarebbe una bella buggiancata anche questa!
Del lasciapassare alla finfine m'importa sino ad un certo punto; dunque ti ringrazio, ma non ti dar troppa pena.
Lo vedi che D.
Antonio aveva per la testa Roma? Proprio proprio ho gran piacere del di lui ritorno, e salutatemelo tanto tanto tanto.
- La vivacità di Ciro nostro mi dà poco paura.
Lascia fare al tempo.
Qualche poco di disturbo ce lo darà, ma paura non deve darla.
Ciro, Mariuccia mia, verrà un brav'uomo.
- A Spoleto vidi Uguccioni che ti saluta.
Hai riso sui Gesuiti miei compagni? cioè, il Cielo me lo perdoni, hai riso sui fatti che accaddero fra noi? Questa lettera è già troppo piena, ma nel venturo spero dirti qualche altra cosetta ancor ella curiosa.
- Vorrei far sì che per la sera di Martedì 10 io fossi a Roma.
Addio, cara Mariuccia mia, abbraccio te e Ciro, e saluto gli altri.
Il tuo P.
LETTERA 111.
A GIOVANNI BATTISTA MAMBOR - ROMA
[1829]
Sia ammazzataccio tutti li gargantacci fracichi che accimenteno li poveri fijji de madre che nun danno fastidio a gnisuno.
Ma varda sì che bella legge de canaccio arinegato che ce vorrebbe lo spadone de San Paolo prima arremita ce vorrebbe, pe' fragneje l'animaccia drento in de la merda a ste carogne de gente ciovile che vonno parlà cor quinni e'r quinnici e cor ciovè, e poi, Cristo pe le case, te sbrodoleno giù certe azzione che nun le faria nemmanco er boja che se l'impicchi a quanti che so, ste crape che strilleno Roma e Toma e ce batteno de cassa, e rugheno come cagnacci de macello; e poi ch'edè? Si sentono un rogito de somaro fanno a fugge pe lo scacarcio.
Sentime, Titta, primo de mo te tienevo in condizione de giuvenotto de monno, ma mo te sbaratto pe' carogna quant'è vero la Madonna Santissima che nemmanco semo indegni d'anominalla.
Come, sangue de mi padre! Malappena me dicheno: Moà, Peppe, lo sai de chi è la festa oggi? - No, de chi? - De Titta Marmoro.
- e io do de guanto a la penna, che accidentaccio quanno che l'ho pijjiata in mano, che averebbe avuto in cammio da maneggià er cortelluccio.
Me viè lo sgaribbizzo de stennete sur un sonetto da Dante Argeri, e poi te manno a scrive 'na lettera de discurso de sagnatario liquida nus fragnete come brodo di trippa pe aringretatte de la povesia che m'è amancato er tempo de misuralla; me metto le cianche in collo, e m'ariscallo er fedigo e tutti l'intestibili pe arrivà ar portoncino tuo, prima che quella paciocca de tu sorella me lo sbattessi in der grugno; l'arrivo dereto, je l'appoggio; je dico de famme l'obbrigazione d'acconsegnallo ar Sor Titta che se pulisce er culo co la man dritta; e tutte ste graziosità che ecquine! E tu panzaccia de vermini d'un porcaccio da va affogato drento a un pantano de piscio de somaro piagoso de porta Leone, me vienghi a risardà cor lanzo balordo de le millanta grazie e antrettante quarantine, pe' buttamme insinente l'imprecazione de famme crepà in sanitate rospite d'er prossimo mio comm'e'tte stesso a li quinnici de st'antra settimana eh? Accidenti, va', si nun pregassi er Signore, ch'è tanto misericordioso, de fatte sciojje er bellicolo a te.
E che fa che nun caschi de faccia avanti proprio mo? - Sentime Titta: San Giovanni nun vo tracagna; e tie' all'ammente ste parole mia: nemmanco er sommo pontefice Pio Ottavio co la stora e la mitria; e er capitan Pifero co' li suoi suizzori co le guainelle fatte a pisilonne; e er Cardinal Ruzzela cor vigereggente, e li palafragneri, e li scopatori, e Monsignor Governatore co quer negozio c'arinfresca le chiappe, e tutti li cristiani e l'aretichi der monno cattolico me poderebbero tienè che si te trovo p'er vicoletto nun te mettessi un deto in bocca e un antro ner persichino pe famme de te un manicotto cor pelo indove sì e indove no, pe er tempo d'er rifriggerio; e accusì imparerai a avè un tantino più d'ingratitudine a chi te fa bene; che già come dice quello? Lava la testa ar somaro, ce perdi la lescia e er sapone; fa' carezze all'orzo, e chiamerai soccorzo; giuca co li cardi, e te n'accorgerai presto o tardi; gratta la rogna ar mulo, e te paga a carci in culo.
E mica me l'invento io sti fonnamenti che cquine, sai? Va' a sguerciatte in ner Tasso Bardasso e te li troverai drento in ner parafrigo de
Intratanto Arminia in vallombrose piante
D'antica sèrva d'er cavallo ascorta
T'ho vorsuto fa tutta sta chiacchierata pe fatte vede che nun semo carogne 'na buggiarata, e che sto pezzo de carne ce sta be' in de la bocca come a querchidunantro.
De restante io nun tiengo er dente avvelenato co gnisuno, e fa conto che ste cose te l'abbi ditte come ceci bianchi spassatempo.
Si vo' fa pace, vie' stasera da Manfredonio a li tre scalini, che c'è un vinetto badialaccio de tre fichi la baggiarola ch'arifiata li vivi e li morti ammenne.
Ce troverai Caterina la guercia, Luscia la santola, Rosa ficamoscia, Nunziatella de li Bordati de Sora, Giartruda Ciancarella, la mojje d'er froscio, la Cicoriara de ponte rotto, la peracottara de li paini, la fijja zitella de Salataccia, Tribuzzia la sediara d'er catichisimo, Menica la bagarinella de Mercato, Nanna quattrochiappe, e Agnesa mia quella che je dicheno: quanto sei bona.
- E poi ce viengheno lo Stracciaroletto de Borgo, er tornitore de San Mautte, Gurgumella, Panzella, Rinzo, Chiodo, Roscio, Cacaritto, Puntattacchi, Dograzzia, Bebberebbè, Napugliello, Cacasangue, Codone, Magnamerda, Panzanera, er cechetto de le quarantora, Feliscetto d'er mannolino, er cavarcante de Guidoni, er mozzo Russio d'er principe Cacarini, er cammoriere d'Artemisis, er Maniscarco de la linia, Galluzzo er baffutello de Monte Brianzo, er Rigattiere de la pulinara, er barbieretto de San Tomasso imperiore, lo spennitore de Palazzo, Grespigno lo scarpinello de la Subburra, li du' chirichi de San Neo e Tacchineo, Pazziani lo spazzino e er cerusico Campanile a braccetto.
Lì facemo bardoria, cantamo li ritornelli, je la toccamo co la tarantella, bevemo quer goccio, facemo le passatelle, ballamo er sartarello, tastamo er sedici a quelle paciocche: insoma ce divertimo senza l'offesa der Signore.
Dunque viecce si ce voi vienì; e si nun ce voi vienì, cocete in dell'acqua tua come li spinaci.
LETTERA 112.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Pesaro, sabato 15 maggio 1830
Mia cara Mariuccia
Appena parlato con me, mercoledì 12, l'Avvocato Bottoni dovette andare a Fano, e questa mattina ritorna.
Però non si è potuto parlare della minuta che ti annunziai nella mia antecedente.
In mancanza di affari ti racconterò alla buona un fattarello affinché tu che ami trattenerti in discorsi di nuove, trovi in questa mia lettera un poco di pascolo alla tua inclinazione.
Cominceremo col dire che per la crescente civiltà del nostro povero secolo, non v'ha più asino, per somaro che sia, che non istudii oggimai come un cane, per lasciarsi addietro i suoi emuli nella carriera delle lettere dell'alfabeto.
Così ogni onesto spacciatore di caffè in tazze, il quale non ami la sua bottega convertita in un deserto della Tebaide, deve procacciarsi al meno uno zibaldone o alla peggio un Courier des Dames, pronti uno e l'altro a pascere i faticosi ozii dell'erudito avventore bisognoso di assaporare con pausa il suo bicchier d'acqua.
- Dietro tali principii, il Caffettiere de' Nobili di questa città, Nunzio Righetti, pensando come soddisfare all'uopo, senza pagare ai ministri della posta pontificia i soliti beveraggi di agenzia, pregò un suo amorevole cliente, Banchiere della Ripa, ebreo, onde alcuno de' di lui corrispondenti di Milano lo associasse direttamente a certo foglio periodico.
Scrisse il fedele israelita al confratello cristiano, pubblicani entrambi, e gli commise di oprar sì che il Sig.
Nunzio Righetti venisse inscritto nell'Albo di tanti altri benemeriti della letteratura.
Giunto il tempo di venire la prima spedizione, la prima spedizione arrivò, puntuale come il giorno delle Ceneri appresso all'ultimo di Carnevale.
Arrivò, dico, e si vide rispettosamente diretta "A SUA ECCELLENZA R.ma MONSIG.re RIGHETTI NUNZIO APO.co IN PESARO".
- Il caro Direttore della posta, che aveva le sue buone ragioni per dichiarare ad ogni modo scismatica quella disgraziata gazzetta, letto appena l'indirizzo scandaloso, pensò di coalizzare uno contextu il lucro cessante delle sue tasche col danno emergente della dignità prelatizia: e poiché alle generose risoluzioni non va dato tempo di raffreddarsi, preso fra mani il corpo dei due peccati salì di corsa all'uficio del collega Sig.
f.f.
di Direttore di pulizia, che c'entrava come il Gloria nella messa di requie.
In quale altro modo doveva andare la faccenda? Le lacune di una stampata cedola intimatoria, buona tanto al sesso mascolino che al feminino, furono tosto riempiute a penna da uno scriba di genere neutro; e dopo un'ora appena, il Nunzio di conio lombardo stava già avanti al suo giudice per essere degradato.
- Dite un po', temerario, da quando in quà siete voi Nunzio? - Da trent'anni, otto mesi e sei giorni, Eccellenza.
- Chi vi ci ha fatto? - Il padre Curato del Duomo, Sig.
Direttore.
- Recitate voi l'imbecille? - Perdoni: avanti a V.E.
non mi sarebbe possibile.
- Volete dirmi un'ingiuria? - Non glie la voglio dire.
-Dunque voi vi spacciate all'estero per Nunzio Apostolico? - Veramente io mi spaccio per Nunzio Righetti, e quell'Apostolico sarà probabilmente un titolo disertore della corte Austriaca; poiché vorrei aver l'onore di morire qui addosso a S.E.
se ho mai avuto pel capo altri apostolati che quello di predicare indegnamente la gloria delle mie bevande calde e fredde, e di bandire la riputazione delle mie marmellate.
- Ma dunque quella Ecc.za Rev.ma come vi si è ella appiccata? - Senza merito mio, Eccellenza, e poco più poco meno come si appiccano de' cordoni rossi e delle sciarpe turchine a tanti petti indegni forse di chiudere un cuore anche da caffettiere e da tripparolo.
- Siete un impertinente.
- Sig.
Direttore, mi armonizzo per non far dissonanze.
Il Sig.
f.f., buon dilettante di chitarra francese, intese subito la malignità del frizzo; e mi duole dover ripetere tre parole lubriche nelle quali a quel punto proruppe.
Ma a storico fedele disconviene meno una oscenità che una negligenza.
-Cazzus! esclamò dunque il Sig.
faciente-funzioni, fottetemi in profosso questa carogna.
Con tutto ciò, intorno al vocabolo Carogna, non debbo dissimulare a discarico del Magistrato, che le opinioni dei filologi non vanno d'accordo: poiché se da un canto è vero che un dignitario di Roma vietò un giorno a me stesso che col ministero di quella voce io potessi indicare onestamente pure un asino morto, chi non ricorda dall'altro la purità, il candore, e la eleganza con che il piissimo Cesari di cruschevole memoria chiamò Divina Carogna, il Sacrosanto Corpo di Cristo? - Era la quistione a tai termini, quando il Circonciso, fatto avvisato dell'abbaglio del gazzettiere e del pericolo di Monsignore, comparve col copia-lettere sotto il braccio a difendere per acta et probata la innocenza del Nunzio.
L'onesto Giudeo, possessore in giro di Banca e in metallici per circa un milione, doveva chiarire ogni dubbio con somma facilità.
E così fu.
Solo si vuole, che il Caffettiere, al consueto fornimento dei dessert mosaici, si obbligasse per articolo segreto di aggiungere un'appendice in servigio de' politici e degli Epistolarii, al prezzo da liquidarsi colle differenze delle dignità e delle sportule hinc inde.
Avvisato quindi l'editor Milanese del grancio, il Caffettiere rimase e rimane in pace a costruire i pasticci.
- Buono per me intanto che il Sig.
f.f.
è andato a riunirsi a' suoi antenati!
Questi f.f.
sono lettere assai ficcanaso: ed altronde un abile poliziaco deve sapere anche quello che ignora, nella stessa guisa che un'onesta spia dice la verità fino allorquando mentisce.
Siamo al solito giuoco del corriere.
Se arriva in tempo, aggiungo: altrimenti abbraccio te, abbraccio Ciro, saluto gli amici, e spedisco.
Il tuo P.
Mi arriva la tua di giovedì 13.
La scorro con l'occhio, e vedo che tra questa mia e le precedenti ho esaurito quanto potrei qui solo ripeterti.
Solamente ti aggiungo che vidi giovedì il Corriere Belli che ti portava le carte da giuoco.
Da lui avrai avuto le mie notizie orali.
Ti abbraccio nuovamente con Ciro.
LETTERA 113.
ALLA MARCHESA VINCENZA ROBERTI - MORROVALLE
[Da Pesaro, 8 giugno 1830]
...
È vero, il tempo non è mai lungo, e la regolarità abbrevia tutto.
Oltre a ciò, le medesime occupazioni ogni giorno ripetute dietro la guida del dovere e sotto lo stimolo delle affezioni domestiche acquistano ben presto ne' cuori bennati un genere di dolcezza che vanamente si cercherebbe fuori delle virtuose abitudini.
La stessa monotonia de' luoghi diviene per noi allora una particolare sorgente di piacere.
In ogni oggetto crediamo di riconoscere un testimonio delle nostre azioni lodevoli, e un compagno fidato delle care emozioni che ci premiarono l'anima al compimento di quelle.
Chi troppo cambia di esercizi e di stanza, educa i suoi pensieri al desiderio, i desideri alla cupidità, la cupidità all'intemperanza; e così da sensazioni soverchiamente variate ed attive, esce finalmente il mal frutto della trista indifferenza e del tedio tormentoso.
Al contrario in un ritiro tranquillo, in un ritorno continuo d'idee sperimentate, l'uomo moderato raccoglie la propria imaginazione in se stesso, e la impiega ad esaminare meglio le risorse ed il fine della esistenza.
Famigliarizzato ogni dì più con que' suoni, con que' colori, con quelle forme, con quelle fisionomie del giorno precedente, si ritrova in costante accordo con loro, e fingendosi del resto un mondo a suo modo, lo accomoda facilmente alle modificazioni del suo spirito.
Quando le passioni dell'uomo ristretto dentro un circolo angusto di terra si celano alla onnipotenza dei casi, il di lui cuore trova nell'ozio di esse quella placida spensieratezza che ne deriva i benefici elementi della felicità.
E quando la mente di lui, affrancata dall'esterne distrazioni, conservi la libertà di se stessa, può allora conoscere l'intenzione della natura, seguirne le leggi, adoperarne i soccorsi, ad aspettare in pace dalla di lei fedeltà l'adempimento delle speranze della vita.
Per dirvi ora due parole di me vi assicuro che al punto della vita a cui sono, cominciano già assai a potere su di me i pensieri di riposo, di semplicità e di futura consolazione.
La vita umana, oltrepassato di poco il suo mezzo, non si compone più che di reminiscenze, le speranze e i progetti periscono in un fascio appena la mano fredda del tempo ne addita la tardità in ogni nuova intrapresa.
Senz'altro avviene che di un dolore esasperato ogni dì più dall'idea della distruzione che si avvicina, la virilità precipita nella vecchiezza, e guai, guai a que' vecchi che non si saranno preparati di buon'ora una riserva di conforto! Schivati nell'universo, espulsi dirò quasi dal posto che occupano nella società, costretti a cedere vigore, bellezza, salute, carezze a chi gl'incalza senza posa alcuna, essi rivolgonsi indietro aridi e afflitti spettatori degli altrui godimenti, a cui non è più loro lecito aspirare.
La gioventù, oltre all'allegrezza sua propria, può trovare de' piaceri dovunque, e fino negli stessi difetti degli uomini; laddove la vecchiezza sfortunata non può rifugiarsi che nelle loro scarse virtù; al giovane è sempre aperto il gran teatro delle illusioni a traverso alle quali i contemporanei si offrono a lui; pel vecchio non rimangono che le risorse della realtà, quasi tutte pur troppo dure e desolanti.
L'anima sua s'inasprisce, e i suoi difetti non più velati da alcun'apparenza di amabilità, lo abbandonano al solo conforto della pazienza e della compassione.
Per risparmiarmi pertanto al possibile la umiliazione di que' generosi sentimenti, io penso di fabbricarmi una felicità domestica, una felicità tutta indipendente dalle vicende del mondo; e ringrazio la Provvidenza che mi abbia concesso un piccolo amico, il quale, ricordevole forse un giorno dei diritti acquistati dalle mie cure alla sua riconoscenza, mi amerà, spero senza le viste interessate della personalità.
Ancor io, dunque, se potessi, sceglierei asilo in un angolo ignorato di terra, dove l'elezione congiunta con la necessità mi abituassero poi grado a grado a far di meno di agi di strepito, di varietà, di appetiti, di gloria, di tutto ciò insomma che aggirandosi nell'eterno vortice delle cose peribili, ci vieta di pensare a noi stessi.
L'amicizia di un mio figlio, e quella al più di un altro compagno che io avessi incontrato per la strada solitaria scelta per mio viaggio all'eternità, potrebbero bastarmi per dire: Ecco una vita che finirà senza rammarico...
LETTERA 114.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
D'in sull'Isauro, il giorno de'
SS.
Giovanni e Paolo M.M.
[26 giugno 1830]
Caro Checco
Sono molti giorni trascorsi dacché io doveva e voleva rispondere alla tua giunta, venutami nel riscontro del Sig.
Biagini, il quale si azzarda a scrivermi su carta intonsa! Questo lusso incivile non ancora dai libri si era esteso ai pistolarii.
Tanto ti dico e basta:
Il resto lo saprai nella catasta.
(Chiari)
Tenerissimo l'epitaffio per la cara defunta! Parmi che già da lungo tempo meditandolo tra me ne facessi lettura.
Ti ringrazio ora di questo dolore, che mi è piaciuto di rinnovare.
Ma guarda che orecchiaccio egli è il mio! E non mi si è ficcato mo in capo che il volle fare del titolo avrebbe giovato meglio alla malinconia posto prima di Della sorella sua?
È una mia incaponatura (badiamo alla p.); ma questo vuol dire avere una testa.
Bell'essere acefalo.
Ho mandato incartati a Torricelli i saluti tuoi e quelli del Sig.
Domenico Cianca, pel quale ho pure riverito il conte Cassi.
Torricelli poi vi rifà salutati (come Coluccio) entrambi.
E già che siamo sulle spalle del Cianca, calchiamole un'altra volta, e poi basta.
Digli così: il gran Padre Destino ha dato un'accettata sulla corda che doveva legare Gazzani e la Ducrò.
Quella si è spezzata e questi se ne sono portati un pezzo per uno.
Silenzio tanto sulla corda che si fabbricava quanto sul taglio che l'ha troncata.
Se ne parlerà a suo tempo.
E voi che diavolo v'impasticciate di nuove, di passione e di gazzette? Faccio quello che mi pare, disse figurino.
- De' nostri progetti parleremo meglio a voce: spero presto.
Auguro davvero di cuore un ristabilimento a quella povera Erminiuccia! Abbracciami Peppe, e il buono...
no, ottimo Giorgieri.
Ma eh? Povero Giorgio IV! ad uso di ricetta.
-
Ed ora avremo forse un recipe Guilhelm pro usu.
Pillola dura! E il Lord Wellintone, che farà? -
Oh pure i grandi romori nel gabinetto di Queluz!
La Porta si sganghera.
Santa-Fé gronda: Gallia arde.
A Buenos Ayres tira aria cattiva.
Megico dà in ciampanelle: Don Fernando cogliona i figli maschi di S.
Luigi: Dante Algeri prepara una tragicommedia cum notis variorum.
S.
Nicholaosko piglia Armeni in Salviano, se non li compera a sconto di pigione.
Intanto le nuove elezioni oltre-monte si affrettano; i Dipartimenti bestemmiano per carità; e il Ministero cerca di lavorarli alla Polignacca.
Lauda finem.
Tanto ti aggiungo e basta:
Il resto lo saprai nella catasta.
(aut.
cit.)
Ecco, c........!, come si sviscera il Mondo!
Spero di partire di qui tra pochissimi giorni.
-
Mettiti sulla porta, e quando passano amici, fa loro un baciamano per me.
Ma quel P.L., p.e.
o ex gr? Scrive, canta e stampa, che l'andrà bene? Veramente questa la indovinerebbe anche Giona che non dava sempre nel segno.
Oh buon Cavalierino! In Africa avrebbe ragione Maometto; e la profezia prudente rivolterebbe la testa.
Tutto il vaticinio è infiammato dallo spiro di Domus-aurea.
Ma se poi si apre la foederis-arca che qualche altro profeta minaccia? Allora...
ma perché si ha da aprire? Lasciamola chiusa; e abbracciamoci che è tempo.
Il tuo 996.
LETTERA 115.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
Di Pesaro 13 luglio 1830 alle 10 antimeridiane
Checco mio
Bene fecisti, Caterinella.
A Ferretti voglio sempre bene; e diglielo.
Dunque sta meglio? Gaudeo.
- Sai? Da queste parti tutti mi dimandano che sia certo Avv.
Andrea Bàrberi che scrive circolari onde spacciare una traduzione sua del prezzo di 4 paoli.
Io rispondo: è un giudice.
- Che razza di giudizii va dunque facendo degli uomini? essi rispondono: - ed io: Uhm! - Sarà due ore un tal Piatelletti Ministro di Casa Antaldi mi ha domandato se io conosceva Piccardi.
Il Piatelletti non sa che fare del segreto lasciatogli da Piccardi in corpo.
Ed eccoti la tua lettera che mi parla di Piccardi.
Lo troverò in istrada perché io parto a mezzogiorno in diligenza.
Ecco perché scrivo male; ché del resto...
eh! eh! - Abbraccia te e lo Sdiquilito
Il tuo Belli
LETTERA 116.
A LUIGI VIVIANI
[6 agosto 183]
Ho finalmente avuto gli elementi del metodo Jacobot, concernenti i principii d'insegnamento universale secondo il principio della emancipazione intellettuale, da cui la Francia e più il Belgio vanno attualmente ottenendo conquiste di dottrina assai vicine al prodigio.
Non più i processi barbari dall'incognito al cognito, ma dal manifesto all'occulto: non il falso spirito di sintesi, fra non intesi elementi; ma la benefica ragione d'analisi stabilita sopra idee già possedute: ecco quel che prepara nell'età nostra alle menti puerili uno sviluppo maraviglioso di quelle facoltà che non negate dalla Natura quasi ad alcuno, la educazione conserva in così pochi alla società defraudata.
Ma io la prego di credermi: l'opposizione completa e dirò diametrale che questa moderna scoperta presenta incontro ad ogni vecchia pratica d'istruzione, dovrà in Roma richiamare gl'istruttori alla qualità de' discepoli, prima che possa dare alla patria un allievo: danno, da durare ai figli e ai padri che gli amano, finché la prepotenza del pregiudizio e dell'interesse non sarà vinta negli educatori dalla verità e dalla filantropia.
Per me, voglio io stesso fare una prova sopra me stesso onde il mio Ciro colga il frutto di un sistema di associazione ideologica, stato sempre consono co' miei principii, tanto che vado quasi orgoglioso d'averla presentito in certi miei lavori di storia, delineati presso a poco sul disegno che oggi nel Nord si colorisce con sì bel premio di successi.
Del resto mi piacerà di sapere se la enciclopediola che ho avuto l'onore di procurarle Le sembri almeno capace d'insinuare ne' Suoi cari bambini le elementari nozioni delle quali il Mondo Nuovo non permette più la ignoranza...
LETTERA 117.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, martedì 28 settembre 1830
Mia cara Mariuccia
Mentre sto aspettando la tua lettera di oggi, che il corriere di dimani mi dovrebbe certamente recare, ti andrò dicendo due parole e sulla tua del 25 e sulle altre nostre cosette di affari.
In primo luogo ti confesso che la mancanza di tuoi caratteri nell'ordinario di domenica scorsa mi aveva un poco sorpreso, stante la talquale importanza delle tue risposte: ma lungi dall'attribuire il tuo silenzio a tua omissione, io lo riferiva ad impicci di posta.
E quasi fu così.
Appena pranzato ieri vidi arrivarmi Gnoli correndo, il quale avendo rifrescato a Narni era solamente di passaggio, ed aveva lasciato in piazza il legno e i suoi tre compagni di viaggio.
Da lui seppi la dimenticanza dell'impostamento, ed ebbi la tua lettera.
Uscii per riaccompagnarlo alla carrozza, e trovai la sua compagnia essere tre curiali: Caramelli e Polidori diretti a Venezia, e Federici (quello che sposò la figlia vedova dell'Ambrosi) incaminato a Milano.
Tredici miglia lontano da Roma aveva ribaltato per un ruotino uscito dall'asse: essi però fortunatissimi non si fecero neppure un livido, né il legno soffrì nemmeno una graffiatura.
A Civita il vetturino ebbe la nuova della morte di un suo fratello, e qui poi ha dovuto prendere un rinforzo di cavalli.
Malgrado tutto ciò i 4 viaggiatori hanno in due giorni allegramente potuto percorrere la via da Roma a Spoleto.
- Mentre io rimetteva in legno l'avv.
Gnoli fra le corna di due o trecento bovi perugini che passavano per Roma, eccoti un'altra vettura di passo! Chi è? È Puccinelli con tutta la sua famiglia che va a visitare il figlio maggiore nel Collegio di Spello.
E qui toccate di mano, addii, etc.
etc.
Gnoli ha ritratto dal viaggio molto giovamento, e questo puoi farlo credere con sicurezza alla moglie che mi saluterai.
- Nulla ti dissi di Spoleto, non avendo ciò merito di occuparmi.
In quattro giorni ho veduto, letto, e disposto.
Credo che potrà andar bene.
- Va bene dell'inscri.e Trivisani.
E Deminicis non risponde! Uhm! - Circa a Frosconi avrai comunicato la risposta a Zuccardi.
Insomma, cos'è? È poi svanita la fortuna dello zio della moglie? o che sia morto? Ma se fosse morto lasciandole bene, esse non avrebbero abbandonato la loro benedetta Parigi.
Mi confondo.
- Se rivedi il Marchese Antici salutamelo; anzi per suo mezzo vorrei (se fosse possibile) far chiedere scusa al Sig.
Honory se nell'unico momento in cui lo vidi, il bisogno del dire e del dimandare altre cose mi fece mancare al dovere di offerirgli la società ristretta della nostra casa.
Potresti per mezzo del Marchese Antici, a tuo e mio nome, far supplire? - Le notizie di Ciro nostro mi consolano assai.
Io penso di occuparmi molto della sua vita, se Iddio prolunga la mia.
Dagli tanti baci per me; e ringrazia Stanislao.
- Venendo ora all'affare con Peppino, non credere che mentre io procuro di persuaderti pro bono pacis, io non traveda il punto vero della ragione; ma che vuoi fare con questi cervelli duri e storti come corni? Se Fratocchi non ti farà per la tua porz.e qualche agevolezza avremo evitato con 25 paoli un'altra tiritera che finirebbe il giorno del giudizio.
Tu sai che con altre persone e in altri affari ho voluto e saputo sostenere il tuo diritto, ma qui mangio ad una tavola e tratto con gente diversa, e mi parrebbe aver l'aria di un cursore sotto le cibarie, malgrado tutto lo splendore del dritto che esercitassi.
Quindi accetto con riconoscenza l'arbitrio che mi dai.
Se peraltro fosse in tempo (come credo bene) di togliere dalla procura l'espressione delle spese del rogito di essa, potrei procurare di fare un altro tentativo per fartele risparmiare: altrimenti lasciamo correre.
- Saluta e ringrazia Pippo.
Qui piove sempre, e vi son feste d'ogni genere per la fiera di Campitello.
Io non esco mai di casa, e passeggio assai pel salone.
- Ricevo la tua del giorno corrente: qui non c'è più carta: dunque ti aggiungerò un altro mezzo foglio.
Ti abbraccio di cuore.
LETTERA 118.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, venerdì 1° ottobre 1830
Mia cara Mariuccia
Avrai avuto la mia di mercoledì 29 settembre.
In quest'ordinario non ho avuto tue lettere: spero che ciò sia per aver tu mancato ieri di tempo in cui rispondere alla sudd.a mia.
Nella notte da mercoledì a giovedì alle 11 meno 10 secondi pomeridiane, si è sentito un terremoto molto forte e ondulatorio a quanto mi parve.
Io aveva cenato da mezz'ora e stava scrivendo appunto la parola terremoto per servirmene in certo mio lavoro.
Appena chiamato rispose.
Scrivo in una bottega: che penna! Ti abbraccio, e mi riporto all'ultima mia.
Sono il tuo P.
Mille baci a Ciro.
LETTERA 119.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, giovedì 26 maggio 1831
Mia cara Mariuccia
Parve un destino! Non dirti neppure addio prima di partire benché fra noi ne fosse poco prima stato parlato! Ma Publio stava alla finestra del camerino fumando; Menicuccio andava su e giù seguitando i facchini: io in sala a far la guardia alla casa e al bagaglio che restava tuttavia su.
Quindi dovetti scendere io stesso per invigilare alla collocazione e alla salvezza degli oggetti: allora chiamato discese anche Publio, e Menicuccio salì.
In questo io avrei dovuto ritornare su a salutarti, ma il vetturino m'intontì colla fretta e partì.
A Fontana di Trevi mi accorsi del mio mancamento, e ne mostrai gran rammarico.
Publio voleva tornare indietro, ma a me parve tardi, ed oltre a ciò cosa irregolare il ribussare alla porta, e far rialzare Menicuccio che forse già rientrava nel letto.
Tu mi avrai peraltro aspettato, e ti sarai maravigliata del mio procedere; e se forse il moto del legno non ti avesse avvertita della mia partenza, non avresti saputo che pensare non vedendo più alcuno.
Publio però e questi della famiglia possono essermi testimonii del rammarico che fin qui ho sempre dimostrato del fatto.
- Alle 4 uscimmo dalla porta Maggiore, cioè circa alla levata del sole; ed all'avemaria eravamo già sotto le mura di Veroli: viaggio felicissimo, eseguito con rapidità, interrotto da sole tre ore di rinfresco cioè due a Valmontone, 25 miglia da Roma ed una all'osteria di Alatri, 5 miglia distante da Veroli: viaggio, ripeto, felicissimo, in ottimo legno, con eccellente vetturino, pieno di libertà e comodo, sotto begninissimo cielo, e sopra una lieta strada fra amene campagne.
Qui ho trovato affettuosa ospitalità, casa superba, e clima eccellente, benché ancora alquanto freschetto.
Io arrivai così leggiero come quanto partii: 60 miglia mi parvero una delle trottate fatte da noi insieme per Roma.
Sto bene, ho appetito, e odo dirmi che di ora in ora mostro un viso più chiaro e più vivo.
Miracoli, so bene, l'aria non ne fa; ma pure il buon'animo che accompagna queste assicurazioni de' miei ospiti mi riempie di gratitudine e di fiducia nell'avvenire.
Della festa qui celebrata martedì a sera e ieri per la...
LETTERA 120.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, martedì 7 giugno 1831
Mia cara Mariuccia
Sono al solito dispiacere, di udirti così oppressa di fatiche, delle quali quando sono lontano non posso darti un sollievo, e quando son vicino neppure, mentre tu sempre mi ripeti esser la nostra una barca da condursi da una sola mano: la qual cosa per dir la verità nella massima parte la credo.
Ma almeno allorché la perversità de' tempi vorrà permettertelo, procura di prendere qualche poco di svario.
Anche qui la stagione va strana.
Allorché arrivai, trovai freddo; poi il tempo parve rivolgersi al buono: da qualche giorno però sono tornate acque, venti e stravaganze.
Intanto io sto coperto della mia lana, e non soffro di simili variazioni.
L'appetito regge e le guance pare che si rigonfino alquanto.
- Io stesso ho secondato i tuoi sproni su Publio onde fissi con la madre la mia dozzina.
Egli però soffre di una porzioncella di quella indolenza che rimprovera nel fratello Icilio; questo non nuocendo nulladimeno alle di lui buone qualità.
Ma spero che lo farà quanto prima e te ne darà ragguaglio.
Egli già non è affatto capace di dolo; perciò solamente per tuo avviso ti faccio sapere che la vettura sin qui con tutte le spesette straordinarie di viaggio fu da noi due pagato a metà.
Col vetturino verolano avrebbe pagato lui avendoci affari particolari.
Ma questo motivo non sussisteva più con un altro conduttore.
- Vedremo cosa saprà fare quel capo-d'opera di Vulpiani.
Io credo che se egli si approfitterà della ospitalità che noi già gli offrimmo per un mese, non ci sarà lecito di tirarci più indietro.
Dio volesse che ciò potesse contribuire a far risorgere i di lui affari onde migliorino anche i nostri con esso.
Ma particolarmente in queste circostanze di tempi, chi sa! - Dimmi un poco: trovasti un tomo del Giraud che Publio lesse la sera antecedente alla nostra partenza? Mariuccia mia da' mille baci a Ciro nostro, e benedicilo.
Amami poi e credimi il tuo P.
che ti abbraccia di cuore.
LETTERA 121.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, martedì 14 giugno 1831
Di molta soddisfazione mi sarebbe riuscito e mi riuscirà quandunque sia il vedere il carattere del nostro caro Ciro ed in esso una prova del di lui ben essere.
Ma poiché, siccome benissimo tu dici, una lettera, per quanto breve la si voglia, egli da per sé non potrebbe né concepirla né farla, così sono contentissimo che ciò accada allorquando la necessaria assistenza ti resterà meno incomoda a prestargliela.
Intanto abbraccialo di tutto cuore per me.
- Publio mi risponde che egli ti ha scritto nell'ordinario scorso, cioè sabato 11.
Sul proposito però della mia dozzina non ha fatto fin qui nulla, e questa mattina alle mie istanze assai premurose opponeva l'essere a me facilissimo l'offrire quello che mi paresse secondo la proporzione del trattamento che io vedo farmisi.
Il trattamento è quale in una famiglia si può desiderare; ma che io mi avanzi a fare offerte o contrattare su ciò che deve non solo risguardare un interesse mio personale ma la stessa mia propria delicatezza, lo vedo oltre le forze del mio carattere.
Quindi alle nuove preghiere da me avanzategli affinché accomodi egli questo affare secondo il già convenuto concerto, mi ha promesso che certamente lo farà, e che tu poi senza complimenti conchiuderai a piacer tuo.
Circa al Sig.
Bochet, qualora dietro buona giustificazione tu avrai sborsato del denaro al di lui raccomandato, per altrettanto di meno accetterai e pagherai l'ordine, se mai te lo spedisse per l'intero senza prima essersi con te chiarito sui pagamenti anteriori.
Io mi ricordo assai bene che quando Vulpiani disse di voler venire a Roma, aggiunse che avrebbe seco condotto il figlio Domenico.
Per lo che la nostra offerta non avrebbe oggi cambiato termini.
- Non saresti per avventura stata un po' troppo generosa col Dottore in proporzione del numero delle visite? Nulladimeno non trovo a ridire su quel che hai creduto di fare, tanto più in riguardo alla buona ed amorevole cura da lui usatami.
- In casa Falconieri è difficile che la conversazione si regga.
Co' begli anni fuggirono loro anche tutte le belle e piacevoli cose.
Pure è gente che merita molto pel loro buon cuore e la loro costante amicizia.
- Mi dispiace assai il funesto caso di Angelina, e neppure ho udito con indifferenza la disgrazia dell'amica di Margherita, quantunque non la conoscessi.
- È certo che la pendenza Trivisani può contarsi a veglia!
Ringrazio senza fine il buono amico Stanislao del gentile paragrafo da lui aggiunto sotto la tua lettera degli 11.
Piacevoli mi riescono le cose che egli mi dice circa alla mia salute, ed altrettanto grate le notizie del Torricelli, al quale ha sul mio conto risposto benissimo, ed il vero.
Mi sorprende però di vedere la tardanza del di lui raggiungere il suo.
M.r Delegato di Ascoli.
A quest'ora lo avrei creduto partito.
- Vedendo Biagini salutalo tanto tanto, e dimandagli se è finita la faccenda pecuniaria con Scifoni e Marini.
Saluto tutti gli amici, e ti abbraccio con vera affezione.
Il tuo P.
LETTERA 122.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, sabato 8 giugno 1831
Non mi fa maraviglia che nel passato giovedì non avessi tu ancora alle 2 pomeridiane ricevuto la mia del 14, n° 4, mentre sai bene che talvolta il portalettere tarda.
Quel che mi fa specie si è come giovedì tu non avessi avuto ancora la lettera che Publio mi torna ad accertare di averti spedita la sera di sabato 11.
In quella egli dice che ti dava discarico a quel che ti doveva dire.
Dentro questa stessa settimana però egli ti ha scritto un'altra volta per mezzo del vetturale Geralico che fa ricapito a Grotta-Pinta; e in questa lettera deve averti parlato della mia dozzina.
Spero che a quest'ora ti sarà arrivato tutto.
- Diverse cose mi vanno passando per la mente riguardo agli ostacoli che tu mi dici insorti nell'affare Corsini.
Non te ne tengo ciononostante proposito, onde non pormi a fare l'indovino.
Mi duole però assai che anche questo sia venuto ad aggiungersi alle altre tue non poche brighe.
- Ciro, ripeto, lo farai scrivere quando potrai: intanto mi basta di sapere che egli, unitamente a te, stia bene.
- A Stanislao replicai nell'antecedente.
- Il Sig.
Dolcibene a te cognito mi fece molte cortesi esibizioni prima della mia partenza: profitterei della sua bontà se mi facesse venire alla prima occasione di un Conduttore di Diligenza (diligente) tre scatolette di terra-cattù di Mondini e Marchi speziali a S.
Paolo in Bologna, delle quali una con aroma, e due senza aroma.
In tutto saranno tre paoli, costando un paolo l'una.
Colla prima occasione poi che si presenterà, dopo venute da Bologna, mi farai il piacere di mandarmele.
- Mi dirai poi qualche cosa in proposito alla mia dozzina di cui non so nulla.
Spero che sarà una cosa discreta.
Alla presente (se non hai cose di somma importanza) non rispondere subito, onde rimetterci in corrente senza incrociature.
Amami, Mariuccia mia, e sta bene.
Il tuo P.
LETTERA 123.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, martedì 21 giugno 1831
Mia cara Mariuccia
Nella carissima tua di sabato 18 cominci colla mia salute, di un nulla io ti aveva detto nella mia antecedente.
Ma tu hai riflettuto benissimo: niuna nuova, buona nuova.
- Publio, oltre alla lettera ch'egli sostiene averti inviata coll'ordinario degli 11, ed oltre ancora all'altra rimessati per via del vetturale che va a Grotta-Pinta, te ne ha scritta una terza nella quale riepilogò tutto.
Questa poi mi pare sicurissima perché andai ad impostarla io stesso il giorno 18 insieme con la mia n° 5, la quale avrai certamente ricevuta.
Ieri Publio andò a Frosinone e torna questa sera.
Là ci è stata la festa di S.
Silverio Protettore della Città.
Tanto egli quanto l'amico che ve lo ha condotto colla sua carrettella volevano condurvi anche me, ma tu sai se un paio di migliaia di corna di buoi e quattro migliaia di zoccoli di cavallo sieno oggetti di chiamarmi a correre.
E quando vi avrai aggiunto un fuochetto artificiale di 20 o 30 scudi ecco tutto ciò che deve far superare l'antipatia di trovarsi in luoghi strettissimi in mezzo a una confusione di villani.
Vi andrò anch'io a Frosinone, ma a cose quiete: tanto più che amerò di vedere Renazzi e la moglie.
- Vedi che circa ai pagamenti Bochet non accadranno incrociature, e forse questo modo di pagamento a rate potrà, credo, riuscirti più comodo; quantunque tu mi risponderai che se il francese non ti avvisa prima, la dilazione delle rate equivale a zero.
Sempre mi confermo che non giudicai male della certa specie di eccessività nel pagamento del medico: e vedi che tu pure ti eri tenuta agli Sc.
44, che andavano benissimo.
E poiché non mi avevi fatto la storia della discrezione dottorale, io dovetti crederla generosità tua.
Or guarda che lappa che è quel sig.
Medico! Bisogna che creda che durante questa mia ultima malattia abbiamo vinto un terno.
Nella malattia antecedente per 40 visite si contentò di Sc.
10, che tornano a bai: 25 per visita; ed ora ha portato il suo merito sino quasi alli paoli 5 per ogni salita di scale.
Bel guadagnare circa uno scudo al giorno, in venti minuti, con una sola clientela! Per Bacco nuoce quasi più il medico che la malattia!
Se tu vuoi vedere lo specchio delle nostre ipoteche attive, va' al credenzino del mio lavamani, e nei vani che passano tra protocollo e protocollo troverai inserito un mezzo foglio di carta che le comprende tutte, meno quella circa Peppino rimasta in bianco per la indolenza invincibile di Garavita.
Detto foglio, appena tu ti accosterai, ti salterà agli occhi.
Intanto però ti dico che la ipoteca a Fioravanti non esiste tanto perché l'epoca (come apparisce dalla posizioncella che ti ho lasciato) fu privata, quanto perché non si è potuto inscrivere neppure giudizialmente pel non essersi mai presa sentenza circa il debitore.
Di Trivisani però esiste il borderò in posiz.e, mandatomi a mia richiesta l'altr'anno da Giacopetti che ne lo incaricai.
- Ti raccomando a questo proposito la rinnovazione imminente contro Costanzi.
- Questa notte è partito di qui il tenente Onofri venuto quasi inutilmente a far reclute in questa provincia.
Dice che verrà a vederti.
- In Veroli è maritata una figlia della Valdambrini, credo quella che doveva prendere Orlandini.
L'ho veduta una volta qui in casa.
Ora è in convalescenza della rosolia.
Abbraccio di nuovo te e Ciro nostro.
Il tuo P.
LETTERA 124.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, 25 giugno 1831
Mia cara Mariuccia
Rispondo alla tua de' 23 in cui mi chiedi conto del trattamento che io qui ricevo onde su quello e sulla soddisfazione che me ne risulta stabilire una norma circa la moderazione o eccessività della dozzina proposta in Sc.
12 mensili.
Già in altra mia io ti dissi che quello che in una famiglia casareccia si può sperare io qui l'ottengo.
Per darti però una migliore idea delle cose entrerò un po' meglio nel dettaglio di esse.
La bontà e la premura con cui qui sono trattato sono grandi, e anche somme, e anche diremo eccedenti, trasformandosi assai di sovente in un assedio da far capitolare la resa senza neppur l'onore delle bandiere spiegate.
Ma che vuoi fare? L'unica che potesse qui avere una giusta idea del mondo civile e di quanto può fare la vita riposata e paga, sarebbe la Sig.ra Nanna; ma premettiamo anche in lei un certo tal quale guasto procedente dalla operosità insistente ed efficace dell'esempio che la circonda; e se poi ci aggiungeremo in diffalco tutta la parte d'animo che deve ella concedere ai Sagramenti, alle Chiese, alle preghiere, ai digiuni e a qualche altra praticuccia di religione, le cure che le restano disponibili nel cervello e nel cuore possono certo bastare e bastano a farne una eccellente madre di famiglia ed un'ottima economa di una casa, ma non mai una donna, dai cui consigli, e previdenze e providenze abbia a nascerne quel bell'ordine di proprietà e di comodo il quale con gli elementi qui in casa esistenti si potrebbe sperare e ottenere.
Quindi, per dire più specialmente di me, una superba stanza piena di tele di ragno: elegantissime persiane che la furia continua dei venti qui dominanti vuol sempre in agitazione, e in istrepito, e chiuse, per mancanza de' necessari fermagli: dodici ampii cristalli sporchi in modo che non la vista degli oggetti esterni, ma né anche la luce solare può quasi più avervi passaggio: un moderno camminetto di bel marmo bianco affumicato dalle esalazioni interne del bucato del pianterreno: un larghissimo letto dal quale escono i piedi di fuori per la sproporzione delle misure, soffice in modo che o i detti piedi, o la testa, od i fianchi vi s'ingolfano fino agli abissi: una nobile coperta che scopa la terra da tutte le parti: una scrivania alla moda colla zella incozzata in più d'un luogo; due ben modellati comò, con tiratori che vogliono chiudersi da quella parte che loro più piace: una lucerna ricolma d'olio e ridondante come una fontana: un'altra senza boccaglie e i di cui stoppini all'improvviso ti si nascondono e ti lasciano al buio: una tovaglia finissima sparsa di frittelle, una camera da pranzo tutta addobbata di bel parato e di oggetti da cucina: tre gatti che si fanno pagare il loro ufficio contro i topi a furia di saltarvi fin ne' piatti che vi stanno davanti mille mezzi per difendersi dalle mosche, e nulladimeno un milione di mosche per ogni palmo quadrato di spazio: una sostanziosa cioccolata da tagliarsi a fette, una studiata minestra senza brodo e colma di pepe o garofani, un pollo ricercato sparso da un capo all'altro di schiuma: carbone sparso qua e là, caduto dal canestro a chi stira: un'insalata cotta, ma cotta in tanta estensione del termine che non vi rimangono più che le fibre: un solo cucchiarino da caffè per tutta la carovana: neppure uno sgommarello per dar la zuppa, un'acqua calda per la barba e pei denti piena di fuliggine, o di fondi di caffè, o di grasso di pila, o di rimasugli d'ovo sbattuto, o finalmente odorosa di fumo.
Un collo di camicia col baffetto, un gilè colla ciancicatura, un fazzoletto col bughetto rispettato.
Etc.
etc.
etc.
Il trattamento poi di cibarie è quale la estrema scarsezza di questo paese può farlo ottenere migliore e non burlo.
La mattina cioccolata: a pranzo minestra tre cose e talora più: quindi caffè: e la sera si ripeterebbe altrettanto ma io vado assai piano (*).
Onde procurarsi però il vitto da fornire la tavola, dice la Sig.ra Nanna (e la credo) che deve quasi metter gl'impegni.
Le carni scarse e non troppo buone; rarissimi polli, erbe quasi nessuna: insomma un paese senza industria e senza coltura.
Quindi carissime le vettovaglie che conviene disputarsi in piazza un coll'altro e incettarle anche prima che arrivino.
E la Natura pure produce qui come altrove! Or figurati se è ora così che il governatore attuale vi ha in qualche modo provveduto, cosa sarà stato prima, che il forno spesso mancava di pane; non vi era mai mercato, si vendevano con fraude quasi tutte le carni morticine del territorio, e il pizzicarolo non teneva fuorché cacio pecorino, merluzzo salato, e salacche tarlate.
Pure qui tutti contenti in questo paese.
Venendo ora alla dozzina, sul serio, computata colazione, pranzo, cena, e se volessi merenda: computato l'alloggio, il lume, il consumo di biancheria, la lavatura e stiratura, e la servitù, qui dove tutto si ha caro e con difficoltà, non mi pare eccedente.
Già non vi starò neppur molti mesi per mille ragioni municipali, ed atmosferiche, e civili.
Mi basterebbe ricuperarvi perfettamente la salute, e poi ambulo.
Col dimorarvi ho scoperto un clima di un'incostanza infernale: certe strade che sembrano scale dell'ultimo piano del Palazzo Poli; e poi certi abitanti...
e poi certi speziali...
Basti dire che il primo fra questi è un doratore, che di cento medicine ne tiene in bottega una dozzina al più; e spesso manca di cassia; e quando l'ha, se non gli tenete sempre gli occhi addosso e vi divagate un tantino, traffete vi ci ficca la mela cotta, o l'acqua, o il diamine che se lo porti: e ciò per aumentare il peso senza diminuzione del fondo di farmacia.
- Un medico quindi!...
ma che medico! fa' dei pessimi sonettacci satirici, ma pure lo credo assai più abile in quelli che nel conoscer la febbre.
- A proposito, da varii giorni mi ripizzicano de' doloretti al petto, alle braccia, e alle mani: un buon medico di Frosinone progetterebbe una ben saturata decozione di...
di...
(non so se lo scrivo bene) di legno guaivo presa per 40 mattine, sostenendo egli che dopo un male reumatico lungo senza un decotto non si guarisce mai bene.
Che ne direbbe Mazzucchelli? - È finita la carta.
Addio: addio.
Abbraccio di tutto cuore te e Ciro nostro.
Il tuo P.
(*) E se fra giorni volessi mangiare magari, ché anzi questo è un soggetto di angustia il salvarmi dalle continue offerte e dagli stimoli di questa natura.
Publio è andato oggi a Ferentino a seccarsi e perdere il sonno.
Io ho preferito di fare il mio comodo: e questa sera quando tornerà gli darò la tua lettera che ho ritirata per lui alla posta.
LETTERA 125.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Veroli, 30 giugno 1831
Partirò certamente, Mariuccia mia, e con questi di casa non è necessario alcun pretesto, avendogli io già manifestato chiaramente che la stemperatezza di questo clima mi caccia.
Circa all'interesse sono contentissimi che tu lo accomodi con Publio: si potrà ratizzare sulla mia dimora fatta fino al punto della partenza.
- Tu mi dimandi perché non ti ho dato prima un cenno delle cose che ti dissi nella mia precedente.
- Te ne ho parlato quando era tempo di aprir bocca.
Il tempo anteriore fu consumato in esperienza.
Appena qui giunto, e per qualche giorno di poi, ti dava buone nuove di mia salute, e diceva la verità.
Lo stomaco era stato il primo ad accorgersi del mutamento di clima e se n'era mostrato contento.
Dopo sono succeduti ad avvedersene i muscoli, ed hanno collo stomaco fatto causa a parte.
Allora ho aperto gli occhi io, e ho cominciato meglio ad osservare la bisogna.
Questo paese è situato sopra una montagna tutta scogli, e tutta scoperta.
Ieri cambiò temperatura cinque o sei volte, e sempre da un eccesso all'altro.
Me lo avevano dipinto per un paradiso: potrei anche crederlo per l'elevatezza sua, ma pel resto somiglia meglio all'inferno.
Non ti dico che l'aria non sia buona: non può anzi essere che ottima; ma per reggere alle stravaganze delle montagne è necessaria una costituzione meno scompaginata della mia.
Ciò riguarda al fisico.
Circa poi al civile non ti dissi nella mia ultima che la metà.
Figurati tre giorni addietro la Sig.ra Nanna non trovò un uovo per tutta Veroli, onde darmelo la sera.
Ieri mattina fece girare e battere ad ogni porta onde trovare un paio di piccioni.
Li ebbe finalmente a gran ventura, ma grossi come due quaglie le costarono due paoli.
Ieri sera io aveva necessità di un poco di cassia: il povero Publio dové tornare a casa senza averla potuto portare.
Per farmi un poco d'insalata cotta, bisogna ordinare la cicoria un giorno avanti.
Purtuttavia questa tavola è molto a sufficienza provvista, ma tutto gronda sudore di chi lo ha procacciato.
La carne di macello si deve comperare quando c'è, e poi metterla in grotta.
- In quanto poi all'interno della casa essa è bella e sarebbe anche assai comoda, ma la poca cura manda tutto in deperimento.
La cortesia de' padroni di casa può dirsi senza uguale, ma è una cortesia campagnola che ti porrebbe la casa in collo senza comprendere che il peso eccederà le tue forze.
Prenda un poco di questo: sono tenerissimi: e saranno cavoli.
- Senta com'è delicato e leggiero questo umido: e saranno funghi, la di cui leggerezza la misurano a peso di stadera, e non a capacità di stomaco.
E mangi qui, e riprenda lì, e assaggi di questo, ma lei non mangia niente, ma lei muore di fame, ma lei fa penitenza: e beva un altro bicchiere: e si sforzi; e faccia un poco di merenda ma i suoi dolori provengono da debolezza, etc.
etc.
Intanto io vado scoprendo certe codiche di porco cotte col lesso, vado sentendo pepe e garofani, bevo un'acqua che sa di terra, benché a questi signori sembri acqua celeste, e debbo tutto giorno lottare contro le cordiali insistenze di chi è incapace di essere illuminato quando certe cose non le capisce da sé.
- Mi dicono: Lei sta sempre solo, e si annoierà.
Come vuoi fare altrimenti? Io ho bisogno di riguardi.
Se scendo all'appartamento della signora, trovo tutto aperto, e spesso per le stanze fischia la tramontana come in piazza.
È vero che qualche volta al mio apparire si chiude qualche finestra in qui e in là, ma io mi accorgo assai bene che quello che giova a me nuoce agli altri, e riesce loro un gran sacrificio.
Figurati, la conversazione è composta di tre o quattro persone che giuocano a calabresella in mezzo proprio di una stanzetta con quattro finestre, due porte e un camminetto, che vale a dire sette buchi tutti spalancati.
La Sig.ra Nanna sta in camera sua a dir le orazioni con le figlie; ed io in camera mia a sbadigliare, ma almeno a finestre chiuse.
A due ore e mezzo ceno.
Publio e il Governatore che fan parte della calabresella, cenano verso le due e vanno spesso a letto coll'alba.
Potrei io far questa vita? - Venghiamo adesso alla mia partenza.
Ho fatto consiglio colla Sig.ra Nanna e con Publio.
Due mezzi vi sono: o la diligenza di Frosinone, o la vettura.
Col primo mezzo eviterei la pessima nottata a Valmontone, ma c'è l'incomodo di andare di qui a Frosinone con tutto il bagaglio; e questo è poi soverchio per la condotta della diligenza.
In vettura porterei tutto con me, ma si fa la tremenda nottata fra le cimici di Valmontone.
Or senti bene.
Dimani torna da Roma quel vetturino che io cacciai via allorché venni qui.
Con esso combinerò il giorno ed il modo del partire, e se egli (come qualche volta lo fa) accudisce a fare tutta una tirata, te ne avviserò, e tu mi favorirai di farmi trovare alla porta la facoltà del Conte Moroni firmata e bollata col suggello di uficio a scanso di dispute.
E se potrai unirci anche un lasciapassare te ne sarò grato.
Ci sentiremo però meglio quando avrò parlato col vetturino.
Intanto ho scritto alla Roberti, ma solamente per prevenirla.
La decisione definitiva la prenderò a Roma, perché vorrei almeno arrivare da quella povera gente senza dolori.
Se mi ripigliano là, pazienza; ma scendere dal legno per così dire onde mettermi a letto, non mi parrebbe coscienza; e neppure mi azzarderei a un viaggio lunghetto se non mi sentissi in forze e in sanità sufficiente.
Oltrediché arrivato a Roma dovrò riformare e mutare faccia al bagaglio per passarlo dal baulle alla valigia, e lasciare tante cose che per la diligenza peserebbero troppo.
Dunque il posto non me lo fissare.
Questo si fa presto; ed altronde non mi parrebbe prudente l'obligarmi così in anticipazione a un proseguimento di viaggio che per qualunque motivo mi potesse riuscire ineseguibile pel già fissato momento.
Non mi dilungo di più, avendo scritto abbastanza, e dovendo presto correre ad impostare perché è tardi.
Abbraccia Ciro nostro, e benedicilo.
Intanto godo anticipatamente del piacere di rivederlo unitamente a te, che stringo al cuore dicendomi
Il tuo Peppetella.
LETTERA 126.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Morrovalle, 31 luglio 1831
Mio caro Neroni
Dove siete? Io son qui, dopo aver passeggiato per molti giorni la provincia di Campagna, troppo bello e sfortunato asilo di ladri.
Mi tratterrò in questa terra alcun poco di tempo, alieno pel corrente anno da' miei giri nel Nord d'Italia: ché tre mesi di mori-e-non-mori; 14 libbre di sangue accordato generosamente alla punta di una lancetta e alle trombe di 65 mignatte; dodici vescicatoi; un paio di dozzine di purghe, un battaglione di lavemens, Monsieur; un codicillo di senapismi; 50 giorni di sole bevande insustanziose; una penitenza, una eucarestia, e un preludietto di crisma; le son coserelle da non menar tanto per l'allegra due gambe di un povero galantuomo.
E così è che mi convenne non ha guari scontare sette anni di perfetta e robusta salute, co' quali era io stato dal 24 al 31 premiato di un altro settenario di patimenti sofferti già dal 17 al 24.
Laude sempre ne sia alla Provvidenza che si degna assaggiarci nel crogiuolo de' malanni.
Basta di me.
E voi, mio stracarissimo amico, come state? come ve la passate? Fra le delizie certo di una consolante famiglia, giunta da età e stato di coronare le paterne sollecitudini.
So de' vostri due figli che han dato soggetto ad encomii pubblici per la loro eccellenza nella bell'arte che vi ha sempre sedotto.
Bravi! Me ne rallegro e con essi e con voi.
I Voltattorni? Li saluto tutti e singoli; e qui sta bene un etc.
Abbraccia Neroni suo
G.
G.
Belli
LETTERA 127.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Morrovalle, giovedì 18 agosto 1831
Mia carissima Mariuccia
Riscontro due tue lettere dell'11 cioè e del 13.
- Circa alla prima ti dico che ho fatto a queste Signore l'ambasciata della coperta: se vorranno ordinarla te ne riparlerò a suo tempo.
- Mi dispiacque di darti disturbo intorno al Cholera Morbus, ma ne fui spinto a parlare dallo stretto interesse civico, familiare e personale, che in casi simili non può certamente tacere.
La storiella delle Monache de SS.
Domenico e Sisto già io la sapeva dalla stessa bocca di Mazzucchelli che la ripete ogni momento: ma malgrado della sicurezza di lui e di tutta Roma in un flagello di questa natura, non è meno vero che ci facciamo illusione miserissima, dapoiché questo morbo desolatore si avvanza sempre a passi di gigante, ed ha già di molto trapassato il Danubio che si sperava potesse esserne una barriera.
E lasciamo stare la strage che mena ne' luoghi da noi più remoti: l'11 luglio a Pietroburgo di circa 500 malati non se ne salvarono 15.
Basta, nella universal cecità che pare sempre destinata ad accompagnare agli occhi umani questa specie di flagelli, l'unico conforto è certo quello di sperare nell'aiuto celeste, benché sarebbe sempre assai meglio sperare nel Cielo e d'aiutarci alacremente, onde i nostri sforzi fossero benedetti di felice successo.
Ma è purtroppo sicuro che dopo aversela presa in canzona allorché il male sarà a porta del popolo, si ordinerà in fretta in fretta una processione.
Non voglio più estendermi sopra un argomento così desolante, il quale non può non affligerti, Mariuccia mia, senza nessun compenso.
Lasciamo fare alla provvidenza: seguiremo la sorte degli altri.
- Intorno però alle perniciose e al vaiuolo che mi dici affliggere attualmente Roma, conosco anch'io la difficoltà di garantirsene; ma pure son persuaso che fra cento affetti, ottanta o novanta apparterranno alla classe di chi si è avuto meno cura: almeno usando delle precauzioni, e poi cadendo pure nel male, questo riuscirà meno maligno.
Dunque, per carità, gran cura a te ed a Ciro, il quale da un momento all'altro aspetto di udirlo vaccinato.
Vengo ora, alla tua de' 13.
Secondo quanto mi avvisi sul ritorno indietro delle lettere a Bondì, quella da me scrittagli il 7 dovrà retrocedere a Macerata, dov'è la Direzione che la spinge a Sinigallia.
Quando potrò avere occasione di farne fare ricerca, ne avrò pensiere; benché non so se a me la renderanno.
Intanto ho oggi stesso riscritto alla M.sa Antaldi ne' termini da te indicatimi; e speriamo vederne un successo.
Forse forse Fioravanti pagherà i frutti in agosto, come promette; ma ecco che anche in quest'anno abbiamo perduto l'occasione del pagamento della sorte la quale è per noi di grande importanza, stante la difficoltà della qualità del contratto.
Più si tarda, peggio è; e però io aveva pensato di assalire il debitore per sorte e frutti senza più parlargliene.
Se ora paga i frutti è certo che chiederà altra dilazione per la sorte.
Tu però che stai al regime della casa, queste cose le vedi meglio di me; dunque fa' tu, che è ben fatto.
Godo della stipulazione con Corsini.
Qui piove sempre, fa umido e freddo: e quando queste tre cose non accadono, vi è invece una quantità di vapori secchi, che tingono il Sole in verde, in bleu, in giallo, e in bianco.
Passa da un colore all'altro come una lanterna magica: e si guarda ad occhio nudo.
Che stagione! Che anno! Tanti saluti di questi signori: io abbraccio Ciro e te di tutto cuore.
Il tuo P.
P.S.
Devi avere avuta la mia degli 11, segnata per equivoco col n.
8: doveva portare il n.
7.
Essa ti faceva mille augurii per la tua festa.
LETTERA 128.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Morrovalle, martedì 23 agosto 1831
Mi approfitto, mia cara Mariuccia del ritorno che fa a Roma Meconi, per inviarti la presente risposta alla tua del 18.
Tanto meglio l'aver lasciato Veroli a tempo! In quest'anno per verità l'atmosfera è minacciata dappertutto; ma sotto il Cielo di Veroli si deve soffrirne assai più che altrove, per la incostanza naturale a cui va quel clima soggetto.
Arrivato io qui, dopo alcuni giorni ebbi una lettera di Publio, in cui, come io già me l'aspettava, si faceva un bello elogio di quel soggiorno, diventato un paradiso terrestre appena dopo la mia partenza! Aria dolce, tranquilla, cielo sereno, sole temperatissimo, e gioia universale! Non so cosa direbbe adesso il buon Publio, seppure l'amor del nido de' suoi morti antichi non lo accecasse sulle bare de' morti moderni.
Qui almeno, se il tempo è strano e veramente imperversa, le morti son rare e colpiscono quasi solamente dei vecchi, o de' giovani di vita strapazzata e per lo più ritornati dai lavori delle campagne romane.
In questo territorio di Morrovalle si vede sì qualche perniciosa, ma poche: nell'altro di Montesanto, dove andai ieri a visitare la famiglia Marefoschi, ne sono scoppiate di più, benché l'aria vi sia tenuta per forse più salubre ancora che questa.
Ed io penso, appunto nella maggiore elasticità di quel clima consistere la principal ragione del maggior numero di malori.
Più elevata, più scoperta, e in conseguenza più incostante nella temperatura.
Ho riso assai e ho fatto ridere la famiglia Roberti sulle 3 avemarie a te e 10 a Ciro.
Bisogna senza dubbio convenire nel tuo pensiero che il nostro nuovo penitente ne avesse un carro a quattro cavalli! Se va avanti con questa proporzione, a 20 anni non avrà più che il tempo di far penitenze.
Spero che queste riflessioni lo persuaderanno di più della necessità di esser buono e far sempre il suo dovere.
Così Iddio lo benedirà, e gli uomini gli daranno lode e riverenza.
Come si conosce bene che in Roma si trascurano affatto tutte le salutari osservanze! Non trovarsi ancora un buon pus! fa meraviglia! Il giorno 20 ebbi riscontro di Macerata non esser là ritornata la lettera che io scrissi il 7 a Bondì in Sinigallia sotto l'indirizzo dei Sigg.
Cave e Bondì: il 21 dunque scrissi direttamente al Direttore della posta di Sinigallia, pregandolo, benché non mi conosca personalmente, di respingere quella lettera o direttamente a me o vero in Roma alla Ditta Sigg.
Cave e Bondì, a cui è diretta.
Vedremo che ne nascerà.
Ti dissi già che avevo ripetuto alla M.sa Antaldi, dalla quale non ho ancora riscontro.
Due Elene avrai avuto tu da complimentare: la Barbèri di cui mi parlasti, e la Lovery che è più secondo il tuo cuore.
Di' a Stanislao che in seguito delle di lui notizie ho scritto a Torricelli, benché da Veroli già gli dassi discarico della procura della cresima di Ciro.
Lo ringrazio intanto senza fine il nostro buon Stanislao, che saluto, e che spero stia in ottima salute.
A proposito, di' a Biscontini, che al mio passaggio da Spoleto, non vidi Plinj ma un di lui giovane che egli mi fece trovare per dirmi che Riochi aveva pagato qualche cosa e si disponeva a pagare il di più.
Do a Meconi un libro che ti passerà: mettilo nel mio studio: è una buona edizione di una ottima storia da me comprata a Macerata per pochi baiocchi.
Saluto tutti, ed Ossoli: e ti abbraccio con Ciro.
Il tuo P.
LETTERA 129.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Morrovalle, domenica 4 settembre 1831
Bramoso, mia cara Mariuccia, di compiacerti, mi accingo all'opera di cercare informazioni sul Collegio di Osimo.
Non mi reco espressamente sul luogo distante di qui circa 30 miglia, perché per convincermi col fatto delle cose che caverò da buone fonti mi bisognerebbe passare del tempo onde assistere alle lezioni, conversare co' Maestri ed acquistare l'esperienza necessaria a conoscere l'abilità di questi e la efficacia de' loro metodi.
Però ti prevengo del molto mio dubbio circa alla preferenza che questo vecchio Collegio Vescovile possa meritare sul rinnovato di Perugia che ha una celebre università, un gabinetto, una specola e un museo, a contatto ed aiuto.
Certo egli è bene che in una Casa di educazione regolata da Vescovi l'influenza de' mirabili sistemi della moderna istruzione arriverà appena dopo un altro mezzo secolo, quando cioè già sarà tarda.
Tutti i lumi che io già posseggo in mente intorno al collegio in quistione si riducono all'aver esso dato ne' passati tempi de' bravi preti, abilità che forse non ha oggi perduta.
I professori saranno eccellenti, ma di oscuro nome son certo.
Le risorse poi di Osimo in fatto di scienza e di ornamenti fanno aggricciare le carni a pensarle.
Non ti aggiungo altro su ciò: queste sono mie idee che probabilmente i fatti potranno smentire.
Rispetto per ciò sempre le ragioni che tu abbia per inclinare alla contraria opinione e quando me le avrai manifestate le valuteremo insieme e le confronteremo colle mie per decidere in un punto di tanta importanza.
D'altra parte io stimo Meconi per un buono e bravo giovanotto: ma non lo ritengo assai competente per dar giudizii di cose che poco riguardano la sua sfera e la sua esperienza in somiglianti materie.
Il nome che può aversi acquistato il Collegio ne' vecchi tempi, tra il vecchio modo di vedere, e tra i passati bisogni del secolo, possono illuderlo come possono illudere molti altri: e se aggiungi a queste considerazioni l'altra dello stare ivi in educazione un individuo della famiglia Marefoschi a lui tanto attaccata, potrai tirare una conseguenza de' suoi elogi con poco pericolo d'ingannarti.
Ma vedremo, e saprai.
Intanto ti prego caldamente di passare urgenti istanze al nostro Biscontini affinché ricerchi presto fra' suoi libri, e ti dia la copia del programma del Collegio perugino ch'egli più volte mi promise in reintegrazione di quella che per di lui consenso mandai a Torricelli.
Se ne avrà bisogno per fare con quella ciò che a suo tempo ti dirò.
- Ho piacere che tu sii andata a visitare i miei parenti.
Povera Costanza! Senza legato! - Va bene de' danari da te dati al francese di Bochet.
La carta bollata per le quietanze non serve a nulla: dovremo forse litigare con Bochet? Spero di no.
Come sono contento all'udire che si speri di aver trovato un buon pus! Così almeno avremo preservato quel caro figlio da un malanno.
E circa a mali, mi rattrista che tu vada ricadendo nella riscaldazione.
Badaci, e non trascurarla.
Le migliori notizie del Principe di Piombino mi hanno fatto piacere.
Da tre giorni è qui ripartito il poco di sereno e di caldo che da poco aveva ricominciato.
Tira un vento da gettare per terra, fa freddo e umido: piove e vien grandine in qua e in là.
Quale anno! Con tutto ciò io me la vado passando competentemente.
Oggi è finito il solenne triduo celebrato in questo paese a preservazione del Cholera.
Che dice ora Mazzucchelli? Ci crede che venga? Spero che i medici romani leggano le molte opere, e i moltissimi articoli de' giornali scientifici e letterarj che ne parlano in tutti i sensi.
Ne ristringessero almeno un qualche metodo preservativo e curativo per la povera Roma! Benedici Ciro e abbraccialo come di cuore ti abbraccio.
Il tuo P.
P.S.
Ti rendo i saluti di Casa Roberti.
LETTERA 130.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
Di Terni, mercoldì 5 ottobre 1831
Checco mio
Fra non molto ci riabbracceremo.
Intanto ti fo precorrere la notizia che vengo carico di nuovi versi da plebe.
Ne ho sino ad oggi in 153 sonetti, sessantasei de' quali scritti da dopo la metà di settembre (crescono).
A guardarli tutti insieme, e unendovi col pensiere quel di più che potrà uscire dai materiali già raccolti, mi pare di vedere che questa serie di poesie vada a prendere un aspetto di qualchecosa, da poter forse davvero restare per un monumento di quello che è oggi la plebe di Roma.
In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i costumi, le usanze, le pratiche, la credenza, le superstizioni, i pregiudizi, le notizie, e tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene, al mio giudizio, una impronta che la distingue d'assai da qualunque altro carattere di popolo.
Né Roma è tale che la plebe di lei non faccia parte di gran cosa, di una Città di sempre solenne ricordanza.
Di più mi sembra non iscomporsi da novità la mia idea.
Un disegno così colorito non troverà lavoro da confronto che lo precedesse.
I nostri popolani non hanno arte alcuna: non di oratoria, non di poetica, come nessun popolaccio n'ebbe mai.
Tutto esce spontaneo dalla natura sua, viva sempre e fresca, perché lasciata libera nello sviluppo di qualità non mercate.
Direi delle loro idee ed abitudini, direi del parlar loro ciò che può vedersi delle fisionomie.
Perché tanto queste diverse nella plebe di una Città da quelle de' cittadini della Città stessa? Perché non frenati i muscoli del volto alla immobilità che la educazione civile richiede, si abituano alle contrazioni della passione che domina e dell'affetto che stimola; e prendono quindi un diverso sviluppo corrispondente quasi sempre alla natura dello spirito che que' corpi anima e dirige.
Che se ne' cittadini non accade una totale uniformità di fisionomie, ciò si deve alla fondamentale differenza de' tratti specialmente proveniente dalla ineguaglianza degli ossi che le carni rivestono e dal non aver mai la Natura creato nulla di simile, ma di consimile.
Vero però sempre mi par rimanere che la educaz.e che accompagna l'incivilimento, fa ogni sforzo per ridurre gli uomini alla uniformità: che se non vi riesce quanto vorrebbe, è forse uno de' beneficii della creazione.
- Il popolo quindi mancante di arte, manca di poesia.
Se mai una ne cerca, lo fa sforzandosi d'imitare la illustre.
Allora il plebeo non è più lui; ma un fantoccio male e goffam.e rivestito di vesti non attagliate al suo dosso.
Poesia propria non ha: e in ciò errarono quanti mai sin qui vollero rappresentare il dir romanesco in versi che tutto mostrano lo sforzo dell'arte sulla natura e della natura sull'arte.
Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano escono tuttodì, senza ornamento, senza alterazione, senza pure inversioni di sintassi o troncamenti di licenza se non quelli che il parlatore romanesco usa egli stesso: insomma cavare una regola dal caso e una grammatica dall'uso; ecco il mio scopo.
Il numero poetico deve uscire come per accidente dal casuale accozzamento di correnti e libere parole e frasi; non iscomposte giammai, né corrette, né modellate, né accomodate, con modo diverso da quello che ci può mandare il testimonio delle orecchie.
Che se con simigliante corredo di colori nativi giungerò a dipingere tutta la morale e civile vita e la religione del nostro popolo di Roma, avrò, credo, offerto un quadro di genere non disprezzabile da chi guarda senza la lente del pregiudizio.
Non casta, non religiosa talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia e la forma; ma il popolo è questo; e questo io ricopio, non per dare un modello, ma sì una traduzione di cosa già esistente, e, più lasciata senza miglioramento.
A te e a Biagini, ed in voi agli amici di maggior mia confidenza io darò a vedere gli ultimi lavori delle mie ore d'ozio, persuaso che la delicatezza e l'amicizia d'entrambi non ne trarrà fuori che la sola lettura.
Ne rideremo poi insieme; e queste risa ci varranno a prepararci l'animo alle possibili sciagure che ci minaccino.
Abbraccia tutti quelli che mi son cari: addio.
Il tuo Belli
La mia salute è mediocre.
La tua?
LETTERA 131.
A FRANCESCO MARIA TORRICELLI - FOSSOMBRONE
[31 dicembre 1831]
Mio caro Torricelli
La tua lettera del 27 mi ha tutto pieno di dolore.
Vi leggo quanto tu hai dovuto e devi sentire in questo luttuosissimo avvenimento: nel bacio e nel sorriso paterno, di', non hai trovato oggi un premio, un gran premio, della filiale carità? Il tuo padre morendo si è ricordato che tu non gli hai afflitto gli ultimi giorni di vita malgrado qualche piccola durezza che potesse averti usata.
La di lui benedizione discese sul tuo capo e passerà certo ai figli de' tuoi figli.
Ora sii uomo, un uomo filosofo; sollevati e pensa quante vite sono attaccate alla tua.
- Ho delineato oggi un rozzo pensiero da servire per una idea allo scultore in metallo.
Vedilo intanto tu, e rimandamelo, perché non ne ho un doppio.
Io stimerei che la grandezza fosse conveniente così.
Sto pensando che se le lettere ti sembrano grandi al giusto difficilmente si potranno incidere nette nel marmo e più difficilmente riempire il graffito con l'oro in modo che risalti.
Per l'incisione in marmo vorrebbero le lettere essere di taglio più ampio e profondo che non comporta la proporzione del mio modello: e fatte più grandi, ne risulterebbe un tutto di soverchia mole e di soverchio prezzo (benché questo non sarà mai piccolo): l'anello soprattutto vi si smarrirebbe alla vista.
Non si potrebbe dunque tirare la tavola di bronzo oliva-cupo, incidervi le lettere e dorarle? L'annettervele in rilievo costerebbe troppo caro.
Ma son curioso io che ti vo' facendo l'economo.
Ho preso l'ardire di cambiare qualche parola alla inscriz.e: non però con l'animo di preferire la mia alla tua lezione.
Due o tre volte ho posposto la 6a colla 7a linea, ma poi ho lasciato così suonandomi meglio all'orecchio e alla mente.
Circa alla punteggiatura io sarei contento a questo.
Il carattere corsivo, che ne ammetterebbe di più, parmi che sconvenga.
Le parole di tuo padre in diverso colore mi spiacerebbero: la diversa mole le distinguerà assai.
Dopo la linea 12 non è necessario alcun segno di divisione.
Vedo le migliori epigrafi che non ne hanno.
Il ritorno al carattere piccolo, e il senso staccato non lasciano luogo a questa necessità.
Venendo all'affare Consolidato, vedo, sì, un capitale di Lire italiane 4761,27; pel quale il Tassini avrebbe dato Sc.
300.
Questa specie però di offerta egli la fece in quella stessa lettera in cui avvisava tuo padre che il frutto di quel Capitale era stato fissato dal Monte di Milano a Sc.
25 annui.
Nelle lettere posteriori peraltro il medesimo frutto si vede calare invece a 25 lire ital.e, e poi a L.
24,50, aggiungendovi che soltanto per equivoco si era da lui, Tassini, parlato in addietro di scudi là dove s'intendevano lire.
Mi fa gran meraviglia come un Capitale che ridotto a unità romana al cambio del 535 forma una somma di Sc.
889:95, abbia a rendere un frutto di L.
24,50 equivalenti a Sc.
4:57 1/2.
Il Consolidato essendo al godimento del 5, non rappresenterebbe questa somma annua neppure un valore di cento scudi.
Ci deve dunque essere qualche motivo occulto.
Un'altra cosa ho rilevato dal carteggio Tassini, cioè che prima dell'arrivo a lui della procura del q.m tuo padre, pareva che i denari stassero in tasca: dopo l'arrivo della procura (con la facoltà di alienare) si direbbe quasi che neppure il Monte Napoleone o la Commissione mista avessero pensato ancora a liquidare il credito.
Il Tassini assume d'improvviso un certo discorso d'irre orre che non garbeggia molto.
Ho già fatti varii quesiti in proposito alla Direz.e del debito pubblico; e se posso averne le risposte, come mi sono state promesse, prima della partenza del corriere d'oggi, te le aggiungerò qui sotto.
Altrimenti ad aliam.
- Circa poi alla alienabilità della vendita, oggi il Governo é poco in credito, e perciò appena si potrebbe ricavare un 75 per 100 capitalizzato il frutto al 5.
Mi spiego? Ogni Sc.
5 di rendita sono riguardati rappresentare un capitale di scudi 100.
Orbene questi scudi 100 oggi diventano 75, ed anche meno per chi vuole evitarli: eppure in commercio era già arrivato il consolidato romano al 105 per 100, e il Milanese al 100, cioè alla pari.
Ma ora...
Aspetterò dunque che tu abbi fatto alla tua elegia, i cambiamenti che stimi convenienti, e, avuti questi, metterò tutto nella sua lezione e busserò alle porte degli Odescalchi.
Va bene così?
Davvero la Circolare mi sa di muffa.
Credi l'A.A.
miglior dicitore?
Mi congratulo teco pel ristabilimento del tuo bel Torquatello che mi abbraccerai, come abbraccerai anche il futuro mio santoletto Amantino dal viso dell'Armi.
È più così serio? Sant'Anna aiuti la tua Clorinda.
Mariuccia ti fa le sue sincere condoglianze e ti esorta con me alla rassegnazione.
Addio, addio.
Ti abbraccia il tuo Belli.
Di Roma, l'ultimo dell'anno 1831
LETTERA 132.
A GIACOMO FERRETTI - ROMA
[4 gennaio 1832]
Mio caro Ferretti
Eccoti la introduzione.
Leggila, e dimmi il tuo parere; perché il criterio tuo mi sta per cosa non comune.
Ti accludo anche due altri sonetti che l'ha fatti chi jje pare e ppiasce.
Riprenderò tutto lunedì 9 verso le 3 1/2 pomeridiane, alla qual'ora sarò da te, purché il tempo non vada all'estremo del cattivo, e neppure a quello del buono, lo che in inverno è peggio forse che il tristo per un cerotto mio e tuo pari.
Il tuo Sig.
Avelloni sarà per avventura scandalizzato da alcuni soprattutto de' miei quadretti poetici: ma tu ripetigli il motto da me tolto ad Ausonio "lasciva est nobis pagina, vita proba," cioè "scastagnamo ar parlà, ma aramo dritto." Eppoi queste cose restano (almeno per ora) nelle menti de' soli amici, i quali, e tu il primo gentilissimo fra essi, mi usano certo la delicatezza di non conservarne altra nota che quella che resti loro nella memoria, lo che solo Iddio potrebbe togliere.
Ti abbraccia il tuo
Belli
4 del 1832.
LETTERA 133.
A FRANCESCO MARIA TORRICELLI - FOSSOMBRONE
Di Roma, sabato 14 gennaio 1832
Mio caro Torricelli
La tua ultima è del 3: ti sei tu forse maravigliato del mio silenzio? Ma
Del vecchio (ladro) guardavam la traccia.
Il vecchio però non si è lasciato trovare.
Potrebbero ben trovarlo gli occhi della giustizia, o criminale, o civile.
Ma che! In certi paesi, la prima, guarda più in cagnesco i buoni che i malvagi, ed altronde il legale probo di cui ti parlai è di avviso che il tuo caso contro il vecchio ladro non presenta tutti i caratteri da aprir l'adito ad una azione contro il corpo, dapoiché sino a tutto il fatto della vendita le cose procedettero regolari: nel resto tuo padre (di troppa buona fede sugli antecedenti) non ti ha lasciato che un credito contro uno inonesto anzi fraudolento procuratore.
Per aver titolo a procedere di crimine, dice il legale, bisognerebbe poter provare una frode sugli antecedenti.
Basta, io legislatore, in certi casi, manderei in galera gli antecedenti e i susseguenti.
Circa poi all'azione civile, ecco come stanno le tue cose.
Il Tassini non più impiegato al Cracas: senza scarpe in piedi, disperato, stoccatore per vivere.
Vivente Leone XII, imprese un giornale ecclesiastico, con sua rappresentanza, ma con occulta opera del P.
Ventura teatino.
Dopo alcuni numeri l'Imprenditore si mangiò le quote anticipate de' Soci, e il giornale arrenò.
Gli ecclesiastici e i filoecclesiastici, a' quali il giornale piaceva, ricorsero al Papa.
Il Papa chiamò il Tassini.
Questi, come puoi credere, era preparato alle ciarle.
Conclusione dell'abboccamento si fu che Leone fece dare al Tassini Sc.
600 per ristorare l'impresa.
Dopo due altri numeri, o meno, la impresa naufragò, e gli Sc.
600 andarono ove poi caddero le somme e i tartufi di Torricelli.
Fu coglionato un Papa, e meno i ferri che non volle imporgli, non seppe che fargli! [....] Non terminarono qui le mie ricerche.
La tua cartella fu venduta il 4 agosto 1829 a un Michele Ajani.
Io, giusta la probabilità, lo stimai l'Ajani Michele del Cracas, nel cui uficio era impiegato il Tassini.
Ma che! Il Michele Ajani del Cracas è già morto da otto anni, e l'uficio Cracas nel 1829 era (salvo i particolari contratti di famiglia) tra le mani di...
Cavalletti e dei cognati suoi Angelo e Pietro Ajani, l'ultimo de' quali è anche egli morto da alcuni mesi a questa parte.
- Ma il Consolidato di Gio.
B.
Torricelli venduto al Michele Ajani (come è scritto in Amm.e del debito pubblico) si possiede almeno da alcuno de' discendenti di lui? Nessuno della famiglia Ajani ha mai comperato rendite pubbliche.
Dunque chi può essere questo Ajani compratore? Il Michele no, perché morto ab antiquo: i due figli di lui no, perché non possessori di vendite pubbliche.
Piano: vi è un quarto Ajani, un Michelino Ajani attuale alunno dell'ospizio degli orfani, procedente da altra linea Ajani.
Ma questo è un fanciullo, è un orfanello; e questa gente non compera.
Però il Michelino ha un tutore.
Chi è questo tutore? Monsignor Ginnasi: peraltro nella intestaz.e di vendita, dovrebbe essere in questo caso stato scritto Mons.
Ginnasi come tutore etc., e non rudamente Michele Ajani dacché un fanciullo degli Orfani non fa certo quello che gli agenti ufficiali di Cambio dovettero presentare al Censore del Debito pubblico insieme col procuratore Tassini quali persone illis notae.
Mi resta dunque di parlare con Mons.
Ginnasi; e poi se il di lui pupillo non fu il compratore, come io credo, dimanderò all'Amm.re del Debito pubblico come sia che si vendano rendite pubbliche a nomi mentiti, ad incogniti.
Ci riudiremo.
Intanto tu vedi se tu avessi costì più fortuna con l'altro baron fottuto amico del baron fottuto Tassini.
Non ho avuto il tuo anello: per ciò non mi sono ancora mosso per la cornice etc.
Conosci tu la seguente sciarada del fu Giulio da Pesaro? La riportava un numero del giornale delle dame sul finire del 1831.
Così mi fu detto da chi me la recitò.
Città Greca è il mio primo illustre al Mondo.
Si fa bianco per gli anni il mio secondo
Penetra il tutto mio dentro il cervello
Od in un buco che il tacere è bello.
Quando avrai tempo e cuore mi manderai la tua variante alla elegia di Properzio, ed io farò fare il rinaccio: pregherò l'Odescalchi perché lo si faccia.
Sei ancor padre in 4°? Come è finita la faccenda Ugolinesca? Sei Deputato? Lo Zurla che disse?
Epigramma di autore a me cognito, per la occasione in cui fu da Bologna mandato oratore alla S.
Sede il poliglotto Mezzofanti, (ora prelato).
Sagacemente invia Bologna a Roma
Un orator che intende ogni idïoma:
Ché a Roma, a farsi onore,
È d'uopo un oratore
Che sappia delle lingue almeno quelle
Parlate nella Torre di Babele.
Il tuo Califfi
alias 996
LETTERA 134.
A FRANCESCO MARIA TORRICELLI - FOSSOMBRONE
Di Roma, 2 febbraio Candelora del 1832
Mio caro Torricelli
È vero il tuo precedente annunzio, in fieri, della consegna di un anello a un corriere; ma poiché di tutti i caricamenti de' corrieri si manda dall'Ufficio postale un avviso ai domicilii, la mancanza di questo avviso mi fece supporre che la consegna non fosse accaduta de facto, e tu avessi mutato mezzo di spedizione.
Ad ogni modo ieri ritirai lo astuccetto con entro l'anello, la cui immagine bellissima è appena distinguibile attraverso di un cristalletto di superficie sfregiata.
Dove tu non fossi affezionato anche a detto cristallo (il cui logoramento ti si può forse affacciare alla mente quasi testimonio del lungo uso che ne fu fatto dal tuo padre), io ti proporrei di farcelo cambiare, nel che la miniatura guadagnerebbe moltissimo.
Dimmene il tuo parere.
Dàgli e ridàgli, ho finalmente parlato con Mons.
Ginnasi.
Mi ha fatto ripetere il discorso quattro volte, e poi non ha capito niente.
In ultimo un po' bene un po' male, con qualche aiuto di fianco sono giunto a mettergli in capo la metà di quel che io voleva: ma, lo vorrai credere? si è perduto tutte le cartelle de' consolidati da lui acquistati pel di lui pupillo Michele Ajani.
Cercò per tutto, a più volte, e non giunse a ritrovare queste benedette cartelle.
Era curioso il vederlo mettersi le mani fra i capelli, e di tempo in tempo domandarmi se fosse danno l'averle perdute! Da un libriccino di ricordi ricavò pure l'acquisto acefalo di un consolidato che comincerebbe col tuo nella data della compera, non però nella cifra della vendita, dapoiché il tuo era di Sc.
4:50 annui ed il suo è di Sc.
6.
Il prelato poi non conobbe né il venditore né il procuratore.
Il tutto passò per le mani di un agente di Cambio.
Ma appena io gli ripetei per la 5a volta il portentoso nome del Tassini, ammutolì, inarcò gli occhi, e mi disse: oh! il Tassini! è mio debitore: quando lo avrà trovato me lo mandi.
Ci dividemmo allora colla intesa che io tornerei nel futuro sabato 4 per leggere la fatale cartella, qualora sia ritrovata.
Gli lasciai memoria scritta e partii.
Intanto il portentoso nome del Tassini segue a farmi scoprire nuovi tratti del suo valore quante volte lo pronuncio nelle ricerche che ne vado facendo.
Ho scoperto mangerie, furti, stocchi, piccoli, grandi, pubblici, privati, e tutti corredati di bellissimi amminicoli.
Te ne risparmio le storie.
Dove sarà egli mai? nessuno lo sa.
L'unico luogo dove non è di certo, benché lì solamente dovrebbe trovarsi, è la galera.
Il Piva non è più impiegato alla Dogana di terra: dicono che ho capito male: è a Ripagrande.
Andrò là ma [....] Avesse ad essere un altro furbo! [....] Anche per questa lettera, mio caro Torricelli, nulla, o quasi nulla.
Ma il male viene dagli spini del fiore che mi hai messo tra mani.
L'appartamentino Belli pe' mesi di aprile e di maggio! Se verrò non istarò tanto quanto tu dici.
Dio ti dia pazienza nel tuo nuovo genere di vita.
Saluto tua moglie, abbraccio i tuoi figli e te affettuosamente.
Addio.
Il tuo Belli
LETTERA 135.
A FRANCESCO MARIA TORRICELLI - FOSSOMBRONE
Di Roma, 4 febbraio 1832
Mio caro Torricelli
Per dimenticanza di un mio domestico la qui acclusa non andò alla posta nel suo debito corso.
La riapro pertanto e qui la inserisco in modo che formisi il volume di una sola lettera.
Questa mattina ho riveduto Mons.
Ginnasi.
La vendita ch'egli comprò pel suo pupillo Michele Ajani si fu appuntino la tua di Sc.
4:50 1/2 annui formanti un Capitale di Sc.
90:10, pel quale al Cambio allora corrente sborsò al Tassini Sc.
85:59 1/2.
Il Tassini dunque ha rubato per capitale Sc.
85:59 1/2 e per frutti arretrati a tutto il giorno 30 giugno 1829 Sc.
41:29.
In tutto Sc.
126:88 1/2.
Questo Signore è irreperibile.
Il Piva, che non pare cattiva persona, dice che dal mese di Dicembre, anzi dalla vigilia di Natale in cui cenò il Tassini con lui non lo ha più veduto senza più sapere dove siasi ficcato, perché ha per certo lui aver cambiato casa.
La dimora vecchia era nella via de' Coronari, ma la nuova nessuno la conosce.
Forse si è voluto così questo birbante sottrarre alle ricerche dei molti da lui derubati, che sono assai assai, ed ogni giorno ne discopro di più.
Ti assicuro, Torricelli mio, che io non perderò di mira lo scoprimento di lui, ma intanto non posso dirti di più.
Ma scopertolo poi che ne trarremo? Fa una cosa: scrivigli una lettera dicendogli tutta la cosa netta e tonda quale da me si è scoperta, e finisci per minacciargli una querela criminale.
Vediamo un poco di spaventarlo, se ne potesse cavare un costrutto.
E ti abbraccio di tutto cuore
Il tuo 996
LETTERA 136.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 10 maggio 1832
Mia cara Mariuccia
Due righe per annunciarti il ricevimento del pacco da te inviatomi.
Esso contiene appunto ciò che io desiderava: e mi pare bene che io errai nel chiedere due paia di stivaletti bianchi, giacché trovo che le due paia più nuove, fatte l'anno scorso, sono le cenerine di tela russa e quelle di nankin naturale.
Sono sempre in attenzione della risoluzione che prenderà Pippo Ricci sull'invio degli Sc.
40 che tengo per lui, siccome gli scrissi il giorno 3 corrente, nel qual giorno ne scrissi contemporaneamente anche a te col mio n.
3.
Domani o dopo domani vado a Pesaro con Torricelli, e ne ritorneremo dopo due giorni conducendo la di lui suocera ad un casino di campagna che Torricelli ha in questi contorni, ed ove passeremo tutti insieme un mese.
Avrai udito che in Ancona accadono de' sussurri, ed i Carabinieri sono rinchiusi e guardati dai francesi.
Pare che tutto provenga dalla imprudenza di un ufficiale di quel corpo, il quale all'istanza un po' viva di certi cittadini che chiedevano la restituzione di un ottonaio carcerato per fabbricazione d'armi vietate, si vuole che corrispondesse con un colpo di pistola il quale uccidesse un uomo che usciva di chiesa pe' fatti suoi.
Il popolo parve molto indignato.
La frequenza di simili sconcerti pei diversi luoghi dello Stato non può essere favorevole al ristabilimento della buona intelligenza reciproca, tanto necessaria pel ritorno di un ordine desideratissimo, al quale ciascuno dei partiti dovrebbe cospirare, cooperando col sagrifizio d'una parte del proprio orgoglio e del sommo diritto che affaccia.
Il Mondo pare oggimai una caldaia di mosto.
Per ora grand'acido si sviluppa: quando ci consoleremo col vino di tanto fermento? Iddio ci tragga da tanti imbarazzi, ci faccia buoni, ci consoli, amen.
Tanti baci a Ciro nostro che benedico di cuore, come di cuore ti abbraccio.
Il tuo P.
LETTERA 137.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 19 maggio 1832
Mia cara Mariuccia
Apprendo dalla tua del 17 la spedizione della scattola del Sig.
Camilletti, e ne ho parlato a Torricelli, il quale contentissimo di tutto ti ringrazia senza fine delle tue sollecite premure per lui.
Allorché l'invio sarà giunto, ne avrai avviso e ti si spedirà il resto dell'importo.
Gli scudi Trenta che ti spedii martedì 15 gli avrai forse a quest'ora ricevuti, seppure non ti arrivino colla diligenza di martedì 22.
Scrissi giovedì a Pippo dandogli ragguaglio del viaggio Marcolini, e pregandolo di saluti per te e per Ciro.
Torricelli ed io avevamo finalmente risoluto di andare dimani a Pesaro per tornare dopo due giorni, ma chissà se lo stato della Contessa ce lo permetterà.
Di giorno in giorno essa si è ridotta nel modo quasi simile a quello in cui mi ridussi io l'altr'anno.
I tempi qui infuriano invernilmente dopo sentitosi per qualche giorno un caldo veramente da luglio.
- Ti ringrazio rapporto alla Mancini, e riferirò a' di lei parenti le tue parole.
La gita alla Vigna Lelmi mi è un garante che la tua salute del 17 fosse migliore di quella del 16, lo che mi dà molta consolazione.
Venendo a Ciro, godo assai di vedere in lui un certo amor proprio, mentre da questo, allorché è moderato, procedono tutte le virtuose e lodevoli azioni degli uomini.
Benedicilo e abbraccialo per me.
Il sufficiente stato di salute del buon Cav.
Galiano mi dà piacere, e i suoi saluti altrettanto.
Intendi già che io li contraccambio sempre che tu possa farglieli ricevere.
La mia salute è buona, ma gli stessi riguardi che osservo per conservarla tale mi tengono moscetto moscetto, dappoiché sappi che dal mio arrivo a questa parte due sole volte ho potuto azzardare di uscire di Casa, oltre la visita a Marcolini: ed altronde qui dentro non vi sono attualmente motivi di sollievo, stante la malattia della Contessa e la insociabilità del paese.
Che vuoi fare? Vedo bene che da qualche tempo un destino avverso perseguita i miei viaggetti: ma
Purché non venga
Madonna Morte
L'iniqua sorte
Si stancherà.
Saluto tutti, e abbraccio affettuosamente la mia Mariuccia.
P.
LETTERA 138.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 22 maggio 1832
Mia cara Mariuccia
Di pienissimo gusto di Torricelli e di tutti è riuscito il monumento mandato dal Sig.
Caminetti, per dare al quale io ti spedisco oggi franchi i residuati scudi quindici che gli consegnerai dietro la quietanza di saldo in Sc.
45.
Detta quietanza inseriscila in una tua lettera e mandamela.
S'intende già che il Sig.
Camilletti faccia il suo ricevuto a favore dirett.e di Torricelli per le tue mani.
Torricelli torna nuovamente a renderti le maggiori grazie che sa pel bel modo con cui l'hai in questa circostanza favorito.
Della Sig.ra Mancini va benissimo tutto ciò che tu dici, e ne feci parte a' di lei parenti.
Intanto ti ringrazio anche di ciò nuovamente.
Io non volli farti nessuna specie di rimprovero circa la regolarità delle cose che possa io dirigere a favor tuo: soltanto intesi di metterti su ciò l'animo in quiete per questa e per tutte le altre possibili circostanze future.
Va bene di Lazzarini e di Paniani.
- Le stesse parole che Piccolomini ha risposte a te le rispose a me prima della mia partenza: ciò vuol dire che non ha più pensato da quel tempo a far nulla.
Se vedi il Sig.
Perozzi, salutamelo.
Domenica scorsa, vedendo una ottima giornata, detti una corsa a Pesaro, viaggio di tre sole poste, e ne tornai ieri, lunedì, conducendo meco la Madre della Torricelli che sta molto aggravata.
Antaldi mi pagò Sc.
20, frutti a tutto marzo pp.to.
i quali sono in mie mani.
Il buon tempo dura ancora: oggi è il terzo giorno: Dio ce lo conservi.
Delli Sc.
10 che mi facesti ritenere sui denari di Ricci ti risposi in globo nella lettera a Ciro.
Andò benone così, e torno a manifestare la mia soddisfazione.
Povero Ciro! Non poteva ancora vedere i Cavalli! Ma pure egli ricorderà che una volta ci si addormentava e straniva.
Ora però è più grande e giudizioso, e troverà più gusto in quel divertimento.
Io lo abbraccio e benedico col maggior affetto.
Così faccio con te, dalla benedizione in fuori.
Sono il tuo
P.
LETTERA 139.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, giovedì 24 maggio 1832
Mia cara Mariuccia
Ricevo la tua carissima del 22 e la riscontro.
Non è già complimento che mi ha ritenuto in casa tanto tempo, ma come ti accennai, la malvagità dell'atmosfera.
Oggi è il 5° giorno che si respira, benché pare già che si vada un poco rannuvolando.
Io sto bene in genere, perchè mi sono avuto riguardo, ma vado sentendo de' doloretti agli articoli dei diti delle mani e de' piedi, ai polzi, ai gomiti, alle ginocchia etc.
Passeranno.
- La Contessa Torricelli sta molto male: le cavano gran sangue: insomma ricordati di me nel 1831: tale è ella ormai: di modo che qui v'è tutt'altro che allegria.
Ci vuol pazienza.
Godo della buona salute di Ciro, e della tua competente vado sperando meglio.
Dunque Borghese è stato trasportato da Firenze a Roma?
Non avrai trovato alla diligenza gli Sc.
15 che ti avvisai in predizione nella mia del 22.
Il motivo fu perché andato alla posta la mattina non ci trovai nessuno, e tornatoci dopo il pranzo trovai che allora passava il corriere, e non fu più tempo di depositare.
Depositai però ieri, e martedì 29 gli Sc.
15 per Camilletti saranno in Roma all'ufficio.
È un ritardo che a nulla nuoce.
La ricevuta del Camilletti per gli Sc.
45, come ti dissi la spedirai a me.
- Dimanda a Biscontini se ebbe poi la risposta di Plinj sul suo conto di stragiudiziali nella causa Marcotte a Ricchi.
Benedico e abbraccio Ciro nostro, e ti abbraccio affettuosamente
il tuo P.
LETTERA 140.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 29 maggio 1832
Mia cara Mariuccia
Riscontro la tua 26 cadente.
Io sto meglio de' miei doloretti reumatici.
Per tre sere ho fatto de' pediluvii con acqua aceto e senape: per due mattine ho preso cremor di tartaro etc.
- Anche la Contessa sta meglio, benché da quattro giorni sieno qui riprincipiati i venti e le pioggie.
Godo del divertimento di Ciro nostro alla Commedia de' ragazzi; e mi spiace che i Cavalli ti abbiano annoiata.
- Dici benissimo: ho avulso Sc.
40.
Mariuccia mia, la posta sta per partire, ed io chiudo la presente per arrivare in tempo.
Do mille baci a Ciro e a te, saluto tutti e sono
il tuo P.
LETTERA 141.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 7 giugno 1832
Mia cara Mariuccia
Ricevo la tua del 5 e mi sorprende che Pippo non ti abbia riferito le cose che io gli scrissi per te coll'ordinario del 2 corr., relative alla tua del 29 p.to Maggio.
Nello scorso ordinario del 5 ti aggiunsi qualche parola a piè di una lettera che volle scriverti il nostro Torricelli.
- Qui ancora il tempo segue ad essere alternato da fitto estate e fitto inverno: piove quasi sempre, e quando non piove tira un vento furioso; insomma è una diavoleria.
La Contessa segue al solito: io me la passo.
- Mi fa gran pena il sentirti così convulsa; ma spero che finalmente questo infame tempo si placherà.
- Di' a Spada che un po' più in là risponderò alla sua lettera.
Abbraccia e benedici il nostro caro Ciro, e credimi sempre affettuosam.e
il tuo P.
LETTERA 142.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 16 giugno 1832
Godo assai, mia cara Mariuccia che finalmente questa tua da sì lungo tempo sospirata gita di Monte Cavi sia pure accaduta.
Ma se io debbo dal tempo che qui fece giovedì 14 arguir quello che avrà fatto in que' paesi, dovrei temere assai del buon esito della tua allegriata, imperocché qui soffiò tutto il giorno un turbine furiosissimo.
Basta, voi altri non sarete stati sciocchi di avventurarvi.
Lo avrei voluto vedere quel caro Ciro sul somarello! Ci fu alcuno che prendesse possesso? - La Contessa cominciò ieri ad alzarsi per una oretta.
Essa ti saluta e così Torricelli.
Anche egli è stato alcun poco malato.
Un po' più di lui lo è stata una di lei figlietta, e più di questa la cameriera della Contessa: tutti contemporaneamente.
- Il mio dito si è sciolto e scrivo bene da me.
- Bravo Cardinali! me l'aspettavo! - Salutami tutti gli amici, dà mille baci a Ciro nostro, e ricevi da me il solito affettuoso amplesso.
Sono il tuo P.
LETTERA 143.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 19 giugno 1832
Mia cara Mariuccia
Il racconto della tua gita mi ha fatto passare una bella mezz'ora, benché avrei amato udire che ti avesse fatto lo stesso buonpro che al nostro amatissimo Ciro.
- M'indovini per aria e poiché lo comandi, ecco per ora in succinto la narrazione del fatto.
Il pretesto del dito e tutto il resto fu un puro artificio per non metterti in pena.
Ora pare tutto finito.
Il 4 mi posi in letto con febbre ed infiammazione di gola, presa collo star sempre in casa e in vetrina.
Dal 4 all'11 mi fecero 9 sanguigne dalle braccia e una dal piede.
Il giorno 17 mi attaccarono 17 mignatte alla gola e il giorno 11 altre 53 nel medesimo sito.
Jeri al giorno mi alzai un poco dopo di avere avuto per 15 giorni a' miei fianchi sempre il medico il chirurgo e lo speziale.
La mia Camera era trasformata in un arsenale di caraffe, di caraffine, di acque, di olii, di cassie, di cartine, di sciroppi, di spugne, di ghiaccio etc-etc.
e ti dico ghiaccio perchè nel giorno 12, vinta appena l'acutezza estrema del male, mi si posero a cacciare in gola ghiaccio e gelati; e così ho durato per 5 giorni dì e notte senza alcuna interruzione.
- Adesso mi si curano le ulcere natemi in gola.
- Ti assicuro che un assalto simile forse non l'ho avuto mai.
Ah! vedo che per questa mia gola è finalmente necessaria una risoluzione per liberarmi per sempre da un tanto flagello.
Ricadere ogni momento, ad ogni leggerissima causa: perdere tutto il sangue ogni tantino: conservare di ogni ricaduta il lievito per una nuova: patir tanto: correr rischio di ammalarmi in viaggio e dove Dio sa: spender tanto; e forse alla fine diventare un canchero!...
A tutto ciò avere un rimedio facile, non doloroso o pochissimo, breve, senza conseguenze, e non farlo? Già da molto tempo molti valenti professori mi ci hanno consigliato: in oggi poi me ne mostrano la precisa necessità.
Io ho due tonzille scirose: ebbene estirparle, e buon anno.
In due minuti tutto è fatto.
Fra due o tre mesi, tutto bene esaminato, voglio farlo: e tu se ami la mia vita ci acconsentirai.
- Ho scritto già troppo.
Tutti ti risalutano: ed io ti abbraccio di cuore con Ciro nostro.
Il tuo P.
P.S.
Il diligentissimo medico, bolognese, scuolaro di Tommasini, segue sempre a visitarmi con assiduità.
LETTERA 144.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, 21 giugno 1832
Mia cara Mariuccia
Riscontro la tua 19 corrente che a cagione della solennità del Corpus domini ho ricevuto pochi momenti prima dell'impostare.
Dalla mia precedente avrai udito tutto quello che in ristretto concerne la sbiossa da me sofferta.
Ora la convalescenza progredisce lentamente ed allorché sarà compiuta io volerò a Roma nelle mie stanze in compagnia di te e di Ciro e degli altri amici veramente fatti pel mio cuore.
- Tu non vuoi conti, ma come farne a meno? - Degli Sc.
40 da me avuti in tre volte, me n'erano restati al principio della malattia 26, coi quali io aveva, più che a sufficienza per soddisfare tutti gl'impegni e le spese fino a pie' fermo in Roma.
Ma vedi, cuor mio, quale diluvio mi è venuto addosso.
Il solo medico mi ha fatte 60 visite, delle quali varie di notte.
Poi tante sanguigne, tante mignatte, tanti crestieri, tante medicine, neve, gelati, doveri di mance di più...
In questo frangente ero lì per chiederti qualche cosa nel mentre che questo Dr.
Baglioni corrispondente di Pippo Ricci è venuto a propormi di lasciare in mie mani Sc.
40 per Ricci stesso.
Io ne scrivo a Pippo in questo medesimo corso e lo prego di venire subito da te per concertare questo affare, parendomi utile che tu non spenda per affrancarmi danaro.
Nella lettera a Pippo sviluppo meglio simile interesse, sicuro che quanto a lui dico potrà forse anche a te convenire.
Perciò qui mi astengo dal dire di più, essendo l'ora tarda e le forze poche.
Spero nel giorno di lunedì 25 avere su ciò una risposta da te concertata con Pippo per mia quiete.
Mia cara Mariuccia, io sono afflittissimo di aver cagionato alla Casa quest'altro dispendio nelle attuali purtroppo luttuose circostanze: ma come si fa? Come cozzar col destino? - Ti rendo i saluti della famiglia Torricelli, e ti prego risalutare chi si è ricordato di me.
A Ciro mille benedizioni e baci.
A te poi un milione di abbracci.
- Smanio di ritrovarmi fra voi altri.
Sono il tuo P.
LETTERA 145.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Fossombrone, martedì 26 giugno 1832
Mia cara Mariuccia
Riscontro la tua di sabato 23.
Ecco il motivo del mio artificio per nasconderti il mio stato: temevo di darti troppa pena, ma tu mi forzasti a dir tutto, e tutto fu detto.
Intanto però, cara Mariuccia, non agitarti più affatto perché io son guarito, ed ogni giorno sto meglio.
L'unica cosa che conservo sono quelle dogliarelle nelle articolazioni delle mani e de' piedi: ma, come ti dissi nella mia precedente, qui ti ripeto che il Medico mi assicura un tale incomoduccio dovermi lasciar libero allorché farò dei bagni.
Non attribuire menomamente a mio desiderio di palliarti l'importanza della operazione delle tonsille.
Tutti i professori mi hanno sempre in ogni luogo assicurato, come questi attualmente mi confermano essere detta estirpazione una cosa ridicola e da non farne alcun caso.
Il dolore è piccolissimo e infinitamente minore che quello della estrazione d'un dente: il tempo per eseguirla può al più estendersi a due minuti: l'emorragia se un poco di emorragia accade, si arresta in momenti con l'uso della neve tenuta in bocca.
Insomma io ti ho detto la pura verità: ciononostante ad autunno c'è tempo, ed avremo agio ed opportunità di parlarne per fare il tutto col più scrupoloso giudizio.
Che se verificheremo insieme che in simile operazione c'è tutt'altro che da porsi in orgasmo, non ti pare un gran beneficio quello di liberarmi per sempre da tante maledette angine?
Torricelli è tutt'ora a Sinigaglia: al suo ritorno gli farò i tuoi ringraziamenti: gli ho intanto fatti alla moglie la quale non vuole ascoltarli.
Di ciò parleremo meglio a voce.
- Sii certa che io non mi metterei in viaggio quando non mi sentissi capace di sopportarlo, sarebbe di partire dentro la settimana futura, secondo che potrò e dove il medico non lo giudicasse opportuno.
La mia idea su ciò trovare qui una occasione per venire a piccole giornate sulla via del Furlo.
Tre motivi mi persuadono a scegliere questo partito: 1° il non voler passare presso Ancona con la diligenza, dove questo legno è spesso assalito dai ladri: 2° evitare tre giorni di continua scossa con tre nottate di cammino: 3° il vero incomodo del giungere a Roma di notte.
Su ciò ci risentiremo meglio.
Se intanto ti fosse possibile di ottenere il solitissimo lasciapassare, sarebbe cosa buona.
Io posso riportare piuttosto qualche cosa di meno che non qualche cosa di più di quello che portai via da Roma.
Circa all'affare di Ricci, benché non abbia potuto udire il di lui voto, esiggerò gli Sc.
40 per suo conto, e quello che non ne spenderò lo condurrò a Roma per darlo a lui o a te secondochè sarà stato composto fra noi tre questo affare.
Forse la disgraziata combinazione di D.
Pietro Lante può essere utile alla salute di Ricci padre, togliendolo a quella vita solitaria e cogitabonda che sempre conduce.
La notizia di Galiano mi ha veramente sorpreso! Povero G.
R.
colle sue speranze! Tutti i dolci e le visite delle tre damigelle, tutto gettato! - Anche io però ci perdo, diciamo la verità, imperocché già mi andavo introitando delle altre belle trottate in quel comodissimo legno nelle deliziose giornate estive! Ma senza burla od egoismo, mi dispiace sul serio di non vederlo più!
È un pezzo che Cencio Rosa doveva avere il grado, ma io credevo qualche cosa più che sotto-tenente.
- Eccoti ancora da mia parte una bella letterona.
Lo scriverti non mi ha punto incomodato, ed altronde c'erano a dire varie cosette.
Finisco qui dopo averti pregato di benedire Ciro nostro e di coprirlo di baci.
Mi vado consolando sempre colla speranza che egli si ricordi del suo papà, e che studii.
Quanto godrei se al mio ritorno lo udissi leggere velocemente e a senso due pagine! - Ti abbraccio di vero cuore, Mariuccia mia, e sono il tuo P.
LETTERA 146.
A FRANCESCO SPADA - ROMA
[fine giugno 1832]
Mio caro Checco
E da Mariuccia e da Ricci avrai udito le mie peripezie.
"Eppuro eccheme quà: gnente pavura".
(Io)
Senza dunque altra giustificazione tu vedi qual fu il mio ritardo di riscontro alla tua del 5 giugno spirante.
Se la faccenda andava un poco più avanti invece di giugno ero spirato io.
Allorchè Biagini scriverà al valoroso Malvica fa' che gli dica da mia parte che io ho letto il paragrafo per me e ne ho aggradito la compitezza dell'espressioni.
Esse stesse però, moderate ed oneste quali potevano uscire dalla penna di un gentiluomo quale Malvica è, mi hanno purtuttavia fatto dubitare che da me sino a Lui la natura delle mie opinioni e delle parole sul di lui libro bellissimo de' sepolcri etc.
abbia per avventura potuto alterarsi per successivi malintesi, mentre le doti dell'opera che il Malvica vuole modestamente segnalarmi sono appunto quelle che io trovo ed apprezzo in quel suo lavoro pieno di ardore, di dottrina e di virtù.
Le uniche mie pochissime osservazioni cadevano e cadono sul solo artificio di poche fra le molte inscrizioni onde il volume va ricco.
In questo mi parve che anche voi amici vi accordaste con me: e se così fu, o tutti dicemmo bene o c'ingannammo tutti.
Oltre la lettura da me fatta in Roma dell'esemplare che me ne die' Biagini, l'ho replicata in questa Città maturamente, al quale effetto portai meco il libro.
E già mi accingevo alla estensione dell'articolo per l'Oniologia, quando mi assalì la mia fiera malattia che fece colare dodici volte il mio sangue.
Pretermesso allora ogni pensiere che non fosse di cura, mi sopraggiunse la tua del 5 col paragrafo di Malvica, il quale mi fece mutare idea, onde evitare ogni credibilità di prevenzione sinistra che mi si potesse supporre dell'opera da esaminarsi, ed anzi da lodarsi quasi in tutto.
Malvica però non sarà frodato dall'articolo, seppure non mi manchi una promessa di chi non mi ha mancato giammai: e nell'articolo che rimpiazzerà il mio il nostro Malvica otterrà gli elogi e le osservazioni di ben più degna penna che la mia.
L'estensore ha egli per mia cura letto anch'egli due volte il libro e ne ha concepito il desiderio di conoscerne l'autore.
Chiudo questo lungo paragrafo co' miei affettuosi saluti per quel nobilissimo ingegno che tanto onora e più è per onorare la Sicilia e l'Italia.
Non mi resta più tempo per te.
L'ora della chiusura della posta già batte: e così tu, Biagini, Piccardi etc.
pigliatevi un sacco di abbracciamenti del vostro Belli.
"E se nel sacco qualcosella avanza,
Datene..."
P.S.
Non so se, rispondendomi tu, io potrei avere qui la tua risposta.
Dunque tu hai talento e capisci cos'hai da fare.
LETTERA 147.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
[7 agosto 1832]
Amico carissimo
Ho udito che abbiate ricevuto dal re di Napoli una nuova decorazione, e ne ho giubilato come di uno de' pochi casi ne' quali vedo fra gli uomini posarsi il fregio sul merito, e perciò più ne ho giubilato che questo merito riconosciuto risieda in chi mi onora della sua cara amicizia.
Se la notizia è vera, come ho dei dati per credere, piacciavi di accrescere la mia sodisfazione con una vostra diretta conferma.
Da non molti giorni io sono tornato a Roma dopo un altro breve viaggetto di poco oltre a due mesi.
Qui seguo il mio solito genere di vita: ritiratissimo e solitario.
Mi aspetto di udire altrettanto di voi, meno il vostro sollievo serale de' quartetti in famiglia.
Vi faccio i saluti di mia moglie e vi prego di passare i miei rispetti a tutti i vostri.
Sono di cuore
Il vostro amico e servitore
Giuseppe Gioachino Belli
Palazzo Poli, 2° piano.
Di Roma, 7 agosto 1832.
LETTERA 148.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Sabato 20 ottobre 1832
Mia cara Mariuccia
Manca un quarto alle 10 e già siamo a Baccano per rifrescare.
La vettura è eccellente, e i cavalli volano.
Ciro sta benone e saluta tanto tanto la sua mammà pregandola a stare allegra.
Un'ora e mezzo prima dell'Avemaria siamo giunti a Civitacastellana, e appena preso alloggio ho mandato il nostro Ciro con i due fidi angioli custodi a vedere il Duomo, il ponte, la fortezza (di fuori) e lo svizzero che batte le ore sul campanile.
- Tornato a casa, e udendo dire da me che la camera assegnataci doveva per certo essere frequentata da molti sorci, de' quali si vedevano gl'indizii e si udivano gli strilletti, egli il nostro Cirone ha subito esclamato: Questo è certo non vedete che anche sul pagliaccio de' letti ce n'è l'avviso? Queste due lettere S.A.
significano Sorcio Amato.
Infatti ogni paglione aveva un bollo marcato con dette iniziali.
- Ora è la 1/2 ora di notte.
Ciro giuoca a carte con Domenico, e osserva che la sua mammà starà con Don Ferdinando.
- Or'ora si cena e poi si va a letto.
Buona notte anche a te, cara Mariuccia da parte di noi tutti.
Narni 21 - ore 10 1/2 antimerid.e
Siamo giunti sani e salvi.
Ciro mangia d'assai buono appetito.
Abbiamo veduto Bucchi che ti saluta.
Sta grasso.
La moglie sta magra e torna a Roma sul fine del mese.
- Nel dubbio di fare in tempo a Terni, imposto qui la presente.
Se l'ora lo permetterà ti scriverò pure da Terni, e così avrai le notizie nuove di là.
Siamo in legno e scrivo qui dentro; perciò Ciro non può aggiungere di più.
Tanti rispetti d'Antonia e Domenico, co' saluti per Annamaria ed Antonio.
Ti abbraccio di cuore il tuo P.
LETTERA 149.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Mammà mia, io sto bene, e mi diverto vedendo Terni che mi piace, e ci ho trovato un anfiteatro come Corea.
Vi assicuro che non mi manca altro che di stare con voi.
Ma vado a farmi uomo, e questo pensiere deve dare a me coraggio, e a voi consolazione.
Tutti vi salutano; ed io vi bacio la mano chiedendovi la benedizione.
Ciro vostro.
Di Terni, lunedì 22 ottobre 1832
Mia cara Mariuccia
Come ti dissi nella mia, data di Narni, non giunsi qui in tempo per impostarti un cenno del nostro ottimo arrivo.
Fummo accolti con somma cordialità da Teodora, Mariuccia e Peppino.
La moglie é restata a Torre Orsina con la figlietta, perché questa è raffreddata, e pel bisogno di attendere alla vendemmia, lo che obliga pure Peppino a tornarvi oggi dopo pranzo.
Ciro piace a tutti quelli che lo vedono, e mostra una franchezza per tutto, in tutto e con tutti, che fa piacere a guardarlo.
Ogni tanto mi va egli dimandando cosa farà adesso Mammà.
Io gli rispondo che starà afflitta per la sua mancanza ed egli dice povera Mammà!
Ho veduto Corazza: siamo restati d'accordo che al mio ritorno lo avviserò e andremo a Cesi sulla faccia del luogo con un muratore e combineremo il tutto secondo il giusto e l'onesto.
Stocchi credeva che a me potesse piacere di prendere lo stesso il semestre d'affitto.
Gli ho mandato a dire da Corazza che il danaro serve a te in Roma, e però, dovendo io subito ripartire per Perugia, o mi fornisce col denaro i mezzi di spedirtelo franco, o lo affranchi egli stesso alla tua direzione.
Già ti ricorderai che in questo semestre ci toccano non già Sc.
105 ma bensì Sc.
97:81, stanti gli Sc.
7:19 che si debbono a Corazza.
- Circa agli Sc.
50 che questi deve dare tuttora per residuo del prezzo del terreno vendutogli, o me li pagherà al mio ritorno da Perugia (e in questo caso gli si abbuoneranno per essi altri Sc.
1:25 di frutti a tutto marzo 1833; epoca in cui entrerà in possesso del fondo); ovvero li pagherà in quell'epoca come meglio a me piacerà.
- Alla riapertura del tribunale, intorno alla festa di S.
Martino, sarà finita la pendenza con i frati Agostiniani, pel sequestro circa Piacenti.
Allora io sarò in Roma o starò per entrarvi, e firmeremo insieme la procura ad esiggere, secondo i termini che in detta epoca sarò ad indicarti.
- Io vorrei ripartire per Perugia dimani mattina, ma il vetturino che ci ha condotti fin qui non può venire, e sinora altro legno non s'è trovato.
Prima che cada il giorno ciò può accadere.
- Il tempo è bello e Peppino voleva condurre Ciro in legno alla caduta e poi di là a cavallo alla Torre; ma cavalli in questi tempi di vendemmia non si sono trovati, ed altronde vetture non si possono prendere stante la privativa della Posta, la quale poi costa troppo.
Egli ha un legnetto, ma attualmente manca di cavallo.
- Oggi penso di mandar Ciro a vedere il così detto Sasso di S.
Paolo a mezzo miglio fuori le porte di Terni, dove il fiume imbattendo in un enorme macigno piantato a traverso il suo corso, forma un salto bellissimo.
Sarà questa vista una miniatura della cascata che vedrà un giorno.
-
Mariuccia mia, pensa a sollevarti quanto più puoi, e sii persuasa che Ciro sta bene e meglio starà sempre coll'aiuto del Cielo.
- Antonia e Domenico non cessano d'insistere perchè io ti porga i loro rispetti, e ti mandi i saluti per la Signora Annamaria la Decana e per Antonio il novizio.
Martedì 23.
Non siamo oggi partiti per mancanza di vettura; partiremo però dimani mattina: si rinfrescherà a Spoleto: la sera a Fuligno; e giovedì mattina saremo a Dio piacendo, in Perugia; ciò accadrà presso a poco allorché tu leggerai la presente.
- Ciro ha fatto una grande amicizia con un canòne di casa.
Bisogna vedere come questa bestia gli corre appresso per tutto.
La seconda amicizia poi l'ha stretta con un bell'albero di fichi che sta giù nell'orto.
Ogni tanto corre giù, e sta contemplandolo a testa alta e bocca aperta.
Questa mattina Domenico ed io siam saliti sull'albero, ed egli era fuori di sé raccogliendo da basso i fichi che gli facevamo cadere.
Non credere però che ne abbia mangiati: li ha tutti portati in casa per pranzo.
Già egli parla di Terni e delle sue strade, come di Roma; e mostra una prontezza tale che credo non avergli mai scoperta dapprima.
Le mangiate e le dormite son come quelle d'Albano, e sta rosso e duro come una mela rosa.
Ieri fu, come ti dissi, al sasso di S.
Paolo, e tornato a casa imitava con salti e suoni di bocca il rumore e il moto di quel fenomeno d'acqua.
Oggi è andato a S.
Martino, al Monumento, alla Madonna del Rio, e verso la strada di Piedelmonte.
Antonia e Domenico gli sono sempre al fianco: io per verità faccio il poltrone.
-
Finisco col pregarti nuovamente a star del migliore animo che puoi.
Tutti ti salutano, e Ciro ti bacia la mano chiedendoti di nuovo la benedizione.
Io ti abbraccio di tutto cuore; e sono al solito
il tuo P.
LETTERA 150.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Perugia, giovedì 25 ottobre 1832
Mia cara Mariuccia
Partiti ieri mattina da Terni arrivammo ieri a 22 ore e mezzo a Fuligno, dove girammo alquanto per far vedere alla mia gente la Città e i guasti del terremoto.
Dopo bene albergato si è ripartiti questa mattina a giorno e alle ore 11 antimeridiane eravamo già qui in Perugia distante da Fuligno 22 miglia.
Tutto è andato benone.
Smontati appena in locanda è venuto a vederci Biscontini il quale ha fatto tutti i patti col locandiere e ci ha assistiti a pranzo.
Dimani pranzerà con noi: noi poi andremo per un paio di giorni alla sua villeggiatura.
- Ho mandato alla posta, e infatti eravi la tua del 23 con l'inclusa carta bollata che ti rispingo firmata.
Circa alla assicurazione ci avrei sempre badato benché tu non me lo avessi detto.
- Ho già parlato col sarto e col calzuolaio.
Il primo farà a Ciro un abito nero, due pantaloni e gilè simili (tanti ne fanno gli altri) soprabito e pantaloni di borgonzò e feraiuolo simile: il calzuolaio poi gli farà due paia di scarpe.
- Domani andremo a visitare il Collegio, e allora ti saluterò il Presidente Colizzi: oggi sono tutti in campagna.
- Appena vedrò Micheletti gli farò il tuo saluto.
- Di Stocchi già ti dissi nella mia di Terni 24 corr.e; feci a Corazza molte premure, ma nulla vidi prima della mia partenza.
Spero che non vorrà prendersela così comoda.
- Va bene della De L'Arche: se si esigge, dimmelo, ed io le ne accuserò subito il ricevuto.
- Biscontini mi fornirà tutto il danaro che mi occorrerà.
- Ho parlato lungamente e continuamente con Ciro di te, ed oggi in particolare gli ho letto il paragrafo della tua lettera: egli dice che ti dia tanti e tanti baci sulle mani e sul viso da parte sua, e ti chieda a suo nome la benedizione.
- Noi stiamo tutti bene.
Antonia e Domenico ti riveriscono.
Biscontini ti saluta: io ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo P.
LETTERA 151.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Perugia, sabato 27 ottobre 1832
Mia cara Mariuccia
Noi seguitiamo tutti a star bene: ieri conducemmo Ciro a vedere il Collegio: ci ricevé il Presidente Colizzi che ti saluta.
Lo stabilimento non può essere meglio esposto né più propriamente tenuto.
Tutto bene.
Bel refettorio, bella cucina, bel teatrino, bei bigliardi, bellissimo oratorio, insomma tutto bello, proprio e decente.
Si è stabilito che per quest'anno Ciro starà fra i piccoli, onde abbia più cura, non parendo ancor tempo che dorma in una camera solo, né essendo capace di quegli studii che occupano i mezzanelli.
Starà dunque in un grazioso dormitorio scompartito in vaghi lettini di ferro, tutti nuovi.
Accanto al suo lettino, che è coperto di un vidò bianco, avrà il suo tavolinetto da posar le sue cosette, e un attaccapanni coperto da tavoletta e tendina.
- Egli entrerà lunedì prossimo, onde andare subito alla scampagnata che in quel giorno tocca; ed è meglio, a sentimento di tutti, che partecipi di questi ultimi giorni di divertimenti onde al suo ingresso non metterlo subito al travaglio.
Ciro è il più bello di tutta la sua camerata.
Avvicinatosi ai suoi futuri compagni (fra i quali sono Grazioli, Sartori e Bartolucci) tutti gli si andavano mettendo accanto per vedere se era più alto o più basso di loro, e poi tutti pregavano il Presidente che lo facesse restare a pranzo con loro.
- Appena Ciro sarà in Collegio, noi andremo per due giorni al casino di Biscontini e poi tornati a Perugia vi passeremo altri due o tre giorni per visitarlo: quindi partiremo per Terni.
- Addio, Mariuccia mia: Domenico e Antonia ti riveriscono: Ciro ti bacia la mano e ti chiede la benedizione, ed io ti abbraccio di cuore
il tuo P.
LETTERA 152.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Perugia, 30 ottobre 1832 - martedì
Cara Mammà mia, io sto bene e contento, e vi chiedo la benedizione, baciandovi la mano con rispetto ed affezione.
CIRO VOSTRO.
Mia cara Mariuccia
Hai ragione veramente di lagnarti che nella lettera che ti diressi il 25 non vi fu nulla di carattere di Ciro, come altresì nulla vi avrai trovato nell'altra del 27, ma sappi che dette due lettere per varie circostanze furono da me scritte e chiuse in somma fretta.
Eccoti nella presente due righe di questo caro figlio scritte da lui questa mattina nella camera del Presidente Colizzi.
Ieri, come nella mia precedente ti avvisai, seguì il suo ingresso in Collegio.
Alle 9 lo mandai con Antonia e Domenico per udire a quale ora si poteva tornare con lui e con la canestra del corredo, onde fare la consegna così di esso come della roba: egli corse sempre avanti sino alla porta del Collegio, ed arrivato dentro non volle più tornare indietro, di modo che Antonia e Domerico ve lo lasciarono e tornarono soli, maravigliati dell'allegria e franchezza da lui mostrata nel prendere subito possesso del suo nuovo domicilio.
Dopo le 10 vi tornammo tutti insieme col bagaglio, e trovammo Ciro cogli altri ragazzi della sua camerata in un salone, che è la platea del teatro, dove faceva il capo-popolo giuocando a palla, e dirigendo e vincendo tutti in quell'esercizio.
Era un bel vedere con quale ilarità e destrezza si tratteneva in simile favorita occupazione dentro un gran vano vuoto, circondato da mura amplissime e senza alcuno impedimento, neppur di finestre, che stanno assai in alto.
Mi disse il prefetto che già avevano i ragazzi fra loro accozzato una commediola d'invenzione, nella quale al solito Ciro si fece rimarcare per la sua franchezza e lepidezza.
- Dopo qualche tempo passarono al giuoco delle boccette nella sala de' bigliardi.
Il cattivo tempo non permise la campagnata: e si divertirono tutto il giorno in casa.
Questa mattina è uscito a passeggiare nel suo uniforme nero con tutti gli altri compagni: oggi a 22 ore vi torna un'altra volta.
Lo abbiamo trovato contentissimo di tutto, del vitto, del letto, degli usi etc.
etc.
Accanto al suo bel lettino ha il suo tavolinetto con tiratorini, il suo comodino chiuso, insomma tutto l'occorrente.
Il Presidente Colizzi m'ha assicurato che è il più caro ragazzetto che abbia veduto: e l'Economo del Collegio mi assicura che non già un novizio egli si mostra ma sembra un veterano.
Dunque, Mariuccia mia ringraziamo Iddio di questa nostra risoluzione.
- Il tempo guastatosi non avendoci permesso d'andare al Casino di Biscontini, io penso di partire di qui venerdì 2 novembre.
La sera vorrei essere a Spoleto per trattenermici il sabato mattina onde tentare di parlar con Plinj che al mio primo passaggio non trovai, stando egli a Monte Falco.
Perciò lo avviso oggi per lettera, come avviso altresì Corazza e la casa Vannuzzi del mio arrivo a Terni nella sera di sabato 3.
- Scrivo oggi anche a Stocchi e alla De L'Arche.
- Qui si sono spesi e si spendono dei buoni quattrini: al mio ritorno avrai il conto di tutto, onde metterlo nel libro delle memorie della domestica economia.
Ciro, separatamente dal suo scritto, mi ha incaricato di dirti tante altre cose per lui e di darti trecento baci.
I saluti di tutti per tutti e i miei affettuosi amplessi per te.
Sono il tuo
P.
P.S.
- Ciro è tutto in festa perchè ieri sera vinse in Collegio una tombola, con cui ha dato trattamento di caffè e latte a tutti i convittori.
LETTERA 153.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Perugia, giovedì, primo novembre 1832
Mia cara Mariuccia
Gran motivo certo di consolazione mi riesce e deve ancor a te riuscire il vedere con qual brio, contentezza e buona grazia il nostro Ciro si presta alla nuova vita che ha intrapresa.
Non si fa mai aspettare in niun uficio e in niuna circostanza degli usi di comunità: non abbisogna di alcuno stimolo, né guida, né assistenza: tutti i superiori sono incantati di lui, e tutti i ragazzi han gli occhi sopra esso.
Ogni giorno noi lo abbiamo visitato, e ieri andammo a far ciò nell'ora del pranzo del Collegio.
Mangiava con un piacere e con una disinvoltura, facendo al solito tutto da sé, che innamorava il vederlo.
Come poi siano i Convittori trattati e con qual'ordine e proprietà non è cosa da dirsi così di leggieri.
La lettura del pranzo dura momenti, e poi i ragazzi son sempre dispensati dal silenzio, facendosi loro facoltà di parlare scambievolmente, purché ciò sia alquanto sotto-voce e con decenza; mentre, come mi diceva il Presidente Colizzi, questo non è un seminario vescovile, ma un instituto di educazione civile, donde debbono uscire giovani destinati al conversare e a tutti i migliori usi della società.
Questa mattina di buon'ora Antonia e Domenico sono andati a vederlo: allegro come il consueto, e s'incamminava allora alla colazione che consiste in una pagnotta di 5 onze e due fette di prosciutto, il tutto di eccellente qualità.
Egli ha detto a Domenico e Antonia che gli salutassero tanto la sua Mamà, e le dicessero da sua parte che egli è assai contento e studierà assai.
Più tardi ci andrò a vederlo anch'io, e verso sera ci si tornerà.
Domani mattina poi ripartiremo di Perugia: la sera saremo a Spoleto: ivi starò il sabato mattina per veder Plinj, a cui ho scritto, e per ritirare dall'uficio delle ipoteche la cancellazione (che ordinai al primo passaggio) della inscrizione Castelli e Avv.
Conti.
Sabato a sera poi sarò a Terni, dove ho già avvisato tutti per lettera.
Stimolai, come ti dissi, nuovamente lo Stocchi a spedirti il semestre del quale abbisogni.
- Adesso adesso si va in un casino qui vicino dove Biscontini ha preparato un convito a me e varie altre persone scelte.
In questo punto ricevo la tua del 30, che è tale da mettermi in costernazione.
Mariuccia mia, se non vale a consolarti il ripeterti con la maggior sincerità dell'animo mio l'eccellente stato di spirito e di luogo in cui si trova il nostro, figlio, io non so più cosa dirti.
Ieri mentre pranzava così esultante, gli si avvicinò Domenico dimandandogli dove fosse più contento, se a casa o lì.
Senza esitare un momento egli rispose: Qui, e quel David (il suo cameriere) è un gran bravo giovanotto.
Consolati, mia cara Mariuccia, e credi al tuo aff.mo P.
LETTERA 154.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Terni, sabato 3 novembre 1832 alle 4 3/4 pomeridiane
Ciro mio caro
In questo punto siamo qui arrivati, e il mio primo pensiero è di darti questa notizia onde tu sappia che il nostro viaggio è stato felice e che noi pensiamo sempre a te.
Io mi persuado che tu stia benissimo, siccome allorché ti lasciai e spero fermamente che la tua condotta tanto nel costume che nello studio sia, e sia sempre per essere lodevole.
Questo è lo scopo di ogni desiderio della tua mammà e mio, e questo è altresì ciò che tu devi alle amorose cure di chi attualmente veglia alla tua educazione.
Riverisci per me, mio caro figlio, il Sig.
Professor Presidente Colizzi e il Sig.
Economo Don Antonio Ribacchi.
Credo che io starò in questa Città sino a tutto il giorno di Mercoledì 7 corrente, e poi tornerò a Casa per far compagnia a Mammà.
Antonia e Domenico t'inviano mille e mille saluti, ed altrettanto fanno questi nostri parenti.
Io poi amorosamente ti abbraccio e ti benedico.
Il tuo Papà.
LETTERA 155.
A MARIA CONTI BELLI - ROMA
Di Terni, domenica 4 novembre 1832
Mia cara Mariuccia
Secondo l'itinerario già precedentemente partecipatoti, giungemmo ieri sera in questa Città.
- Lasciammo Ciro giovedì sera in ottimo citato di salute e al solito contentissimo della sua sorte.
Per mostrarti come ivi è bene raccomandato, e con quanta facilità noi potremo essere al giorno di tutto ciò che lo riguardi, sappi che i Coniugi Rossi (quelli che vennero a pranzo da Biscontini anni indietro con Scifoni ed altri) lo visiteranno ogni festa, lo terranno raccomandato colle loro molte conoscenze, e lo assisteranno in qualunque occorrenza.
- Micheletti lo conosci: il fratello di Micheletti è Computista del collegio, e molto ivi ben veduto: una Signora che va a sposare detto fratello di Micheletti è intrinseca amica del bravo e caro D.
Antonio Ribacchi economo e factotum del collegio, il quale va in casa di lei ogni sera dall'avemaria ad un'ora, e poi dicendo d'aver tanti figli da assistere torna al Collegio fra essi che lo amano come un padre.
Il rettore Can.co Cambi è parente del mio amico Procacci di Spoleto, il quale gli raccomanderà continuamente il nostro Ciro.
- La famiglia di Monsig.
Cittadini Vescovo di Perugia è tutta amica di Domenico, e mediante l'ascendente che il Vescovo non manca di avere su quell'istituto ancora, essa famiglia terrà esatta cura de' vantaggi di Ciro.
I professori dell'università, fra i quali il chiaro Mezzanotte col quale ho stretto amicizia, dovendo andare in collegio ad istruirvi i giovanetti delle classi inferiori, avranno gli occhi su Ciro.
- I Camerieri, il guardarobiere, e tutti gli altri addetti all'instituto, bravissima e amorosa gente, non mancheranno di assisterlo, e anche d'informarci in caso di bisogno dirigendosi specialmente a Domenico, che ha seco loro combinato ogni cosa.
- Aggiungi a tutto ciò i reali meriti del Collegio stesso, e la eccellenza vera del carattere del Presid.
Colizzi, e poi dubita e temi pel figlio nostro.
Lo so, tu addurrai la ragione di non vederlo: ma ti deve consolare il pensiere che egli si va intanto facendo un degno uomo e stimabile.
Presto tu avrai le sue nuove dirette.
- Nel partire da Perugia pregai Biscontini di rispingermi qui la lettera che tu possa avermi inviato a Perugia giovedì primo del mese.
Oggi dopo il pranzo aspetto poi tue notizie dirette da Roma.
- Io credo che starò qui intorno a quattro giorni, secondoché potrò decidere quando avrò veduto Corazza e Stocchi e terminato le faccende con essi.
Non perdo neppure di mira qualche altra cosetta che vi è da fare: quella però e frati Agostiniani non può materialmente definirsi che verso i 20 del mese.
Farò i conti con Peppino sulle dative da lui pagate in quest'anno, ho già esatto l'annata di F.co Diomede prima di andare a Perugia: stimolerò Desanctis per la prima rata del censuccio di Sc.
28:50 che deve restituire in tre anni per convenzione da noi fatta l'altro antro; e se non paga, ordinerò che si citi.
- Se tu puoi al solito farmi avere il lasciapassare mi farai cosa grata.
- Peppino, la moglie e la figlietta sono ancora a Torre Orsina.
- Mariuccia mia, procura di star bene e il più sollevata che puoi: così operando mi darai gran consolazione, e te ne sarò gratissimo.
- Antonia, Domenico, e le cugine ti dicono mille cose: io ti abbraccio di cuore, e sono il tuo P.
Noi torniamo a Roma carichi di baci di Ciro per te e di sue ambasciate pure per te.
LETTERA 156.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, giovedì 15 novembre 1832
Mio caro figlio
Per varie combinazioni, fra le quali la pioggia non ebbe l'ultimo luogo, mi trattenni a Terni tanto che giungendo a Roma la sera di martedì scorso vi trovai la tua lettera del 10, giunta al mio indirizzo nell'antecedente lunedì.
In essa trovo, mio Ciro, motivi di consolazione, sia in riguardo al buon stato di tua salute, sia per rapporto alla lusinga che tu porti di aggradire colla tua condotta a' tuoi ottimi Superiori, ma finalmente a motivo della soddisfazione che mi mostri del nuovo tuo stato.
Vivendo, tu conoscerai un giorno quello che tutti gli uomini sperimentarono, la vanità cioè di tutto quanto non è merito e virtù; e questa verità, che ti viene dalla bocca di un padre che non saprebbe mai ingannarti, ti sostenga il coraggio e la ilarità nel bel cammino sul quale la mia tenerezza ti ha messo.
- Se ciò non si contrarii alle regole di codesto instituto, mi piacerebbe oltremodo che tu nella tua corrispondenza con me e con la tua Madre non abbandonassi quel certo tuono di affettuosa confidenza che noi sempre t'inspirammo, e da cui tu mai non iscompagnasti il rispetto dovuto dai figli a' loro parenti: di maniera che i dolci titoli di papà e Mammà ci giungerebbero assai più cari degli altri di Signor Padre e Signora Madre.
Ripeto però che io subordino questo mio desiderio alle leggi della educazione del luogo dove tu ti ritrovi.
Quello però che assolutamente io t'inculco è il modo delle soprascritte da usarsi sulle tue lettere.
Nessun titolo, Ciro mio.
A me semplicemente "Signor Giuseppe Gioachino Belli", e a Mammà tua "S
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