[Pagina precedente]...più è vicino alla dissoluzione: e per contrario la vita è più potente là dove è una coscienza più sviluppata del limite.
Per uscir dell'astratto, guardiamo cosa era l'uomo, prima che la scienza moderna vi avesse posto la mano.
L'uomo del medio evo, robustissimo di sentimento e d'immaginazione, nella pienezza della sua libertà e nella foga delle sue passioni, trovava ad ogni passo de' limiti accettati dalla sua volontà , perchè non erano imposti con violenza dal di fuori, ma erano il prodotto della sua coscienza. Que' limiti perciò non erano ributtati come ostacoli ma erano rispettati come doveri e come stimoli alla produzione. Aveva la sua casa, dove trovava la donna, materia di venerazione e quasi di culto, il padre della famiglia, armato di dritti formidabili, avvezzo al comando e sicuro dell'ubbidienza, il nome della famiglia, vincolo comune e rispettato, che imponeva a tutti gli stessi odii e gli stessi interessi, tradizioni secolari, di cui era viva la storia ne' testamenti degli avi, che con previdente affetto abbracciavano i secoli e incatenavano l'avvenire alla perpetuità del casato. La famiglia era già per lui come una piccola patria, che gli creava doveri, approvati dal suo cuore, e trasformati in gagliardi stimoli al decoro e alla prosperità della casa. E aveva la grande patria vicina e concreta, che incontrava ad ogni passo della vita, immedesimata col suolo, con la casa, con le parentele, co' suoi interessi le sue passioni e le sue aspirazioni, comunanza di sentimenti e di credenze e di costumi, che con vocabolo singolarmente espressivo era detto il Comune. Ivi trovava nuovi vincoli e nuovi stimoli all'opera, la sua chiesa e la sua classe, poderosi organismi, de' quali si sentiva parte, forte della forza comune. Quando si spiegava all'aria il gonfalone, tutti vi si stringevano attorno, deliberati a porre per quello le sostanze e la vita, perchè il gonfalone era il simbolo della patria e la patria era la terra de' padri, era la famiglia, la chiesa, la classe, il comune. L'uomo viveva come abbarbicato al suo suolo, a' suoi avi, alla sua casa, alla sua chiesa, alla sua classe, al suo comune, chiuso in potenti organismi, che gli rammentavano doveri da compiere più che dritti da rivendicare. Si sentiva non un individuo libero e isolato, ma parte di un tutto, vivente della vita di quello, figlio, marito, cittadino, soldato, credente, di questo o quel ceto. E qui era il difetto di quei ferrei organismi; l'individuo non vi aveva fini propri, ma un fine comune, che spesso pesava sopra di lui come il fato, e uccideva la sua libertà . A poco a poco il limite soperchiò, cessò di essere uno stimolo, e divenne un ostacolo. L'uomo stretto come in una rete di organismi soprapposti gli uni agli altri, de' quali non sapeva come distrigarsi, vi si sentia affogare e intisichire, e prese in odio i sentimenti più cari della vita, la sua religione la sua famiglia, il suo comune, la sua classe. Volendo rovesciare l'ostacolo, soppresse lo stimolo. Quei limiti non furono più doveri graditi, accettati dalla sua volontà ma obblighi imposti dalla violenza,e nell'ardore della lotta perirono nella sua coscienza non solo quegli obblighi, ma quei doveri; la religione, la stessa morale gli divenne sospetta, perchè invocata da' suoi oppressori; maledisse la società e la legge come istrumenti della sua oppressione e sospirò allo stato di natura, e perchè nel suo sangue ci era entrato il guasto, cacciò da sè il sangue cattivo e il sangue buono: così cominciò quella dissoluzione che Machiavelli chiamava corruttela italiana. Molti fanno di quella corruttela autrice la scienza, e non veggono che la scienza apparve quando la materia era già corrotta, apparve per risanare.
Che cosa era la scienza? Era l'intelletto già adulto che acquistava coscienza della sua autonomia, e si distingueva da tutti gli elementi del sentimento e dell'immaginazione, in mezzo a' quali era cresciuto credulo e ignaro di sè. Era la Natura già maledetta e scomunicata che si affermava in mezzo alla società del soprannaturale e del privilegio, e proclamava i dritti dell'uomo. Era l'individuo che contrapponeva la sua autonomia dirimpetto a tutti quegli assorbenti organismi degli esseri collettivi, dirimpetto alla famiglia, al Comune, alla Chiesa, alla Classe, allo Stato, e si proclamava fine e non mezzo. Il limite aveva soverchiato la libertà . E la Scienza era la Libertà , che reagiva contro il limite.
Perchè la scienza ebbe così piccolo potere sulla vita romana? Perchè la vita vi si era raffreddata, ritiratosi da lei ogni stimolo, ogni sentimento del limite. E se ne volete una immagine, guardate alla catastrofe. Là erano i barbari che si avanzavano, e qua erano soldati accampati alle frontiere, che li attendevano. Quelli portavano seco la patria, la famiglia, le loro donne, i loro vecchi, i loro figli, erano un popolo in marcia: le loro migliori armi erano le loro forze morali. Là era la famiglia, e qua era la caserma, soldati di ogni gente, tutti chiamati romani, e perciò nessuno romano davvero, tenuti insieme nella vita artificiale de' campi senz'altro stimolo che lo stipendio, senz'altro vincolo che la disciplina, formidabili non a' loro nemici, ma a' loro concittadini, che li chiamavano pretoriani, lontana dalli occhi e dal cuore la casa, la famiglia, il tempio, la patria, tutti gli stimoli che fanno grandi gli uomini
E perchè la scienza potè così poco in Italia? Perchè vi erano indeboliti tutti quei limiti che svegliarono tanta potenza di vita in quella che fu chiamata età di mezzo; fiaccati i caratteri, prostrate le forze morali, rimaste vacue forme chiesa, famiglia, patria, classe, stato, ogni organismo sociale, ogni vita pubblica, vacue forme, alle quali l'alta ironia dell'intelletto italiano aveva portato via il contenuto. Nello stesso scienziato la vita era molto al di sotto del pensiero, spesso violenti e radicali i concetti, ipocrita il linguaggio, e servili le opere. La scienza può dare un nuovo contenuto, quando trova materia che lo riceva; altrimenti è un Sole, che irradia nel vuoto senza poter formare attorno a sè il suo sistema, e va in cieli più lontani, cercando materia più giovane e più feconda. La scienza, perchè operi sulla vita, bisogna che ami la vita, quale la trova, guasta che sia, e studii a ricreare ivi dentro gli stimoli e i limiti, nettandoli della scoria che il tempo vi ha aggiunti e riconducendoli a' loro principii, quando erano più nella coscienza che nelle istituzioni. Ma se il guasto è nelle radici, se insieme con la religione è mancato il sentimento religioso, se il sentimento della patria e della famiglia e della natura e della libertà è fiacco, se le stesse radici della vita son secche, cosa ti può fare la scienza ? La scienza non ti può dare la vita, anzi le volge allora le spalle, e se ne disgusta, e non segue più il corso delle' cose, segue il corso delle idee, si ritira nella solitudine del pensiero, rinunzia a qualsiasi azione immediata sulla vita, lavora per l'umanità , fruttifica in altre terre. Così la scienza fu presso noi più radicale ne' suoi concepimenti e più sterile ne' suoi atti. Molti oggi ancora se ne gloriano, e vantano la lucidità dell'intelletto italiano, che vedeva così alto e così lungi, quando altrove si disputava ancora di cose teologiche. E non pensano che l'intelletto italiano vedeva meglio, perchè il suo cuore sentiva peggio, mancati i sentimenti, le passioni, le illusioni, che trattengono nel suo volo l'intelletto, e lo tirano nella loro orbita, e impediscono che ne scappi fuori, libero nella sua corsa, ma solitario e infecondo.
La scienza potè così poco in Francia, come in Italia, ma per opposte cagioni. Tra noi una vita piena ed agitata compiva allora il suo ciclo, riflettendosi nelle arti e nelle scienze; ivi era nel suo pieno fiore, e il limite vi si manteneva ancora con molto prestigio. La monarchia vi era istrumento di conquista, di unificazione e di gloria; abbondavano i Casati illustri, che rappresentavano le glorie nazionali; la religione ricordava le più nobili tradizioni popolari, Carlo Magno e Carlo Martello, Goffredo, San Luigi, Giovanna d'Arco. Le forze popolari vi erano impetuose, espansive, immaginose ed ambiziose; ciò che è ancora oggi gran parte del genio nazionale. Contro a questa vita robusta e giovane urtò indarno l'ironia di Rabelais, il buon senso di Montaigne, lo spirito severo e prosaico degli Ugonotti, la riflessione malinconica di Pascal, e le sottigliezze estatiche de' giansenisti. Lo spirito nuovo potè appena scalfire la superficie di una vita più rumorosa che seria, nella quale invano cercavi il raccoglimento, la riflessione, la calma e l'equilibrio interiore. Lotte vi furono violente, ardenti, mescolate di scandali e di epigrammi, come portava il genio nazionale; ma Parigi valeva bene una messa, e gl'interessi pugnavano alla conservazione di una vita, che si sentiva ancora rigogliosa. Lo spirito pubblico sazio di conquiste e di gloria si addormentò sotto l'ombra del gran Re e tra le fallaci apparenze del secolo d'oro, di cui erano ornamento letterati e scienziati, pomposo lusso di corte, brillante preludio ad una vita tutta di convenzione, allegra, elegante, sciolta, sotto alla quale ruggivano inesplorate profondità . Il risveglio fu terribile. Sorse il disprezzo verso tutte le istituzioni nazionali, divenute decorazioni di corte, e in quel disprezzo soffiava l'ironia di Voltaire e la collera di Rousseau. La scienza vi divenne rivoluzione, perchè ebbe a suo servigio una nuova classe, che chiedeva il suo posto nella vita. E la rivoluzione fu violenta, rapida, drammatica, e nelle sue convulsioni assoluta come la scienza astratta come l'umanità . Cercando libertà non nel limite, ma contro il limite, ruppe il limite, e non diede la libertà . Combattendo la superstizione, spense negli uni il sentimento religioso, e provocò negli altri, come reazione, il fanatismo. Stabilì l'uguaglianza giuridica, e produsse una disuguaglianza di fatto sentita più acerbamente in quella contraddizione, e il frutto fu l'odio di classe, il più attivo dissolvente sociale, e i più delicati problemi abbandonati alla forza brutale. Mobilizzò fortune, famiglie, costituzioni e governi, e il turbinìo rapì seco ogni costanza di carattere, ogni fermezza di disciplina, ogni vincolo sociale, il culto del dovere e della legge. Sviluppò grandi caratteri, grandi forze, le usò e le abusò, trattò e stancò in tutti i versi una vita dotata di tanta elasticità , che oggi ancora così calcata minaccia ed offende. Quando non potè avere le cose, si appagò de' nomi; non potendo aver la sostanza, abbracciò l'ombra; riebbe l'imperatore senza l'impero, la repubblica senza i repubblicani; ripetè e scimieggiò sè stessa; ripetè rivoluzioni senza rivoluzionarii, epopee senza eroi; la storia divenne un circolo, nel quale elementi, ora vinti, ora vincitori, sempre violenti, si dibattono e si consumano. Limite e libertà , indeboliti nella coscienza, logorati nell'attrito, non furono più le funzioni organiche di una società armonica; furono meccanismi tanto più artificiosi e complicati ne' loro congegni, quanto la vita interna vi era più debole e men rispettata; sicchè nè i concordati rinvigorirono la fede, nè le costituzioni rinvigorirono la libertà . Operando fuori di ogni tradizione e di ogni condizione storica, la società rimase in balìa al lavorio de' cervelli; furono provati tutt'i meccanismi, furono fatte tutte le esperienze; i fatti furono costretti a camminare con la stessa velocità delle idee; la storia uscì dalle sue vie naturali, fu una corsa vertiginosa, che non ancora ha trovato il suo punto di fermata, lasciando dietro di sè nel cammino intelletti dubbiosi, sentimenti vacillanti, caratteri mobili, non so che insoddisfatto, uno spirito irrequieto, avventuroso, che molto si agita e poco conchiude, senza fermezza ne' fini e senza serietà ne' mezzi.
Questa fu la prima prova, nella quale l'influsso della scienza è visibile. Più che rivoluzione, fu reazione della natura contro la società , del...
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